06/12/10

Geopolitica della Talvera

Il 14 novembre u.s. ha lasciato questa vita Christian Rangdreul. Di lui avevamo parlato bene recensendo il libro-intervista Souvenirs métaphysiques d'Orient et d'Occident (Harmattan, 2009) con François Chenique. Rangdreul è stato uno dei redattori di punta della rivista cristiano-perennialista “Contrelittérature” fondata nel 1999 da Alain Santacreu. Ora, per commemorarne la memoria, la pagina web dell’omonima rivista (http://talvera.hautetfort.com/) ha pubblicato un suo breve ma stimolante e illuminante saggio di “geopolitica trascendentale” (un punto di vista coincidente per molti versi con la nostra concezione della metapolitica) che qui di seguito abbiamo tradotto a profitto di quei lettori che non abbiano dimestichezza con il francese.

A.L.F.

di Christian Rangdreul

“ La felicità è dietro l’aratro”

Hölderlin

Oltre a ciò che potremmo chiamare una geopolitica esteriore vi è una geopolitica interiore molto opportunamente denominata "geopolitica trascendentale" da Dominique de Roux nel suo De Gaulle (1). Una geopolitica sottile che trae ispirazione da quell’immaginale messo in luce da Henry Corbin sulle orme del grande teosofo iraniano Suhrawardi (1155-1191).

La geopolitica trascendentale fa intervenire –tra il mondo metafisico e il mondo fisico- una facoltà intuitiva intermedia e mediatrice, un terzo mondo epistemologico ignorato per una presa di posizione "razionale", ovvero razionalista dalla stragrande maggioranza dei geopolitici contemporanei; un discernimento sottile che investe la geopolitica di una qualità anagogica e le permette di trasmutare il ternario politica-spazio-geografia in una triade, mettendo in relazione la metapolitica (politica informata dalla metafisica), lo spazio a sei dimensioni (dove alle quattro dimensioni piane Oriente-Occidente/Settentrione-Mezzodì, si aggiungono le due dimensioni assiali Zenith-Nadir, cioè, altezza e profondità), e la geografia sacra (geografia delle ierofanie). Vista così, la geopolitica si mostra allora come realmente è, vale a dire, come una branca particolare, operativa, della "scienza delle cose ultime": l’escatologia.

Dal momento dell'Incarnazione, la storia si va avvolgendo su se stessa per raggiungere il suo omega trasfigurante: la seconda venuta di Cristo, nella gloria; e in questo movimento spiroidale inaugurato dal "Verbo fatto carne", gli Stati-nazione, proprio come gli individui, non sono altro che "esseri morali" inevitabilmente divisi tra "la pesantezza e la grazia” (Simone Weil). Dunque, è in maniera del tutto naturale che la geopolitica trascendentale partecipa, a suo modo e con i propri mezzi, a ciò che costituisce, attraverso i conflitti terreni, il combattimento invisibile che oppone fino alla Parusia, la Verità salvifica del Verbo alle menzogne del nichilismo e del relativismo moderni. E' in questa prospettiva che si inserisce la "Geopolitica della Talvera”.

La Talvera, “campo-mandala”

La Talvera? Molti di quelli che non hanno letto il bel saggio Avant-Dire che Alain Santacreu le aveva consacrato nel dodicesimo numero di Contrelittérature, dove la portò dalla sua nativa Occitania per farla diventare uno dei concetti chiave del sussulto controletterario, si chiederanno senza dubbio cosa si celi dietro questo termine. L'autore del Manifeste Contrelittéraire ha scritto al riguardo: "I contadini del Mezzogiorno chiamano ‘Talvera’ quella parte del campo coltivato che rimane eternamente vergine - poiché è lo spazio dove gira l'aratro all’estremità di ogni solco dissodato”. La Talvera, dunque, sembra non essere altro che il sottile bordo di terreno incolto che circonda e delimita il campo, quel campo specifico e non un altro. Ma la Talvera non può essere ridotta a un confine, a un camminamento. Non essendo essa stessa limitata da nulla, da nulla contenuta poiché "vergine" da ogni aratura, la Talvera rappresenta la materia cosmica originale; come questa, essa è pura potenzialità in attesa dell’aratura-lavoro. Con il lavoro effettuato con l’aiuto del suo aratro -oppure oggi del suo trattore - il contadino crea il campo. Prima che il vomere apra i solchi, l’intero campo non è forse, innanzitutto e necessariamente Talvera, luogo dei possibili, nel quale l’aratura potrà effettuarsi? In questa prospettiva, il campo diviene il simbolo del Cosmo e l'agricoltore, l’immagine del Logos creatore e ordinatore. “Spazio in cui ‘gira’ l'aratro": dove esso effettua una rivoluzione, vale a dire, rimanendo fedeli all’etimologia della parola, un ritorno. Ritorno verso il suo punto di partenza, ritorno-allontanamento e allontanamento-ritorno da quando l’aratro parte da uno dei bordi della Talvera per dirigersi verso quello che apparentemente gli è opposto, ma che, in realtà, è lo stesso! Così: "Questo concetto di ‘Talvera’ rappresenta una delle virtualità metaforiche più pure della controletteratura - che è lo spazio dialettico del capovolgimento perpetuo del senso, della sua ripresa infinita, del suo eterno rivoltamento. [...] La ‘Talvera’ è il luogo dell’occultamento della scrittura sacra, del linguaggio che ritorna alla sorgente”. Andirivieni dell'aratro e del senso, del “più alto senso” rabelaisiano, così legandosi al via vai dei giorni, delle stagioni, e dei cicli cosmici. Perpetuo ritorno, ad ogni istante, verso l'origine, all'interno di quello che potremmo chiamare un campo-mandala, tant’è vero che i solchi vengono scavati nel campo proprio come le figure sono tracciate in un mandala. Campo-mandala singolare a prima vista, poiché non vi si distingue alcun centro - il riempitivo del campo è costituito da solchi paralleli - mentre la caratteristica primaria del mandala, rappresentazione dell'universo, risiede nell’essere costituito da un centro e da una periferia facilmente identificabili. Singolarità relative, tuttavia, poiché la Talvera, che a un primo sguardo si riduce a una zona sottile circondante i solchi è, in realtà, bisogna sottolinearlo, lo spazio totale nel quale si effettua l’aratura; non esiste dualismo tra Talvera e campo coltivato, essendo questo la realizzazione delle potenzialità di quella. Pertanto, nella uni-totalità rappresentata dal campo-mandala, il centro è evidentemente ovunque e la periferia in nessun luogo.

Ma non è all’accezione pascaliana della nota formula definente l'universo: "Una sfera infinita il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo", che alludiamo qui, bensì a quella che la precede di numerosi secoli e ne costituisce l’origine. Ne Les métamorphoses du cercle, Georges Poulet ricorda appunto quanto segue: "E' in un manoscritto pseudo-ermetico del dodicesimo secolo, ‘Il Libro dei ventiquattro filosofi’, (‘Liber XXIV Philosophorum’), che questa frase (‘Deus est Sphaera cujus centrum ubique, circumferentia nusquam’), appare per la prima volta. E’ una delle ventiquattro definizioni di Dio data da un pari numero di maestri in teologia.” (8).

Orbene - ed è particolarmente importante rimarcarlo al fine di cogliere pienamente la prospettiva della Talvera - lo stesso autore aggiunge che dal "Liber XXIV Philosophorum" fino all’autore dei celebri Pensieri, si è prodotta un’inversione di prospettiva: “Il grande topos plotiniano e medievale, nell’essere ripreso da Pascal, vede invertirsi il suo significato. Invece di rappresentare, come in San Bonaventura, Eckhart o Ficino, la realtà soprannaturale di un Dio che essendo allo stesso tempo dappertutto e al di sopra di tutto, è simultaneamente centro e circonferenza, rappresenta al contrario, nel punto preciso del testo in cui Pascal l’ha situato, la condizione della conoscenza umana secondo la quale, ovunque questa conoscenza si collochi come centro, si scopre sempre alla stessa infinita distanza dalla circonferenza del conoscibile”. (9) Così, con una stessa definizione, si è scivolati da un approccio oggettivo a Dio, a un approccio soggettivo, via maestra che conduce all'individualismo contemporaneo. Per questo motivo Alain Santacreu fa osservare che: "Nell’estremo oblio della Talvera, gli uomini hanno preso la circonferenza per il tutto e, portando il loro sguardo sempre più verso l'esterno, si sono allontanati sempre più dal centro della loro origine”.

Questa inversione dello sguardo alienatrice della visione, questo decentramento fatale che ha portato l'uomo a diventare un ex-centrico in un "mondo di farse e inganni " (così il lama Chogyam Trungpa ha definto il mondo occidentale moderno!), questa perdita del "senso dell’eternità" rilevata da René Guénon, non poteva, ovviamente, non trascinare la letteratura nella miseria interiore in cui oggi si trova. Il grande metafisico indù Shankara ha osservato che proprio come l'uomo "obnubilato dallo spettacolo" della manifestazione non è più informato dalla Buddhi (intelletto puro, nous), "occhio del cuore", il solo capace di vedere dietro la scorza delle cose, la permanenza del Reale-Surreale, il Sé trascendente, dietro la scorza delle cose, allo stesso modo la letteratura, soggiogata dalla "fantasia" di un immaginario "umano troppo umano" (Nietzsche), ha bloccato i canali sottili che la ricollegavano a un mundus imaginalis che per lungo tempo si è espresso con felicità raramente eguagliata dalla letteratura moderna, nei miti, nelle leggende, nelle epopee, nelle chansons de geste, nelle saghe, nei racconti e nelle favole.

Grande gioco e Grande gioco!

Come si sarà ormai capito, in questa "virtualità metaforica" che è la Talvera, il letterato "riflette" le “immagini metafisiche" nel sensorium letterario proprio come il contadino semina il suo campo. Ciascuno a modo suo si fa così pontifex (costruttore di ponti) in seno alla Grande Triade Cielo-Uomo-Terra con una totale cooperazione all’opera del Padre: "Che la Tua volontà sia fatta sulla Terra come in Cielo! ".

"Sulla Terra come in Cielo" e non … sul Mare come in Cielo! In un articolo molto interessante apparso sulla rivista l’Ecologist (10) si può leggere a questo proposito che nel Libro di Enoch, testo non canonico, ma spesso citato dai primi Padri della Chiesa, si parla di un "Grande Giuramento" cosmico che garantisce l'ordine della creazione, affidato alla custodia dell’Arcangelo San Michele. In questo testo, il Mare è chiaramente assimilato alle forze caotiche distruttrici dalle quali la Terra è protetta grazie all’Alleanza conclusa con il Giuramento col Cielo: "Per lui-grazie a lui-grazie a esso, la terra si è elevata sulle acque (...). Con questo giuramento il mare è stato fissato nei suoi limiti e sulle sue fondamenta. Egli ha posto i granelli di sabbia per fermarlo al tempo del suo furore, e mai potrà oltrepassare questo limite”. Ovviamente, l'autore dell’articolo non omettere di ricordare le numerose espressioni di questa Alleanza in diversi punti dell’Antico Testamento; ad esempio dopo il Diluvio (Genesi 9, 8-11) o sul Sinai (Es. 24, 8). Nei Salmi è detto frequentemente che Dio assegna dei limiti al Mare, e il Salmo LXIX inizia così: "Salvami, o Dio, perché le acque mi sono penetrate fino all'anima ". Nel Nuovo Testamento, Cristo domina il Mare e calma la tempesta (Matteo 8, 27); e quando Giovanni vede la Gerusalemme Celeste, se c’è un Cielo nuovo e una nuova Terra, "il mare non c’è più". (Ap 21, 1).

Così, la Terra, e quindi la Talvera, per la sua fissità, immobilità e stabilità -"La terra rimane sempre la terra. La terra permette a chiunque di sedersi su di essa e mai ella cede"(11)-, simboleggia l’impassibilità e la permanenza del spirituale a fronte del carattere mutevole, inghiottente, mobile e sovente tempestoso del mare, immagine dell’instabilità del mentale, delle passioni sregolate e dei pensieri volubili dell’io psicosomatico. Coltivare la Terra dell'anima vuol dire adoprarsi a renderle la sua stabilità interiore smarrita dopo la Caduta, l’apatheia (assenza delle passioni, quiete dell’anima) dei Padri del deserto realizzata attraverso la padronanza di un mentale per la maggior parte del tempo, disordinato, instabile, esposto all’assalto incessante delle onde dell’oceano delle sollecitazioni esteriori.

In una prospettiva che è quella dei “cercatori” di autenticità in un mondo sottomesso all’artificio, i “phères simplistes”René Daumal e Roger-Gilbert Lecomte, dal canto loro e a loro modo, hanno assunto totalmente ed eroicamente questa praxis consistente nel proteggere il cuore dell’essere dal caos delle passioni e dei desideri, come Grande Gioco, ivi consumandosi nella decadenza sacrificale dei "poeti maledetti", per Lecomte; in un'esperienza spirituale "selvaggia" venata di Induismo e di gurdjieffismo, per Daumal. "Il Grande Gioco è irrimediabile. Si gioca una volta sola. Vogliamo giocarlo ogni istante della nostra vita. E' ancora a ‘chi perde vince’" (12) essi gridavano in deserto di fronte a coloro che sono servi volontari delle "illusioni del mondo ordinario" (l’espressione è di René Guénon), come quella dei pre-sessantottini surrealisti che combattevano il razionalismo borghese aprendo così pericolosamente le porte a una infra-razionalità nemica della rivelazione e abilmente strumentalizzata qualche decennio più tardi, vale a dire oggi, da parte della super borghesia mondialista.

Ora, accade che questo Grande Gioco controletterario sia stato preceduto da un altro Grande Gioco, apparentemente situato ad anni luce dalle preoccupazioni gnoseo-letterarie di René Daumal e Roger-Gilber Lecomte; un Grande Gioco geopolitico. E' stato infatti Rudyard Kipling a chiamare in questo modo la lotta di influenze che ha opposto, che oppone ancora, e che opporrà sino alla fine della storia, la Talassocrazia -ieri l’Inghilterra, oggi gli Stati Uniti - e la Tellurocrazia -la Russia- per il controllo dell'Asia centrale, cuore insieme alla Siberia dell’"Isola del Mondo", la "più grande isola", vale a dire il blocco Eurasia-Africa.

La posta finale di questo Grande Gioco è stata postulata al principio del XX Secolo dal geografo inglese Halford Mackinder: "Chi controlla l’ ‘Hearthland’ controlla l’Isola del mondo, chi controlla l’Isola del mondo controlla il mondo" (13 ). Quanto al grande giurista e politologo tedesco Carl Schmitt, non mancò di ricordare, nel 1959, in Terra e Mare, questo secondo assioma della geopolitica e della geostrategia: "La storia mondiale è la storia della lotta delle potenze marittime contro le potenze continentali e delle potenze continentali contro le potenze marittime"(14).

Ecco che con questo concetto di Hearthland, "cittadella della potenza terrestre" -è sufficiente guardare una mappa del mondo per costatare che questa "zona pivot" rappresenta una massa continentale alla quale nessun’altra è paragonabile- la geopolitica si congiunge all’idea tradizionale universale detta anch’essa "Cuore del Mondo" (15), "Terra Santa" occulta, denominata nella Cristianità medievale "Regno del Prete Gianni" e situata in Asia centrale, come il Regno di Shambhala del Buddismo tibeto-mongolo.

Sembra dunque evidente che il concetto geopolitico di Hearthland e l'idea spirituale di "Cuore del Mondo" -sgombrato dalle scorie occultiste e new-age-, siano una sola, identica cosa, e che unicamente il grado di acutezza della vista le rende diverse. Lo sguardo della geopolitica esteriore non vede nell’Hearthland che il polo geostrategico del mondo; punto di vista orizzontale, ma comunque molto importante poiché costituisce una chiave senza la quale è difficile comprendere, nella sua giusta misura, la natura delle grandi poste in gioco internazionali. Invece, lo sguardo della geopolitica trascendentale, lungi dall’escludere quello precedente, lo integra in una prospettiva globale contemporaneamente orizzontale e verticale, vedendovi il polo di una geografia immaginale come quella messa in luce da Henry Corbin in Corps spirituel et Terre céleste. (16)

In questa Imago Terræ del mazdeismo rivisitato da Suhrawardi e dall’Islam sciita, la Terra è niente meno che un Angelo femminile, Spenta Armaiti, paragonabile per molti aspetti alla nostra Sophia: "Celebriamo questa liturgia in onore della Terra che è un Angelo ", si legge nell’Avesta (17); un "luogo” teofanico bagnato da Xvarnah, la "Luce-di-Gloria ". L’Hearthland geopolitico, visto attraverso gli occhi dell’immaginale, diviene allora, nella prospettiva della geopolitica trascendentale, il luogo ierogeografico per eccellenza; un luogo geosofico centrale, archetipo del mondo intermedio tra mondo sensibile e mondo spirituale, "per il quale si corporizzano gli spiriti e per i quale si spiritualizzano i corpi (18); mondo “situante” più che situato, esprimente “il mistero‘sofianico’della Terra” così come quello dell'uomo, e oggetto di una posta in gioco scaturente da una ierostoria che vede affrontarsi l’ “Oriente delle Luci" e il "mondo sublunare" dell’"esilio occidentale" -le "dottrine dei saggi della Persia" che riguardano in effetti "i Principi della Luce e delle Tenebre"(19). Combattimento escatologico che si svolge anche in ogni essere umano: "Come pensiero perfetto, pensiero di quiete e di dolcezza, Immaginazione meditante e Meditazione silenziosa, l’Arcangelo Spenta Armaiti ha per antagonista l’arcidemone Taromati (pensiero sregolato, violenza, tumulto, oppressione). [...] Nell’energia vitale dell’essere umano, vi è un Pensiero: là dimora Spenta Armaiti. [...] La meditazione o pensiero perfetto è l’organo che genera l’Io celeste. [...] La forma sofianica della pietà mazdea verso l’Angelo della Terra tende dunque finalmente a far sbocciare nella coscienza questa forma immaginale che è la presenza segreta dell’Eterno femminino nell’uomo”. (20)

Il Grande Gioco dei "phrères simpliste" e il Grande Gioco geopolitico trascendentale e visionario, esprimono quindi una medesima realtà. Alla stabilità dello spirito corrisponde quella dell’Hearthland e delle potenze della Terra (Tellurocrazie); alla instabilità del mentale e dello psichico corrisponde quella degli Outlands (in geopolitica questo termine designa le "isole fisiche": America e Australia) e le potenze marittime (Talassocrazie). Da un lato le società organiche radicate nella coltivazione biologica della terra e dello spirito: "Ciò che la terra mi ha donato di più puro, ho sentito che mi veniva da più lontano della terra" (Gustave Thibon) (21); dall’altro le società tecniciste sottomesse alla finanza e all'Internazionale del Mercato Planetario liberal-libertario. Da un lato il partito di Dio, dall'altro il partito di Mammona, tra i quali ci viene chiaramente chiesto di scegliere (Mt 6, 24).

Così accade che la geopolitica della Talvera sia una geopolitica dell’Hearthland interiorizzato, immaginale, luogo in medio mundi alchemico, Athanor dove la littera, per divenire ciò che è e non rimanere "lettera morta", deve essere provata al fuoco dello spiritus al fine di esserne trasmutata, trasfigurata. Prova simile a quella della semina del grano nel solco aperto dal vomere dell’aratro e senza la quale il grano non può rinascere come pianta. Mistero, dovunque e in ciascuno di noi, della prova, della morte e della risurrezione, rivelata una volta per tutte in Giudea, a Oriente dell'Impero Romano.
(traduzione dal francese di Aldo La Fata)

(Contrelittérature n. 17, Inverno 2006).

NOTE

1. Dominique de Roux, De Gaulle, Éditions Universitaires, 1967.

2. Henry Corbin, Science traditionnelle et renaissance spirituelle, in “ Cahier de l’Université Saint Jean de Jérusalem ” n° 1, éd. André Bonne, 1975, p. 38.

3. Henry Corbin, Le combat pour l’Âme du Monde ou urgence de la Sophiologie, in “ Cahier de l’Université Saint Jean de Jérusalem ” n° 6, éd. Berg international, 1980.

4. “ Cahier de l’Université Saint Jean de Jérusalem ” n° 1, op. cit., p. 38. A proposito del sensorium, Corbin scrive altrove che è “lo specchio nel quale converge l’insieme delle percezioni dei sensi esterni. […] Tutto lo sforzo consisterà nel purificare e liberare la via interiore affinché l’intelletto percepito a livello dell’immaginale si rifletta nello specchio del sensorium e si traduca in una percezione visionaria”. Quanto alle “immagini metafisiche”, sono “la chiave che ci può aprire la metafisica dell’Imago Templi”. Henry Corbin, Temple et contemplation. Essais sur l’Islam iranien, éd. Flammarion, 1981, pp. 287-288.

5. Georges Poulet, Les métamorphoses du cercle, Flammarion, 1979, p. 25.

6. Ibid., p. 102.

7. Margaret Barker, Hénoch et le péché cosmique, in l’Écologiste n° speciale “ Religions et écologie ”, février 2003.

8. Chögyam Trungpa, Shambhala La voie sacrée du guerrier, éd. du Seuil, 1990, p. 44.

9. Roger-Gilbert Lecomte, Avant-propos au premier numéro du Grand Jeu, n° 1, 1928, in Michel Random, Le Grand Jeu, vol. II, éd. Denoël, 1970, p. 43.

10. “Mackinder ha messo ben in luce quale fosse la fondamentale posta in gioco geopolitica del conflitto [la Seconda Guerra mondiale]: il controllo dell’hearthland, del cuore del mondo ” sottolinea P. Moreau Defarge, op. cit., p. 48.

11. Carl Schmitt, Terre et Mer, introduzione e postfazione di Julien Freund, éd. du Labyrinthe, 1985, p. 23.

12. Il simbolismo del “centro” e del “cuore” sono stati oggetto di importanti studi di René Guénon successivamente riuniti in Symboles fondamentaux de la Science sacrée, chap. VIII à XVII et LXIX à LXXV, Gallimard, 1980.

13. Henry Corbin, Corps spirituel et Terre céleste, Buchet/Chastel, 2005.

14. Ibid. p. 31.

15. Ibid. p. 109.

16. Henry Corbin, Histoire de la philosophie islamique, Gallimard, 1968, p. 291.

17. Henry Corbin, Corps spirituel et Terre céleste, op. cit. pp. 60-61.

18. Ibid.

19. Ibid.

20. Ibid.

21. In Christian Chabanis, Gustave Thibon, témoin de la lumière, Beauchesne, pp. 128-129.

2 commenti:

  1. Caro Aldo,

    un articolo ricco di spunti interessanti. Grazie per quest'ottima traduzione! Pietro

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  2. Carissimo Pietro, direi un "pezzo" per palati raffinati. Ci ritorneremo... Intanto, grazie a te per il commento.

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