di Rafael Videla Eissmann
Il processo denominato “cambiamento climatico” che attualmente è in corso, prospetta, al di là dei fattori scatenanti - siano essi un processo naturale, ciclico, oppure conseguenza della nefandezza di alcune azioni umane - una questione inquietante: la sopravvivenza delle specie.
La vita, il senso della vita riacquisterà il suo significato più essenziale e naturale: la lotta per l'esistenza. Ogni individuo, ogni specie ritornerà alla forma di vita che i suoi millenari predecessori avevano sviluppato. La Natura con la sua essenza spietata affiorerà di nuovo nella Gerda, stendendo il suo manto e spingendo migliaia di esistenze alla lotta per la sopravvivenza.
La Via verso l'Estinzione (“Highway to Extinction”)
Questo è il nome che alcuni scienziati hanno dato al processo catastrofico che si sviluppa a partire dal “cambiamento climatico” e dei suoi effetti sul pianeta e sugli esseri viventi. Di fatto, l'aumento della temperatura causerà l'estinzione di diverse specie e la scarsità di cibo, di pari passo con l'incremento di siccità e inondazioni. E' ciò che viene denominato la Via verso l'Estinzione.
Il Gruppo di Studio Intergovernativo sul Cambiamento Climatico - che coinvolge più di duemila scienziati appartenenti a centoventi nazioni -, informa che nell'ipotesi di irreversibilità di un tale processo a livello planetario, con un 90% di probabilità milioni di esseri umani e numerose specie animali periranno.
Dal 1990 la media della temperatura del globo è aumentata considerevolmente; se questa percentuale viene proiettata al 2020, la conseguenza sarebbe che un numero di persone oscillante tra quattrocento milioni e 1,7 miliardi rimarrebbe senza acqua, con il conseguente aumento delle malattie infettive e delle forme allergiche. Nel caso in cui la temperatura aumentasse di 1,8 gradi Celsius, dal 20 al 30 per cento delle specie del pianeta rischierebbero l'estinzione per malnutrizione, fame, malattie, ondate di caldo, inondazioni e siccità. Tutto ciò accadrebbe all'incirca verso l'anno 2050, secondo il grado di accelerazione o meno del processo planetario.
Calcolando un aumento estremo della temperatura, vale a dire dai 7 ai 9 gradi, la relazione informa che “un quinto della popolazione mondiale subirà processi di inondazione...”. “Da 1,1 a 3,2 miliardi di persone saranno senza acqua... e perverranno a un vasto processo di estinzione su scala planetaria”. Questo eventuale aumento estremo della temperatura, sempre secondo il Gruppo di Studio Intergovernativo, sarebbe determinato in larga parte dalle emissioni di diossido di carbonio.
L'Arca di Noè
Tale catastrofico resoconto ha suscitato una serie di reazioni che, attualmente, di fronte alla drasticità dell'eventuale processo planetario, mirano disperatamente a progettare varie modalità di preservazione. A tale scopo recentemente si è resa nota la progettazione di un catalogo di tutte le specie viventi della Terra al quale lavorano più di tremila scienziati e che dovrebbe concludersi nel 2011. Fino ad oggi sono state individuate 1.009.000 specie.
Lo studio varato dal professor Frank Bisby della University of Reading in Inghilterra, è stato sviluppato su scala mondiale. Gli scienziati pensano di arrivare a registrare 1,75 milioni di specie. Uno de biologi del Museo di Storia Naturale dell'Istituto Smithsoniano ha spiegato che il catalogo include “tutti gli organismi viventi conosciuti, dalle piante agli animali, i funghi e i microrganismi come batteri, protozoi e virus, mentre non sono incluse le specie fossili”.
Il Catalogo della Vita del Sistema di Informazione Tassonomico delle specie dell'anno 2000 ha pubblicato una gran quantità di informazioni sulle specie registrate.
A quanto sopra si aggiunge il progetto Arca Congelata di alcuni scienziati britannici che hanno creato la prima banca di DNA del mondo. Si tratta di preservare le informazioni genetiche di migliaia di specie a rischio d'estinzione. Il progetto contempla anche la classificazione di campioni di DNA e di tessuti delle specie maggiormente a rischio, in previsione di un eventuale fallimento degli sforzi realizzati per evitarne la scomparsa. (1)
I campioni saranno congelati a una temperatura di -80 gradi, come hanno spiegato alcuni esperti delle tre istituzioni a carico del progetto: l'Università di Nottingham, il Museo di storia Naturale e la Società Zoologica di Londra.
Seppure al momento non è stato progettato l'utilizzo dei campioni per la clonazione, gli scienziati responsabili dell'Arca non scartano la possibilità di farlo in futuro. Il professor Brian Clark dell'Università di Nottingham ha spiegato che “è noto che il DNA può durare centomila anni in condizioni naturali. In condizioni ideali potremmo preservarlo ancora più a lungo”. Tra le specie più minacciate d'estinzione figurano il cavalluccio marino giallo (Hippocampus Kuda), la colomba “Socorro” (Zenaida graysoni) che abita solo nella remota isola di Socorro in prossimità della costa Ovest del Messico, il “Pollo di Montagna” che in realtà è una rana (Leptodactylus fallax) e abita nelle isole Montserrat e Santo Domingo, e l'Orix d'Arabia (Orix dammah) del Nord Africa, minacciato dalla caccia e dall'avanzare del deserto.
Il disgelo dell'Artico
Il cattedratico di Ecologia dell'Università Fairbanks dell'Alaska, professor F. Stuart Chapin, ha ipotizzato la possibilità della scomparsa del ghiaccio dell'Artico in un lasso di tempo inferiore a cinquanta anni come conseguenza del riscaldamento globale, posto che i cambiamenti avvengono più rapidamente del previsto.
Chapin considera che si stia vivendo un momento “critico” per il futuro del pianeta e della biodiversità. Secondo il suo criterio, le relazioni del Gruppo Intergovernativo dei Cambiamenti Climatici (IPCC, la sua sigla in inglese) dell'ONU sono “molto conservatrici”.
Come dimostrato delle ricerche effettuate dal gruppo di lavoro di Chapin presso l'Università dell'Alaska, nell'Artico la neve si scioglie sempre più presto, il che accelera il processo di cambiamento climatico della regione che negli ultimi tempi ha registrato le temperature più alte degli ultimi quattro secoli.
Sempre secondo Chapin, il protrarsi della stagione senza neve ha consentito l'estensione verso il Nord dell'Alaska del bosco boreale (alberi e arbusti) che va a colonizzare progressivamente le terre già occupate dalla tundra. Se si mantenesse l'attuale ritmo di espansione dei boschi, nelle prossime decadi il riscaldamento atmosferico dell'Artico potrebbe moltiplicarsi da due e sette volte.
La Cosmogonia Glaciale
Secondo Hanns Hörbiger, autore della Cosmogonia Glaciale (1913), tutto questo processo planetario è il risultato della meccanica cosmica del sistema solare, la quale caratterizzata dall'eterna interazione tra Ghiaccio e Fuoco, è causa dei conflitti planetari che hanno afflitto la Terra e i suoi abitanti. Hörbiger ci parla della precessione degli equinozi, dei processi ciclici catastrofici e gelidi che devastano il Pianeta. Cosa accadrà quando i ghiacci dell'Artico saranno sciolti? Ovviamente salirà il livello delle acque modificando le zone abitabili, e si avrà uno squilibrio della massa d'acqua rispetto alla funzione gravitazionale della Luna... Risultato? Un'alterazione graduale del rapporto tra le due forze di gravità con il conseguente impatto del satellite contro la Terra.
Queste considerazioni vengono rafforzate dai miti e dalle leggende appartenenti alle culture aborigene, che si trovano soprattutto nei Codici Maya e negli Edda delle popolazioni del Nord Europa.
Tutto ciò è già accaduto e accadrà di nuovo
La storia dell'Arca di Noè riportata nei capitoli dal 6 al 9 del Libro della Genesi narra la salvezza dal diluvio delle specie umana e di alcuni animali. Nell'Arca Noè porta la moglie, i figli Sem, Cam e Jafet con le rispettive mogli, e alcune coppie di specie animali, al fine di salvarli dalla catastrofe.
Quando l'Arca fu costruita e lui con la sua famiglia e gli animali furono a bordo, narra il Genesi che “si ruppero tutti i fonti del grand'Abisso, s'aprirono le cateratte del cielo, e fu pioggia sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti”.
“... le quali prevalsero fuor di modo sulla terra, e ne furono coperti tutti i monti più alti che son sotto il cielo. Quindici cubiti (circa 7 metri) s'alzò l'acqua al di sopra dei monti che aveva ricoperti. E fu distrutto ogni essere che si moveva sulla terra,... restò solo Noè, e quelli che eran con lui nell'Arca”.
Finalmente, dopo molti giorni, l'Arca si poggiò sul Monte Ararat e le acque arretrarono per altri quaranta giorni, finché emersero le cime delle montagne. Allora “Noè lasciò andare il corvo, il quale uscì e non tornò sinché le acque non s'asciugarono sulla terra”.
Poi Noè inviò una colomba la quale fece ritorno perché non trovò dove posarsi. Noè la inviò di nuovo e questa volta tornò con un ramoscello d'olivo con verdi foglie nel becco, allora Noè seppe che le acque si erano ritirate. Attese sette giorni e inviò ancora la colomba che questa volta non tornò. Quindi lui e la sua famiglia e tutti gli animali uscirono dall'Arca e popolarono la nuova Terra.
Questo stesso episodio del passato si trova anche nella tradizione orale degli Araucani, i quali raccontano della lotta tra il serpente Kai Kai e Tren Tren: è il diluvio, la Grande Catastrofe dalla quale gli uomini riescono a salvarsi solo sulle alte cime.
D'accordo con la teoria indù dei Kalpa, una volta completato il ciclo, il Polo Nord diventa Polo Sud e viceversa.
Vale a dire, si capovolge l'Asse Terrestre con la conseguente drastica trasformazione del pianeta.
Dopo il cambiamento catastrofico del clima delle zone costiere e delle aree abitabili, si avrà l'avvento di una Nuova Era, di un nuovo ciclo nella spirale della vita della Terra.
(1) L'imminenza della catastrofe ha suggerito l'elaborazione di un registro genetico delle specie, una nuova Arca di Noè nella quale gli scienziati classificheranno geneticamente tutte le specie della Terra attraverso campioni di DNA, onde formare un “codice a barre” per ciascuna pianta e ciascun animale esistente al mondo. Lo scopo è quello di determinare lo stato della biodiversità del pianeta e del ritmo di estinzione, nonché segnalare l'insorgenza di pesti agricole e di agenti patogeni.
Il progetto parte da un consorzio internazionale formato da cinquanta musei zoologici, agenzie governative e organizzazioni specializzate in biodiversità, e si prefigge lo scopo di elaborare un catalogo genetico della vita esistente sulla Terra. I ricercatori del Consorzio per la Classificazione della Vita (http://barcoding.si.edu), presente in venticinque nazioni del Mondo, annunciarono da Londra (Inghilterra), il 10 febbraio del 2005, la loro intenzione di ricavare frammenti del DNA di tutte le specie conosciute al mondo, accostarle a foto e descrizioni, con l'aggiunta di tutti i dati necessari per creare un “codice a barre” corrispondente a ciascun animale e ciascuna pianta. Le informazioni genetiche di creature piccolissime come il plancton o enormi come le balene verranno inserite in una gigantesca banca dati che renderà più facile la classificazione della biodiversità terrestre a esperti e appassionati.
L'ambizioso progetto consta di tre fasi. La prima, che avrà termine nel 2010, completerà la definizione dei codici di circa diecimila specie di uccelli; la seconda si concentrerà sui pesci per un totale di circa ventitremila specie; e la terza, più complessa, studierà circa ottomila specie di piante iniziando da Costa Rica e Centro America.
Mentre gli scienziati si preparano a raccogliere i campioni in tutti i continenti, anche il Consorzio contempla la possibilità di elaborare un registro di “codici a barre”, ma solo per le specie di animali estinti i cui resti si trovano attualmente nei musei, nelle università e nei centri di ricerca.
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Allegato I
La vittoria della Cosmogonia Glaciale di Hörbiger
La scienza dei nostri giorni corrobora inevitabilmente, ma con quasi un secolo di ritardo, i postulati dell'ingegnere austriaco Hanns Hörbiger riguardanti la dinamica cosmica e le catastrofi cicliche.
The Observer – El Mundo, 22 maggio 2007. Di Robin Mc Kie
LONDRA – Tredicimila anni or sono una cometa esplose sulla Terra provocando una pioggia di sfere di fuoco che incendiò la maggior parte dell'emisfero Nord. Furono così distrutte le culture primitive dell'Età della Pietra e la popolazione dei grandi animali terrestri come il mammut e il mastodonte scomparvero dal pianeta. L'esplosione produsse anche un nuovo ciclo di raffreddamento del clima che durò circa mille anni e che interruppe lo sviluppo delle prime civilizzazioni umane emergenti in Europa e in Asia.
E' questa la sorprendente conclusione a cui è giunta una squadra di scienziati statunitensi. “La cometa provocò un'onda espansiva che trasformò la terra drasticamente”, assicura il Geofisico Allen West. “Con un diametro di circa due-tre chilometri, la cometa esplose prima dell'impatto, il che produsse una serie di ulteriori esplosioni ciascuna delle quali equivalente alla deflagrazione di una bomba atomica. Ne dovette risultare un inferno sulla superficie terrestre nel quale la maggior parte dell'emisfero Nord dovette bruciare”.
Questa teoria verrà presentata in settimana durante la riunione dell'Unione Geofisica Americana ad Acapulco, Messico. Un gruppo di scienziati, tra cui il dottor West, annunceranno il ritrovamento di uno strato di microscopici diamanti in ventisei luoghi diversi dell'Europa, del Canada e degli Stati Uniti. Pensano si tratti dei residui di una gigantesca cometa ricca di carbonio esplosa in milioni di frammenti sul nostro Pianeta circa dodicimila novecento anni or sono secondo i loro stessi calcoli. La pressione elevatissima e il forte calore provocati dall'impatto dei frammenti sulla superficie terrestre convertirono il carbonio della cometa in polvere di diamante. “Le onde esplosive e il calore furono certamente impressionanti”, assicura il dottor West. “E' probabile che bruciasse la pelle degli animali e qualunque tipo di abbigliamento indossato dagli uomini, oltre che le praterie dell'emisfero Nord, causando così la morte per fame dei grandi erbivori sopravvissuti all'esplosione. Solo gli animali e gli umani, la cui dieta era più varia, riuscirono a sopravvivere nei tempi che seguirono”.
Gli scienziati fanno notare come le prove archeologiche dimostrino che le prime culture dell'Età delle Pietra subirono gravi stravolgimenti. Concretamente i cacciatori discendenti da quelli emigrati dal Continente Americano in Asia, scomparvero proprio in quella fase.
Questi uomini erano i cacciatori più fieri del pianeta, uomini e donne che fabbricarono magnifiche punte di lance in pietra utilizzate per cacciare anche i mammut. Il motivo della loro scomparsa durante quell'Era è stato discusso in numerosi dibattiti e fino al momento attuale l'opinione prevalente faceva riferimento al cambiamento climatico. Ora invece, si pensa ad una nuova spiegazione: i primi americani sarebbero morti a causa di una cometa.
Certamente la straordinaria esplosione non interessò unicamente il Continente Americano. A quell'epoca la Terra stava uscendo dall'ultima Era Glaciale; il clima si riscaldava lentamente anche se alle maggiori altitudini resisteva ancora il ghiaccio. La disintegrazione della cometa sicuramente causò lo scioglimento di questi ghiacci facendo riversare una tale quantità di acqua nell'Atlantico che certamente provocò lo sconvolgimento delle correnti oceaniche, inclusa la corrente del Golfo. Ne risultò un periodo di mille anni di freddo che colpì l'Europa e l'Asia.
***
Per i sopravvissuti questo accadimento si trasformò in miti e leggende, confluiti più tardi nella tradizione del diluvio universale esistente presso i Maya, gli Aztechi e gli Inca. Si tratta del cataclisma che distrusse Tiahuanacu-Aztlan; il diluvio del combattimento tra Tren Tren e Kai Kai della tradizione orale degli Araucani; il “salvamento” di Noè e il Crepuscolo degli Dei (Götterdammerung) degli Edda.
La datazione coincide anche con lo sprofondamento dell'isola di Atlantide citato da Platone.
I postulati esposti nella Cosmogonia Glaciale riguardanti la meccanica del Cosmo, la sua composizione dinamica, l'aumento della forza di gravità prodotto dall'inevitabile avvicinamento del satellite lunare, nonché il capovolgimento dell'asse terrestre, sono causa dei conseguenti cataclismi che si sviluppano e hanno luogo ciclicamente.
E' questa la vittoria della Cosmogonia Glaciale di Hanns Hörbiger.
Inaugurazione dell'Arca di Noè nell'Artico con un deposito contenente cento milioni di semi.
Giornale La Segunda. Martedì, 26 febbraio 2008.
Fonte: EFE.
Copenaghen, 26 febbraio.- Il Deposito Mondiale di Sementi di Svalbard, nel Circolo Polare Artico è stato ufficialmente inaugurato oggi con una cerimonia durante la quale sono stati depositati cento milioni di sementi provenienti da un centinaio di paesi di tutto il mondo.
Il progetto voluto dal Governo Norvegese, dal Fondo Mondiale per la Diversificazione delle Culture e dalla Banca Genetica Nordica, consiste nella creazione di un deposito di campioni di semi per coltivazione alimentare che assicura la loro preservazione in presenza di eventuali fenomeni come i cambiamenti climatici o le catastrofi naturali.
Situata nei pressi di Longyearbyen, in un'isola dell'arcipelago norvegese di Svalbard, il Deposito battezzato “della fine del mondo” o “Arca di Noè”, è stato scavato a centotrenta metri sopra il livello del mare in una montagna di pietra arenaria, esente da attività vulcanica, terremoti, radicamento e innalzamento delle acque.
Il primo Ministro norvegese Jens Stoloenberg e il Premio Nobel per la Pace del 2004, l'attivista keniana signora Wangari Maathai, furono incaricati di collocare al suo interno i primi semi, varietà di riso provenienti da 104 paesi.
Nella cerimonia alla quale prese parte il Presidente della Commissione Europea José Manuel Durao Barroso, il Primo Ministro Stoltenberg qualificò l'impianto come “blocco fondamentale della civiltà umana”, e il Direttore del Fondo Mondiale per la Diversificazione delle Culture, Cary Fowler, parlò della risorsa “più potente” per affrontare minacce come il cambiamento climatico o i deficit di energia di alimenti e di acqua.
Il Deposito – in grado di contenere fino a 4,5 milioni di campioni e circa 2 milioni di sementi –accoglierà inizialmente 268 mila campioni diversi di semi che saranno confezionati in speciali pacchetti di quattro strati, sigillati con il calore per escludere l'umidità, collocati in scatole chiuse ermeticamente e disposte in ciascuna dei 3 locali nei quali è diviso l'ambiente corazzato situato in fondo a un corridoio di 120 metri.
I semi rimarranno immagazzinati a una temperatura di - 18 gradi celsius che garantisce una bassa attività metabolica e un perfetto stato di conservazione per secoli; in caso di interruzione dell'elettricità, il “permafrost” artico (cappa permanentemente gelata) dell'esterno agirebbe come refrigerante naturale.
Venti istituzioni di tutto il mondo hanno inviato campioni per partecipare al progetto, tra di esse il messicano Centro Internacional de Mejoramiento de Maìtz y Trigo (CIMMYT), il colombiano “Centro Internacional de Agricultura Tropical” (CIAT) e il “Centro Internacional de la Papa” (CIP) del Perù.
Il Deposito accoglierà semi di circa 90 coltivazioni come erba medica, asparago, fagiolo, biada, basilico, bieta, carota, lenticchia, pomodoro, cipolla, patata, pisello, spinacio, grano e riso.
Si tratta di varietà poco frequenti o di tipi tradizionali prodotti nei paesi in via di sviluppo, con esclusione degli alberi da frutta e delle piante medicinali nonché degli organismi geneticamente modificati.
I semi potranno essere prelevati dal magazzino solo nel caso della loro distruzione o scomparsa, o nella circostanza in cui i paesi donatori che ne sono i proprietari, ne facessero richiesta.
Il Governo norvegese si è assunto l'onere della costruzione del Deposito per un ammontare di circa 50 milioni di corone norvegesi (6,4 milioni di euro, 9,4 milioni di dollari), mentre il trasporto dei semi e il mantenimento futuro della struttura sarà a carico del Fondo Mondiale per la Diversificazioni delle Colture.
Quello che è considerato il deposito di semi per la coltivazione alimentare più completo del mondo si avvale delle più importanti misure di sicurezza. Il suo tetto e la sua entrata sono stati decorati da artisti norvegesi con acciaio e specchi affinché in estate venga riflessa la luce polare e in inverno assuma una tonalità verde turchese e bianca che lo renda visibile a centinaia di metri di distanza.
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