30/04/16

Jean Borella: giudizio sulla Fraternità S. Pio X


Nei giorni scorsi avevo chiesto a Jean Borella di chiarirmi la sua  posizione attuale sulla Fraternità S. Pio X. Il Professore mi ha risposto con la sua consueta amabilità e cortesia come segue.


La fraternité a eu un mérite incontestable, elle a préservé la messe  de toujours (quoique dans un style très XIXè siècle). Elle permet ainsi de sauver son actualité, car le souvenir des  rites et des  gestes s'efface inexorablement. Mais ella a  commis une faute très  grave. Elle a  refusé la main que lui tendait Benoît XVI, le pape le  plus théologien que nous ayons eu et soucieux de maintenir la foi  dogmatique. C'est un crime contre l'unité de l'Eglise, et non  l'oeuvre de l'Esprit Saint. J'attends et j'espère  le retour de la  Fraternité au bercail romain. L'Eglise a besoin de la la présence de  ses fidèles.  
Croyez, Monsieur le professeur, à mes sentiments  amicaux, in Christo Jesu. 

Jean Borella

Traduco all'impronta:

La Fraternità ha avuto un merito incontestabile, ha preservato la messa di sempre (anche se in uno stile molto XIX secolo). Essa ha consentito anche di preservare la sua attualità poiché il ricordo dei riti e dei gesti si cancella inesorabilmente. Ma ha commesso anche un errore molto grave. Ha rifiutato la mano che le tendeva Benedetto XVI, che è stato il papa più teologo e più preoccupato di mantenere la fede dogmatica che abbiamo avuto. E' un delitto contro l'unità della Chiesa e non l'opera dello Spirito Santo. Attendo e spero il ritorno della Fraternità all'ovile romano. La Chiesa ha bisogno della presenza dei suoi fedeli.  
Seguono i saluti e la firma

29/04/16

La decrescita felice di Maurizio Pallante

MAURIZIO PALLANTE
Destra e sinistra addio
Per una nuova declinazione dell’uguaglianza
Edizioni Lindau, Torino 2016
Collana «Le Frecce» | pagine 232 | euro 18,00 | e-book euro 12,99

« È il momento di intraprendere un percorso politico nuovo, di aprire una nuova fase della storia in cui l’economia non sia più schiava della distopia della crescita infinita.
Se si abbandona l’ideologia della crescita, che ha accomunato da sempre la destra e la sinistra, sarà ancora possibile articolare in maniera diversa e rilanciare la tensione all’uguaglianza. »

Di «destra» e «sinistra», per designare due schieramenti politici contrapposti, si parlò per la prima volta alla Convenzion nationale di Parigi del 1792. Da allora queste due parole indicano chi ritiene che le diseguaglianze tra gli esseri umani siano un dato naturale non modificabile (la destra), e chi pensa che abbiano un’origine sociale e possano essere attenuate (la sinistra).

Anche Norberto Bobbio nel suo libro del 1994, Destra e sinistra, arrivò alla conclusione che l’elemento di fondo della loro contrapposizione consiste nell’atteggiamento assunto nei confronti del concetto di eguaglianza degli essere umani.

Se si accetta questa conclusione, non si può non dedurne che le categorie di sinistra e di destra sono la manifestazione assunta storicamente, da poco più di due secoli, da due pulsioni contrapposte insite nell’animo umano. Tale consapevolezza induce però ad analizzare – in questo momento storico in cui la contrapposizione si è attenuata tanto da diventare impercettibile – le modalità in cui si è realizzata, a comprendere le ragioni per cui si è attenuata e a ipotizzare che, come ha avuto un inizio, essa è destinata ad avere una fine.

Negli stessi anni in cui il contrasto tra egualitari e inegualitari, per riprendere le definizioni di Bobbio, assumeva la connotazione storica tra sinistra e destra, la rivoluzione tecnologica mutò le caratteristiche della disuguaglianza tra gli esseri umani, fondandola non più su una presunta origine divina, ma sul materialissimo, per quanto non meno potente né meno simbolico, denaro. Contadini, prima, artigiani, poi, sono stati obbligati a procurarsi un reddito monetario come operai e l’estensione della proletarizzazione, indispensabile per lo sviluppo della produzione industriale, ha realizzato un contesto tale per cui il benessere si identifica con il potere d’acquisto e il denaro diventa la misura della ricchezza.

Nel mito del benessere e del possesso di cose, possibilmente da sostituire in tempi brevi con merci che superano in tecnologia quelle appena acquistate, il confronto politico tra destra e sinistra ha trovato un punto di contatto culturale fecondo che si è svolto sulla base della comune valutazione positiva della crescita della produzione delle merci (e del PIL), che entrambe hanno salutato come “progresso”, perché causa di una crescita economica senza precedenti (anche se, ovviamente, destra e sinistra si sono divise riguardo ai modi di distribuirne i benefici).

Questo comune sistema di valori è stato capace di rendere innocua la pulsione egualitaria espressa dalla sinistra, spostando il desiderio di eliminare le cause dell’ineguaglianza al desiderio di avere una quota maggiore del redito monetario crescente, generato da quel modello.

In Italia, per esempio, negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, la sinistra ha collaborato attivamente alla diffusione del modo di produzione industriale guidato dalla destra; si è impegnata molto a promuovere lo sviluppo del Mezzogiorno, contribuendo all’acquisizione del consenso da parte delle popolazioni, convincendole che ne avrebbero tratto solo benefici economici e occupazionali, e non anche gravi danni ecologici e sanitari. «Meglio morire di fumo che di fame». (SI CONSIGLIA VIVAMENTE LA VISIONE DI QUESTO FILMATO PROMOZIONALE DELL’IRI, GIRATO NEL 1959): https://www.youtube.com/watch?v=7vHRO7tgxEE

Non è un gran progresso sulla strada dell’eguaglianza un aumento del reddito monetario che consenta di comprare generi alimentari pieni di diossina quando prima li si poteva autoprodurre sani e genuini; non è un gran progresso sulla strada dell’eguaglianza un aumento del reddito monetario che consenta di comprare acqua in bottiglie di plastica che prima non si doveva proprio comprare perché le sorgenti non erano state inquinate dagli scarichi delle produzioni industriali…

Per questo oggi destra e sinistra appaiono entrambe espressioni di una storia finita: quella di un mondo che puntava a una crescita senza limiti, della quale non ha mai considerato i costi.

L’economia mondiale è ormai entrata in una fase di instabilità destinata a durare e, soprattutto, si sta diffondendo la consapevolezza degli inaccettabili danni ambientali provocati dal modello di sviluppo perseguito fino a ora.

Dire addio a questa obsoleta rappresentazione di interessi contrapposti è il punto di partenza per ridefinire programmi politici e per riformulare l’azione economica e sociale di questo Paese, sulla base di uno sguardo del tutto nuovo.

Un progetto politico davvero finalizzato a ridurre le diseguaglianze tra gli esseri umani, non può non presupporre lo smantellamento delle industrie nocive e un recupero dell’agricoltura di sussistenza con la vendita delle eccedenze, con l’obiettivo di raggiungere la massima autosufficienza alimentare. Le maggiori conoscenze scientifiche e gli strumenti tecnici oggi disponibili, offrono a un progetto politico in tal senso finalizzato, il carattere di una proiezione verso un futuro ben più desiderabile di quello sempre più preoccupante prospettato all’umanità dall’attuale sistema economico e produttivo.

In questo libro si sostiene che se si abbandona l’ideologia della crescita è possibile ridare forza all’impegno per una maggiore equità tra gli esseri umani.

A tal fine occorre avviare una decrescita selettiva della produzione sviluppando innovazioni tecnologiche che accrescano l’efficienza nell’uso delle risorse e attenuino l’impatto ambientale dei processi produttivi, perseguire l’autosufficienza alimentare valorizzando l’agricoltura di sussistenza, superare l’antropocentrismo estendendo l’equità a tutti i viventi, ridurre la mercificazione e l’importanza del denaro, riscoprire i beni comuni e le forme di scambio basate sul dono e la reciprocità, superare il materialismo e valorizzare la spiritualità.

Dall’analisi dell’Enciclica Laudato si’ di papa Francesco, e dal vivace dibattito che ne è seguito, sembrerebbe che questa rivoluzione culturale sia iniziata.

«È arrivata l’ora – scrive il pontefice – di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti». Il superamento della povertà dei popoli poveri, secondo il papa, non potrà avvenire imitando il modello economico dei popoli ricchi. Per la prima volta, la decrescita riceve un riconoscimento della massima autorevolezza morale e viene indicata come la condizione indispensabile per realizzare in questa fase della Storia la pulsione all’eguaglianza insita nell’animo umano, che costituisce l’elemento caratterizzante dell’insegnamento di Cristo.

Dopo due secoli e mezzo di esaltazione acritica della crescita da parte di tutte le correnti di pensiero, di destra, di sinistra e della stessa Chiesa cattolica, a fronte dell’irrisione riservata sino a ora alla decrescita da politici, imprenditori e intellettuali che pure si vantano della loro formazione cattolica (e che, per quanta buona volontà ci mettano, dal 2008 non riescono a far ripartire la crescita economica), questa affermazione di papa Francesco segna l’inizio di una svolta storica: «Come mai prima d’ora nella Storia, il destino comune ci obbliga a cercare un nuovo inizio»

Ma la classe politica – da entrambe le parti – se n’è accorta?? A noi sembra non esserne ancora pienamente cosciente, o non avere la forza di trovare risposte adeguate ai bisogni del nostro tempo.