di Gaspare Dono
Un breve scritto di Havismat (Guido De Giorgio) apre le porte su uno dei più grandi misteri del `900: Padre Pio.
La descrizione del viaggio da Torino a S. Giovanni Rotondo intrapreso nel giorno di Natale dei primi anni '50 in un'Italia devastata dalla guerra ed impoverita dalla dominazione straniera rappresenta l'ascesa di un uomo e dei suoi compagni verso Dio.
Il racconto, inizialmente sotto forma di cronaca e descrizione paesaggistica, ci propone le immagini contrastanti di un mondo macchinoso e artificioso-rappresentato dalla "locomotiva nera"— -e di una natura che seppur violentata dalla mano umana appare ancora pura all'occhio interiore.
Il viaggio si dispiega attraverso l'adriatico e l'Abruzzo e man mano che ci si avvicina alla meta tutte le contraddizioni descritte, le considerazioni sul vuoto dell'età oscura, si dileguano lasciando posto al momento del riposo... qualche ora di sonno e sveglia alle 4 e mezza per la messa delle 6.
È il 27 Dicembre e la messa di Padre Pio riempie di calore spirituale quei corpi intirizziti dal freddo e perforati dal vento del Gargano, la descrizione che ci offre l'autore della gente in attesa, della vestizione del frate e dei gesti di amore verso di Lui è splendida. Nel silenzio della chiesetta, sui capi curvi, sulle anime supine si svolge il Rito della Crocifissione, il Mistero della Morte, la Redenzione dell'Uomo, onda su onda, tra quelle povere dita, tra quelle povere mani piagate accarezzanti i piedi del Figlio che si eleva al Padre, trasfigurando la carne in spirito nel sangue che spicca, sgorga, inonda il mondo.
Dopo la messa, la confessione; ore e ore di sofferenze, assoluzioni date e negate, pianti, rinascite e lotte del frate che riannoda le nozze della terra con il cielo.
Come scrive De Giorgio Padre Pio non si osserva, non si indaga, non si studia, lo si ama, ed egli non parla, non fa discorsi, concede graze. Amore e grazie questo è il segreto del Gargano [...] [Per] Chi non ama e crede, né sente né vede e, non tocca la sua mercede Padre Pio rimarrà una porta chiusa. Il breve scritto però non è semplicemente la fotografia di un Santo, ma come tutti gli scritti di De Giorgio, uno squarcio di luce dal quale si leva sempre la conoscenza della legge universale del donarsi, commentando infatti la trasmutazione operata dal frate in un uomo scettico scrive chi non si dà, non dà, chi si risparmia si perde.
Nel finale dello scritto lo stile descrittivo si trasmuta nell'esplosiva poesia che ci ricorda il maestro, il poeta ed il profeta della Tradizione Romana; è la sintesi di una visione del mondo, quella di Havismat, maturata in anni di dure prove e ricerche, è un monito il suo di conversione lanciato a chi ancora crede ed in virtù di ciò conosce, un urlo che ci ricorda che vale solo quello che si fa per Dio e che al di là del suo apparente particolarismo costituisce la chiave di volta per l'esistenza di ogni uomo della Tradizione: Se non vuoi morire per sempre, muori prima di morire, muori con Dio, altrimenti morrai senza Dio, rotolerai nell'abisso che non ha fondo, nell'abisso che è tenebra, nell'abisso che è macigno di tenebra, nulla del nulla [... /Ma tu Cristiano, tieniti saldo alla tua tradizione, non guardare oltre, ti perderesti, guarda la Croce, guarda il Cristo, ma non guardarla solo la croce, salila, coprila di te e del mondo, porta tutto il mondo sulla Croce, come ha fatto Cristo che vi è salito con il passato e con il futuro per conquistare il Presente Eterno, per poter mormorare, bocca a bocca, cuore a cuore, respiro a respiro: Abba, Padre!.
(Heliodromos: Speciale Guido De Giorgio, n. 20-21, 2008)
LA VERA "GRANDE TRADIZIONE" PORTA A DIO ATTRAVERSO CRISTO E I SUOI SANTI, MENTRE CON NATURALE OBLIO ALLONTANA DAL LUGUBRE MONDO PAGANO IN QUANTO MODERNO E MODERNO PERCHE' ATEO.
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