28/02/11

Viaggio: Parole delle Fedi, quaderno n. 34


di Gianni Vacchelli


Il viaggio è unesperienza comune a tutti gli esseri umani, come il corpo, il mangiare, il sonno e il riso. Viaggiare, camminare, mettersi in movimento, spostarsi, migrare sono modalità familiari e conosciute in tutte le epoche, in ogni civiltà e a ogni latitudine. E il tema del viaggio è quindi universalmente noto e presente nelle culture, nelle letterature, nei testi sacri, nei miti, nella topica, nei riti, nei vissuti di ogni civiltà. In questo senso potremmo dire che il viaggio è una dimensione archetipica, originaria, ontonomica delluomo. Naturalmente non stiamo affermando che il viaggiare e quindi il tema del viaggio siano uguali in tutte le culture e in tutte le epoche. Sembra quasi ovvio, ma la semplificazione, lomologazione, la mancanza di prospettiva -non solo cronologica, ma anche interculturale- stanno sempre in agguato.

Prendendo a prestito alcune categorie del grande filosofo e teologo Raimon Panikkar, potremmo dire che il viaggio è un invariante umano, ma non un universale culturale. Infatti, come spiega Panikkar stesso,
ci sono invarianti umani - tutti gli uomini mangiano, tutti gli uomini ridono, tutti hanno un corpo, danzano, hanno una certa socialità, parlano; ma non ci sono universali culturali, cioè non c’è nessun valore culturale che regga universalmente, e molto meno a priori. In ogni tempo c’è un certo mito dominante che permette alcuni universali culturali, ma questi variano con il tempo. ... Il fatto che tutti gli uomini mangino non vuol dire che il mangiare abbia per gli uomini lo stesso senso e quindi produca gli stessi risultati.
Insomma, la prospettiva interculturale che anima questo breve saggio è fondamentale per non peccare di facili riduzionismi. Incontrare il viaggio significa incontrare (anche) la pluralità dell
esperienze umane, la policromaticità della realtà stessa. Ci torneremo.

Il viaggio: un giardino di simboli, una rete di metafore

Il viaggio poi, specie nella tradizione occidentale, intesse una rete metaforica imponente ed è un vero e proprio giardino di simboli: la morte è un viaggio, che sia "trapasso" o "ritorno a Dio", al mistero o al nulla, ma la vita stessa lo è, la si chiami appunto "il cammin di nostra vita" dantesco, o un pellegrinaggio, o la via. "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14,6), dice il Vangelo, e il mistero dell
esistenza, che in verità è al di là dei nomi, per Lao-tze è Tao, "Via". Per Caterina da Siena "siamo tutti viandanti e pellegrini", e luomo sulla terra, ci ricorda Tommaso dAquino, è "per così dire in cammino". Secondo le Upanishad siamo simili a colui che viaggia e vaga dappertutto per trovare un tesoro, che è proprio nascosto... sotto i suoi piedi.
Insomma: l
uomo è viator, costitutivamente. Se poi per le tradizioni abramiche (ebraismo, cristianesimo e islam) la via deve portare in "patria", e questa vita è solo un passaggio per quella definitiva, per altre, specie dOriente, ogni passo è tutto il cammino, nel presente sta leterno: "Quando cammini, cammina" recita un detto zen. E su questo molti mistici (anche ebraici, cristiani e islamici) sarebbero daccordo.
Anche i riti di passaggio, le iniziazioni sono viaggi, ma su questo ci concentreremo particolarmente nelle prossime pagine. Persino spostamenti non troppo grandi diventano programmaticamente, nel nostro parlar comune, "viaggi". E muoversi dentro un testo non è forse viaggiare, per auscultarne, sottolinearne, amarne un "passo"? Ancora una metafora odeporica. E la parola stessa "metafora" dal greco metaphoréin, "trasportare", ci riporta dove abbiamo iniziato.

Il tema del viaggio: tra racconto e scrittura; tra mito, religione e letteratura

Se l
esperienza-viaggio è così centrale, non stupisce certo che essa da sempre sia al centro di racconti orali e scritti. Non solo racconti di viaggio, naturalmente. Questo è un genere o forse un sottogenere. Miti, fiabe, testi sacri, poemi, romanzi parlano di viaggi e sono viaggi essi stessi. E in generale mitologie, religioni, letterature, topiche di ogni parte del mondo hanno i loro viaggi, raccontano ascese e discese, fanno del viaggio il centro o almeno uno dei "fuochi" di riferimento.
Si prendano ad esempio la Bibbia e l
Odissea, i due testi fondanti dellOccidente (Auerbach). Ebbene il viaggio, lesodo, la fuga, landare, il raggiungere e/o il ritornare sono al centro dei due grandi libri, così diversi ma anche così pieni di comuni suggestioni. Se Odisseo-Ulisse è il prototipo del viaggiatore in Occidente e Abramo "il migrante" è il padre delle tre fedi che da lui chiamiamo abramiche, viaggiano anche Giasone e gli Argonauti, Enea, Dante, Muhammad nella sua misteriosa ascesa ai cieli, e viaggiando, come un essere soprannaturale scompare Lao-tze: a cavallo di un bue si diresse verso Occidente, fermandosi solo al valico dellOvest, dove dettò a Yin Xi, il guardiano del passo, il suo famoso libro, il Tao te ching. Così anche Lie-zi, il secondo grande santo taoista, vissuto forse tra il V e IV secolo a.C., "si spostava cavalcando il vento. Viaggiava in modo piacevolissimo, e in capo a quindici giorni faceva ritorno" (Zhuang-zi). E viaggiò e vagò Gautama Buddha, prima di giungere allilluminazione e quel vagare e viaggiare furono una discesa e unascesa nella profondità del reale.

Mille e mille viaggi, un tema inesauribile (e ancora da esplorare)

Insomma, si potrebbero citare infiniti viaggi e innumerevoli viaggiatori.
Il tema è così importante, vasto, variegato, simile e differente, antico e modernissimo che volerci scrivere sopra un libro di piccole dimensioni è quasi un azzardo, una rotta pericolosa, un "dubbioso passo". Opera ben più grande e a più voci merita un simile argomento.
Inoltre le prospettive attraverso le quali percorrerlo sono veramente molteplici: storia, sociologia, antropologia, storia delle religioni, mitologia, letterature (comparate e non), economia ecc.
Basta poi una libreria ben fornita per accedere a pubblicazioni numerosissime che, a vario titolo, si occupano di viaggi: si pensi solo alle intere scaffalature dedicate alle guide turistiche e simili.
Tuttavia se si cercano indagini ampie e complessive sul viaggio dal punto di vista antropologico, sociologico, religioso ecc. si trovano molti meno titoli di quanto si potrebbe pensare.
Di fatto poi sembra ancora mancare un vero e proprio fronte di studi interculturali sul tema, che affronti il viaggio nelle varie religioni, mitologie, culture, letterature, con sguardo dialogico.
Insomma: moltissimo resta da fare, da esplorare, da, è il caso di dirlo, viaggiare.

Il viaggio mistico e iniziatico nelle varie tradizioni

La delimitazione del campo di indagine quindi è quanto mai necessaria.
Da qui la nostra scelta di occuparci di una particolare forma di viaggio, presente nei miti, nelle tradizioni religiose, ma anche nelle letterature di ogni tempo: il viaggio mistico e iniziatico. Potremmo anche chiamarlo, fatte le debite precisazioni, viaggio interiore, simbolico.
Se "l
iniziazione è lesperienza umana per eccellenza", ed è "una pratica universale" (Mircea Eliade) ha ben senso occuparsene oggi, dove il turismo globale ci porta certo in poche ore da un capo allaltro del mondo, ma rischia sempre luniformità, lomogeneizzazione, la superficialità.
Il viaggio iniziatico invece costantemente ci chiama ad andare in profondità, di noi stessi, dell
altro e della realtà.

Cos
è un viaggio iniziatico?

Ma che cosa s
intende con viaggio iniziatico? E che cosè uniniziazione?
Il termine "iniziazione" viene dal latino initiatio, derivato da initium, e a sua volta dal verbo in-eo ("entrare dentro, iniziare"). E l
iniziazione è una "vita nuova", una rinascita, un passaggio -o una serie di passaggi, di tappe, proprio come in un viaggio - che implica il superamento di una o più soglie e lentrata in un altro livello di coscienza, in un nuovo stato di vita.
Del resto è costitutivo dell
uomo
il desiderio di aprirsi a una vita più autentica, una vita che sfugga alla banalità, una vita in cui superiamo i limiti del tempo e dello spazio che sembrano tenere così prigioniera l
esistenza umana. Questo desiderio è generalmente collegato alla convinzione che abbiamo bisogno di un atto sacro, di un sacrificio per poterlo realizzare. Pensiamo qui a ciò che gli storici delle religioni sono soliti chiamare iniziazione, il rito con cui una persona passa dallapparenza alla realtà, dallillusione alla verità, dalla vita adolescenziale alla vita nella sua pienezza; iniziazione che si può paragonare alla vera o seconda nascita.
Liniziazione non è qualcosa di esotico, di enigmatico, un fenomeno da magic shop: essere iniziato significa dare qualità alla vita, viverla a fondo, attraverso un inesausto lavoro interiore, ma anche con ricettiva apertura al mistero, alla grazia, allo spirito che soffia dove e come vuole. In questo senso liniziazione non è solo per pochi, ma è a disposizione di tutti, il che non significa che sia a buon mercato.

Il viaggio mistico e iniziatico secondo Eliade, Mazzarella e Campbell

Secondo Mircea Eliade, l’iniziazione è un processo destinato a realizzare psicologicamente il passaggio da uno stato dell’essere ritenuto inferiore a uno superiore. Essa equivale a una mutazione ontologica del regime esistenziale. Alla fine del processo il neofita fruisce di un’esistenza del tutto diversa rispetto a prima: è diventato un altro. Per giungere a questa metamorfosi i novizi sono sottoposti a una serie di prove, che implicano di fatto, in modo più o meno trasparente, una morte rituale, iniziatica, seguita da una risurrezione e da una nuova nascita.
Altri elementi importanti e spesso ricorrenti sono:
a) la preparazione (fisica, psicologica, spirituale) al viaggio;
b) un luogo sacro (montagna, caverna, labirinto ecc.);
c) l
importanza della guida, di uno o più maestri o mistagoghi;
d) il tema dell
errore (spesso causato da immaturità, inesperienza);
e) il sacrificio e/o il rito;
f) le nozze mistiche, la ierogamia (con il principio divino ecc.).
In modo analogo e diverso, la dantista Adriana Mazzarella individua le seguenti caratteristiche del viaggio iniziatico:
a) prove di grande impegno fisico e/o psicologico e spirituale da superare;
b) indispensabilità di una o più guide (esterne e/o interiori);
c) passaggi di morte-risurrezione, cioè di morte a un vecchio livello di coscienza per risorgere a uno nuovo;
d) viaggio attraverso i tre mondi presenti in tutte le tradizioni esoteriche;
e) importanza di un "raggio celeste", di un principio femminile mediatore che può essere fisico, ma che rimanda anche ad altro: Sapienza, Sophia, femminile interiore, aspetto femminile del divino, Shekinah, Buddhi ecc.;
f) unione con il Principio supremo come fine del viaggio.
Infine Joseph Campbell, descrivendo l’avventura dell’eroe come dinamismo iniziatico, evidenzia tre tappe fondamentali, all
interno delle quali si trova tutta una serie di possibili sviluppi. Abbiamo così:
1) la partenza;
2) l
iniziazione;
3) il ritorno.
A sua volta nella prima tappa possiamo trovare: 1a) l’appello e l’uscita dal mondo ordinario; 1b) il rifiuto dell’appello; 1c) l’aiuto soprannaturale; 1d) il varco della prima soglia; 1e) il "ventre della balena". Nella seconda: 2a) le prove; 2b) l’incontro con la dea; 2c) la donna quale tentatrice; 2d) la riconciliazione con il padre; 2e) l’apoteosi; 2f) l’ultimo dono. Nella terza: 3a) il rifiuto a tornare; 3b) la fuga magica; 3c) l’aiuto dall’esterno; 3d) il varco della soglia del ritorno; 3e) Signore dei due mondi; 3f) libero di vivere.

Iniziazione e mistica

Come nella tradizione cristiana primitiva in cui i termini "iniziazione" e "mistica" erano intimamente connessi, così abbiamo parlato di viaggio mistico e iniziatico. Con mistico qui vogliamo sottolineare alcuni aspetti dell’esperienza raccontata: a) essa rimane almeno in parte ineffabile, nonostante tutti gli sforzi per dirla: la parola rimanda al silenzio, al mistero; b) si tratta poi di un’esperienza integrale della vita; la mistica porta a vivere con pienezza la vita qui e ora (senza rimandare solo a un aldilà o a un’escatologia), vita che è insieme corpo, anima e spirito, o anche materia, coscienza e mistero d’infinità (che alcune tradizioni - non tutte!- chiamano Dio). La mistica insomma è un’esperienza olistica dell’esistenza e non solo uno "specialismo del divino"; c) l’uomo in essa vive il suo compimento, che alcune tradizioni chiamano divinizzazione, altre illuminazione, realizzazione ecc. (cfr. theosis, nirvana, satori, moksha).
Il viaggio mistico e iniziatico è anche un viaggio interiore, perché conduce chi lo vive nelle profondità di sé stesso e della realtà tutta. Interiore non significa intimistico e neppure comporta che la vita esterna, il viaggio esterno per così dire, debba essere trascurato. Interno ed esterno, viaggio spirituale e fisico stanno in unione a-duale. In questo senso il viaggio è anche simbolico, perché "getta insieme" etimologicamente le dimensioni della realtà, che è insieme cosmica, umana e divina (o cosmoteandrica).

La dimensione iniziatica lato sensu

Abbiamo brevemente delineato le caratteristiche del viaggio mistico e iniziatico. Naturalmente questo implica ricercarne le istanze descritte negli esempi proposti, che siano la Commedia di Dante, la vicenda di Gautama Buddha, il mito vedico di Shunahshepa ecc. Non necessariamente esse sono tutte presenti in uno stesso racconto e naturalmente vengono declinate e vissute secondo la cultura, la tradizione presa in esame.
Tuttavia la categoria del viaggio iniziatico è qui utilizzata in senso allargato (lato sensu), senza vincolarsi a classificazioni etnografiche, antropologiche, religiose ecc., che certo sono legittime e importanti, ma che non rientrano nello scopo del presente libretto, il cui taglio per così dire è "discorsivo", ma anche esistenziale, sapienziale.
Ci interessa insomma vedere come anche una dimensione iniziatica lato sensu sia presente, esplicita o in latenza, in molti dei grandi testi presi in esame, come, per altro, in ogni vero viaggio, in ogni esistenza vissuta in profondità. Infatti ogni "mito" - inteso qui nella sua accezione etimologica e allargata di "racconto sacro" - narra un’esperienza trasformante, non solo intellettuale, ma di tutta la nostra vita, e ad essa chiama. La dimensione iniziatica così intesa è quindi anche ricerca profonda di senso (di sé e della realtà), di verità, di trasformazione, di incontro.
Per questo potremmo dire che ogni grande testo (anche letterario) ha in sé una dimensione iniziatica da vedere, leggere e vivere. In alcuni casi può anche essere raccontato con icastica verità un viaggio fallito: ad esempio Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Stevenson è una specie di manuale dell’anti-iniziazione. In questo senso molta letteratura novecentesca (cui faremo solo un breve cenno) è abitata da questa nostalgia dell’iniziazione. Essa, nel nostro mondo tecnologico, globalizzato e paneconomicista, si è fatta molto difficile, problematica, quando non di fatto inattuabile. Eppure i grandi romanzi e i grandi testi poetici la inseguono, la cantano, cercano, anche invano, di ritrovarla.
Insomma: l’esperienza iniziatica, specie intesa lato sensu, è patrimonio di tutti e non di un’élite più o meno esoterica (anche se è esistita e può ancora darsi un’"iniziazione segreta").

La mappa interculturale del saggio e il mistero dell'altro

La dimensione interculturale percorre poi tutto questo nostro "piccolo viaggio". Da una parte, letteralmente, perché qui si incontrano mondi vicini e lontani, nostri e "altri": quello della Bibbia, dell’archetipo odissiaco (da Omero a Dante fino all’odissea postmoderna di Thomas Pynchon), con cenni al viaggio nella qabbalah e nella mistica islamica; ma pure si abbordano altri orizzonti di senso, altre cosmovisioni, diverse dalla nostra occidentale e giudaico-cristiano-islamica: ecco allora il grande mito vedico di Shunahshepa, il cammino del Buddha, il viaggio verso il risveglio di Mani e la discesa nel regno dei morti della mitologia bantu.
Ovviamente non si tratta di semplice multiculturalismo e tanto meno di folklore, ma di consapevolezza che soltanto attraverso un profondo dialogo tra le tradizioni è possibile trovare un incontro creativo e forse anche delle soluzioni inedite per il nostro travagliato periodo storico. Il dialogo di cui parliamo ha esso stesso natura iniziatica: comporta una profonda trasformazione di chi lo vive, anche una sorta di morte alle proprie credenze per entrare in un rapporto di mutua fecondazione con l’altro. L’altro non è tanto l’estraneo, ma, come vuole l’etimologia latina (alter), "l’altro tra due", "l’altra parte di me". Insomma: il mistero dell’altro mi rivela. L’altro è per me esperienza di rivelazione, come io posso esserlo per lui.

Un’interculturalità a tutto campo

Ancora però: la dimensione interculturale è intesa qui in senso quanto mai allargato (come il viaggio iniziatico).
Cioè intercultura non è soltanto incontro con "l’altra cultura" (ad esempio l’Asia, l’Africa ecc.). Ogni vero viaggio (ergo non meramente turistico) reca in sé, in nuce o esplicito, una dinamica di trascendimento di sé, del proprio mondo, una sorta di straniamento, di disorientamento, che può preludere a una rinascita. Il distacco dal noto mi porta in un "altrove", in un incognito, in un inaspettato che è un altro lato di me da scoprire, senza pure mai essere completamente riducibile a me. Ogni vero viaggio mi porta a confronto con il mio prossimo, con lo straniero, diverso e simile a me. Ogni vero viaggio mi porta a un incontro interiore (oltre che esteriore), dove le classificazioni del mio ego vacillano. L’incontro del Sé, per l’Io, per usare un linguaggio di sapore psicoanalitico, è un profondo dinamismo interculturale (e non può avvenire senza l’altro). L’interculturalità unisce interno ed esterno ed è anche quindi intra-culturalità.
In questo senso rileggere i propri testi fondativi (ad esempio la Bibbia, l’Odissea, l’Eneide, la Commedia ecc.) alla luce della dimensione mistico-iniziatica e in fecondo dialogo con altre cosmovisioni è un momento fortemente interculturale.
Ritorno alla mia "culturalità" fecondato da un lungo viaggio a contatto con "gli altri" e rileggo "l’albero delle mie origini" più in profondità, con più ampiezza, senza sradicarlo, ma ricordando anche che le radici hanno tronco, fusto e frutti, e che il protendersi dei rami del "mio" albero va anche in direzioni che forse non avevo previsto o non vedevo prima. Se il sole sorge a oriente, la mia pianta vi si volge naturalmente.
Tutto è interconnesso.

Sommario:

Introduzione
Il viaggio, dimensione originaria, 5

La Bibbia e il viaggio iniziatico di Giuseppe e i suoi fratelli, 18
L'archetipo odissiaco, Dante... e altri viaggi, 29
Un grande mito vedico sulla condizione umana, 38
La vita di Buddha come viaggio, 45
Il manicheismo tra universalismo e iniziazione, 53
Una strana discesa africana agli inferi, 58
Per concludere e soprattutto... per continuare il viaggio, 61

Autore:
Vacchelli Giovanni

È professore di letteratura italiana in un liceo classico del milanese e collabora con l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È membro fondatore della Comunità di Ricerca "Raimon Panikkar" presso l'Università degli studi di Bergamo.

editrice missionaria italiana: http://www.emi.it/schede/1882-1.html

23/02/11

Il secondo numero del bimestrale STORIA VERITA’

L’EDITORIALE

Sesso e Potere è il tema portante di questo secondo numero del bimestrale STORIA VERITA’. Un tema apparentemente ‘leggero’, magari per alcuni imbarazzante, ma sicuramente ‘storico’ e veritiero, cioè portatore di dati utili per comprendere la realtà di alcune importanti vicende dell’Evo antico, medioevale, moderno e contemporaneo. Questa nostra scelta – teniamo a precisarlo – non va ricondotta ad un mero prurito culturale, o peggio, ad una provocazione furba e tale da cavalcare i tempi attuali (si pensi alle note vicende berlusconiane a sfondo sessuale), bensì ad una specifica necessità, quella di fare chiarezza e indagine seria su fatti storici condizionati dal binomio Sesso e Potere, anche perché nel corso della Storia la vicinanza di questi due fattori ha indirizzato scelte di uomini e donne, contribuendo a tracciare il solco degli eventi vissuti dall’intera umana specie. Bando dunque alle facili, anche se lecite, critiche che giungeranno sulle nostre teste e soprattutto agli attacchi moralisti tanto utilizzati dagli alfieri del ‘politicamente corretto’ e dai supporter di una storiografia ‘seriosa’ (ma spesso non ‘seria’) e, se ci consentite, terribilmente tediosa. Cultura la si fa – noi lo crediamo – anche con il sorriso sulle labbra, in piena gaiezza (come è nostro stile), e non necessariamente con il cilicio o con viso corrucciato e la fronte dolentemente segnata dalle rughe di un incomprensibile dolore esercitato in nome di un’Umanità da salvare a tutti i costi: tratto fisionomico – diremmo quasi caratteristica psico-antropologica – dell’ homo sapiens sinistrensis, cioè dell’intellettuale ‘progressista’ che della suddetta Cultura non fa solo un vano sapere ‘erudito’, ma un mezzo per annoiare il prossimo e allontanare i giovani dalla Storia. Basti pensare ai danni quasi irreparabili inferti da un Camera Fabietti o da un Procacci, autori ‘scolastici’ che hanno indotto intere generazioni di liceali a maledire la Storia come materia di studio in quanto ad essi somministrata al pari di un micidiale lassativo. Sesso e Potere nel corso della Storia ci siamo dunque prefissi come idea e spunto di riflessione, ma tenendo pur sempre in considerazione la vasta accezione del termine ‘sesso’ inteso non solo e soltanto come pratica più o meno interessata ed appagante, ma come Donna. Eh si, poiché – come è noto ai più – nel corso della Storia (ma anche della mitologia e della leggenda) il rapporto tra Donna e Potere (riferito, quest’ultimo, ad Istituzione e/o Governo) è stato sempre intrecciato: magari velato, ma saldo e condizionante, al di là di una visione apparentemente maschile e quindi testosteronica dell’evoluzione delle civiltà. Senza scomodare Elena di Ilio, la cui paradigmatica, ma fantasiosa vicenda galleggia sulle acque del magico Egeo, di Donne che hanno segnato l’evolversi del mondo se ne contano non poche. Donne filosofe, come Ipazia di Alessandria; Donne con spiccata attitudine al comando, come Irene di Bisanzio; Donne di diplomazia spinta, come la contessa di Castiglione. E poi a seguire: Donne ideologiche, Donne consigliere, Donne spia e ‘semplici’ (si fa per dire) Donne-mogli, che in virtù del loro amore e del loro raffinato intelletto (si pensi ad una imperatrice come Teodora, consorte di Giustiniano) hanno contribuito ad elevare di molto la gloria dei propri – magari già capaci – compagni. Insomma: Sesso e Potere inteso come legame, come necessità, come frequente caso, come opportunità di sviluppo, ma anche di sciagura. Due parole, ora, sulla struttura di questo numero di STORIA VERITA’ (portato da 56 a 60 pagine). Fedeli alla consegna del ‘fare Storia’ e Cultura senza annoiare, la Direzione ha ritenuto opportuno arricchire e spezzare la testata con alcune Rubriche fisse e con accorgimenti atti a fare riprendere fiato al Lettore: foto curiose, libri da riscoprire, aforismi impossibili e via dicendo. Speriamo che i nostri sforzi vengano apprezzati, come auspichiamo che vengano graditi tutti gli ottimi servizi a seguire nella seconda parte di questo numero: articoli di varia natura, scelti per completare e moderare il già piccante desco (Sesso e Potere) attraverso riflessioni, diciamo ‘digestive’, su fatti e accadimenti, magari più lievi e tradizionali, almeno in apparenza, ma che in ogni caso sono storia nella Storia. Ma preferiamo, a questo proposito, non anticipare nulla; a Voi la sorpresa. E buona lettura a tutti.

Alberto Rosselli

Direttore responsabile

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21/02/11

La Geopolitica della Romania secondo Dughin


di Aleksander G. Dughin

I geni romeni e l’identità romena

La Romania ha dato al mondo, specialmente nel XX secolo, tutta una pleiade di geni di livello mondiale : Nae Ionescu, Mircea Eliade, Emil Cioran, Eugen Ionescu, Ştefan Lupaşcu, Jean Pârvulescu, Vasile Lovinescu, Mihail Vâlsan e molti altri.

Per quanto sia un piccolo Paese dell’Est europeo, sul piano intellettuale la Romania ha dato un contributo significativo alla civiltà, paragonabile a quello delle grandi nazioni europee e per poco non le ha superate. L’intellettualità romena ha di caratteristico che essa riflette lo spirito del pensiero europeo ed è indissolubilmente legata allo spirito tradizionale, traendo le proprie origini dalla terra e affondando le proprie radici nell’Antichità e nell’Ortodossia di un immutato Oriente europeo.

Nel suo saggio su Mircea Eliade e l’unità dell’Eurasia, riferendosi alla natura eurasiatica della cultura romena, Claudio Mutti cita Eliade : « Mi sentivo il discendente e l’erede di una cultura interessante perché situata fra due mondi : quello occidentale, puramente europeo, e quello orientale. Partecipavo di questi due universi. Occidentale per via della lingua, latina, e per via del retaggio romano, nei costumi. Ma partecipavo anche di una cultura influenzata dall’Oriente e radicata nel neolitico. Ciò è vero per un Romeno, ma sono sicuro che sia lo stesso per un Bulgaro, un Serbo-Croato – insomma per i Balcani, l’Europa del Sud-Est – e per una parte della Russia » (M. Eliade, L’épreuve du Labyrinthe. Entretiens avec Claude-Henri Rocquet, Pierre Belfond, Paris 1978, pp. 26-27).

L’identità romena presenta una simbiosi tra vettori di civiltà orientali e occidentali, senza che gli uni prevalgano sugli altri. In ciò consiste l’unicità della Romania come società e come territorio e dei Romeni come popolo. La Romania e i Romeni si sono trovati divisi tra gl’imperi dell’Oriente (l’impero ottomano) e dell’Occidente (l’impero austro-ungarico), appartenendo alla chiesa ortodossa di rito bizantino e alla famiglia dei popoli di lingua neolatina.

Per gli eurasiatisti russi, questo è solo uno dei punti di approccio possibili, poiché essi prendono in considerazione una combinazione di coordinate occidentali ed orientali nella cultura e nella storia russa, dichiarando una specifica identità del popolo russo e dello Stato russo.

Quindi, nel quadro del dialogo culturale romeno-russo dovrebbe esser considerata la dottrina dell’eurasiatismo, la quale è autonoma, però, grazie alle varietà e alle proporzioni di cui essa dispone, ci offre una solida base per un mutuo approccio, ed una comprensione e un’amicizia reciproche.

Perciò la traduzione in romeno del libro I fondamenti della geopolitica, che contiene il programma della scuola geopolitica russa dell’eurasiatismo, può essere considerata un’opera di riferimento. Confido nel fatto che i Romeni, entrando in familiarità con la dottrina geopolitica dell’eurasiatismo di scuola russa, comprendano il paradigma del pensiero e dell’azione di Mosca sia in relazione al passato, sia in relazione al presente.

La Romania e la struttura delle opzioni geopolitiche (euroatlantismo ed eurocontinentalismo)

Adesso, alcune parole sulla geopolitica della Romania. Nelle condizioni attuali, l’espressione « geopolitica della Romania » non è molto appropriata, se prendiamo in considerazione la Romania come soggetto di geopolitica. Nell’architettura del mondo contemporaneo un soggetto del genere non esiste. Ciò è dovuto alla logica della globalizzazione, nella quale il problema si presenta in questi termini : o ci sarà un solo « Stato mondiale » (world state), con un governo mondiale guidato e dominato direttamente dall’ « Occidente ricco », in primo luogo dagli USA, oppure si stabilirà un equilibrio tra i « grandi spazi » (Grossraum) dei « nuovi imperi », i quali integreranno quelli che finora abbiamo conosciuto come « Stati nazionali ». Nel nostro mondo, o si passerà dagli Stati nazione sovrani (come nell’Europa tra il XVI e il XX secolo) al governo mondiale (mondo unipolare) o avrà luogo il passaggio verso un nuovo impero (mondo multipolare).

In entrambi i casi, la dimensione della Romania come Stato non ci consente di dire – nemmeno in teoria – che la Romania possa diventare un « polo »; perfino la Russia, col suo potenziale nucleare, le sue risorsse naturali e il suo messianismo storico, si trova in una situazione analoga.

In tali condizioni, la « geopolitica della Romania » costituisce una sezione della « geopolitica dell’Europa unita ». Questo non è soltanto un dato politico attuale, essendo la Romania un Paese membro dell’Unione Europea, ma è un fatto inevitabilmente connesso alla sua situazione geopolitica. Anzi, la stessa « geopolitica dell’Europa unita » non è qualcosa di garantito e sicuro. Perfino l’Europa presa nel suo insieme, l’Unione Europea, può basare la sua sovranità solo su un mondo multipolare ; solo in un caso del genere l’Europa sarà sovrana, sicché la Romania, in quanto parte dell’Europa, beneficerà anch’essa della sovranità. L’adozione del modello americano unipolare di dominio, che rifiuta all’Europa la sovranità, coinvolge anche la Romania in quanto parte dell’Europa.

Perciò la familiarità con le questioni geopolitiche non è qualcosa di necessario e vitale, ma l’argomento va preso in considerazione quando si tratta di allargare l’orizzonte intellettuale.

In verità, se prendiamo in considerazione quello che abbiamo detto più sopra in relazione al contributo dei Romeni alla scienza ed alla cultura dell’Europa, la geopolitica potrebbe essere una base molto importante per determinare il ruolo e le funzioni della Romania nel contesto europeo. Non è quindi casuale il fatto che le prospettive geopolitiche occupino una parte significativa nei romanzi di quell’Europeo esemplare che è stato l’eccellente scrittore franco-romeno Jean Pârvulescu, saggista, poeta e pensatore profondo.

Il dilemma della geopolitica europea può essere ricondotto a una scelta fra l’euroatlantismo (riconoscimento della dipendenza da Washington) e l’eurocontinentalismo. Nel primo caso l’Europa rinuncia alla sua sovranità in favore del « fratello maggiore » oltremarino, mentre nel secondo caso essa insiste sulla propria sovranità (fino a organizzare un modello geopolitico e geostrategico proprio). Questa opzione non è completamente definita e sul piano teorico dipende da ciascuno dei Paesi dell’Unione Europea, quindi anche dalla Romania. Per questo motivo, che ha a che fare con la geopolitica della Romania nel senso stretto del termine, nel contesto attuale si rende necessaria una partecipazione consapevole e attiva nella scelta del futuro dell’Europa : dipendenza o indipendenza, vassallaggio o sovranità, atlantismo o continentalismo.

Una geopolitica del « cordone sanitario »

Nella questione dell’identità geopolitica dell’Europa è possibile individuare il modello seguente : ci sono i Paesi della « Nuova Europa » (New Europe), paesi est-europei che tendono ad assumere posizioni russofobiche dure, aderendo in tal modo all’orientamento euroatlantico, delimitandosi ed estraniandosi dalle attuali tendenze continentali della Vecchia Europa, in primo luogo la Francia e la Germania (la Gran Bretagna è tradizionalmente alleata degli USA).

Questa situazione ha una lunga storia. L’Europa dell’Est è stata continuamente una zona di controversie tra Europa e Russia : ne abbiamo un esempio tra il secolo XIX e l’inizio del secolo XX, quando la Gran Bretagna usò deliberatamente questa regione come un « cordone sanitario » per prevenire una possibile alleanza tra la Russia e la Germania, alleanza che avrebbe posto fine al dominio anglosassone sul mondo. Oggi si verifica ancora la stessa cosa, con la sola differenza che adesso viene messo l’accento sui progetti energetici e nei Paesi del « cordone sanitario » si fa valere l’argomento secondo cui si tratterebbe anche di una rivincita per l’ « occupazione sovietica » del XX secolo. Argomenti nuovi, geopolitica vecchia.

La Romania è uno dei Paesi della « Nuova Europa » e quindi fa oggettivamente parte di quel « cordone sanitario ». Di conseguenza, la scelta geopolitica della Romania è la seguente : o schierarsi dalla parte del continentalismo, in quanto essa è un Paese di antica identità europea, o attestarsi su posizioni atlantiste, adempiendo in tal modo alla funzione di « cordone sanitario » assegnatole dagli USA. La prima opzione implica, fra le altre cose, la costruzione di una politica di amicizia nei confronti della Russia, mentre la seconda comporta non solo un orientamento antirusso, ma anche una discrepanza rispetto alla geopolitica continentalista dell’Europa stessa, il che porta a un indebolimento della sovranità europea in favore degli USA e del mondo unipolare. Questa scelta geopolitica conferisce a Bucarest la più grande libertà di abbordare i problemi più importanti della politica internazionale.

La Grande Romania

Come possiamo intendere, in questa situazione, il progetto della costruzione geopolitica nazionalista della Romania, progetto analogo a quello noto col nome di « Grande Romania » ? In primo luogo si tratta della tendenza storica a costruire lo Stato nazionale romeno, tendenza sviluppatasi in condizioni storiche e geopolitiche diverse. Qui possiamo richiamarci alla storia, a partire dall’antichità geto-dacica e citando Burebista e Decebalo. In seguito sorsero i principati di Moldavia e di Valacchia, formazioni statali che esistettero in modo indipendente fino alla conquista ottomana.

Bisogna menzionare anche Michele il Bravo, che agli inizi del secolo XVII realizzò l’unione di Valacchia, Moldavia e Transilvania. Fu solo nel secolo XIX che la Romania conquistò la propria statualità nazionale, la quale venne riconosciuta nel 1878 al Congresso di Berlino. Il peso strategico della Romania è dipeso, anche nelle condizioni della conquista dell’indipendenza, dalle forze geopolitiche circostanti. Fu una sovranità relativa e fragile, in funzione dell’equilibrio estero di potenza, tra Sud (impero ottomano), Ovest (Austria-Ungheria, Germania, Francia, Inghilterra) ed Est (Russia). Di conseguenza, l’obiettivo “Grande Romania” rimase una “utopia geopolitica nazionale”, anche se ricevette un’espressione teorica integrale coi progetti di realizzazione di uno Stato romeno tradizionalista dei teorici della Guardia di Ferro (Corneliu Zelea Codreanu, Horia Sima), mentre nel periodo seguente la Realpolitik di Bucarest fu obbligata, da forze di gran lunga superiori al potenziale della Romania, a operare una scelta: Antonescu fu attratto verso la Germania, Ceausescu verso l’Unione Sovietica.

Per rafforzare l’identità nazionale, l’”utopia nazionale” ed anche l’”utopia geopolitica”, è estremamente importante non rinunciare in nessun caso al progetto “Grande Romania”, ma non si prendono in considerazione gli aspetti concreti dell’immagine della carta geopolitica, poiché un appello all’”ideale” potrebbe essere un elemento di manipolazione, tanto più che la Romania non dispone, nemmeno di lontano, della capacità di difendere, in queste condizioni, la sua sovranità sulla Grande Romania nei confronti dei potenziali attori geopolitici a livello globale e regionale (USA, Europa, Russia).

La strumentalizzazione del nazionalismo romeno da parte dell’atlantismo

Una delle forme più evidenti di strumentalizzazione dell’idea di “Grande Romania” si manifesta ai giorni nostri, quando una tale idea viene utilizzata negli interessi dell’atlantismo. Ciò ha uno scopo evidente: il nazionalismo romeno (perfettamente legittimo e ragionevole di per sé) nella Realpolitik fa appello all’idea di integrazione della Repubblica di Moldavia. Sembrerebbe una cosa del tutto naturale. Ma questo legittimo desiderio dell’unione di un gruppo etnico in un solo Paese, nel momento in cui la Romania è membro della NATO, sposterebbe ulteriormente verso la Russia le frontiere di questa organizzazione e, in tal caso, le contraddizioni tra Mosca e l’Unione Europea – e l’Occidente in generale - si esacerberebbero. In altri termini, l’utopia nazionale della “Grande Romania” si trasforma, nella pratica, in una pura e semplice estensione del “cordone sanitario”, la qual cosa non avverrebbe a beneficio dell’Unione Europea, bensì degli USA e dell’atlantismo. In questo contesto, il progetto atlantista mira in fin dei conti a privare l’Europa della sua sovranità, mostrando indirettamente il suo carattere antieuropeo o, quanto meno, anticontinentalista.

All’integrazione della Repubblica di Moldavia si aggiunge anche la Transnistria, che per la Russia rappresenta una posizione strategica in questa regione. Dal punto di vista strategico la Transnistria è molto importante per Mosca, non solo in quanto si tratta di una leva su cui essa può agire nelle relazioni a lungo termine con la Repubblica di Moldavia, ma, fatto più importante, nella prospettiva del probabile crollo dell’Ucraina e della sua divisione in due parti (orientale e occidentale), che prima o poi si verificherà per effetto della politica di Kiev successiva alla “rivoluzione arancione”. Nei Fondamenti della geopolitica c’è un capitolo sulla disintegrazione dell’Ucraina. Il capitolo in questione è stato scritto all’inizio degli anni Novanta, ma, dopo la “rivoluzione arancione” del 2004, questa analisi geopolitica è diventata più esatta, più precisa. In una certa fase, la Transnistria diventerà un’importantissima base della Russia nella regione. In questa prospettiva, la Grande Romania diventa un ostacolo, cosa che gli strateghi atlantisti hanno previsto fin dall’inizio.

Le frizioni tra Romania e Ungheria, così come alcune frizioni con l’Ucraina, non sono importanti per gli atlantisti e questo aspetto del nazionalismo romeno non avrà il sostegno dell’atlantismo, a meno che ad un certo momento gli USA non pensino di poterlo utilizzare per destabilizzare la situazione secondo il modello della disintegrazione jugoslava.

Puntando sui sentimenti patriottici dei Romeni, gli operatori della geopolitica mondiale si sforzeranno di raggiungere il loro specifici obiettivi.

La Romania nel quadro del Progetto Eurasia

Adesso è possibile presentare, in poche parole, il modello teorico della partecipazione della Romania al Progetto Eurasia. Questo progetto presuppone che nella zona settentrionale del continente eurasiatico si stabiliscano due unità geopolitiche, due “grandi spazi”: quello europeo e quello russo. In un quadro del genere, l’Europa è concepita come un polo, come un’area di civiltà. A sua volta, la Russia comprende il Sud (Asia centrale, Caucaso) e l’Ovest (Bielorussia, Ucraina orientale, Crimea). Il momento più importante in un’architettura multipolare è l’eliminazione del “cordone sanitario”, questo perpetuo pomo della discordia controllato dagli Anglosassoni che è in contrasto sia con l’Europa sia con la Russia. Di conseguenza questi Paesi e questi popoli, che tendono oggettivamente a costituire la Nuova Europa, dovranno ridefinire la loro identità geopolitica. Tale identità si deve fondare su una regola principale: contemporaneamente accanto all’Europa e accanto alla Russia. L’integrazione in Europa e le relazioni amichevoli con la Russia: questo è il ponte che unisce i due poli di un mondo multipolare.

Tre Paesi dell’Europa orientale, possibilmente alleati degli altri, potrebbero adempiere a questo compito meglio di altri Paesi: la Bulgaria, la Serbia e la Romania. La Bulgaria è un membro dell’Unione Europea, è abitata da una popolazione slava ed è ortodossa. La Serbia non è un membro dell’Unione Europea, è abitata da Slavi, è ortodossa e tradizionalmente simpatizza per la Russia. Infine la Romania: Paese ortodosso, con una sua missione metafisica ed una accresciuta responsabilità per il destino dell’Europa. Alla stessa maniera, ma con certe varianti, si potrebbe parlare della Grecia. In tal modo la Romania potrebbe trovare una posizione degna di lei nel Progetto Eurasia, sviluppando qualitativamente lo spazio culturale e sociale che collega l’Est (Russia) con l’Ovest (Europa), spazio che assumerebbe l’identità dei Paesi ortodossi dell’Europa, mentre le caratteristiche distintive nazionali e culturali resterebbero intatte, vale a dire non si dissolverebbero nel mondo stereotipato del globalismo né si troverebbero sotto l’influenza del modo di vita americano, che annulla tutte le peculiarità etniche. Integrandosi nell’Unione Europea e stabilendo stretti legami con la Russia, la Romania potrà assicurare il proprio sviluppo economico e potrà conservare la propria identità nazionale.

Senza alcun dubbio, questo progetto richiede un’analisi attenta e deve costituire il risultato di uno sforzo intellettuale particolarmente serio da parte dell’élite romena, europea e russa.

Correzioni all’opera: I fondamenti della geopolitica

Il libro è stato scritto per lettori russi, ma, come dimostrano le sue numerose traduzioni e riedizioni in altre lingue – specialmente in turco, arabo, georgiano, serbo ecc. – esso ha destato interesse anche al di fuori delle frontiere della Russia. Non bisogna dimenticare che esso è stato scritto negli anni Novanta del secolo scorso per quei Russi che, nel clima e nella confusione generale di riforme liberali e di espansione dell’Occidente, avevano perduto l’ideale nazionale; per lo più, infatti, esso riflette le realtà internazionali di quel periodo. Al di là di tutto questo, però, l’opera contiene riferimenti essenziali alle costanti della geopolitica – le quali sono identiche in ogni epoca – e, in modo particolare, allo spazio eurasiatico.

I principi enunciati nei Fondamenti della geopolitica sono stati sviluppati ed applicati alle nuove realtà storiche dei primi anni del XXI secolo e si ritrovano nelle mie opere successive: Progetto Eurasia, I fondamenti dell’Eurasia, La geopolitica postmoderna, La quarta teoria politica ecc.

I fondamenti della geopolitica si distingue per la presentazione del metodo geopolitico di base applicato al caso dell’Eurasia.

In diversi momenti successivi alla sua pubblicazione, il testo dei Fondamenti della geopolitica è stato riveduto, ogni volta sotto l’influenza degli eventi in divenire, e ciò ha indotto a chiarire certi punti di vista. In primo luogo, l’autore ha riveduto la sua posizione nei confronti della Turchia, posizione inizialmente negativa a causa dell’appartenenza della Turchia alla NATO, nonché dell’azione svolta negli anni Novanta dagli attivisti turchi nei Paesi della CSI. Verso la fine degli anni Novanta, però, la situazione della Turchia ha cominciato a cambiare, poiché alcuni membri dei gruppi kemalisti degli ambienti militari, così come l’élite intellettuale e molti partiti e movimenti politici si sono resi conto che l’identità nazionale turca è minacciata di scomparsa qualora Ankara continui ad eseguire gli ordini di Washington nella politica internazionale e regionale. Questi circoli sollevano un grande interrogativo, perfino per quanto concerne l’integrazione della Turchia nell’Unione Europea, proprio a causa dei timori relativi alla perdita dell’identità turca. I Turchi stessi parlano sempre più di Eurasia, vedendo in quest’ultima il luogo della loro identità, così come già fanno i Russi e i Kazaki. Per adesso i pareri sono discordi, non solo nell’élite politica, ma anche presso la popolazione. Ciò si riflette anche nel caso di alcuni dirigenti politici turchi (ad esempio il generale Tuncer Kilinc), che considerano la possibilità di ritirare la Turchia dalla NATO e di avvicinare la Turchia alla Russia, all’Iran e alla Cina nel nuovo contesto multipolare.

Di questa evoluzione della politica turca non c’è traccia nei Fondamenti della geopolitica; a tale argomento è completamente dedicato il recente lavoro L’Asse Mosca-Ankara. Nonostante i brani antiturchi, i Turchi hanno mostrato interesse nei confronti dei Fondamenti della geopolitica, che sono diventati un testo di riferimento ed un vero e proprio manuale per i dirigenti politici e militari, aprendo loro una nuova prospettiva sul mondo, non solo verso l’Occidente, ma anche verso Est.

Parimenti, nel libro non sono presi in esame la vittoria di Mosca in Cecenia, i fatti di New York dell’11 settembre 2001, i tentativi di creare un asse Parigi-Berlino-Mosca al momento dell’invasione americana in Iraq, la secessione del Kosovo e la guerra russo-georgiana dell’agosto 2008.

Ciononostante, il lettore attento dei metodi presentati nei Fondamenti della geopolitica avrà la possibilità di effettuare la propria analisi in relazione al Progetto Eurasia. La geopolitica è in grado di rispondere alle domande “che cosa” e “dove”, facendo sì che le risposte siano precise quanto più possibile. Ma, per quanto concerne un determinato momento del futuro, si capisce bene che le previsioni non possono essere altrettanto rigorose. La geopolitica descrive il quadro di manifestazione degli eventi in relazione con lo spazio, ma anche le condizioni e i limiti dei processi in divenire. Come sappiamo, la storia è una questione sempre aperta, per cui gli eventi che possono aver luogo nel loro quadro avverranno e si manifesteranno in modi diversi. Certo, gli eventi seguono il vettore della logica geopolitica, per allontanarsene qualche volta o addirittura per spostarsi su una direzione contraria. Ma anche questi allontanamenti recano in sé un senso e una spiegazione geopolitica, implicando tutta una serie di forze, ciascuna delle quali tende ad assumere i processi e gli avvenimenti a proprio vantaggio. Per questo si usano metodi diversi, al di fuori dell’esercito, che nei decenni passati aveva un ruolo essenziale, mentre adesso un ruolo più efficiente viene svolto dalla “rete” armata (guerra delle reti); quest’ultima ha l’obiettivo di stabilire un controllo sull’avversario ancor prima del confronto diretto, attraverso la cosiddetta “azione degli effetti di base”. In questa “guerra delle reti” la conoscenza o l’ignoranza delle leggi della geopolitica (e ovviamente di tutti gli effetti connessi) è determinante.

Quindi non c’è da meravigliarsi se proprio coloro che traggono il massimo vantaggio dai frutti della geopolitica dichiarano, rispondendo alla domanda circa la serietà di quest’ultima, che essi in linea di principio non si sottopongono ai suoi rigori.

(Trad. di C. Mutti)

* Aleksandr G. Dugin (n. 1962), dottore in filosofia e in scienze politiche, è rettore della Nuova Università, direttore del Centro Studi Conservatori dell’Università di Stato di Mosca, nonché fondatore del Movimento Eurasia. Il testo qui tradotto è la Prefazione scritta da A. Dugin per l’edizione romena dei Fondamenti della geopolitica (Bazele geopoliticii, Editura Eurasiatica, Bucarest 2011).