25/11/09

Attualità dell'Apocalisse secondo René Girard

Intervista a René Girard

«La cultura non sta forse evaporando in Europa e un po’ dappertutto altrove? Ho proprio paura di sì». René Girard, l’autore di autentici classici dell’antropologia culturale tradotti nel mondo intero come La violenza e il sacro (Adelphi), è giunto all’età venerabile dei bilanci intellettuali. Ma il grande saggio che riceve ancora nel suo appartamento parigino, dopo una vita di riflessione e insegnamento trascorsa perlopiù negli Stati Uniti, non si stanca di porre nuove domande.

In Francia, con un importante convegno che ha radunato intellettuali di ogni disciplina (dalla teologia all’ecologia, passando per la strategia militare e le scienze politiche), si è appena chiuso l’anno in cui Girard ha occupato la cattedra del neonato Collège des Bernardins. L’ennesima prova che la «teoria mimetica» di Girard, nata da folgoranti intuizioni sulla letteratura e poi concettualizzata per spiegare il nesso fra religioni arcaiche, cristianesimo e autocoscienza umana, irrora oggi campi della conoscenza fra loro molto lontani.

Il suo ultimo libro, «Portando Clausewitz all’estremo», si concentra sulla volontà di potenza degli Stati, interpretata in un’ottica «apocalittica». Perché questa scelta?
«Perché oggi vediamo apparire per la prima volta in assoluto dei temi autenticamente mondiali che guadagnano ogni giorno un po’ più di spazio. Si pensi in particolare al tema ecologico. Ma praticamente nessuno si è interrogato sulla relazione di questi problemi con i testi apocalittici, o comunque col fatto che il mondo possiede una religione che comporta un nucleo apocalittico. Eppure, sono convinto che oggi temi prima apparentemente lontani stanno avvicinandosi. I prossimi decenni saranno, da questo punto di vista, estremamente interessanti».

Sono passati 20 anni dal crollo del Muro e lei scrive che il comunismo ha rappresentato una «sequenza intermedia». Cosa intende?
«Gli aspetti antireligiosi del comunismo stanno ormai scomparendo. Innanzitutto, perché il comunismo non esiste più in quanto possibilità reale di occuparsi dei destini collettivi. Ma da un punto di vista intellettuale, i testi del comunismo paradossalmente ci appaiono molto più chiari proprio oggi. Questi testi apparivano assolutamente falsi perché mescolavano la natura e la cultura. In primo luogo, la cultura scientifica. Ciò appariva in effetti folle. Ma oggi ci rendiamo conto sempre più dei danni che l’azione umana può provocare sull’universo nel suo insieme e dunque sull’uomo. Anche se la maggioranza degli intellettuali sembrano ancora aver paura nell’affrontare il tema in modo diretto».

La caduta del comunismo ha suscitato nel mondo cristiano riflessioni abbastanza approfondite?
«In generale, non riusciamo ancora a comprenderne pienamente il senso, ma sono convinto che ciò non tarderà ad avvenire. Viviamo in un’epoca di compenetrazione fra uomo e natura mai prima neppure supposta. Solo certi spiriti che parevano del resto un po’ stravaganti avevano osato immaginare nei secoli passati il crollo del dualismo, del muro, fra uomo e natura. Ma oggi, di fronte a un uragano a New Orleans, non sappiamo più chi è davvero responsabile. L’uomo o la natura? Sospettiamo vagamente che vi è una parte di responsabilità legata all’uomo e un’altra legata alla natura. Ma ci troviamo chiaramente in una situazione d’indeterminazione. Ciò pone dei problemi abissali che l’uomo non si era mai posto prima e che del resto ancor oggi osa solo di rado porsi. Non è un caso, del resto, se si moltiplicano al contempo gli sforzi per tentare di rigettare questo problema. Ma prima o poi, non si potrà più sfuggirlo».

I testi apocalittici del cristianesimo si presentano sotto una luce nuova?
«Questi testi sono spesso apparsi in passato incredibili e del tutto inverosimili. Oggi, certi aspetti di questi testi cominciano invece ad apparire verosimili ed emerge anzi sempre più il loro carattere profetico».

Diversi intellettuali, in Francia ad esempio Michel Serres e Paul Virilio, tornano ad impiegare le immagini bibliche del Diluvio e di Babele. Che ne pensa?
«Si tratta dei temi più antichi della Bibbia. Quelli, al contempo, apparentemente più distanti da ogni verità. Ma queste immagini tornano oggi stranamente ad apparire compatibili col nostro mondo, alla luce di fenomeni del tutto nuovi».

Lei si è sempre opposto al relativismo culturale. È ancora così?
«Soprattutto oggi! Tutti i fenomeni più diversi e talora strani si stanno globalizzando. In fondo, ciò che chiamiamo globalizzazione va esattamente contro le tentazioni relativiste, nonostante queste abbiano in passato contagiato anche grandi spiriti come Pascal».

La generazione odierna sta già dotandosi dei primi «attrezzi» per affrontare le sfide della globalizzazione?
«Per definizione, conosciamo male i grandi problemi che abbiamo di fronte. Sul fronte ecologico, ad esempio, non sappiamo esattamente quali sono i veri rimedi. Non sappiamo neppure se questi rimedi esistono senza trasformare la vita economica in un modo tale da spingere la maggioranza della popolazione alla rivolta contro gli stessi rimedi. Al momento, è evidente che se si cercasse di ridurre considerevolmente l’impatto dell’attività economica sul pianeta, si minaccerebbe ciò che vi è per così dire di più sacro nella politica attuale, ovvero il livello di vita. Per prendere delle misure che forse sono già indispensabili da anni, si attende che la situazione appaia in modo molto più evidente nella sua gravità. In ogni caso, si tratta di sfide che gli Stati potranno affrontare seriamente solo assieme».

Daniele Zappalà (Avvenire, 24/11/2009)

24/11/09

La Sindone di Gesù nazareno

«In base ai confronti svolti, oggi sono convinta che le tracce di scrittura identificate sul lino della Sindone possano appartenere ad un testo derivato direttamente o indirettamente dai documenti originati fatti produrre per la sepoltura di Yeshua ben Yosef Nazarani, più noto come Gesù di Nazareth detto il Cristo». È questo il sasso lanciato nello stagno della scienza della Sindone, il celebre (e discusso) sudario di Cristo conservato a Torino, da una storica di recente balzata agli onori delle cronache per i suoi saggi medievalistici. Già il volume I Templari e la sindone di Cristo (Il Mulino), uscito a inizio anno, di Barbara Frale, funzionaria dell’Archivio Segreto Vaticano, aveva diviso gli esperti. Ora, con La Sindone di Gesù nazareno (Il Mulino, pp. 254, euro 28), la Frale – nata a Viterbo nel 1970 – lancia un’altra ipotesi suggestiva: che sul lino custodito all’ombra della Mole si annidino alcune scritte multilingue vergate da un funzionario addetto alla sepoltura dei condannati a morte nella Gerusalemme del I secolo. Qui Barbara Frale interpreta un’iscrizione compatibile con la tradizione che vede nel sudario il telo che avvolse il corpo di Gesù di Nazareth, che nella primavera prossima verrà di nuovo mostrato in pubblico: a Torino si recherà pellegrino anche Benedetto XVI.

La Frale ha interpretato la seguente scritta: «Gesù Nazareno deposto sul far della sera, a morte, perché trovato» colpevole. Il tutto scritto con termini di tre idiomi: latino, greco ed ebraico. E al profluvio di critiche che si preannunciano, la giovane addetta dell’Archivio vaticano risponde così nelle conclusioni del suo volume, anticipato ieri da Repubblica: «L’ipotesi che le scritte siano state messe da un falsario per avvalorare l’autenticità della Sindone è da scartare: infatti questo truffatore avrebbe dovuto inventare un sistema complicato per lasciare sul telo certe tracce che sarebbero divenute visibili ai posteri solo tanti secoli dopo, con l’invenzione della fotografia; inoltre qualunque falsario avrebbe usato le diciture del titulus crucis, quelle descritte dall’evangelista: non certo quelle strane parole che con i Vangeli non c’entrano proprio nulla».

E la discussione si infiamma. «Sono molto stupito». Monsignor Giuseppe Ghiberti, vicepresidente del Comitato per l’ostensione della Sindone, non nasconde la sua perplessità, sebbene metta le mani avanti: «Prima di tutto bisogna leggere l’opera. Sono stato di fronte alla Sindone ore e ore e mai ho avuto sentore di nulla del genere. E nemmeno l’hanno avuto professori competenti in elaborazione di immagini». Circa il carattere multilinguistico della ricostruzione, Ghiberti afferma: «L’unico precedente che può dare peso a questa ipotesi è il titolo della croce di Gesù, che era in più lingue». Ma alla domanda se ritenga realistica la tesi della studiosa laziale, Ghiberti risponde con un eloquente sospiro. E riprende: «Quando non si conoscono bene gli argomenti altrui, si preferisce sospendere il giudizio. Ma tutto questo non mi convince».

«Non voglio essere ironico né polemico», esordisce Luciano Canfora, docente di Filologia greca e latina all’università di Bari. «Ma secondo me Barbara Frale si è avventurata in qualcosa di molto insidioso». Per lo studioso barese «la ricchezza di particolari nascosti nelle fibre di lino fa pensare a una vera falsificazione». Canfora qualifica come errata l’ipotesi della Frale in base a due elementi: la ricchezza di dettagli e il poliglottismo della scritta decifrata. «Si presenta tutto ciò come una gigantesca novità, ma così non è. La prima, forte perplessità è la presenza di tre lingue nella scritta ritrovata. La Frale spiega tale riscontro con il pluriculturalismo della Gerusalemme del tempo. Ma un conto è l’ambiente culturale di una città – annota Canfora -, altra cosa un documento che racchiude tre lingue. È come se oggi un taxista di origine indiana a Londra, per scrivere una ricevuta, utilizzasse tre idiomi diversi».

Canfora sottolinea un altro particolare per spiegare la sua disapprovazione: «Tutto si basa sull’idea che al collo del condannato vi sia il verbale del giudizio di Caifa su Gesù». L’affermazione che si trattasse di uno scritto fatto da un becchino trova l’antichista pugliese nettamente scettico: «Non è ovvio che esistesse una figura del genere. Non abbiamo ancora una trattazione sistematica sulla figura di funzionari addetti alla sepoltura dei condannati a morte nella Giudea del I secolo: vi sono testimonianze contraddittorie al riguardo». Canfora stabilisce un parallelo tra il papiro di Artemidoro e la Sindone, o meglio tra la contestata autenticità della seconda e la dimostrata falsità del primo: «I numerosi dettagli, che vogliono avvalorare l’autenticità, indicano invece che questi elementi scritturistici sono aggiunte tardive. Com’è stato constatato dalla polizia scientifica per il papiro di Artemidoro». Canfora riconosce che Barbara Frale non propone una tesi: «Lei dice: io ho trovato questo. Ma ha riscontrato cose tutt’altro che univoche!».

A Canfora replica Franco Cardini, medievalista e docente all’università di Firenze: «Primo: dobbiamo difendere Barbara Frale dai sindonologi che si scagliano con durezza contro quanti sostengono ipotesi troppo forti. La sua non è ancora una tesi ma un’ipotesi, ragionevole e affascinante, basata su indizi. Si tratta di una pista interessante. Ritengo che gli indizi che lei individua siano troppo coerenti per poterli considerare frutto del caso. Si è limitata a riempire dei vuoti di documentazione come solitamente si fa nella ricerca storica. La sua è un’interpretazione con forti basi storiche, niente a che fare con la fantastoria di Dan Brown». Insomma, per lo storico fiorentino siamo davanti a «un lavoro serio, da prendere in considerazione, in cui ci sono osservazioni geniali». È poi singolare che Cardini giudichi in maniera opposta il particolare del plurilinguismo rinvenuto dalla Frale sul lino di Torino, cosa che Canfora bolla come «artefatto»: «Se si trattasse di un documento di ambiente caratterizzato da un forte monolinguismo, capirei l’obiezione. Ma la Gerusalemme del I secolo era un luogo di straordinario incrocio linguistico: il latino era la lingua ufficiale ma il greco rappresentava il “basic english” del tempo. Poi c’erano il caldeo, l’ebraico, e altre lingue che poggiavano su una grande tradizione grafica». Cardini guarda all’oggi per suffragare la plausibilità dell’interpretazione plurilinguistica della Frale: «I ragazzini arabi dei suk della Gerusalemme attuale, quando scrivono, passano tranquillamente dalla grafia araba a quella latina dell’inglese. Il plurilinguismo della scritta della Sindone non mi sorprende affatto».

Invece Bruno Barberis, direttore del Centro internazionale di Sindonologia di Torino, non concorda con la Frale: «Premetto che devo leggere il libro per un giudizio completo. Comunque, già nell’opera precedente, questa studiosa faceva un accenno a tali ipotesi. Il nodo è che queste scritte sono tutt’altro che confermate. Non è mai stato fatto un rilievo fotografico che dia risposte definitive se sulla Sindone ci siano delle scritte. Del resto in molti vi hanno rinvenuto tantissime parole: sembra più un’enciclopedia che un sudario!». Barberis afferma che è prioritario «stabilire se queste scritte esistono. Che poi si giunga a conclusioni del genere della Frale, mi sembra fantascienza e fantastoria. Sono inoltre estremamente critico su queste ipotesi perché possono essere strumentalizzate dagli avversari della Sindone».

Fonte: http://www.avvenire.it/Cultura/sindone+firmata+polemica_200911211203050500000.htm


23/11/09

Il furto dell'anima

Non è necessario leggere mille libri per entrare in contatto con il nuovo mondo che ci circonda: basta leggere le pagine divulgative delle notizie scientifiche dei maggiori quotidiani. È già prossimo il tempo in cui ciascuno potrà ordinare via Internet tutte le protesi necessarie al buon funzionamento del suo corpo e tutti i farmaci che possono potenziare il suo apparato sensoriale e le sue funzioni cognitive. Ci saranno cliniche specializzate con medici ingegneri che applicheranno alla nostra massa cerebrale micro-chip che renderanno possibile suonare Beethoven senza aver studiato musica e che forniranno prodotti farmacologici "miracolosi" per stimolare le zone cerebrali, i neuroni e le sinapsi che presiedono alle sensazioni finora imputate alle persone umane. Votare in una cabina elettorale non sarà una scelta tormentata, ma l'effetto automatico di una reazione elettrochimica che trasmette stimoli a una parte del cervello. Ibridazione con le macchine e "sacrificio al dio protesi" sono le nuove parole che delineano il lessico della narrazione post-umana. Un libro che si propone di mostrare come l'illusione scientista tecnologica sia un ennesimo tentativo di cancellare la questione del "cosa è un uomo" dall'agenda del pensiero occidentale. Riusciranno gli esseri umani a sopravvivere al Grande Potere Tecnologico di manipolare il corpo e la psiche dei propri figli, reso ormai totalmente possibile dalla Scienza della Vita?

Pietro Barcellona, Garufi Tommaso, Il furto dell'anima. La narrazione post-umana, Dedalo 2008, p. 213, euro 16.

Addendum:

Pietro Barcellona (Catania, 1936) è docente di Filosofia del Diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Catania. È stato membro del Consiglio Superiore della Magistratura e in seguito deputato e membro della Commissione giustizia della Camera. È autore di molte pubblicazioni di notevole interesse e che si segnala anche per il suo percorso che dal marxismo più rigoroso sembra procedere sempre più spedito verso l'approdo cristiano.

20/11/09

ARBIL N. 123

Tra i tanti articoli segnaliamo in particolare i seguenti:

Acceso al conjuno de todos los artículos

http://www.arbil.org/arbilhttp.htm

17/11/09

Esce il IV volume del carteggio Croce-Laterza

Esce in questi giorni per i tipi della Laterza il quarto volume (l'ultimo) del carteggio “Croce-Laterza”. In totale circa seimila lettere trascritte una per una con eccezionale perizia e certosina pazienza da Antonella Pompilio, studiosa dell'Archivio di Stato di Bari, l'organismo che, insieme con l'Istituto italiano per gli studi storici, fondato a Napoli nel 1946 dallo stesso Croce, ha reso possibile la pubblicazione del carteggio. Sempre alla Pompilio si deve la cura di una dotta introduzione e la redazione di un consistente apparato di note critiche e note.

In breve

Benedetto Croce e Giovanni Laterza costituiscono un binomio esemplare nella storia della cultura italiana, punto di riferimento per chiunque voglia approfondire la comprensione dell’epoca in cui vissero. Questo carteggio, il quarto della serie, conclude l’edizione integrale del corpus della corrispondenza tra loro intercorsa e offre sulla vicenda una prospettiva privilegiata e di inestimabile valore documentario. Il periodo interessato – dal 1931 all’agosto del 1943, data di morte dell’editore – riveste straordinaria importanza e densità per i drammatici avvenimenti che segnano l’evoluzione politica e culturale della nazione, l’eco dei quali affiora in modo esplicito nelle lettere dei due protagonisti. In un’Italia che vede il regime fascista al culmine della propria parabola, il carteggio testimonia le misure restrittive e i condizionamenti imposti all’attività intellettuale, alla sua produzione e diffusione attraverso l’editoria e la stampa. Un minaccioso susseguirsi di episodi lascia intendere come e quanto la casa editrice sia ormai, principalmente a causa del legame con l’‘oppositore’ Croce, nel mirino delle autorità. Eppure il rapporto di reciproca fedeltà e amicizia, ormai quarantennale, tra il filosofo e il suo editore non ne risulta minimamente offuscato, anzi il legame che li unisce si manifesta semmai in modo più intenso lungo le aspre vicissitudini degli anni della guerra.

Croce-Laterza, Carteggio 1931-1943, a cura di Antonella Pompilio, edizione Laterza, pp. 1584, € 68,00

16/11/09

Lo políticamente correcto y la metapolítica

di Alberto Buela

En estos días nos ha llegado desde varios lados un reportaje al militar franco-ruso, ahora devenido ensayista, Vladimir Volkoff sobre lo políticamente correcto. Las respuestas que da Volkoff son acertadas pero insuficientes, pues él limita lo políticamente correcto a un problema del decir: “circula a través de nuestro vocabulario. El vocabulario políticamente correcto es el principal vehículo de contagio”.

Es cierto que lo políticamente correcto, en inglés denominado political correctness, tiene que ver con una forma de decir; por ejemplo a un negro llamarlo "hombre de color", hablar de interrupción del embarazo en lugar de aborto, invidente en lugar de ciego. Pero hay que dar un paso más en busca de su fundamento, sino simplemente nos quedamos en la descripción del fenómeno.

Así lo políticamente correcto es todo eso que dice Volkoff: el "todo vale", el cristianismo degradado, el socialismo reinvindicativo, el freudismo antimoral, el economicismo marxista, el igualitarismo como punto de llegada y no de partida, la decadencia del espíritu crítico, lo practican los intelectuales desarraigados, confunde el bien y el mal. Pero todo ello no alcanza para asir su naturaleza, esencia y fundamento. Incluso Volkoff afirma que: es de imposible definición.

Además, está el hecho bruto e incontrovertible de que existen temas y problemas políticos de mucho peso en la historia del mundo que no son tratados por ser políticamente incorrecto hacerlo, por ejemplo: el poder judío en las finanzas internacionales y en los medios masivos de comunicación o el poder de las sectas e iglesias cristianas al servicio del imperialismo. Vemos con estos solos ejemplos como lo políticamente correcto no se limita al decir o al dejar de decir, como sostiene Volkoff.

Además hay temas y muchos, que no son tratados ni mediática ni privadamente por ser políticamente incorrectos: la jerarquía, el disenso, la disciplina, el arraigo, la pertenencia, las virtudes, el deber, el heroísmo, la santidad, la lealtad, la autoridad, etc.

Nosotros sin embargo creemos que lo políticamente correcto se apoya y tiene su fundamento en el denominado pensamiento único. Pensamiento que encuentra su justificación en los poderes que manejan y gobiernan este mundo terrenal y finito que vivimos hoy.

Podemos definir lo políticamente correcto como la forma de hacer y decir la política que se adecua al orden constituido y al statu quo reinante. Es por ello que el simulacro y el disimulo, la amplia calle de la acción y el discurso político contemporáneo, tiene en lo políticamente correcto su mejor instrumento. Hoy la política es entendida y practicada como “un como sí” kantiano. Se piensa y se actúa “como si ” se pensara y se actuara de verdad. Es por ello que los gobiernos no resuelven los conflictos sino que, en el mejor de los casos, los administran. Nos tratan de mantener siempre en una pax apparens como agudamente ve Massimo Cacciari, el filósofo y actual intendente de Venecia.

¿Y por qué hablamos de pensamiento único? Porque hay una convergencia de intereses de los distintos poderes que manejan este mundo que necesita ser justificada y su justificación se halla en el pensamiento único, que está constituido por el pensamiento social, política y académicamente aceptado. Esto prueba como lo han demostrado intelectuales "políticamente incorrectos" como Michel Maffesoli, Massimo Cacciari, Danilo Zolo, Alain de Benoist, Günter Maschke, y tantos otros, que existe una "policía del pensamiento" (los Habermas, Eco, Henry-Levy, Gass, Saramago -en nuestro país los Aguinis, Sebrelli, Verbisky, Feinmann, Grondona, etc.-) que determina en forma "totalitariamente democrática" quienes son los buenos y quienes los malos. A quien se debe promocionar y a quien denostar o silenciar. Es le totalitarisme doux propre des démocraties occidentales del que nos habla Mafffesoli.

Esta policía del pensamiento es una, como es uno el pensamiento único y como lo es también uno el sistema de intereses de los poderes mundiales, más allá de sus aparentes diferencias ideológicas. Perón a esto lo llamaba sinarquía, que el pensamiento políticamente correcto se encargó de negar y burlarse.

No se puede hablar en profundidad de lo political correctness sin estudiar aquello que constituye la pensée unique tan bien descripta por Alain de Benoist, Ignacio Ramonet o Vitorio Messori. Y no se puede hablar del pensamiento único sin hacer referencia a la unitaria madeja de intereses que sostiene el funcionamiento de los poderes indirectos, en muchos casos más poderosos incluso que los mismos Estado-nación. Todo ello a su vez tiene una fuerza coercitiva que es "la policía del pensamiento" que funciona en forma aceitada hasta en el último pueblito de la tierra.

Esta tenaza poderosa de dinero, poder político y prestigio intelectual es la que presiona sobre la vida de los pueblos para el logro de la homogenización del mundo y las culturas en una sola. Esta tenaza es la expresión acabada de un mecanismo perverso de alienación existencial de las naciones que pueblan la tierra. Y es en vista a la denuncia de este mecanismo perverso, donde se juntan lo políticamente correcto, el pensamiento único, los poderes indirectos y la policía del pensamiento, que buscamos hacer una observación crítica a lo sostenido por Volkoff.

La tarea de desmontaje de lo políticamente correcto es una tarea correspondiente stricto sensu a la metapolítica pues esta disciplina con el estudio de las grandes categorías que condicionan la acción política de los gobiernos de turno es la que nos brinda las mejores condiciones epistemológicas para el conocimiento de aquello que nos hace padecer lo políticamente correcto como vocero del pensamiento único impuesto a su vez por la policía del pensamiento. Lo políticamente correcto al transformar sus propuestas y temas en “el lugar común”, puede ser desarmado con el uso de la metapolítica que para Giacomo Marramao convierte a la divergencia en un concepto de comprensión política ”.

Con lo cual llegamos finalmente a constatar que para comprender acabadamente la política y lo político estamos obligados a desmantelar el andamiaje de este círculo vicioso conformado por lo políticamente correcto, el pensamiento único, los poderes indirectos y la policía del pensamiento que se retroalimentan entre sí en una totalidad de sentido, que en nuestra opinión produce ese gran sin sentido que caracteriza a la política mundial de nuestro tiempo.

(*) alberto.buela@gmail.com


13/11/09

Simboli della regalità

L'opera. Un’indagine sulla complessa relazione tra sacralità e regalità nell’Europa cristiana e nel mondo islamico. Mettendo a frutto la ricca storiografia a disposizione, M.A. Visceglia indaga la stretta corrispondenza tra i mutamenti delle pratiche cerimoniali e l’evoluzione dell’idea stessa di sovranità, dal Medioevo all’età moderna. Il potere regale, fondato sul concetto comune della Maiestas, assume nel mondo cristiano e nel Mediterraneo islamico formule retoriche e rituali diversi, che sono espressione di un diverso grado di “sacralità” accordato a sultani e sovrani europei: in primo luogo, i riti di passaggio dal funerale del predecessore alla elevazione del nuovo re, le effigi, gli emblemi regali (lo scettro e la corona per i sovrani europei, la lancia e la scimitarra per i sultani), le formule di giuramento (capitolo I e II); poi, la composizione e lo stile di vita dell’entourage del sovrano dei regni d’Europa e del Mediterraneo islamico (capitolo III), indici anch’essi di concezioni differenti della regalità. L’ultimo capitolo è dedicato al rilievo politico, cerimoniale e simbolico della regalità femminile.

L'autore. Maria Antonietta Visceglia insegna Storia moderna all’Università “La Sapienza” di Roma.

Visceglia Maria Antonietta, Riti di corte e simboli della regalità. I regni d’Europa e del Mediterraneo dal Medioevo all’Età moderna, Salerno Editrice, 232 pagg., 14 euro.


11/11/09

Misteri e Simboli della Croce

di Claudio Lanzi

La seconda edizione di questo testo (rilegato e con sovracopertina a colori) si affianca, con lo stesso impegno tipografico e la stessa eleganza editoriale, a "Ritmi e Riti" e a "Sedes Sapientiae", e completa la triade di volumi sulla geometria sacra elaborati dall'autore.

Misteri e Simboli della Croce vuole essere uno studio introduttivo, utile a compiere i primi passi nell’osservazione di uno dei simboli più arcaici e sacri dell’umanità intera.

La grafica elaborata manualmente e meditata dall’autore sintetizza concetti che richiedono più intuizione che logica, più manualità che razionalità. Ma, pur volendo essere un libro semplice, sarà inevitabile imbattersi in delicati problemi d’ordine filosofico e metafisico. Pur mantenendo una completa aderenza ai riferimenti tradizionali (da Guénon a Florenskji), vengono esplorati alcuni aspetti tra i meno frequentati, offerte prospettive inconsuete e, alcune, sicuramente inedite.

Il testo insiste particolarmente sulle geometrie archetipali, su cui si fondano gli schemi iconologici della religiosità di qualsiasi etnia (indagando dalle scacchiere ai labirinti). Molte pagine sono dedicate al bestiario crucifero (anch'esso materia sconfinata) e ad alcuni aspetti di quello specificamente cristiano: il tetramorfo, l’aquila, il toro, il leone, l’angelo e poi alcuni accenni al serpente e ai due animali che alitano ai lati del Cristo bambino (il bue e l'asino) e, ovviamente, qualche nota viene riservata al cervo e al liocorno. Un intero capitolo affronta, in modo particolare, il tema della Via Crucis. Il testo si conclude con una vasta analisi di P. Galiano, sulle croci del protocristanesimo.

(Ed. Simmetria, pp. 280 -prezzo € 36,00 www.simmetria.org)

07/11/09

In italiano "L'età secolare" di Charles Taylor

Che cosa significa vivere in un'età secolare? Il posto occupato dalla religione è profondamente cambiato in Occidente nell'arco di pochi secoli. In questo libro Charles Taylor indaga le conseguenze di questo sommovimento culturale chiedendosi che cosa accade nella vita delle persone quando una società in cui era praticamente impossibile non credere in Dio diventa una società in cui la fede, anche per il più convinto dei credenti, è solo un'opzione tra le tante. Taylor assume una prospettiva storica e segue lo svilupparsi nel mondo cristiano di quegli aspetti della modernità che chiamiamo secolari. Ciò che descrive, di fatto, non è un'unica trasformazione continua, ma una serie di nuove partenze in cui le vecchie forme di vita religiosa si sono dissolte o inaridite e sono state affiancate da nuove interpretazioni del sacro. Oggi noi viviamo in un mondo caratterizzato non tanto dall'assenza di religione quanto dal moltiplicarsi delle opzioni religiose e dalla comparsa di nuove forme di spiritualità e irreligiosità cui i singoli gruppi o individui si aggrappano per dare un senso alle proprie vite e forma alle proprie aspirazioni. In questo orizzonto fratturato, secolarizzazione diventa sinonimo più di frammentazione delle identità che non di nascita di una singola e coesa identità secolare. Solo così diventa possibile comprendere i paradossi, le contraddizioni, le incertezze del periodo che stiamo vivendo.

(Ed. Feltrinelli, euro 60)

Gli Ebrei Messianici

Il 1968 non fu solo l’anno della contestazione giovanile, in cui soffiava lo spirito della ribellione, ma anche l’anno che ha visto l’inizio del Rinnovamento carismatico cattolico e del Movimento ebreo-messianico. (...) Il Rinnovamento carismatico cattolico è ben noto nella Chiesa, mentre non lo è altrettanto il Movimento ebreo-messianico, che nel corso degli anni ha fatto nascere dal suo seno comunità di Ebrei messianici, che professano la fede neo-testamentaria in Gesù Messia e Figlio di Dio, unendola alla pratica più o meno completa delle antiche osservanze ebraiche. Queste comunità sono ormai presenti e attive in tutto il mondo ebraico, in Israele e all’estero. Il fenomeno è poco conosciuto nell’ambito cattolico e P. Carlo Colonna, gesuita, ne parla da teologo allo scopo di far conoscere le ricche problematiche teologiche, proprie degli ebrei-messianici. Dal 2003 ha partecipato a quattro Dialoghi tra cattolici ed ebrei messianici, tenuti a Bari fino ad oggi e promossi dalla Comunità di Gesù, Comunità carismatica di alleanza, che svolge un ministero di riconciliazione e di unità fra i cristiani in mezzo alle nazioni. Di questa Comunità è l’Assistente spirituale. P. Peter Hocken, (autore del saggio in postfazione) teologo cattolico, molto noto all’estero come competente del Movimento pentecostale ed ebreo-messianico, delinea l’aspetto storico e fenomenologico del sorgere del Movimento ebreo-messianico, le sue dottrine e pratiche di fede.

(Carlo Colonna s.j., Gli Ebrei Messianici. Un segno dei tempi, Fede & Cultura Edizioni, Verona 2009, Prezzo: € 18,00)

Fonte: www.fedecultura.com

04/11/09

Alda Merina: cronaca di una morte cristiana

Se n’è andata da vera artista, con un colpo di scena. Convocando al suo capezzale – come quando chiamava gli amici nella sua casa sui Navigli e li riceveva a letto – l’ultima per­sona che ha voluto conoscere in vita, un frate cappuccino. Lo ha scelto oculatamente e ocu­latamente lo ha convocato. «Non ci eravamo mai incontrati – racconta adesso padre Gian­luigi Pasquale, frate a Venezia, docente di Teo­logia fondamentale alla Lateranense di Roma –, ma in agosto lei chiese di conoscermi, dopo aver letto i miei volumi su Padre Pio: aveva scrit­to un libro di poesie sul santo e voleva la mia prefazione. Io ero molto impegnato e dovetti ri­mandare l’invito, ma Alda Merini mi rispose si- cura: 'Lei verrà certamente da me'. Poi più nul­la fino al 28 ottobre...».

È quel giorno, infatti, che padre Pasquale rice­ve una chiamata da Giuliano Grittini, fotografo personale e amico della poetessa: «La Merini la vuole assolutamente vedere il primo novembre, giorno di Ognissanti». Un appuntamento pre­ciso, di fronte al quale il frate, spesso in viaggio tra Italia ed estero e poco incline a improvvisa­zioni, 'sente' di non potersi sottrarre: «Ho im­mediatamente fatto il biglietto elettronico del treno. Non mi riconoscevo neppure io». Quando arriva a Milano sono le 10 del mattino del primo novembre, l’ultimo giorno che Alda Merini trascorrerà su questa terra, ma lui non lo sa. In realtà non sa nemmeno che la poetes­sa sta male ed è ricoverata. «Credevo di anda­re a casa sua, invece Grillini mi porta all’ospe­dale San Paolo», racconta ancora profonda­mente commosso. Entrato nella camera della Merini, che appare serena, è colpito subito dal gran numero di oggetti religiosi che la circon­dano, dalle bruciature di sigaretta un po’ o­vunque, e dalla richiesta che la Merini fa all’in­fermiera: vuole lo smalto rosso sulle unghie. «Dentro di me ho sorriso e mi sono detto che quella grande donna era una vera esteta, anche nella malattia».

Il frate si presenta e la Merini, sotto la maschera dell’ossigeno, ripete due vol­te «Ah sì, Padre Pio, Padre Pio», poi fa cenno di restare sola con lui e riceve i sacramenti. Quello che la poetessa e il padre francescano si sono detti resterà per sempre tra loro. «Dopo abbiamo recitato insieme l’Ave Maria e le ho fatto un segno di croce sulla fronte con il dito. Infine le ho dato un buffetto sulla guancia: so­lo allora ha fatto un grande sorriso, limpido, da fanciulla. Infine mi ha indicato il comodino, dove c’era la reliquia di Padre Pio che conser­vava fin dall’infanzia, gliel’ho messa sul palmo e lei ha chiuso dolcemente la mano... Pensavo che sarebbe vissuta ancora parecchio». È in treno sulla via per Venezia quando, alle 17, gli telefonano la notizia, Alda Merini è morta. «È allo­ra che ho capito – spiega turbato e contento –, col pretesto della prefazione al libro mi aveva ingiun­to di essere lì il primo novembre e non oltre. Sape­va quello che tutti noi ignoravamo. L’eredità che mi porterò sempre dentro sono quegli occhi verdi con cui mi ha parlato molto più che con le parole».
Lucia Bellaspiga (Avvenire, 03-11-2009)

03/11/09

Albe e tramonti d'Europa

«Proporre una lettura delle figure – complesse, controverse e potenti – di Jünger e Spengler nella luce delle "albe e tramonti d'Europa", significa inquadrarle dentro l'aspro problema del Novecento e del destino dell'Europa nel Novecento, evidentemente non disgiungibile da quello della Germania, il paese che visse tutti i sogni e gli incubi della modernità: un problema che i protagonisti delle pagine di questo libro scrutarono lungo i tragitti solo apparentemente contrapposti del tramonto, della decadenza e dell'apocalisse da un lato, dell'alba, della palingenesi e della "renovatio" dall'altro».

Domenico Conte è professore ordinario nell'Ateneo fridericiano di Napoli, dove insegna Teoria e storia della storiografia e Storia della filosofia contemporanea. Le sue ricerche vertono sul problema della crisi nel Novecento europeo, con particolare attenzione ai mondi culturali tedesco e italiano. Ha scritto, tra l'altro, libri su Spengler, su Croce e sull'idea di storia universale nello storicismo tedesco.

Domenico Conte, Albe e tramonti d'Europa: Ernst Jünger e Oswald Spengler, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, pagg. 198, euro 27.