28/02/08

San Colombano Abate d’Europa

L’Associazione Culturale Identità Europea – Area Lombardia è lieti di invitarLa alla visita della mostra “San Colombano Abate d’Europa”che si terrà dal 6 al 15 marzo 2008 presso i locali di Palazzo Marliani Cicogna, Piazza Vittorio Emanuele II a Busto Arsizio (Va).
Orari d’apertura: da martedì a sabato dalle 15.00 alle 19.00, la domenica mattina dalle ore 10.00 alle 12.00 – il pomeriggio dalle 16.00 alle 19.00. Giovedì 13 marzo si terrà la Conferenza “SAN COLOMBANO UN SANTO PER L’EUROPA”, alle ore 21.00 presso Palazzo Cicogna. Venerdì 14 marzo, in collaborazione con l’Accademia di Danze Irlandesi Gens D’Ys, presso la Sala delle feste al Museo del Tessile (Via Volta - Busto Arsizio) serata di musica celtica con “NOTTE D’YS”. L’inaugurazione della mostra si terrà il giorno 6 marzo alle ore 18.00, seguita da breve rinfresco.
La ricerca di una matrice comune che accomuni tutti i popoli e le nazioni del Vecchio Continente è oggi più che mai un presupposto necessario per il difficile processo di integrazione della sempre più estesa Unione Europea. La coesistenza di realtà culturali spesso antitetiche tra loro all’interno dello stesso organismo si può risolvere solo con il riconoscimento e la sintesi di una tradizione comune, in grado di alimentare nel tempo il fuoco mai sopito che cova tra le ceneri di un apparente conflitto esteriore. Universalità nella diversità. Nella consapevolezza di questo sentimento unitario si mosse l’opera peregrina di uno degli uomini più influenti nella storia dell’Europa, ancora oggi poco conosciuto nel nostro Paese: “San Colombano d’Irlanda”.San Colombano o San Colombano di Bobbio, (Navan, 543 circa – Bobbio, Piacenza, 23 novembre 615) è stato un abate, missionario e scrittore irlandese, noto per aver fondato numerosi monasteri in tutta Europa.Una testimonianza dell’incontro tra l’austera e ascetica clausura monastica irlandese, detentrice delle certezze culturali e spirituali di retaggio celtico, con il rigoroso e stabile ordine benedettino, capace di mantenere viva e intatta la tradizione del decaduto impero romano; la riscoperta di un’eredità che rivive oggi nell’instancabile azione missionaria del movimento colombaniano, nato dallo stesso movente che nei secoli si è tramandato nelle comunità monastiche ispirate dall’illustre Abate. Robert Schumann nel discorso del 9 maggio 1950 ha indicato in “S. Colombano il patrono di coloro che si prodigano per la causa dell’Europa unita”. Identità Europea area Lombardia prosegue il suo cammino di valorizzazione, ri-scoperta e confronto dei caratteri distintivi dell’Europa, un cammino cui siamo tutti chiamati a partecipare per l’acquisizione di strumenti e conoscenze che ci porteranno ad essere veramente Europei.
Un particolare ringraziamento va all’amministrazione Comunale di iniziativa, dimostrando articolare attenzione verso le radici comuni e le tradizioni.

Dott. Paolo Gulisano


24/02/08

Un Cristo per l'India

L’India è il fascino di esotiche spiritualità: l’Occidente, a fronte della radicale alterità del mondo orientale, agli esordi ha cercato di squalificarle come frutto di ‘barbare superstizioni’ – confermate da assurdità quali adorare una vacca o bruciare una vedova sulla pira funeraria del marito. Con la progressiva scoperta della profondità di quelle sapienze millenarie l’Occidente andò mutando il proprio giudizio, e anche l’India – prima quasi refrattaria all’Occidente e alla sua principale espressione religiosa, il cristianesimo –, cominciò ad aprirsi al confronto. Il risultato furono straordinari meticciamenti culturali che da un lato videro la nascita del c.d. neoinduismo, ove il dialogo tra cristianesimo e induismo giunse fino a proporre, ad esempio, Gesù Cristo come un avatara dell’Assoluto o la Trinità quale espressione del sat-cit-ananda svelatoci dai Veda e dalle Upanishad; e dall’altro videro sorgere dottrine esoteriche suggestionate dalla Teosofia o da presunti viaggi di Gesù in Oriente. Meticciamenti che alla fine sfociarono sia nei nuovi movimenti religiosi sorti attorno all’insegnamento di guru quali Aurobindo, Yogananda, Osho e Sai Baba, sia, in tempi più recenti, nelle molteplici e differenti suggestioni del New Age.
Col passare dei decenni il discorso intellettuale si complica ulteriormente, dapprima esprimendosi nel tentativo di trovare punti di contatto fra cristianesimo e induismo tramite la mediazione delle rispettive mistiche, come ad esempio fece il monaco benedettino H. Le Saux; quindi passando ai tentativi di tradurre le teologie della liberazione latino-americane nel contesto asiatico, traendo ispirazione da un lato dal marxismo, da Gandhi, o dalla ricchezza spirituale delle molteplici religioni del continente asiatico; e dall’altro dal tentativo di rispondere a situazioni limite quali quelle dei Dalit, degli Adivasi, delle donne e dell’ambiente. Si giunge così ai più recenti tentativi di trovare una conciliazione fra l’Assoluto, perno di molte tradizioni orientali, e la Storia, cardine del pensiero occidentale: quella Storia in cui si è svolta la vicenda di Gesù – un unicum per il cristianesimo irriducibile ad alcun avatara dell’Assoluto.
Problematizzando l’interazione fra Oriente e Occidente tramite i paradigmi offerti dall’incontro fra induismo e cristianesimo, il testo analizza le varie forme assunte nel corso della storia dall’incontro/scontro fra due dei più complessi sistemi simbolici dell’umanità, e le provocazioni che ne sono risultate per i rispettivi codici di senso.

(Nicola Mapelli, L'Assoluto e la Storia. Oriente e Occidente a confronto, Bulzoni Editore)

Nicola Mapelli (P.I.M.E.), laureato in Scienze storico-religiose (Università La Sapienza) e in teologia (Università Urbaniana), ha vissuto e operato per dieci anni nell’isola di Mindanao (Filippine) e ha compiuto viaggi in vari paesi asiatici e in Amazzonia. Tra i suoi lavori segnaliamo Oceania. Oltre l’orizzonte dei Mari del Sud (Bulzoni 2006); Ecologia e religione. Il fenomeno dell’ecoterrorismo (SMSR 2006); New Age e cristianesimo (in AA.VV., Il New Age. Volti dal passato, nel presente e per il futuro, Bulzoni 2007) e Tra induismo e cristianesimo (Prometeo 2007).

23/02/08

Profezie sull'Anticristo

Sono in tanti a vedere negli avvenimenti più drammatici e cruciali dei nostri giorni una relazione con taluni passi apocalittici della Bibbia. E c’è chi – anche alla luce di alcuni messaggi della Madonna a Medjugorje e in altre recenti rivelazioni private – considera questi avvenimenti come dei segni che indicherebbero l’imminenza del tempo dell’Anticristo.
Ma è plausibile questa convinzione? È davvero prossimo il regno dell’Anticristo? Nel libro l’autore traccia in maniera rigorosa (avendo sempre come costante e imprescindibile caposaldo della sua riflessione il Magistero della Chiesa) e documentata (basandosi principalmente sulle profezie escatologiche della Bibbia, sulla Tradizione della Chiesa – attraverso gli scritti dei Padri, dei Dottori e di vari commentatori – e sulle rivelazioni private di santi, beati e venerabili) un profilo di questa misteriosa figura. Nella parte conclusiva del libro l’autore trae spunto da alcune recenti rivelazioni private per indagare sulla possibilità dell’imminenza di un tempo di pace universale con lo stabilirsi del Regno di Cristo nel mondo, cercando di capire nel contempo se davvero l’umanità sia giunta – come sostengono alcuni – alla fase conclusiva della sua storia su questa terra: gli “ultimi tempi”.

(Fonte:http://fedecultura.blogspot.com/)

21/02/08

Il sito di controinformazione Wikileaks.org è stato chiuso.

Avete mai immaginato di essere Bob Woodward mentre incontra il suo informatore nel parcheggio di Rosslyn in Tutti gli uomini del presidente? Cliccate www.wikileaks.org (adesso su 88.80.13.160) e vi ritroverete davanti un mondo gocciolante dentro una clessidra sopra una massima del Siddharta ed un’impegnativa frase di Daniel Ellsberg, l'analista che passò al New York Times i piani delle attività militari americane nella guerra in Vietnam: "Eravamo giusti, eravamo folli, eravamo arroganti, ma avevamo ragione".
Wikileaks è stato realizzato da un gruppo di dissidenti politici- molti cinesi- crittografi e matematici. Almeno nelle intenzioni è uno spazio in cui pubblicare i documenti proibiti dietro i quali si nasconde la politica dei regimi autoritari e le testimonianze che svelano i comportamenti poco etici dei governi democratici e delle corporations. Il tutto garantendo la non tracciabilità e l'anonimato mediante versioni ad hoc di alcune Privacy Enhancing Technologies (Freenet, The Onion Routing e PGP). Immaginate una stanza piena di gente – spiega Bruce Schneier su New Scientist – in cui molte persone si passano delle buste. Come si fa a sapere da dove è partita ogni busta?”. Un posto sicuro soprattutto per i bloggers cinesi che, accusati di diffondere “parole irresponsabili che allarmano il governo", potrebbero presto venire schedati nel loro paese. Nel mirino di WikiLeaks ci sono i regimi oppressivi asiatici, quelli del medio oriente, la Russia e l’Africa sub-sahariana. Gli organizzatori dicono di aver raccolto più di 1.2 milioni di documenti scottanti. Non esiste un indirizzo editoriale né una redazione che controlli i documenti ricevuti. E' proprio questo fatto a sollevare le maggiori critiche all’iniziativa: sempre su New Scientist, per Steven Aftergood, capo della Federation of American Scientists’ Project on Government Secrecy, è facile prevedere molti falsi allarmi, documenti fabricati ad arte, l'inserimento di immagini offensive. Oltre al fatto che gli stati democratici si danno delle regole riguardo la diffusione dei documenti governativi, e violare quegli standard, anziché ridiscuterli, può minare il processo democratico. Da parte dei fodatori di WikiLeaks c'è invece la convinzione che si possa contare sul valore dell'intelligenza collettiva, di una società civile elettronica che eserciti dal basso il controllo e la revisione dei documenti mediante un dibattito democratico e aperto attraverso il quale partecipare attivamente all’etica pubblica. Purtroppo il il sito è stato chiuso in questi giorni secondo la decisione di un tribunale della California: il provvedimento si è reso necessario per approfondire un caso imbastito da una banca svizzera, del gruppo Julius Baer, che si sarebbe sentita diffamata da documenti che l'accuserebbero di pratiche illegali, riciclaggio di denaro, evasione fiscale e via dicendo.
(Fonte:http://bourbaki.blog.lastampa.it/bodegones/2007/01/wikileaks_docum.html)

20/02/08

E così Julien Ries ci svelò l’«homo religiosus»

I grandi studiosi, quelli che aprono porte sul buio senza pretendere di annichilire l’oscurità, spesso paiono incarnare un archetipo, uno che più di altri ne abbia ispirato il destino, l’anima, il percorso che poi coincide con la loro vita. Per Julien Ries non avrei dubbi: la Biblioteca. La Biblioteca come mito, quella leggendaria di Alessandria d’Egitto che conteneva tutto il sapere del tempo antico, e che solo il fuoco infatti poté distruggere, quasi sottintendendo che la sapienza stilata nelle righe delle pagine rinascesse in altra forma, come Fenice. O quella sognata da Borges, il manuale delle favelle del mondo e il catalogo veritiero dei sogni. Julien Ries (cui oggi a Milano l’Università Cattolica e l’editrice Jaca Book rendono omaggio con un convegno) ha costruito una vera Biblioteca, la sua opera è un monumento che unisce differenti qualità, raramente rintracciabili in uno stesso autore: rigore, comparativismo, senso storico, insomma le doti dello studioso solido, cui si intrecciano, svelate con la naturalezza dei grandi antichi esploratori di miti, le miracolanti visioni con cui l’uomo illumina la propria vita dalla sua venuta al mondo: il brivido del sacro, l’estasi della visione, la cancellazione del tempo contingente nella preghiera. Julien Ries, nato in Belgio nel 1920, docente di Storia delle religioni all’Università di Lovanio, è l’autore di una splendida biblioteca, una sorta di architetto capace di accorpare nella sua opera gli esiti più importanti dell’opera di grandi studiosi come Jung, Bachelard, Eliade, Ricoeur, Vidal, ma nello stesso tempo creando un edificio nuovo, le cui stanze disegnano una realtà completa, la biblioteca che idealmente si offre al nuovo millennio. In sostanza Ries attinge profondamente a tutte le opere che nel Novecento hanno testimoniato, presentandola in nuove forme, la realtà del sacro, la potenza inestinguibile del simbolo, e di fatto edificando, non tornando indietro nel tempo ma anzi andando subito oltre, la grande biblioteca dell’anima che risponde con forza positiva e fondante al nichilismo dominante di quel secolo. In Ries queste voci trovano una versione sinfonica e divengono altro, nell’originalità del suo pensiero comparatista e sinfonico, nello stile da grande esploratore di miti veri, alla Plinio. Al centro del suo pensiero una scoperta che cambia la nostra conoscenza di noi stessi, l’« homo religiosus », un uomo che non è portato alla pratica religiosa dalle condizioni sociali ma che è per natura, congenitamente inscritto in un ordine religioso. L’opera monumentale di Ries spazia dalle indagini sugli assoluti del mito e del simbolo, sempre attraverso le realtà storiche delle civiltà, incrociando la ricerca ascensionale a quella orizzontale. Attraverso l’evidenza del fatto religioso, Ries non ci svela lo splendore della religione, ma quello della vita, della poesia, dell’arte, che nella realtà religiosa pulsano e riempiono di senso.

(Autore: Roberto Mussapi; fonte: Avvenire del 19/07/2007)




15/02/08

Quarto numero di EuropaItalia

EDITORIALE

Battaglie presenti, battaglie future

Scriviamo mentre si è appena depositata la polvere sollevata dall’esplosione del caso “Sapienza”, e al di là della rapida efficacia con cui il Vaticano ha saputo approfittare della stupidità intelligente
di prof. nostalgici di Mazzini e Podrecca e del folklore urbano patetico quanto autoreferenziale dei collettivi omosessuali, per rilanciare il ruolo della Chiesa Cattolica come custode della cultura del confronto d’oggi, non sono bastati le raffiche di reverenze e i ripetuti inginocchiamenti di fronte all’autorità morale di Benedetto XVI così generalizzati da destra a sinistra, per dissipare l’impressione di una classe politica italiana incapace di capire (e quindi di affrontare) i nodi più veri del nostro vivere civile e attenta soprattutto a carpire prima possibile la direzione del vento per gettarsi compatta a soccorso del vincitore del momento. Fortunatamente, lo scenario europeo ci restituisce l’impressione che una siffatta fragilità di fronte ai grandi temi della razionalità e delle fedi, dell’identità culturale e spirituale dei popoli e quindi del rapporto fra le istituzioni statali e le eredità culturali e religiose, non sia un destino obbligato. Fuori dall’Italia sembra possibile affrontare i temi della laicità e della cultura esimendosi da balletti meschini e preoccupanti esibizioni di sfoggiata ignoranza, ed è simbolicamente pregnante che questa speranza rinasca in Francia, nella patria di Voltaire e De Maistre, ponendosi all’avanguardia di un movimento di uscita da contrapposizioni ottocentesche che altrove (non solo in Italia, ma anche in Spagna) dimostra viceversa di resistere, caparbiamente, ad ogni spinta verso lo sviluppo ed il mutamento: l’Europa si misura in primo luogo su questi fronti, in battaglie culturalmente e socialmente non incruente.
Ma questa polvere massmediale rischia di far dimenticare come ai propri confini l’Unione Europea veda affacciarsi nuovamente rischi di guerre vere, spettri di devastazioni umane e storiche che fino a pochi anni addietro hanno continuato a martirizzare i Balcani, cuore cruciale dell’Europa che geme delle doglie del parto. Il territorio del Kosovo è oggi diventato rapidamente l’epicentro di un braccio di ferro in cui le istituzioni comunitarie sono chiamate a gestire da un lato gli esiti del crollo dei Muri inchiodati a Yalta, e nel contempo i nuovi disegni di espansione planetaria di superpotenze tentate di rinverdire nel nuovo millennio i fasti del grand jeu, ovviamente sulla pelle del sogno europeo di autonomia, pace e sicurezza.
Fra questi due temi portanti si muove il momento presente, ed EuropaItalia non latita: guardare fisso negli occhi la testa di Medusa è rischio antico per l’uomo europeo, ma è quasi d’obbligo se si vuole guardare e proteggere non solo il piccolo confine del “mio”, ma quello ampio e potente del “nostro”. In questo compito ben più ampio delle forze di chiunque, da questo numero ci aiuta un testimone d’eccezione della cultura europea degli ultimi decenni: Sua Eminenza Paul Poupard, a lungo Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura. La sua testimonianza si dipana sotto il titolo “Ecclesia Europa”, per ricordare anche a chi ha scordato il latino che alla radice dell’identità - non solo ma anche - cristiana del continente sta prima di tutto una tradizione comunitaria profonda e pervicace, che porta con sé un ampio genoma di esperienze e valori. Ad essa, nei momenti di dubbio e confusione come quelli segnati dal nostro veloce crepuscolo della modernità, è sempre possibile tornare a volgersi.
(Adolfo Morganti)

14/02/08

Pound sul «New York Times»

È piuttosto difficile che la «Poesia» venga riconosciuta come «Profe­zia », ed è ancora meno frequente che faccia rima con «Economia», ma è proprio quello che è appena successo sulle pagine economiche del «New York Times», un luogo scarsamente frequentato da poeti e artisti in genere. Lo scorso 10 feb­braio, i celebri versi di Ezra Pound contro l’Usura campeggiavano in a­pertura di un articolo dedicato alla crisi dei mutui subprime, in cui ve­niva riconosciuta a Pound una for­midabile lungimiranza, spesso scambiata per pazzia, nell’indicare la speculazione finanziaria come il vero nemico dell’uomo. Scrive Ben Stein, l’autore del pezzo, che i versi del Canto 45 gli sono venuti in mente cercando di capire che cosa significasse davvero la crisi del mer­cato immobiliare che sta travolgen­do l’economia statunitense: «Con Usura – ammoniva il Poeta – nessu­no ha una solida casa / di pietra squadrata e liscia / (…) Con Usura non si dipinge per tenersi arte in ca­sa, / ma per vendere e vendere pre­sto e con profitto». Riconoscimento tardivo, ma comunque gradito, ora che anche le sue teorie economiche sono studiate dalle Università, co­me testimonia il bel volume sulla sua «Economic Correspondence», a cura di Roxana Preda, edito dalla U­niversity Press of Florida.

(Autore: L.Gall.)

12/02/08

Il ritorno del Cervo Bianco

LONDRA (Reuters) - Una strana creatura mitica è comparsa nelle foreste delle Highlands scozzesi. Si tratta di un singolare cervo bianco, riconducibile alla specie del cervo rosso, che si pensa essere uno dei pochi esemplari viventi in Gran Bretagna.
Il cervo bianco è considerato una forza magica e potente in molti apparati mitologici e la John Muir Trust ne mantiene segreta l'ubicazione per preservarlo dai bracconieri.
"Vederlo tra altri cervi è inquietante perché davvero può sembrare un fantasma", ha detto a Reuters Fran Lockart, la manager di Trust Partnership che lo ha filmato.
Nella tradizione celtica, i cervi bianchi sono considerati dei messaggeri dall'aldilà. Secondo la leggenda di Artù, poi, è una creatura impossibile da catturare - la ricerca dell'animale da parte di Re Artù rappresenta la ricerca di spitualità dell'Uomo. Si dice inoltre che coloro che riescono ad avvistare l'animale stanno per vivere un momento di grande importanza. "Dicono che la sua apparizione predica profondi cambiamenti nella vita di coloro che vi si imbattono - io ancora lo aspetto", ha detto Lockart. Il suo cane, tuttavia, è rimasto immobile a fissare il cervo per ben 45 minuti, invece che scorazzare come di solito.

(Fonte: http://it.notizie.yahoo.com/)

11/02/08

150 anni dalle apparizioni di Lourdes

1ª apparizione. Giovedì 11 febbraio 1858

La madre di Bernadette le aveva permesso di andare, assieme a sua sorella e a un’altra amica, lungo il fiume Gave a cercare legna da ardere. Bernadette per la sua fragilità fisica era rimasta indietro e non osò mettere i piedi in acqua perché era molto fredda. La altre due bambine avevano attraversato a piedi nudi l’acqua gelida del fiume e avevano proseguito. Bernadette invece si era fermata, timorosa che la temperatura dell’acqua peggiorasse la sua tosse.Mentre si trovava davanti alla grotta di Massabielle, sentì un forte rumore di vento, simile ad un tuono, ma quando si voltò vide che tutto era calmo e che gli alberi non si erano mossi. Sentì una seconda volta il rumore, allora vide una nube color oro e, all'interno della grotta, una Signora giovane e bella, dell’età di sedici o diciassette anni. La Signora era vestita di bianco, con un velo bianco che le copriva la testa, una fascia azzurra legata in vita che scendeva lungo l’abito, una rosa gialla su ciascun piede e sul braccio destro un rosario con dei grani bianchi uniti da una catenella d’oro. Bernadette all'inizio si spaventò, ma poi prese coraggio e fece il Segno della Croce e cominciò a recitare il Rosario insieme alla Signora. Mentre la ragazza recitava il Rosario la Signora restava in silenzio, accompagnandola solo col "Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto" alla fine di ogni decina. Dopo la preghiera la bella Signora scomparve improvvisamente.

2ª apparizione. Domenica 14 febbraio 1858

Bernadette sentì una forza interiore che la spingeva a tornare alla grotta, nonostante la netta contrarietà dei genitori. Vista la sua insistenza, sua madre alla fine le diede il permesso di ritornare sul luogo dell’apparizione. Bernadette tornò alla grotta munita di una bottiglietta di acqua benedetta. La ragazza iniziò la recita del Rosario e dopo la prima decina vide comparire la Signora. Allora Bernadette gettò verso la figura, l'acqua benedetta che aveva con sé. La Vergine sorrise e chinò il capo; terminata la preghiera scomparve.

3ª apparizione. Giovedì 18 febbraio 1858

Il giorno della terza apparizione due signore accompagnarono Bernadette alla grotta. Restarono con lei alla Santa Messa delle 5.30 del mattino, dopo di che si diressero tutte assieme verso la grotta. Una volta arrivate, Bernadette si inginocchiò e cominciò la recita del Rosario. Quando la Signora apparve, la ragazza lanciò un grido di giubilo nel vederla in fondo alla grotta. Chiese se le sue due accompagnatrici potevano restare e la Vergine rispose di sì. Anch’esse si inginocchiarono e si misero a pregare mentre accendevano una candela benedetta. Bernadette porse alla Signora un foglio di carta chiedendole di scrivere il suo nome. Ma ella le disse: "Ciò che devo comunicarti non è necessario scriverlo". E aggiunse: "Vuoi avere la bontà di venire qui per quindici giorni? Io non ti prometto di renderti felice in questo mondo ma nell'altro".

4ª apparizione. Venerdì 19 febbraio 1858

Bernadette tornò alla grotta accompagnata dai genitori e da centinaia di persone, portando con sé una candela benedetta e accesa. Da quel gesto nascerà la tradizione di portare le candele per accenderle nella grotta.

5ª apparizione. Sabato 20 febbraio 1858

La Signora insegnò a Bernadette una preghiera personale che reciterà per il resto della sua vita. Al termine della visione, una grande tristezza pervase il cuore della ragazza. Quel giorno circa 500 persone avevano accompagnato Bernadette alla grotta.

6ª apparizione. Domenica 21 febbraio 1858

Prima ancora dell’alba, migliaia di persone attendevano Bernadette sulle rive del Gave. La Signora apparve di buon mattino. La ragazza osservò che la Vergine era triste, allora le chiese cosa poteva fare per lei. Ella rispose: "Prega per i peccatori". Più tardi venne interrogata dal commissario di polizia Jacomet, che voleva che gli raccontasse che cosa aveva visto. Bernadette non gli parlò d’altro che di "Aquero" ("quella lì"). Uno dei medici di Lourdes, il dottor Dozous, si dedicò a studiare la veggente, osservandola ed esaminandola attentamente. Egli giunse alla conclusione che in Bernadette non c’erano segni di allucinazioni, di isteria o di fughe dalla realtà. Questo fu il suo giudizio: "Qui avviene un fatto straordinario, completamente conosciuto alla scienza e alla medicina".

7ª apparizione. Martedì 23 febbraio 1858

Durante l’apparizione il volto di Bernadette divenne luminoso e bellissimo. I presenti la videro assorta, come uno che ascolta a lungo e attentamente. La Signora le comunicò tre segreti che riguardavano solo lei e che non avrebbe dovuto rivelare a nessuno.

8ª apparizione. Mercoledì 24 febbraio 1858

Durante l’apparizione, d’un tratto i presenti videro il volto di Bernadette farsi triste, le lacrime le scorrevano sul viso, poi lasciò cadere le braccia come al giungere di una notizia dolorosa. La Signora allora esclamò per tre volte: "Penitenza! Penitenza! Penitenza!" e fece ripetere ad alta voce queste parole alla ragazza.

9ª apparizione. Giovedì 25 febbraio 1858

Sulle rive del Gave erano presenti circa trecento persone. La Madonna disse a Bernadette: "Vai a bere e a lavarti alla fonte, e mangia dell'erba che è là". Bernadette si guardò intorno ma non vedeva nessuna fonte. Pensò che la Vergine la mandasse al torrente e si incamminò in quella direzione. La Madonna la fermò e le disse: "Non andare là, vai alla fonte che si trova qui", e le indicò il fondo della grotta. Bernadette andò vicino alla roccia che le era stata indicata, cercò la fonte con lo sguardo ma non la trovò e, nel desiderio di compiacere la Signora, rivolse lo sguardo verso di lei per ricevere maggiori indicazioni. Ad un nuovo segnale, Bernadette si inginocchiò e scavando la terra con la mano, vi fece un buco. Improvvisamente il fondo di quella piccola cavità diventò umido e comparve dell'acqua che presto la riempì completamente. Mescolata con la terra fangosa, Bernadette avvicinò l’acqua per tre volte alle labbra, non riuscendo a berla. Ma superando la sua naturale ripugnanza all'acqua sporca, la bevve, poi ne prese altra e se la passò sul viso, infangandosi tutta. Poi strappò qualche ciuffo d’erba e lo masticò a lungo. Tutti cominciarono a burlarsi di lei e a dire che era diventata matta. Bernadette rispose soltanto: "E’ per i peccatori".

10ª apparizione. Sabato 27 febbraio 1858

Quel giorno si erano raccolte nei pressi della grotta circa ottocento persone. L'apparizione si svolse in silenzio. Bernadette bevve l'acqua della sorgente e compì i gesti abituali di penitenza. I presenti la videro più volte chinarsi e baciare la terra, poi d’un tratto la ragazza si volse verso questi e disse a tutti di baciare la terra. E tutti ubbidirono. Al termine dell’apparizione, la veggente dirà che la Signora l’aveva invitata a far penitenza per i peccatori, e le aveva comandato: "Vai e bacia la terra per i peccatori".

Poi la Signora disse: "Vai a dire ai sacerdoti che qui si deve costruire una cappella". Quando l’apparizione si concluse, Bernadette si incamminò per Lourdes, e mentre camminava era assai pensierosa. Doveva riferire al parroco di Lourdes, l’abate Peyramale, la richiesta della Madonna e il pensiero di presentarsi a lui la faceva tremare, ma vi si recò ugualmente.
L’abate Peyramale passeggiava in giardino dicendo il breviario. Bernadette varcò timidamente la soglia. Il parroco con la sua voce robusta le chiese: "Chi sei? Cosa vuoi?".

"Sono Bernadette Soubirous", rispose la ragazza.

"Ah, sei tu - riprese il sacerdote aggrottando le ciglia. - Si dicono di te cose strane. Vieni". Entrarono nella canonica. Bernadette riferì al parroco quanto le aveva chiesto la Signora a proposito della cappella a Massabielle.

"E chi è questa Signora?".

"E' una bellissima Signora che mi appare sulla roccia di Massabielle".

"Va bene, ma chi è? E' di Lourdes? La conosci?".

"No, non è di Lourdes, e io non la conosco".

"E tu accetti delle commissioni da chi non conosci?".

"Ma la Signora non somiglia alle altre persone".

"Che cosa vuoi dire?".

"Voglio dire che è bella, credo come quelli che sono in cielo".

"E tu le hai domandato il suo nome?".

"Sì, ma quando gliel’ho domandato ha chinato il capo, ha sorriso e non ha risposto".

"Perché? E' muta?".

"No, se fosse muta non mi avrebbe detto di venire da lei".

"Già. E come l’hai incontrata la prima volta?".

Bernadette raccontò allora al parroco la sua prima visione e poi tutte le altre. L’abate Peyramale sapeva già quasi tutto ma non voleva dare l’impressione di credere a fatti così straordinari prima di esserne assolutamente sicuro. Perciò alla fine del racconto disse a Bernadette: "Ma non capisci che questa Signora ha voluto prenderti in giro? Una donna senza nome, che non si sa da dove venga, che abita in una grotta, coi piedi nudi. Ma ti pare degna di essere presa sul serio?". Il sacerdote camminò in su e in giù per la sala, poi concluse: "Risponderai alla tua Signora che il parroco di Lourdes non ha l’abitudine di trattare con gente che non conosce. Egli esige che la Signora dica il suo nome e che poi provi che esso le appartiene. Se questa Signora ha diritto ad una cappella, comprenderà il senso delle mie parole. Se non le comprende, dille che si dispensi dal mandarmi altri messaggi".

Bernadette alzò su di lui il suo sguardo sereno, fece un piccolo inchino ed uscì.

11ª apparizione. Domenica 28 febbraio 1858

Circa duemila persone assistettero all’estasi. Bernadette pregò, baciò la terra e camminò sulle ginocchia in atto di penitenza.

12ª apparizione. Lunedì 1 marzo 1858

Più di millecinquecento persone erano presenti, e fra di esse, per la prima volta, un sacerdote. Durante la notte, una donna di Lourdes, Catherine Latapie, era andata alla grotta per immergere il suo braccio infermo nell'acqua della sorgente: il braccio e la mano recuperarono la loro piena funzionalità. La mattina del primo marzo, Bernadette era davanti alla grotta. Un’amica l’aveva pregata di usare la sua corona durante l’apparizione. Ma quando la bianca Signora apparve, le disse dolcemente: "Avete il vostro rosario?". "Sì", rispose Bernadette cercandolo nella tasca del suo grembiule e levandolo in alto. "Servitevi di quello", riprese ella. Tutte le persone che avevano visto il gesto di Bernadette, levarono in alto le corone del rosario e pregarono insieme.

13ª apparizione. Martedì 2 marzo 1858

La Vergine le disse: "Ed ora, figlia mia, va a dire ai sacerdoti che qui, in questo luogo, si deve erigere una cappella e che si deve venire in processione". Bernadette andò immediatamente alla chiesa per dare il messaggio a don Peyramale. Il sacerdote, dopo averla ascoltata, con aria spazientita le fece capire che lui voleva sapere una sola cosa, il nome della Signora, ed esigeva inoltre un segno come prova: veder fiorire in pieno inverno le rose selvatiche della grotta .

14ª apparizione. Mercoledì 3 marzo 1858

Verso le sette del mattino Bernadette andò alla grotta; c’erano già tremila persone ad attenderla, ma la Signora non apparve. Circa un’ora e mezza più tardi Bernadette sentì una chiamata interiore; accompagnata dal cugino, andò di corsa alla grotta, la Madonna questa volta si presentò. Durante l’apparizione Bernadette chiese nuovamente alla Signora il suo nome e le riferì le parole del parroco che voleva la fioritura del rosaio. La risposta fu un sorriso. Bernadette tornò dal parroco, che le chiese: "Ebbene, cosa ha risposto la tua Signora?". "Nulla. Quando le ho detto del rosaio ha sorriso, ma insiste nel chiedere la cappella".

"Ma tu hai denaro per costruirla?".

"Io no, signor curato".

"Neppure io. Di’ alla Signora che te lo procuri".

15ª apparizione. Giovedì 4 marzo 1858

Il 4 marzo era l’ultimo dei quindici giorni di cui la Signora aveva parlato a Bernadette. Circa 20.000 persone erano convenute attorno a Massabielle da tutta la Francia. C’erano squadroni di soldati e di gendarmi per tenere l’ordine ma tutto si svolse nella calma. Bernadette arrivò con la mamma. Durante l’apparizione la Signora le raccomandò ancora una volta di pregare per i peccatori e la salutò. La gente più tardi le chiese: "I quindici giorni sono finiti. Tornerai ancora alla grotta?". "Certo, vi tornerò. Essa mi ha sorriso, ma non mi ha detto addio". Durante i venti giorni seguenti, Bernadette non andrà alla grotta; non sentendone più l’irresistibile spinta interiore. Il parroco intanto rimaneva irremovibile sulle sue posizioni.

16ª apparizione. Giovedì 25 marzo 1858

Il 24 marzo, improvvisamente, una notizia si diffuse per le strade di Lourdes, il giorno seguente Bernadette sarebbe tornata alla grotta. Il giorno 25 (festa dell’Annunciazione), quando la ragazza arrivò, richiamata irresistibilmente dalla bella Signora, nella valle c’erano 30.000 persone. La veggente levò gli occhi in alto: la Signora era lì, e l’aspettava. Per tre volte le chiese: "Signora, volete avere la bontà di dirmi chi siete?". Dopo la terza volta sorrise, e levando le mani e congiungendole al petto rispose: "Io sono l’Immacolata Concezione".Appena si seppero queste parole e si divulgò la voce che la bianca Signora era la Vergine Maria, concepita senza peccato originale, s’accese un entusiasmo incredibile. L’invocazione: "O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi", fu ripetuta e scandita ad alta voce da tutti.Finita l’estasi, dopo aver raccontato ciò che la Signora le aveva detto, la veggente partì veloce, correva ripetendo quelle parole che lei non comprendeva. Bernadette non conosceva questa espressione teologica che indica la Santa Vergine. Quattro anni prima, il Papa Pio IX aveva dichiarato l'Immacolata Concezione di Maria un dogma, cioè una verità della fede cattolica.Quella sera Bernadette salì alla canonica, dall’abate Peyramale, per riferirgli le parole che Signora aveva pronunciato. Sono parole che sconvolgeranno il Parroco.

17ª apparizione. Mercoledì 7 aprile 1858

Durante questa apparizione, Bernadette teneva in mano una candela accesa. Ad un certo momento la fiamma, rafforzata da una forte corrente d’aria, s’introdusse tra le sue dita per un tempo prolungato senza lasciare alcun segno di ustione. Questo fatto venne immediatamente constatato dal medico di Lourdes, il dottor Douzous, che osservò con sua grande meraviglia che la fiamma lambiva le dita di Bernadette senza arrecarle alcun danno.

18ª apparizione. Giovedì 16 luglio 1858

L'ultima apparizione avvenne il giorno 16 di luglio, la ricorrenza della Madonna del Carmelo. Bernadette sentì interiormente una misteriosa chiamata della Vergine e si diresse verso la grotta; ma l'accesso era stato interdetto, la grotta era chiusa da una recinzione. Allora andò dall'altra parte del fiume, di fronte alla grotta. Improvvisamente il volto di Bernadette si trasfigurò: la Madonna era lì, per l’ultima volta, nella nicchia che s’intravedeva sopra la palizzata di chiusura. Bernadette dirà: "Mi sembrava di essere proprio alla grotta, alla stessa distanza delle altre volte; vedevo solo la Madonna; mai l'avevo vista così bella!".La bianca Signora chinò il capo verso Bernadette, la guardò con tenerezza materna, le sorrise ancora una volta, e scomparve. La sera del 2 luglio 1862, di nascosto, Bernadette si recò a salutare per l’ultima volta la sua grotta di Massabielle prima di entrare nel noviziato delle Suore della Carità di Nevers.

(Fonte:
Apparizioni della Madonna, di Massimo Centini, Giovanni De Vecchi Editore)

10/02/08

Guerre contro le Religioni


GUERRA TELEMATICA CONTRO IL CRISTIANESIMO E LA LIBERTA’ RELIGIOSA E DI ESPRESSIONE

Attenzione. In rete è in atto una vera e propria guerra telematica. Stanno nascendo organizzazioni e siti iraniani, islamici oltranzisti, neonazisti, comunisti cinesi cubani e birmani che hanno come scopo quello di ‘distruggere’, anche con micidiali virus, i siti che tutelano l’immagine dell’ebraismo e del cattolicesimo e di molte altre religioni e culture (siti armeni, tibetani. Montagnard cristiani del Vietnam, birmani libertari anti comunisti, etiopi ortodossi, libanesi cristiani, e perfino siti islamici ‘moderati’ del Sinkiang cinese)

La situazione è gravissima, e interessa tutta l’Europa, come riferiscono i media tedeschi, inglesi, francesi, spagnoli, irlandesi, belgi, olandesi, danesi, svedesi, norvegesi, finlandesi, baltici, polacchi, austriaci, cechi, slovacchi, sloveni, ungheresi, greci, bulgari, croati, romeni e russi.

Un dato su tutti. Tra il 1° gennaio e il 1° febbraio 2008, soltanto in Germania, più di 150 siti cristiani sono stati contemporaneamente oscurati da hacker turchi o fondamentalisti (che se ne vantano anche sul web). E nello stesso periodo, in Cina e in Birmania (stato ‘vassallo’ di Pechino), tutte le Radio libere della minoranza cristiana sono state ‘silenziate’ dal governo di Pechino.

9 Febbraio 2008

(Autore: Alberto Rosselli)

08/02/08

Servo di Dio Girolamo Savonarola

L’uscita per Mondadori della traduzione italiana del libro dedicato a Giro­lamo Savonarola da parte di Lau­ro Martines, professore emerito dell’University of California di Los Angeles e illustre studioso del Quattrocento fiorentino ( Savonarola. Moralità e politica a Firenze nel Quattrocento), può essere occasione, in questi tempi in cui tanto si parla di 'fonda­mentalismo' e di 'ingerenze del­la Chiesa nella vita civile', a ri­considerare una pagina molto in­tensa e problematica della storia del nostro Rinascimento e della Chiesa.
Su Savonarola si è detto di tutto e il contrario di tutto. Fra Otto e Novecento le Chiese riformate e la storiografia protestante ne fe­cero un 'martire' del perfido e corrotto papa Borgia, Alessandro VI; e così molti continuano ancor oggi a pensare, nonostante studi recentissimi abbiano profonda­mente rivisitato le figure della fa­miglia Borgia e ci abbiano mo­strato le immagini di un Alessan­dro e soprattutto una Lucrezia molto diversi da quelli che gli stereotipi anticlericali avevano diffuso. C’è anche chi ha provato a far del frate ferrarese – come, del resto, di Martin Lutero – un 'martire del Libero Pensiero': il che è francamente troppo. Nella Roma pontificia dei Borgia, a parte la leyenda negra che ancora circonda quel papa, si viveva e si pensava senza dubbio con mag­gior libertà di quanto non accad­de nella Firenze del quadriennio 1494-98, dominata dal cupo e in­transigente frate. E tuttavia, se confrontiamo le figure dei due grandi agitatori religiosi (e politi­ci) dallo snodo tra medioevo e Rinascimento, non è difficile ren­dersi conto che l’agostiniano sas­sone era ancora molto 'medieva­­le', nelle sue prospettive di ritor­no alla purezza della Chiesa e­vangelica, mentre il domenicano ferrarese, pur essendo vissuto mezzo secolo prima di lui, era al contrario già 'moderno', con le sue aperture nei confronti della magia naturalis studiata da Mar­silio Ficino e da Giovanni Pico della Mirandola.
Ma chi era, insomma, Girolamo Savonarola? Le personalità stori­che molto studiate hanno purtroppo questo di caratteristico: più profondamente le si analiz­zano, più esse finiscono con lo scomparire sotto il cumulo delle interpretazioni e della tesi con­trapposte. Possiamo certo dire che fu comunque un mistico di straordinaria capacità di pene­trazione nei divini misteri e un predicatore d’eccezionale forza.
Che la sua parola sia riuscita a catturare perfino il più grande genio pittorico del suo tempo, Sandro Botticelli, pittore di splendide Madonne ma anche di dèi e di dee, l’ultima produzione del quale è una sublime versione dell’escatologia savonaroliana, la dice lunga.
Nato a Ferrara nel 1452, Girola­mo era nipote di un illustre me­dico dell’Università di Padova, Michele Savonarola. Era quindi abituato fin dall’infanzia al lusso, alle agiatezze, alla notorietà. Ma si disgustò presto del mondo, la corruzione del quale lo indigna­va. Entrò nel 1475 nel convento domenicano di Bologna, centro e culla della cultura scolastica in un tempo in cui la palma della filosofia stava passando invece da Tommaso ad Agostino e quindi da Aristotele a Platone: tuttavia la dottrina tomistica gli stava evi­dentemente stretta, come avreb­be più volte anche in seguito dimostrato. Studente, sacerdote e teologo formatosi tra 1475 e 1482, era già piuttosto famoso quando il capitolo lombardo del suo Ordine lo destinò al conven­to fiorentino di San Marco, sede prestigiosa e chiesa prediletta da casa Medici. In un primo tempo predicò su temi esegetici e scritturali: ma, fra 1484 e 1485, avven­ne qualcosa che lo cambiò profondamente. Da allora, le sue prediche furono tutte incentrate sulla fine dei Tempi, la punizione che Dio minacciava all’umanità e la riforma della Chiesa. Abban­donò Firenze e per un triennio, tra 1487 e 1490, predicò nell’Ita­lia settentrionale. Rientrò a Fi­renze nel 1490 per espresso desi­derio di Lorenzo il Magnifico, che pur aveva avversato ma che lo stimava e forse lo temeva e che e­ra sensibile ai suggerimenti di un eccezionale umanista suo consi­gliere e ammiratore del frate, Giovanni Pico della Mirandola.
Nel 1491 i frati di San Marco lo e­lessero priore; intanto continua­va a predicare, prima nella sua chiesa e poi in duomo. I suoi strali, che pur non risparmiavano politici e governanti fiorentini, e­rano rivolti soprattutto contro la corruzione della Chiesa romana: domenicano 'osservante', dun­que sostenitore della riforma in­terna dell’Ordine, annunziava e auspicava ormai la necessità d’u­na generale riforma della Chiesa romana. Dopo la morte del Ma­gnifico, nel 1492, il suo messag­gio si fece più intenso e diretto.
Non che auspicasse un rovescia­mento politico: al contrario, fu più vicino al potere mediceo di quanto solitamente non si dica.
Tuttavia, sperò senza dubbio che il re Carlo VIII di Francia, disceso in Italia nel 1494 per ben concreti interessi nel regno di Napoli, ma proclamando di voler organizza­re una crociata, fosse lo strumen­to della punizione e del rinnova­mento della cristianità. Eppure, nel frangente del passaggio del re da Firenze e subito dopo, egli di­mostrò una chiarezza di vedute politiche e un equilibrio che lo imposero all’attenzione dell’opi­nione pubblica: e per almeno tre anni, fino al 1497, dominò la vita politica e spirituale della città promuovendo un progetto di co­stituzione ispirata a quella veneziana che contemperasse le spin­te aristocratiche e quelle popola­ri e sostenendo l’immagine d’una Firenze finalmente visitata dalla concordia e 'Nuova Geru­salemme'. È vero che la sua 'dittatura' fu segnata anche da vio­lenze (le incursioni dei 'fanciul­li' suoi seguaci, i 'roghi delle vanità'), ma tuttavia sembrò per un lungo momento che la crisi a­perta dalla morte del Magnifico fosse davvero risolta.
La città era agitata tuttavia da u­na dura lotta politica tra opposti partiti: i 'piagnoni' seguaci del frate, i 'compagnacci' favorevoli al ritorno degli esiliati Medici e gli 'arrabbiati' fautori invece d’una riforma in senso oligarchi­co- repubblicano. I troppi nemici di fra Girolamo riuscirono a con­vincere papa Alessandro VI, adi­rato per le prediche nella quali il domenicano denunziava la cor­ruzione romana ma restio a prender provvedimenti, ch’era necessario fermarlo. La scomuni­ca, il 25 giugno del 1497, fu l’ini­zio della sua rovina. Il governo fiorentino, timoroso dell’inter­detto che avrebbe potuto abbat­tersi sulla città, gli ingiunse di ta­cere; i suoi avversari, soprattutto i francescani, lo sfidarono ripetu­tamente a un confronto che egli non si sentì d’accettare; infine la folla assalì il convento di San Marco e lo trascinò si può dire di forza dinanzi a un tribunale civi­le, cui si erano però aggiunti due commissari ecclesiastici. Il 23 maggio del 1498 egli, insieme con due suoi fedeli seguaci, fu impiccato e quindi arso in Piazza della Signoria. Non era stato co­munque giudicato da un tribu­nale inquisitoriale né dichiarato eretico. La sua eredità spirituale fu ricchissima, e toccò anche personaggi come Michelangelo.
Nelle sue Prediche, i toni terribili delle immagini apocalittiche si accompagno a momenti profon­di e commoventi, di meditazione e di penitenza. Da anni un ag­guerrito gruppo di fiorentini e non solo sta insistendo perché si porti avanti nei suoi confronti un processo di canonizzazione, ri­spetto alla quale la Curia pontifi­cia sembra tuttavia non aver su­perato riserve e cautele.
Nelle sue «Prediche» i toni terribili delle immagini apocalittiche si accompagnano a momenti profondi e commoventi, di meditazione e di penitenza.

(Autore: Franco Cardini; Fonte: Avvenire del 08/02/2008)

02/02/08

Vico: Metafisica e metodo

In un volume intitolato "Metafisica e metodo" (Bompiani, 2008) tornano due opere giovanili con molti temi che resteranno centrali fino alla "Scienza Nuova"
Un grandioso sforzo di ripensamento del senso dell´Umanesimo
Un sapere che procede per tracce e ricorre alla forza dell´intuizione e dell´immaginazione.
In un grandioso sforzo di ripensamento teoretico del senso dell´Umanesimo, Vico coglie l´accordo con la filologia come dimensione essenziale della filosofia stessa. La boria dei dotti si esprime con maggiore evidenza forse proprio nella pretesa di intendere la parola come semplice mezzo per comunicare il pensiero, strumento a sua disposizione. Ma non si dà pensiero che non sia pensato dalle sue stesse parole. Un pensiero che non riflette su tale "presupposto" non solo sarà un pensiero "sordo alla storia, ai sensi, alla vita sociale" (Gentile), ma neppure sarà in sé teoreticamente fondato. Già il dire "cogito" significa appartenere ad un linguaggio, ad una tradizione, indicare una provenienza, ek-sistere. Ed un "cogito" che non abbia coscienza di ciò non potrà mai fondare una scienza.
Nessuna scienza senza coscienza della propria origine; nessun logos che non sia fenomenologia: storia della sua "materia" e, in uno, sapere che mostra le forme della sua genesi e del suo apparire (la Krisis delle scienze europee non maturerà, per Husserl, proprio su questo stesso terreno? e cioè dall´oblio della co-scienza di sè da parte del progetto scientifico?). Autentica genealogia. Prima dei filosofi le leggi, prima delle leggi la lingua, prima della lingua la non-lingua. Prima del "sum" che risuona "vittorioso" nell´"io sono-io penso", il sum "astrattissimo", è il "sum" che dice il mangiare, che indica l´alimento che ci sostiene, la "sostanza" che sta sotto, «ne´ talloni, perocché sulle piante de´ piedi l´uomo sussiste; ond´Achille…». Lì, «ne´ talloni», occorrerà perciò pervenire, se non si vuole pensare l´"essere" senza alcun fondamento, se non si vuole fare della filosofia esattamente il contrario di ciò che deve essere: ritorno alla cosa, comprensione dell´effettuale oltre la doxa, l´opinio, il parlare in-cosciente. Il pensare si costituisce così come pensiero dell´origine e la filologia non ne esprime che l´intrinseca, rammemorante dimensione.
Ma il cerchio è lungi, a questo punto, dal chiudersi "virtuosamente"; proprio qui, anzi, viene alla luce tutta la drammatica della "nuova scienza". L´ordine delle idee procedente secondo l´ordine delle cose non giunge ad un fondamento. Il "discendere" alla coscienza dell´origine, che tanta pena comporta, non mette capo a una solida terra su cui poggiare quei nostri "talloni", ma propriamente all´opposto: a un "luogo" appena intendibile e nient´affatto immaginabile. Al toglimento di ogni fondamento. L´etymon, la radice ultima e vera delle parole, che è oggetto di una "etimologia filosofica" o di una «filologia nata in Platonia» (Warburg), sprofonda oltre ogni filologicamente-filosoficamente accertabile. Si apre un abisso della e nella parola che proprio le "nozze di filologia e filosofia" rivelano: ogni origine "certa" si affaccia all´incertissimo che ne è arché, ogni elemento noto contiene in sé costitutivamente l´ignoto, ogni dimensione definita l´ancora definiendum. Ecco, abbiamo raggiunto coscienza del significato latino di questo termine; ma quale ne è l´etymon? quale l´origine? Di nuovo, il "descensus" di Vico, a differenza di quello di Enea, non ha termine. E perciò "revocare gradus" gli sarà tanto più penoso. Entrambi, nell´itinerario, compiono straordinarie esperienze, scoprono volti e luoghi; non c´è spazio per accidiose disperazioni; ma l´antico giunge tuttavia "alle madri", mentre il nuovo, il "moderno" alla domanda, la stessa di Goethe: giù, via da ciò che appare ben definito e formato, giù al gioco eterno della metamorfosi - «ma la madre, dove è?». La parola ci inghiotte al suono, al corpo, alle immagini primordiali del suo agire (...), così come l´immagine della milizia rinviava a ferocia, mercatura a avarizia, l´eleganza del cortigiano a ambizione, la monarchia alla barbarie eroica. (...)
Piena coerenza dell´analogia: come l´uomo fa la sua storia senza tuttavia mai poter sapere gli effetti del suo agire, così egli pensa e dice senza mai poter giungere a perfetta co-scienza del "fondo" del suo dire, proprio perché cosciente che tale "fondo" non è linguaggio. L´inopia magna del nostro pre-vedere è l´altra faccia del limite costitutivo della nostra memoria - che perviene al suo ultimo soltanto quando ricorda l´immemorabile. E sulla soglia dell´immemorabile non stanno gli Zoroastri e gli Orfei, ma «ci rimangono i bestioni» nessun paradiso o età dell´oro, nessun mito edenico; provvida sventura la cacciata da Eden, ma non perché, come per Hegel o Schelling, da quel "momento" abbia inizio la disvelatrice marcia trionfale dello Spirito; solo il corso della storia umana, provvidenzialmente e non progressisticamente, come vedremo, ordinato genera la perdita di ogni paradiso in terra. La filosofia che si ostina a meditare soltanto «sulla natura umana incivilita» si ritrae atterrita dal thauma, dallo spettacolo meraviglioso-tremendo, della natura umana dalla quale provengono religioni e leggi, ma perché quella natura non sembra dotata di logos - e non è per la filosofia l´uomo quel vivente caratterizzato proprio dall´"arma" del logos? In questa natura, in questa physis, il nascimento più sorgivo, getta invece lo sguardo con cosciente ardimento la "scienza nuova", "armata" dei suoi assiomi e delle tradizioni «lacere e sparte» che la filologia permette di accertare.
Il viaggio nella memoria fino al suo stesso fondo-non-fonda va fatto valere, dunque, come co-scienza della modernità. Nessun culto antiquario dell´Antico, nessuna sedentaria erudizione, e così critica radicale della pretesa auto-referenzialità dell´Io penso, fondamento del moderno sapere. Ma scienza, comunque, avrà da essere, e ciò comporta comprensione e comunicazione della materia che essa raccoglie. Qui la nuova aporia: come potremo conoscere ciò che ci appare così essenzialmente diverso? come potremo comprendere ciò che "i bestioni" avvertono? partecipare a quella, per dirla con Hegel, «ebbrezza del sentire». Le domande centrali dell´ermeneutica sono tutte palpitanti in Vico. Come avanzare la pretesa di conoscere l´altro? Qui non può essere in gioco una forma "cartesiana" di conoscenza; anzi, orgogliosamente Cartesio inizia affermando la sua assoluta indifferenza, prima ancora che estraneità, ad ogni linguaggio che egli giudichi "straniero". Il sapere della "nuova scienza", un sapere indisgiungibile dal rammemorare (straordinaria "re-invenzione" dell´anamnesis platonica!), dovrà non solo essere indiziario, procedere per tracce, ma anche necessariamente ricorrere alla forza dell´intuizione e della immaginazione.
Che è autentica vis, e non pensiero degradato, sapere dimidiato. La vis imaginativa si sposa all´acribia filologica, all´evidenza delle idee che la metafisica contempla nella Mente divina. La facoltà dell´immaginare, Einbildungskraft, è, possiamo davvero dire, facoltà del giudizio. Non si giudica del passato, dell´altro, senza di essa. Senza con-sentire in qualche modo con la forza della sua fantasia, con la violenza delle sue passioni, sentimenti e affetti, mai potremmo intenderlo. Non si pensa non immaginando. Come si pensa-in- parole, come non c´è "cogito" se non nella sua espressione linguistica, così non v´è logos che sia astratto da pathos. Ed è per questo che possiamo, nonostante la abissale distanza, nonostante la differenza che ci divide da "ciò" che non è lingua, che non è logos, tuttavia con-sentirlo e intenderne la voce ("prima" voce, o grido o canto, che a sua volta si apre ad un silenzio insondabile: quello cui si è prima accennato, della storia davvero sacra, la generazione del proprio Verbum uni-genitum da Dio-in Dio).
La visione del passato, co-scienza della filosofia, esige filologia e immaginazione. Esso deve perciò trasmettersi anche per immagini. Senza la loro "guida" e senza un profondo con-sentire sarà impossibile condurre la nostra "visita". Ma syn-pathein è possibile, a sua volta, solo se in noi permane l´eco di ciò che andiamo "visitando". Ciò che nel "moderno" è il valore emeneutico del pathos, in quanto capacità di connessione, in quanto organo di una "logica dell´analogia", deve "ricordare" in sé, per poterci permettere di intendere il più profondo passato, l´esperienza che di esso, come del loro presente, compirono gli uomini che lo attraversarono.

(Autore: Massimo Cacciari; fonte Link: La Repubblica)