Scriviamo mentre si è appena depositata la polvere sollevata dall’esplosione del caso “Sapienza”, e al di là della rapida efficacia con cui il Vaticano ha saputo approfittare della stupidità intelligente
di prof. nostalgici di Mazzini e Podrecca e del folklore urbano patetico quanto autoreferenziale dei collettivi omosessuali, per rilanciare il ruolo della Chiesa Cattolica come custode della cultura del confronto d’oggi, non sono bastati le raffiche di reverenze e i ripetuti inginocchiamenti di fronte all’autorità morale di Benedetto XVI così generalizzati da destra a sinistra, per dissipare l’impressione di una classe politica italiana incapace di capire (e quindi di affrontare) i nodi più veri del nostro vivere civile e attenta soprattutto a carpire prima possibile la direzione del vento per gettarsi compatta a soccorso del vincitore del momento. Fortunatamente, lo scenario europeo ci restituisce l’impressione che una siffatta fragilità di fronte ai grandi temi della razionalità e delle fedi, dell’identità culturale e spirituale dei popoli e quindi del rapporto fra le istituzioni statali e le eredità culturali e religiose, non sia un destino obbligato. Fuori dall’Italia sembra possibile affrontare i temi della laicità e della cultura esimendosi da balletti meschini e preoccupanti esibizioni di sfoggiata ignoranza, ed è simbolicamente pregnante che questa speranza rinasca in Francia, nella patria di Voltaire e De Maistre, ponendosi all’avanguardia di un movimento di uscita da contrapposizioni ottocentesche che altrove (non solo in Italia, ma anche in Spagna) dimostra viceversa di resistere, caparbiamente, ad ogni spinta verso lo sviluppo ed il mutamento: l’Europa si misura in primo luogo su questi fronti, in battaglie culturalmente e socialmente non incruente.
Ma questa polvere massmediale rischia di far dimenticare come ai propri confini l’Unione Europea veda affacciarsi nuovamente rischi di guerre vere, spettri di devastazioni umane e storiche che fino a pochi anni addietro hanno continuato a martirizzare i Balcani, cuore cruciale dell’Europa che geme delle doglie del parto. Il territorio del Kosovo è oggi diventato rapidamente l’epicentro di un braccio di ferro in cui le istituzioni comunitarie sono chiamate a gestire da un lato gli esiti del crollo dei Muri inchiodati a Yalta, e nel contempo i nuovi disegni di espansione planetaria di superpotenze tentate di rinverdire nel nuovo millennio i fasti del grand jeu, ovviamente sulla pelle del sogno europeo di autonomia, pace e sicurezza.
Fra questi due temi portanti si muove il momento presente, ed EuropaItalia non latita: guardare fisso negli occhi la testa di Medusa è rischio antico per l’uomo europeo, ma è quasi d’obbligo se si vuole guardare e proteggere non solo il piccolo confine del “mio”, ma quello ampio e potente del “nostro”. In questo compito ben più ampio delle forze di chiunque, da questo numero ci aiuta un testimone d’eccezione della cultura europea degli ultimi decenni: Sua Eminenza Paul Poupard, a lungo Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura. La sua testimonianza si dipana sotto il titolo “Ecclesia Europa”, per ricordare anche a chi ha scordato il latino che alla radice dell’identità - non solo ma anche - cristiana del continente sta prima di tutto una tradizione comunitaria profonda e pervicace, che porta con sé un ampio genoma di esperienze e valori. Ad essa, nei momenti di dubbio e confusione come quelli segnati dal nostro veloce crepuscolo della modernità, è sempre possibile tornare a volgersi.
(Adolfo Morganti)
di prof. nostalgici di Mazzini e Podrecca e del folklore urbano patetico quanto autoreferenziale dei collettivi omosessuali, per rilanciare il ruolo della Chiesa Cattolica come custode della cultura del confronto d’oggi, non sono bastati le raffiche di reverenze e i ripetuti inginocchiamenti di fronte all’autorità morale di Benedetto XVI così generalizzati da destra a sinistra, per dissipare l’impressione di una classe politica italiana incapace di capire (e quindi di affrontare) i nodi più veri del nostro vivere civile e attenta soprattutto a carpire prima possibile la direzione del vento per gettarsi compatta a soccorso del vincitore del momento. Fortunatamente, lo scenario europeo ci restituisce l’impressione che una siffatta fragilità di fronte ai grandi temi della razionalità e delle fedi, dell’identità culturale e spirituale dei popoli e quindi del rapporto fra le istituzioni statali e le eredità culturali e religiose, non sia un destino obbligato. Fuori dall’Italia sembra possibile affrontare i temi della laicità e della cultura esimendosi da balletti meschini e preoccupanti esibizioni di sfoggiata ignoranza, ed è simbolicamente pregnante che questa speranza rinasca in Francia, nella patria di Voltaire e De Maistre, ponendosi all’avanguardia di un movimento di uscita da contrapposizioni ottocentesche che altrove (non solo in Italia, ma anche in Spagna) dimostra viceversa di resistere, caparbiamente, ad ogni spinta verso lo sviluppo ed il mutamento: l’Europa si misura in primo luogo su questi fronti, in battaglie culturalmente e socialmente non incruente.
Ma questa polvere massmediale rischia di far dimenticare come ai propri confini l’Unione Europea veda affacciarsi nuovamente rischi di guerre vere, spettri di devastazioni umane e storiche che fino a pochi anni addietro hanno continuato a martirizzare i Balcani, cuore cruciale dell’Europa che geme delle doglie del parto. Il territorio del Kosovo è oggi diventato rapidamente l’epicentro di un braccio di ferro in cui le istituzioni comunitarie sono chiamate a gestire da un lato gli esiti del crollo dei Muri inchiodati a Yalta, e nel contempo i nuovi disegni di espansione planetaria di superpotenze tentate di rinverdire nel nuovo millennio i fasti del grand jeu, ovviamente sulla pelle del sogno europeo di autonomia, pace e sicurezza.
Fra questi due temi portanti si muove il momento presente, ed EuropaItalia non latita: guardare fisso negli occhi la testa di Medusa è rischio antico per l’uomo europeo, ma è quasi d’obbligo se si vuole guardare e proteggere non solo il piccolo confine del “mio”, ma quello ampio e potente del “nostro”. In questo compito ben più ampio delle forze di chiunque, da questo numero ci aiuta un testimone d’eccezione della cultura europea degli ultimi decenni: Sua Eminenza Paul Poupard, a lungo Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura. La sua testimonianza si dipana sotto il titolo “Ecclesia Europa”, per ricordare anche a chi ha scordato il latino che alla radice dell’identità - non solo ma anche - cristiana del continente sta prima di tutto una tradizione comunitaria profonda e pervicace, che porta con sé un ampio genoma di esperienze e valori. Ad essa, nei momenti di dubbio e confusione come quelli segnati dal nostro veloce crepuscolo della modernità, è sempre possibile tornare a volgersi.
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