di Claudio Coen Belinfanti
I paradossi della cronaca e gli ossimori della storia, in questo periodo di drammatiche trasformazioni epocali , stanno raggiungendo il loro apice.
Assistiamo sbigottiti a stravaganze culturali ed a contraddizioni clamorose, accettate come se fossero normali.
Vediamo coloro che fino a qualche anno fa furono i paladini del libertinismo sessuale e che, negli anni settanta, portarono per primi il corpo femminile sulle copertine delle patinate riviste dell’”intellighenzia” progressista, farsi improvvisamente difensori della morale e della dignità della donna, ed altri ancora, che fino a qualche anno fa guardavano con sospetto ogni manifestazione di patriottismo e di amore alla bandiera, fino ad accusare perfino i tricolori sventolati per la nazionale di calcio di cripto-fascismo, divenire improvvisamente araldi dell’amor patrio e spiegarci, da illuminati maestri, come la nostra bandiera nazionale sia intrisa del sangue di un popolo di eroi.
Il mussoliniano popolo, di eroi, di santi, e di navigatori, impallidisce di fronte alle appassionate manifestazioni di amore alla bandiera di questi nostri strani giorni.
Le ragioni di queste clamorose conversioni sono facilmente riconducibili ad interessi tattico politici del tutto contingenti ed immediati, ma il fenomeno è di tale portata che ci stimola ad alzare lo sguardo e a tentare alcune riflessioni meta-politiche.
Lo spirito italico, che già padre Dante stigmatizzava come intriso di faziosità campanilistica e sempre pronto ad allearsi con qualsiasi nemico o straniero pur di ostacolare il fratello ed il vicino di casa, riesce a fare di ogni dinamica e differenza, una vera e propria guerra civile.
Ecco il punto, la nostra storia nazionale, anche se i libri di scuola lo negano, è stata costruita in realtà su due guerre civili, terribili e sanguinose: Il Risorgimento e la Resistenza, lette dalla storiografia ufficiale unicamente come guerre di Libertà (la prima) e di Liberazione (la seconda).
Questo è vero,ma solo in parte e, comunque, un popolo maturo, che voglia trovare veramente la sua identità ed unità, a distanza di tanti anni, dovrebbe avere la forza spirituale, politica e culturale di leggere la storia con amore, distacco ed accoglienza per tutte le sue componenti.
Una memoria realmente condivisa è memoria fatta di tante memorie. Ognuna di queste memorie, al di là dei vinti e dei vincitori, ha la stessa dignità ed ha un valore non solo personale o di parte, ma serve ad arricchire e consolidare l’identità di un intero popolo e delle comunità che lo costituiscono.
Venendo all’attualità, l’istituzione straordinaria della festa nazionale del 17 marzo è ,in questo senso, paradigmatica. Il 17 marzo 1861, l’Italia non era certamente fatta e tantomeno la sua unità. Era ancora un’ Italia di alcuni contro altri e molta strada doveva ancora essere fatta.
Così come le nostre feste nazionali del 25 Aprile e del 2 Giugno hanno, anch’esse, la caratteristica di non essere feste di tutti perché, pur nella loro indubbia importanza storica, celebrano sempre l’affermazione storica di una parte sull’altra. L’unica festa che ha sempre significato l’unione di tutto il popolo italiano in tutte le sue componenti geografiche e ideologiche è quella del 4 novembre ed è l’unica che sancisce la raggiunta unità anche territoriale. E’ l’unica celebrazione che non discrimina settentrionali e meridionali, cattolici e giacobini, fascisti e antifascisti, socialisti e liberali, monarchici e repubblicani. Non a caso è l’unica festa che fu abolita e retrocessa a festa delle Forze Armate.
Queste riflessioni non ci impediscono di inchinarci di fronte alla bandiera, ma ricordando sempre tutto il nostro popolo: i caduti garibaldini così come i massacrati di Bronte, i Piemontesi così come i Briganti delle insorgenze anti-giacobine, i Bersaglieri così come i difensori di Porta Pia, i fanti del Piave e i caduti di Caporetto, i caduti partigiani per la libertà e quelli dell’esercito del sud così come i combattenti della Rsi per l’onore d’Italia.
Ciò, non per riscrivere la storia o fare del facile revisionismo, bensì per guardare senza paura nelle proprie profondità ed oscurità, per un perdono ed una concordia che non sono solo valori religiosi da vivere interiormente ed individualmente, ma anche valori sociali e politici che permettono di costruire un destino ed una identità. Tutto questo non annulla i torti e le ragioni, ma può fare di noi un popolo finalmente adulto e concorde . Un popolo autenticamente cristiano e civile , che nella pietas ritrovi la sua unità di destino per affrontare insieme la impellente crisi millenaria e planetaria. Viva L’Italia.
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