28/06/16

Medjugorje: la menzogna in atto



E’ allo scopo di meglio chiarire la posizione del Corriere metapolitico sulla controversa vicenda di Medjugorje che abbiamo deciso di scrivere quanto segue. L’argomento si presterebbe a innumerevoli altre valutazioni che per ragioni di spazio rimandiamo ad altra occasione.

La Chiesa

Per quanto riguarda la posizione ufficiale della Chiesa, si sono dovuti attendere una decina d’anni per un primo responso (ricordiamo che la prima apparizione risale al 1981). Il 10 aprile 1991 i vescovi dell’allora Jugoslavia, riuniti a Zara, emisero la seguente dichiarazione: “sulla base di quanto finora si è potuto investigare, non si può affermare che abbiamo a che fare con apparizioni e rivelazioni soprannaturali”. Vent’anni dopo, esattamente nel marzo 2010, la Santa Sede istituisce, per volontà di Benedetto XVI, una “Commissione internazionale di inchiesta” per indagare sui fatti, composta da vescovi, teologi ed altri esperti e presieduta dal cardinale Camillo Ruini. I lavori della Commissione sarebbero terminati già un anno fa, ma stranamente ancora non se ne sa nulla.

I Papi

I tre papi che si sono succeduti sul trono di Pietro dalla fatidica data della prima apparizione non hanno, come d’altronde è prassi, dichiarato pubblicamente la loro posizione, anche se è confermato da testimoni autorevoli che in via privata e confidenziale Giovanni Paolo II si dicesse certo della sua autenticità. C’è, tra l’altro, una distanza temporale di poco più di un mese tra l’attentato cruento del 13 maggio a Sua Santità e la presunta apparizione del 24 giugno. E’ sicuramente possibile che la coincidenza non sia del tutto casuale, ma non nel senso immaginato da Antonio Socci secondo il quale “le apparizioni iniziarono all’indomani dell’attentato al papa, come per accompagnare e sostenere la seconda fase del suo pontificato. Nell’ipotesi che le apparizioni, come noi riteniamo, non siano vere ma “artefatte”, anche la scelta della data deve rispondere a una logica umana di pura convenienza.
Tornando a Giovanni Paolo II, non si può non ricordare che  “Totus Tuus”, “Tutto Tuo”, era il motto apostolico del suo pontificato, espressione efficace della sua fortissima devozione mariana.  Questa “passione” per la Madre di Gesù e della Chiesa, lo rendeva forse meno obiettivo e distaccato  nei confronti del fenomeno delle “apparizioni”, quasi sempre assai difficili da discernere. Per lo stesso motivo si convinse di essere lui il misterioso personaggio descritto da Lucia di Fatima nella famosa visione apocalittica, contro l’evidenza di una descrizione che poteva anche far pensare ad altro. Il “riconoscervi il suo proprio destino” (Il messaggio di Fatima, Congregazione per la dottrina della fede, giugno 2000) finì con lo svuotare di ulteriori significati quella visione che così sarebbe stata presto dimenticata e messa da parte. Quel che accadde in seguito lo sappiamo: Medjugorje prese in tutto e per tutto il posto di Fatima senza più nessuno a impedirlo (lo schema adottato fu il seguente: A e B procedono dalle stesse cause, ma siccome B viene dopo A, allora B che deve contenere per forza qualcosa di più di A, sostituisce definitivamente A).
Per quanto riguarda la posizione di Benedetto XVI,  non risultano indiscrezioni, né confidenze fatte a Tizio o a Caio. Socci riteneva e forse ancora ritiene, che anche lui sia segretamente convinto dall’autenticità delle apparizioni, ma nulla nelle sue azioni e nelle sue parole sembra farlo pensare. L’unica cosa certa è che a lui si deve la creazione della Commissione d’inchiesta. A nostro avviso, il vero scopo della Commissione, lo diciamo a tutti i medjugurjani entusiasti, non è certo quello di pronunciarsi in modo definitivo sulla natura delle apparizioni (cosa tra l’altro impossibile dal momento che a dire dei “veggenti” le apparizioni non sarebbero ancora terminate), ma solo un modo “pastorale” per cercare di recuperare una situazione ampiamente sfuggita di mano e per poterla in seguito gestire e governare dall’alto. Lo si vedrà.
Veniamo infine a Papa Francesco che, com’è noto, ha anche lui una grandissima devozione per la figura della madre di Gesù. Di Francesco I è documentata sia la venerazione per la Tilda, l’immagine della “Lupita” o Madonna di Guadalupe, sia per l’icona di Maria Salus Popoli Romani attribuita a San Luca e custodita nella basilica romana di Santa Maria Maggiore, a cui il Papa porta i fiori al ritorno di ogni suo viaggio. Non risulta invece alcuna devozione per la Madonna di Medjugorje (“Gospa” in lingua croata), anzi. Qui ricordiamo solo alcune sue “battute” del tipo “la madonna non è un postino” e il “ma dove sono i veggenti che ci dicono oggi la lettera che la Madonna manderà alle 4 del pomeriggio?”.

Gli intellettuali cattolici

Veniamo alla posizione degli intellettuali cattolici più in vista, relativamente al nostro paese. Vittorio Messori, ad esempio, ha parlato di una “catastrofe”, addirittura di un pericolo “scisma” nel caso in cui la citata Commissione si pronunci sulla non autenticità delle apparizioni (è quello che nel gergo dei disinformatori si chiama “lo schema del pendio scivoloso”: un fatto deve essere per forza vero, perché se non lo fosse le conseguenze sarebbero terribili). Un intervento il suo, che è sembrato a molti osservatori quasi un ricatto o comunque un tentativo di forzare la mano alla Chiesa, cercando di orientarla verso un giudizio positivo. Ora, come apologeta, scrittore cattolico e “storico delle apparizioni”, Messori ha senza dubbio dei grandissimi meriti che non vanno dimenticati e di cui gli siamo debitori, ma certi suoi ragionamenti che costringono la Madonna dentro uno schema quasi obbligato di “rivelazioni progressive” e scadenzate a noi francamente sembrano del tutto fuori luogo. Perché non ammettere invece la possibilità che la Madonna non si curi delle false apparizione (come ha sempre fatto), o che smetta di manifestarsi per un lungo periodo di tempo? Non si possono rinchiudere dentro uno ragionamento umano, per quanto logicamente e teologicamente cogente, i “disegni di Dio”! In questo senso, sembra che in Messori ci sia un eccesso di razionalizzazione del mistero mariano che proprio a partire dalla dottrina cattolica è inaccettabile.
Altra autorevole voce molto ascoltata nel mondo cattolico è quella del già citato Antonio Socci.  Sul tema il nostro ha scritto un libro-inchiesta dal titolo “Mistero Medjugorje”. Socci sostiene ormai da qualche tempo che mentre a Medjugorje si avverte una sicura presenza dello Spirito, a Roma ormai è la catastrofe. Quindi giù critiche a non finire al Papa e alla Chiesa di Roma (e ben vengano, per carità, se sono giuste e ben ponderate), ma totale acritica accondiscendenza rispetto a tutto quello che proviene da Medjugorje. Il 17 agosto 2014 il veggente Ivan rende noto che la Madonna chiede di “pregare per l’amatissimo Santo Padre”, di pregare “per la sua missione, la missione della pace” (quindi prendiamo atto che il papa non è più un pastore di anime, ma…un pacifista!). Questa aberrazione teologica e spirituale messa in bocca alla Madonna non disturba per niente il defensor medjugorjae  Antonio Socci, che, contro il parere della voce che lui reputa autentica della Madre di Dio, mantiene ferma la sua posizione “anti-Bergoglio”. Quindi, delle due l’una: o Socci fa “orecchie da mercante”, oppure pensa che il veggente, almeno in questa occasione, abbia mentito. Tertium non datur. In tutte e due i casi Socci è messo piuttosto male e se fosse intellettualmente onesto dovrebbe come minimo prendersi una lunga pausa di riflessione. Ma niente, Socci va avanti come un treno tra articoli e libri venduti in tutto il mondo. The show must go on.
In verità, di altri intellettuali cattolici non c’è molto da dire. Franco Cardini, ad esempio, non sembra interessato neanche un po’ a Medjugorje (ne deduciamo che non ci creda). Massimo Introvigne invece, da buon sociologo delle sette, si limita genericamente a “mettere in guardia dai falsi veggenti” e si affida al verdetto della Commissione, ma anche lui non sembra per niente convinto. Cosa pensi infine un Maurizio Blondet francamente non l’abbiamo ancora capito. Il nostro pur non pronunciandosi si chiede: “può il diavolo consigliare digiuno e preghiera”? Quindi per lui l’evento straordinario c’è e si tratta solo di stabilire se viene dal Diavolo o da Dio. Esclude quindi la frode di origine umana. Sembra che Blondet, almeno una volta sia stato in pellegrinaggio a Medjugorje e che non voglia ferire la sensibilità di tutti quelli (e sono moltissimi) che ci credono. Una posizione che francamente non riusciamo proprio  a condividere e che, a conti fatti, fa il paio con quel tipo di ragionamenti che giustificano il male perché vi intravedono la possibilità di un bene maggiore. Insomma, il tradizionale fine che giustifica i mezzi. Cosa che può funzionare fino a un certo punto quando si parla della politica di uno Stato, ma che non funziona affatto nell’ambito di una religione e soprattutto della religione cristiana dove mezzi e fini devono coincidere sempre. Sennò, tanto vale tornare al paganesimo e già che ci siamo, reintrodurre pure il sacrificio rituale. 
Chiudiamo l’orizzonte con l’opinione dello storico cattolico Alberto Melloni. Invitato a una puntata del noto programma “Il tempo e la storia” condotto con brillante intelligenza da Massimo Bernardini dedicata alla storia delle “apparizioni”, fa capire chiaramente di non credere al carattere soprannaturale di considerarle fenomeni folkloristici o al più di religiosità e devozione popolare, un po’ sulla falsariga di un Ernesto de Martino, degni di rispetto e attenzione sì, ma senza che gli si debba attribuire eccessiva importanza. Il Vangelo, dice, è una cosa molto più seria e soprattutto più impegnativa per un cristiano rispetto a dei “messaggi” che devono per soprammercato essere interpretati con la massima prudenza dalla stessa Chiesa. Per quanto riguarda Medjugorje, preconizza  “un giudizio prudente” del Magistero, aggiungendo che secondo lui la Commissione capeggiata da Ruini indicherà “una soluzione a più livelli, articolata” e insomma, politically correct.

René Laurentin e i “segreti”

Per completezza, qui non possiamo astenerci dal riferire la posizione di uno studioso cattolico autorevole che fu anche amico e lettore della rivista “Metapolitica”, il famoso mariologo padre René Laurentin. Il padre è stato sempre ben disposto verso il presunto miracolo(1), ma qualche dubbio è venuto anche a lui. Per esempio, in un suo documento degli anni Novanta si stupiva delle dichiarazioni poco convincenti della veggente Mirjana Dragicevic (la seconda veggente a vedere la Vergine Maria nella prima apparizione del 24 giugno e oggi sicuramente la più istruita del gruppo e anche quella più in vista) a proposito dei cosiddetti “dieci segreti”. Fin dal 1984 infatti, la nostra aveva predisposto in tutta fretta un loro piano di rivelazione pubblica, come se di lì a poco, gli avvenimenti in essi predetti dovessero avverarsi. Tuttavia, fino al 1990 non era ancora accaduto nulla e allora il P. Laurentin si domandava giustamente in modo alquanto perplesso “come mai?”.  [R. Laurentin, Dernières nouvelles de Medjugorje, n° 9. Vers la révélation des 10 secrets?, O.E.I.L., Paris, 1990, p. 18].
Ora, tanto per rimanere sul tema dei segreti, non ci sono solo le contraddizioni di Mirjana, ma anche quelle degli altri veggenti. Nel “diario” di Vicka Ivankovic-Mijatovic (1964),  la più grande dei veggenti e la più disponibile al pubblico, leggiamo: 27 agosto 1981: “Le (alla Madonna) abbiamo chiesto del segno e Lei ha detto: Presto, ve l'ho promesso”; 29 agosto 1981: “Ivanka ha chiesto se ci avrebbe lasciato presto il segno. La B.M.V. ha detto: Ancora un po' di pazienza”; 30 agosto 1981: “Ma Jakov ha chiesto subito del segno e lei ha detto: Ancora solo un po' di pazienza”; 3 settembre 1981: “Jakov ha chiesto di nuovo del segno e la Madonna ha ripetuto: Ancora solo un po' di pazienza”. In seguito molte persone chiederanno del “segno”, ma Vicka, evidentemente imbeccata, farà dire alla Madonna un tranchant “si saprà quando sarà necessario”. Tre anni dopo toccherà a Mirjana  riprendere l’argomento, affermando che  “il momento è vicino”.  Trascorrono altri due anni e il 30 novembre 1985, dopo una presunta apparizione straordinaria, incentrata sul primo segreto, la stessa veggente, incalzata dalle domande dei presenti, buttare lì un: “Accadrà tra poco tempo”. Evidentemente la Madonna non ha idea di cosa significhi per noi “poco tempo” e le sue risposte sembrano solo espedienti psicologici per alimentare la curiosità di quanti sono disposti a crederle. Cattolicamente siamo alla parodia dell’Apocalisse.
E’ solo un esempio tra i tanti, ma questo modo di fare non può non suscitare una reazione indignata in ogni cattolico degno di questo nome. Ma i medjugurjani sono  davvero cattolici?

La Scienza

Forse su questo fronte può bastare il parere di Marco Margnelli (Milano,1939-2005),  il noto medico neurofisiologo e psicoterapeuta che fu tra i pochissimi ad occuparsi dei presunti veggenti da un punto di vista scientifico. La sua prima conclusione, diciamo a caldo, fu che ci si trovasse di fronte a soggetti in buona fede pur se, aggiungeva, “è ancora molto azzardato trarre conclusioni” (in “Il corpo e l’estasi”, Ed. Segno, 2003). Sempre nello stesso documento troviamo la seguente dichiarazione: “lo studio andrebbe ripetuto meglio perché non si è raggiunta una certezza sufficiente a trarre conclusioni decisive”. Pare, infatti, che durante i controlli le presunte “estasi” fossero – ma guarda un po’! - di brevissima durata (un minuto o poco più: 75, 49 e 60 secondi) tanto da non lasciar capire veramente se si trattasse di una simulazione. Ma la conclusione definitiva di Margnelli, che per un lungo periodo ha evitato di ritornare sull’argomento, ce l’ha fornita il giornalista Giancarlo Bocchi in un suo valido articolo apparso su “Il Manifesto” del 27 giungo 2015, intitolato “Medjugorje, la fabbrica delle sante illusioni”. Bocchi riferisce che Margnelli era un po’ stufo di essere chiamato in causa come “lo scienziato che aveva accreditato Medjugorje” e che in realtà l’unica conclusione a cui era giunto era che si trattasse (bontà sua!) di un “fenomeno di autosuggestione”.

Questo lo stato dell’arte.

Conclusioni

Ora, quanto su esposto può fornire solo una vaga idea di ciò di cui si tratta, ma noi riteniamo che comunque sia più che sufficiente per inquadrare correttamente la questione.
Francamente troviamo stupefacente che un Antonio Socci o anche un Vittorio Messori che reputiamo persone intelligenti, scaltre e preparate, si siano bevute le favolette mal raccontate di questi presunti veggenti. Davvero si può credere che Gesù bambino in una visione “strizzi l’occhiolino al veggente per compiacerlo” come abbiamo sentito raccontare una volta dal Direttore di Radio Maria? Davvero si può credere a Vicka quando ci racconta che qualunque cosa le racconti la Madonna, “bella o brutta che sia” a lei viene sempre da ridere - in contrasto con la veggente Mirjana a cui invece viene sempre da piangere? Davvero si può credere al racconto di una Madonna che va incontro ai veggenti perché sono in ritardo all’appuntamento fissato? Davvero si può credere che in Paradiso ci sia una porticina d’ingresso, rigorosamente di legno e ovviamente  chiusa, che la Madonna apre con una chiave per farvi entrare i veggenti? Davvero si può credere che San Pietro se ne stia davanti a quella porta a ricevere le anime con in mano una piccola chiave (evidentemente quella di Maria è un paspartu), con la barba incolta, i capelli bianchi arruffati e qualche chilo di troppo? E infine, davvero si può credere ai veggenti quando ci descrivono un inferno in cui “c’è fuoco, diavoli e gente bruttissima con le corna e la coda? [Abbiamo pescato a caso le dichiarazioni dei veggenti dal libro-resoconto di J. Bubalo, Mille incontri con la Madonna].
E quando Vicka racconta le sue straordinariamente banali visioni ci si è accorti che recita una parte studiata a memoria, che ripete sempre le stesse cose, parola per parola, sillaba per sillaba (con pochissime varianti occasionali), per di più con lo stesso tono e persino con la stessa mimica facciale? 
E vogliamo parlare di quando alla Madonna i veggenti chiedevano di ritrovare oggetti smarriti, di vaticinare l’esito di esami scolastici di amici e compagni o di mostrare persone care lontane e altre simili amenità?
Cosa dire di quel tal Ivan Dragicevic, uno dei “veggenti”, che dopo aver arringato la folla dal pulpito con la solita falsa modestia e invitato come sempre alla preghiera e al sacrificio (sai che novità!), si allontana facendosi scortare da un valletto che lo copre con un parasole? (chi scrive lo ha visto in tivù poco tempo fa in un servizio Rai). Si è a conoscenza del fatto che questo signore ha sposato una bella ragazza americana (una certa Laureen Murphy, ex miss Massachusetts) e che vive sei mesi l’anno in una lussuosa villa con tanto di piscina a Boston? E ci si dovrebbe fidare di un personaggio simile? Capiamo che non sono più i tempi di Bernadette e di Lucia, ma che distanza abissale da quelle straordinarie umili e sante figure!
E non entriamo nella faccenda del business dei pellegrinaggi e dei sovraprezzi documentati per quanti vengono ospitati nelle pensioni di  proprietà dei veggenti e dei loro parenti e amici più stretti. Quando si dice “riconoscere l’albero dai suoi frutti” che in questo caso sono indubbiamente pepite d’oro.
Tanto per non farsi mancare niente, da un po’ di tempo a Medjugorje si parla della scultura in bronzo del Cristo Risorto che trasuderebbe acqua miracolosa (e già, proprio come l’acqua di Lourdes!). Lo scienziato di turno ha già sentenziato: “il fenomeno è inspiegabile”, ma chi ha un po’ di sale in zucca sa che si tratta di un normalissimo fenomeno di condensa agevolato dalla struttura cava della statua e delle varie micro-fessure in essa presenti.
E poi c’è il progetto di un futuro ospedale (sempre per fornire una valida alternativa a Lourdes e magari anche a San Giovanni Rotondo) per il quale si è iniziata da qualche tempo una raccolta fondi. Si sono dovute aspettare fatti incresciosi che per carità cristiana preferiamo non riferire per farsi venire questa magnifica idea. In passato non ce n’era stato alcun bisogno e i poveri pellegrini con qualche infermità dovevano affrontare gravi rischi per la loro salute nella pressoché totale indifferenza dei veggenti (che evidentemente tutto sono fuorché persone sensibili alle sofferenze altrui) e delle amministrazioni locali.

Un’ipotesi alternativa

Tra il miracolo e l’imbroglio organizzato da un gruppo di ragazzi, a nostro giudizio, forse esiste una terza possibilità, quella cioè di un esperimento di “guerra psicologica”. In questo caso dobbiamo immaginare che, almeno all’inizio, i ragazzi coinvolti fossero gli strumenti inconsapevoli di una macchinazione. Un anno prima era scomparso il maresciallo Tito (sotto il suo governo una cosa del genere sarebbe stata impensabile) e la situazione politica locale era in grande fermento. Difficile dire chi possa aver organizzato la messinscena, se qualche potenza straniera occidentale o i servizi segreti o altri gruppi locali.
Una volta inscenato il miracolo e sottoposti i ragazzi a una qualche forma di suggestione e condizionamento psicologico, la “regia” è stata probabilmente trasferita ai famigerati francescani locali tra i quali naturalmente dovevano esserci già degli infiltrati.
Si trattò di un’operazione “cavallo di troia” con lo scopo, alla distanza, di destabilizzare la Chiesa cattolica e inquinarla dall’interno? O l’obiettivo era squisitamente geopolitico? Difficile dirlo, ma quel che è certo è che ormai la gioiosa macchina da guerra del miracolo medjugorjano procede a pieno regime e i suoi tentacoli hanno raggiunto quasi tutti i continenti a presenza cattolica con la complicità e il sostegno propagandistico di Radio Maria e uno stuolo di scrittori e religiosi a fare da supporter. Sarà dunque il caso di cominciare ad aprire gli occhi e soprattutto a farli riaprire a quei molti che sembrano averli chiusi definitivamente.

A.L.F.

(1)   Proprio a Vittorio Messori, il Padre ebbe a dire: “Non so se, all’inizio, la Madonna ci fosse davvero, a Medjugorje. Ciò che constato, vedendo queste folle devote che l’hanno invocata e l’invocano da più di trent’anni, ciò che vedo è che ora c’è, che non può non esserci”. Che però è un cavarsela a buon mercato. A Medjugorje infatti, non è in gioco la fede (quella non può dipendere né può scaturire dalla credenza in “fenomeni” veri o presunti), ma l’idea stessa di Chiesa con una Gerarchia che non conta più nulla e una dottrina ridotta a banalità insignificanti. Chiediamoci piuttosto se un carismatismo mariolatrico con venature politiche filoccidentali possa definirsi cattolico. 

15/06/16

Occidente e Oriente. A ognuno la sua guerra


di Antonio Scurati
 
Si potrà magari contestare che si tratti di uno scontro di civiltà, ma una cosa è certamente innegabile.
La lotta mortale tra Isis e Occidente manifesta una guerra tra due culture, e in particolare tra due culture della guerra.
Ogni volta che in cronaca leggiamo di un agguato terroristico in Europa, o di un ribaltamento di fronte lungo l’Eufrate, leggiamo di una vicenda storica millenaria che giunge al muro del tempo. La sua origine si può far risalire al 12 settembre del 490 a. C., nel momento in cui sulla piana di Maratona gli ateniesi, usciti dalla propria città per difenderla dagli invasori persiani, sebbene meno numerosi e pesantemente armati, entrati nel raggio di tiro degli arcieri, decidono di attaccare lo schieramento del terribile nemico a passo di corsa (dròmoi). In quella carica a perdifiato di uomini inferiori in numero, sfiancati, privi di arcieri e cavalieri, gli aggressori persiani – scrive Erodoto – videro il segno certo della follia e del destino di morte; il panico si propagò, invece, nelle loro file. Il cozzo micidiale e la disciplina della falange oplitica fecero il resto. Rimasero sul campo più di 6000 persiani e solo 192 fanti ateniesi. Il secolo d’oro della civiltà greca poteva avere inizio.


Gloria solare

Ma già quella splendida carica riecheggiava una storia plurisecolare. La cultura marziale degli opliti ateniesi era figlia dell’epica omerica la cui autorità aveva stabilito il paradigma della guerra come monomachia, duello risolutivo all’ultimo sangue tra due campioni appiedati che si battono all’arma bianca e a viso aperto in uno scontro frontale di violenza letale sotto gli occhi dei testimoni e dei posteri risaltando sul fondo della mischia dove si uccide e si muore oscuramente. Da allora, presso i guerrieri d’Occidente, la gloria è sempre stata una qualità della luce, l’acme zenitale del suo splendore, dove tutto accade, una volta e per tutte, nella pienezza di un chiarore meridiano.
Da allora l’Occidente pensa, rappresenta e narra la battaglia come un duello su vasta scala – secondo la celebre definizione di Von Clausewitz – e la guerra come una collezione di battaglie. Da allora l’Occidente si attiene a una cultura militare che predica – e spesso pratica – la ricerca della battaglia in campo aperto come urto violentissimo di masse, cozzo micidiale, carica a fondo, attacco distruttore e risolutivo che conferisca alla guerra la virtù di essere «decisiva», dispositivo capace di risolvere i conflitti in modo inappellabile, senza sistemi di valutazione tracciati dall’esterno, decretando in modo inequivocabile e inappellabile un vincitore e un vinto. Da allora l’Occidente si contrappone ideologicamente all’Oriente pensato come culla di una cultura marziale che, all’opposto, predica e pratica la violenza ingloriosa, la tattica dilatoria, l’attacco fraudolento, il rifiuto dello scontro frontale in campo aperto, la disonorevole attitudine a manovrare onde sottrarsi ai colpi del nemico nella linea della battaglia per guadagnare un altro giorno e poter combattere ancora.


Alessandro

La storia millenaria delle guerre tra Occidente e Oriente fornisce anche nella prassi militare ripetute conferme di questo schema ideologico. Nel 331 a. C. Alessandro Magno schianta gli achemenidi guidando personalmente la carica decisiva dei suoi migliori cavalieri (hetâiroi) contro il centro dello schieramento nemico nel punto preciso in cui si trova Dario, re dei persiani. Nel 53 a. C. il disastro di Carre – che segna il punto di massima espansione a Oriente dell’impero romano – fu determinato dalla cavalleria leggera dei Parti che, dopo aver provocato l’attacco con un tiro a distanza, si ritirò di fronte all’assalto dei quadrati nemici continuando, però, a bersagliarli con frecce scoccate cavalcando voltati all’indietro. Da quel momento «la freccia del Parto» diviene per gli occidentali proverbiale di comportamento guerriero fraudolento e inglorioso.
La giornata del destino
E ancora: a Poitiers Carlo Martello riesce a fermare l’espansione degli arabi in Europa perché impone ai suoi fanti di attendere i cavalieri berberi a piè fermo per il corpo a corpo, evitando così la trappola della tattica evasiva musulmana dell’«al-qarr wa al-farr», cioè dell’attacco seguito da una programmata ritirata, mirante a illudere l’avversario, per poi portare un improvviso e inatteso nuovo attacco. E ancora: la gloria di Lepanto entra nella leggenda di Venezia non tanto perché sia stata effettivamente decisiva nel confronto tra Europa cristiana e Impero Ottomano ma perché sembra incarnare, deterritorializzata in mare, l’idea archetipica per la cultura occidentale di «decisive warfare», di battaglia campale come «giornata del destino».
E’ una storia che dura ancora. Si prolunga ogni volta che sul suolo europeo un terrorista islamizzato emerge dalla oscurità ingloriosa per massacrare vigliaccamente civili inermi. Si prolunga nella nostra reazione di sconcerto verso la violenza contro la quale siamo personalmente inetti e, soprattutto, verso il suo carattere ai nostri occhi ciechi scandalosamente fraudolento. E si prolunga in Medio Oriente nella nuova tattica che il Califfato sta attuando dopo le recenti sconfitte militari: costruire una rete di alleanze nascoste sfruttando un principio antico del mondo musulmano – il «moubaya’a», la fedeltà data in segreto –, un principio che arriva dalla dottrina della «taqiya wal ketman», l’arte della dissimulazione e del sapersi mimetizzare.


La rappresentazione


Le culture marziali devono, senz’altro, molto a nuclei ideologici che talvolta mistificano la realtà ma è altrettanto vero che le rappresentazioni culturali della guerra non sono un mero fenomeno derivato, secondario rispetto al loro oggetto. Spesso lo precostituiscono e determinano. La storia sta a dimostrarlo. La cieca fedeltà a se stessa della cultura bellica occidentale ha indubbiamente causato enormi errori strategici, politici ed etici nei recenti conflitti con il mondo arabo-musulmano, ma continuare a ingannarci sui nostri nemici sarebbe un errore ancora più grande.

Fonte: La Stampa &

11/06/16

Fondamentalismo, integralismo, integrismo. Per un minimo di chiarezza

Molto spesso capita di leggere sia sulla carta stampata che sul web articoli dove con colpevole ignoranza si trattano argomenti di cui nulla o quasi nulla si è veramente capito. Che una tale cosa accada continuamente a giornalisti e politici non deve stupire più di tanto essendo costoro abituati ad approssimazione e vaghezza, quando non anche a falsificazione e distorsione dei fatti. Si rimane invece alquanto perplessi quando a incorrere in certi svarioni non sono semplicemente i mestieranti dalla politica o della penna, ma addirittura dei docenti universitari, dai quali ci si aspetterebbe   competenza, rigore di pensiero e precisione di linguaggio.

Un tipico esempio di errore marchiano in cui incorrono sovente anche gli ambienti accademici più paludati, è senza dubbio quello di confondere o scambiare il termine “fondamentalismo” con quello di “integralismo”  e alle volte persino con quello di “integrismo”. Per quanto l’argomento meriterebbe una riflessione lunga e ponderata che non escludiamo di fare in futuro, ora vogliamo semplicemente provare a spiegare il significato storico delle tre parole, sperabilmente a beneficio di qualche lettore che non ne abbia la più pallida idea.

Cominciamo dal termine “fondamentalismo”. Qui ci troviamo di fronte almeno a due accezioni differenti.
La prima denota quei protestanti che nella seconda metà dell’Ottocento, di fronte al moltiplicarsi di sètte e dottrine, decisero di stabilire quali dovessero essere le verità universalmente accettate da tutti i cristiani, al fine di far prevalere i motivi di concordanza su quelli di divisione. Tuttavia, com’è noto, un tale “canone” non incontrò mai l’approvazione generale e il “fondamentalismo”, così inteso, si ridusse ad una utopia senza concreti risultati.
In una seconda e più recente accezione, il termine “fondamentalismo” ha finito col designare anche alcune correnti religiose dell’Islam sunnita  e sciita, in particolare quelle che propugnano   l’interpretazione letterale del Corano e un ritorno ai “fondamenti” dell’Islam delle origini, ritenuti per ciò stesso autentici e infallibili. A onor del vero, almeno per chi conosce la complessità dell’Islam, una simile definizione risulta forse un po’ troppo sommaria e vaga per essere completamente accettabile, ma in linea di massima possiamo assumerla, purché non se ne abusi e si precisi meglio caso per caso. Occorre considerare che di solito questa definizione ha un significato offensivo e non descrive al meglio l’oggetto che pretende indicare (ci sarebbero altre parole più acconcie e magari anche con il corrispettivo in lingua araba).

Veniamo ora al termine “integralismo”.

Wikipedia ne dà la seguente definizione: “si qualifica come integralismo in senso lato qualunque ideologia con cui si miri alla costituzione di un sistema omogeneo in cui non esista pluralità di ideologie e programmi: o conciliando e unificando tutte le posizioni esistenti; o rigettando e delegittimando tutte le posizioni diverse dalla propria, e rifiutando qualunque compromesso affinché quest'ultima prevalga su tutte le altre”. Il dizionario internettiano precisa poi che la parola può riferirsi almeno a due significati diversi, uno di tipo religioso e uno di tipo politico. Anche qui però la definizione non rende giustizia della varietà e della complessità delle diverse posizioni in campo che bisognerebbe illustrare con esempi storici concreti proprio per sgombrare il campo da troppo facili semplificazioni e per evitare, come d’altronde lo stesso estensore della voce ricorda, che il termine venga usato come sinonimo di “fondamentalismo”.

Sul termine “integrismo”.

La parola risale al 1890 e a definirsi “integrista” era un partito politico spagnolo nato sulla scia del “Sillabo”, il famigerato “sommario – syllabus in latino -  dei principali errori dell’età moderna” voluto da Pio IX e dato alle stampe nel dicembre del 1864. In seguito, sempre sul finire dell’Ottocento, furono i cattolici liberali a chiamare “integristi” - in modo ovviamente dispregiativo – i correligionari che si opponevano alle nuove mode culturali e alla libertà di ricerca in campo teologico e scritturistico. Per estensione il termine finì per descrivere l'atteggiamento di quelli che promuovono in modo rigoroso le dottrine tradizionali dell'ortodossia e che per ciò stesso sono contrari a qualsiasi cambiamento dottrinale (la definizione di “integristi” non sembra dispiacere, ad esempio, ai “tradizionalisti cattolici”, sia lefrevbiani che sedevacantisti).

Riepilogando.

Abbiamo visto come il termine “fondamentalismo” si applichi in modo indiscriminato sia ad alcune sette protestanti che avrebbero titolo per attribuirselo che a certe correnti minoritarie dell’Islam a cui però mal si adatta. Men che mai il termine può indicare le posizioni di un certo cattolicesimo tradizionalista e contro-rivoluzionario per il quale è preferibile il termine “integrista” (l’aggettivo “integralista” in questo caso risulta troppo generico prestandosi a una doppia accezione politica e religiosa). Il punto di contatto tra le tre posizioni che le suddette parole a volte imperfettamente descrivono, sembra essere l’intransigenza e cioè l’irremovibilità delle proprie idee. Ora, la fedeltà assoluta a un’idea quale che sia e quindi la coerenza in sé non è che sia sempre un valore, anzi molto spesso è il sintomo di una vena di follia e di una qualche deficienza mentale, come d’altronde l’esperienza e la storia umana dimostrano ad abundantiam. Tanto più quando “per coerenza” si diventa aggressivi o peggio quando si commettono gravi e disumani delitti (1).

Tuttavia, il fideismo di certi protestanti fondamentalisti, così come l’eccesso di zelo di certi rappresentanti dell’Islam, o anche l’esclusivismo e l’intransigenza dottrinaria e morale degli integristi cattolici,  potrebbero anche avere una loro precisa ragion d’essere e un loro puntuale grado di verità, ma resta il legittimo dubbio di una “parzialità” che non soddisfa a pieno i criteri di universalità, saggezza e virtù spirituale di una religione degna di questo nome.  E d’altronde, quando si dimentica la vera essenza trascendente della religione e dello Spirito e la si scambia con un’idea, si finisce inevitabilmente nell’ideologismo antagonista e nella rivolta che accelerano più che arginare  quei processi sociali dissolutivi e disgregativi che sono l’inconfondibile marchio di fabbrica del regno dell’Anticristo.

A.L.F.

(1) Per coerenza ci si può persino suicidare come fece un Mishima e più recentemente un Dominique Venner, ma con ciò dimostrando non già il carattere eroico di una tradizione o di una civiltà, ma il suo lato tragico e persino tragicomico. Anche il martirio oggi – e mi riferisco al martirio di molti cristiani per mano soprattutto di presunti appartenenti alla fede islamica – ha il sapore un po’ amaro del sacrificio vano e inutile. Una testimonianza cioè non di verità e di fede, ma di inerme impotenza. Questo non toglie che alcune di queste povere vittime fossero in vita delle persone sante.