Jean Mabire
Il dio della guerra. Il barone Roman Feodorovič von Ungern-Sternberg
Presentazione editoriale
“Amici cavalieri, armatevi per la guerra…”. Un giorno partì a cavallo, folle di amore per la guerra e di istintivo ardore religioso, il generale-barone von Ungern-Sternberg, dal golfo di Finlandia al deserto dei Gobi, e lo uccisero più per lo scandalo che davano la sua feroce vocazione e il suo inflessibile senso dell’onore e della decenza, che per autodifesa. Lo uccisero i bolscevichi, insieme agli altri dèi che minacciavano di intralciare il progresso. Il miraggio della potenza, la cavalcata del guerriero e dell’orda che gli obbediva, rendevano risibile l’umanitarismo cencioso ‘à la Russie’ allora in voga: i piani quinquennali, le odi coatte al sudore della fronte, quel pugnaccio isterico sul tavolo dei padroni. In questo travolgente ‘romanzo’ il sangue scorre a fiumi, l’efferatezza si spreca, ma è come un farmaco. Non c’è mai puzza di carogna, perché Ungern e i suoi uomini, figli del vento, hanno troppa fretta, troppa sete di trionfo per fermarsi a pensare sopra la vita lasciandola marcire, per bamboleggiare nelle sociologie. Due ‘s’: sodalità e scelus contro gli empi, non socialismo – dicono le gesta del barone. Di assassinio in assassinio, di scoppio in scoppio, pur di progredire nella vita, non di truffa in truffa, e di guaìto in guaìto – così infuriò il magnifico Ungern, monaco guerriero, “uomo solo, uomo ‘dell’altrove’”, uomo compiuto e radicato nel dio.
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