Pensa davvero che l’umanità alla fine del suo cammino possa trasformarsi in pura energia, come accade nel suo 2001?
Trasformarsi in pura energia è un modo per sottrarsi alla tirannia della materia e io mi figuro tranquillamente degli esseri realmente avanzati che stanno valutando i pro e i contro di una loro trasformazione in energia. Certo, non saranno più in grado di godere di alcuni piaceri del mondo materiale, ma quando tutto diventa uno stato mentale a chi importa più?
Trasformarsi in pura energia è un modo per sottrarsi alla tirannia della materia e io mi figuro tranquillamente degli esseri realmente avanzati che stanno valutando i pro e i contro di una loro trasformazione in energia. Certo, non saranno più in grado di godere di alcuni piaceri del mondo materiale, ma quando tutto diventa uno stato mentale a chi importa più?
Tornando alla nostra condizione di terrestri degli anni appena successivi al 2001, dopo la radio, i satelliti e i telefoni cellulari quale potrà essere il prossimo passo nelle telecomunicazioni?
Credo molto nei sistemi di riconoscimento vocale per i computer e altri dispositivi, anche per il loro valore sociale perché potrebbero essere usati pure dagli analfabeti. Oggi esistono però ancora delle limitazioni: vanno bene se ci si trova da soli, ma pensi al caos di un ufficio in cui tutti parlano alle macchine. Inoltre il software dovrà far fronte all’enorme differenza di accenti con cui una stessa lingua viene parlata. Non posso fare a meno di citare un episodio accaduto qualche anno fa, mentre tentavo di insegnare a un computer a riconoscere la mia voce. La frase «bisogna andare in aiuto del partito» [the party in inglese] diventò «bisogna andare in aiuto dell’apartheid», un esempio lampante del «politicamente scorretto».
Pensa realmente, come ha previsto in 3001: L’odissea finale, che in futuro saremo in grado di immettere o scaricare direttamente le informazioni nel nostro cervello collegandolo a un dispositivo esterno?
Sì, il traguardo ultimo dei dispositivi input–output sarà la possibilità di scavalcare tutti i sensi dell’organismo umano e inviare segnali direttamente nel cervello. Come ciò si possa fare con esattezza lo lascio ai biotecnologi; per parte mia in 3001 ho descritto il braincap [una calotta da collocare sulla testa che fa appunto da interfaccia tra il cervello e un computer, ndr]. L’adozione diffusa del dispositivo potrà essere ritardata dal fatto che per indossarlo bisognerà probabilmente raparsi a zero. Così, la produzione di parrucche potrà diventare un grande business tra pochi decenni.
Sì, il traguardo ultimo dei dispositivi input–output sarà la possibilità di scavalcare tutti i sensi dell’organismo umano e inviare segnali direttamente nel cervello. Come ciò si possa fare con esattezza lo lascio ai biotecnologi; per parte mia in 3001 ho descritto il braincap [una calotta da collocare sulla testa che fa appunto da interfaccia tra il cervello e un computer, ndr]. L’adozione diffusa del dispositivo potrà essere ritardata dal fatto che per indossarlo bisognerà probabilmente raparsi a zero. Così, la produzione di parrucche potrà diventare un grande business tra pochi decenni.
L’informazione elettronica finirà per uccidere la stampa?
Non lo credo. La scomparsa della stampa venne già predetta con l’arrivo della radio e della televisione, ma ciascuno dei nuovi mezzi di comunicazione ha trovato un suo posto e noi stessi non abbiamo buttato i nostri libri. Questo mezzo vecchio–stile ha infatti ancora spazio in mezzo ai siti Web, i videogiochi, le comunicazioni mobili e altre tentazioni. Senza dubbio, la sfida è cercare di attrarre quanti si sono abituati alla gratificazione istantanea derivante dai mezzi di comunicazione interattivi, ma la lettura di un libro resta insostituibile. L’industria editoriale dovrà cercare nuove direzioni ma non credo proprio che la stampa scomparirà.
Non lo credo. La scomparsa della stampa venne già predetta con l’arrivo della radio e della televisione, ma ciascuno dei nuovi mezzi di comunicazione ha trovato un suo posto e noi stessi non abbiamo buttato i nostri libri. Questo mezzo vecchio–stile ha infatti ancora spazio in mezzo ai siti Web, i videogiochi, le comunicazioni mobili e altre tentazioni. Senza dubbio, la sfida è cercare di attrarre quanti si sono abituati alla gratificazione istantanea derivante dai mezzi di comunicazione interattivi, ma la lettura di un libro resta insostituibile. L’industria editoriale dovrà cercare nuove direzioni ma non credo proprio che la stampa scomparirà.
Come vede il futuro della Terra? Lei è stato l’unico a considerare uno tsunami come una delle minacce naturali più gravi per il nostro Pianeta. In 2010: Odissea due lei previde per il 2005 un gigantesco tsunami nel Pacifico. Si sbagliò solo di cinque giorni e qualche migliaio di chilometri rispetto a quello reale. Perché questo tipo di catastrofe è stato sempre così poco considerato da scienziati e scrittori?
I Paesi del Pacifico hanno sempre convissuto con gli tsunami, ma solo quello dell’Oceano Indiano nel 2004 ha catalizzato l’attenzione mondiale su un rischio simile. Poco dopo la tragedia, sottolineai però che uno tsunami può essere scatenato non solo da un terremoto sottomarino, ma anche dall’impatto di un asteroide. Anzi, quando si parla di minacce che giungono dallo spazio la gente sembra confortata dal fatto che i due terzi della Terra siano coperti dalle acque. Invece dovremmo preoccuparci di più: un impatto nell’oceano può moltiplicare i danni rispetto a uno sulla terraferma, generando «la madre di tutti gli tsunami». Duncan Steel, un’autorità in materia, ha eseguito alcuni calcoli terrificanti. Ha considerato un asteroide modesto, di 200 metri di diametro, che impatta sulla Terra alla tipica velocità di 68.400 km orari. Nell’urto, rilascia energia cinetica con un’esplosione di potenza pari a 600 megaton, 10 volte maggiore di quella del più potente test atomico sotterraneo mai realizzato. Anche se solo il 10 per cento di questa energia venisse trasferita a uno tsunami, le onde riuscirebbero a trasportarla sulle coste a migliaia di chilometri di distanza, causando una distruzione più diffusa di quella dovuta all’impatto dell’asteroide con la terraferma. In quest’ultimo caso, infatti, l’interazione tra l’onda d’urto e le irregolarità del terreno, come colline, alberi, edifici, limiterebbero l’area della devastazione. Nell’oceano, invece, l’onda si propaga così com’è fino a scaricarsi sulla costa. Per questo motivo ho suggerito di tenere d’occhio i cieli anche quando ci preoccupiamo delle minacce dalle profondità dell’oceano.
I Paesi del Pacifico hanno sempre convissuto con gli tsunami, ma solo quello dell’Oceano Indiano nel 2004 ha catalizzato l’attenzione mondiale su un rischio simile. Poco dopo la tragedia, sottolineai però che uno tsunami può essere scatenato non solo da un terremoto sottomarino, ma anche dall’impatto di un asteroide. Anzi, quando si parla di minacce che giungono dallo spazio la gente sembra confortata dal fatto che i due terzi della Terra siano coperti dalle acque. Invece dovremmo preoccuparci di più: un impatto nell’oceano può moltiplicare i danni rispetto a uno sulla terraferma, generando «la madre di tutti gli tsunami». Duncan Steel, un’autorità in materia, ha eseguito alcuni calcoli terrificanti. Ha considerato un asteroide modesto, di 200 metri di diametro, che impatta sulla Terra alla tipica velocità di 68.400 km orari. Nell’urto, rilascia energia cinetica con un’esplosione di potenza pari a 600 megaton, 10 volte maggiore di quella del più potente test atomico sotterraneo mai realizzato. Anche se solo il 10 per cento di questa energia venisse trasferita a uno tsunami, le onde riuscirebbero a trasportarla sulle coste a migliaia di chilometri di distanza, causando una distruzione più diffusa di quella dovuta all’impatto dell’asteroide con la terraferma. In quest’ultimo caso, infatti, l’interazione tra l’onda d’urto e le irregolarità del terreno, come colline, alberi, edifici, limiterebbero l’area della devastazione. Nell’oceano, invece, l’onda si propaga così com’è fino a scaricarsi sulla costa. Per questo motivo ho suggerito di tenere d’occhio i cieli anche quando ci preoccupiamo delle minacce dalle profondità dell’oceano.
(Fonte: Corriere della Sera 01 marzo 2007)
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