Se n’è andata da vera artista, con un colpo di scena. Convocando al suo capezzale – come quando chiamava gli amici nella sua casa sui Navigli e li riceveva a letto – l’ultima persona che ha voluto conoscere in vita, un frate cappuccino. Lo ha scelto oculatamente e oculatamente lo ha convocato. «Non ci eravamo mai incontrati – racconta adesso padre Gianluigi Pasquale, frate a Venezia, docente di Teologia fondamentale alla Lateranense di Roma –, ma in agosto lei chiese di conoscermi, dopo aver letto i miei volumi su Padre Pio: aveva scritto un libro di poesie sul santo e voleva la mia prefazione. Io ero molto impegnato e dovetti rimandare l’invito, ma Alda Merini mi rispose si- cura: 'Lei verrà certamente da me'. Poi più nulla fino al 28 ottobre...».
È quel giorno, infatti, che padre Pasquale riceve una chiamata da Giuliano Grittini, fotografo personale e amico della poetessa: «La Merini la vuole assolutamente vedere il primo novembre, giorno di Ognissanti». Un appuntamento preciso, di fronte al quale il frate, spesso in viaggio tra Italia ed estero e poco incline a improvvisazioni, 'sente' di non potersi sottrarre: «Ho immediatamente fatto il biglietto elettronico del treno. Non mi riconoscevo neppure io». Quando arriva a Milano sono le 10 del mattino del primo novembre, l’ultimo giorno che Alda Merini trascorrerà su questa terra, ma lui non lo sa. In realtà non sa nemmeno che la poetessa sta male ed è ricoverata. «Credevo di andare a casa sua, invece Grillini mi porta all’ospedale San Paolo», racconta ancora profondamente commosso. Entrato nella camera della Merini, che appare serena, è colpito subito dal gran numero di oggetti religiosi che la circondano, dalle bruciature di sigaretta un po’ ovunque, e dalla richiesta che la Merini fa all’infermiera: vuole lo smalto rosso sulle unghie. «Dentro di me ho sorriso e mi sono detto che quella grande donna era una vera esteta, anche nella malattia».
Il frate si presenta e la Merini, sotto la maschera dell’ossigeno, ripete due volte «Ah sì, Padre Pio, Padre Pio», poi fa cenno di restare sola con lui e riceve i sacramenti. Quello che la poetessa e il padre francescano si sono detti resterà per sempre tra loro. «Dopo abbiamo recitato insieme l’Ave Maria e le ho fatto un segno di croce sulla fronte con il dito. Infine le ho dato un buffetto sulla guancia: solo allora ha fatto un grande sorriso, limpido, da fanciulla. Infine mi ha indicato il comodino, dove c’era la reliquia di Padre Pio che conservava fin dall’infanzia, gliel’ho messa sul palmo e lei ha chiuso dolcemente la mano... Pensavo che sarebbe vissuta ancora parecchio». È in treno sulla via per Venezia quando, alle 17, gli telefonano la notizia, Alda Merini è morta. «È allora che ho capito – spiega turbato e contento –, col pretesto della prefazione al libro mi aveva ingiunto di essere lì il primo novembre e non oltre. Sapeva quello che tutti noi ignoravamo. L’eredità che mi porterò sempre dentro sono quegli occhi verdi con cui mi ha parlato molto più che con le parole».
Lucia Bellaspiga (Avvenire, 03-11-2009)
04/11/09
Alda Merina: cronaca di una morte cristiana
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