Scriveva qualche anno fa Jerry Rabow nel suo studio sui «50 messia ebraici» ( 50 Jewish Messiahs, Gefen Publishing House, Gerusalemme/ New York): «È facile assegnare il titolo di 'più grande' nelle diverse categorie: la figura storica più importante, il carattere più complesso, quello con il movimento più vasto, con il seguito più duraturo, quello più dannoso per il popolo ebraico. Tutti questi titoli vanno allo stesso messia, Sabbatai Sevi».
Nato a Smirne nel 1626 da una famiglia sefardita dedita al commercio – il padre Mordekhai era al servizio della Compagnia britannica delle Indie orientali – allievo di Yosef Eskapa, rabbino capo della città, Sabbatai a diciotto anni gode già della nomea di valente cabalista, sia teorico che pratico. Nel 1648 però si autoproclama Messia e, dopo un crescendo di provocazioni blasfeme, viene bandito dalla propria comunità. Dà inizio così a un’avventura 'mistico messianica' che lo porta nella sua predicazione a Costantinopoli, a Salonicco, indi al Cairo, dove prende in sposa la misteriosa Sarah, proveniente dalla comunità ebraica di Livorno e con la fama di «donna di fornicazioni » (ricorda Gershom Scholem che «la sua reputazione di prostituta la precedette in Oriente » e che «Sabbatai la sposò precisamente per quella ragione, per imitare il profeta Osea»). Giunto in Palestina, Sabbatai incontra un astro nascente del cabalismo luriano, Natan di Gaza, che diviene suo braccio destro e profeta. È Natan, nel 1665, ad annunciare che l’anno seguente sarebbe stato l’inizio dell’era messianica e che Sabbatai avrebbe radunato le dieci tribù perdute d’Israele in terra santa. Denunciato alle autorità ottomane da numerosi rabbini, Sabbatai viene convocato alla corte del sultano Mehmed IV. Imprigionato e posto di fronte alla scelta se convertirsi all’islam o accettare il martirio, si converte prendendo il nome di Aziz Mehmed Effendi. Un’apostasia che ha l’effetto di un terremoto nel mondo della diaspora, in cui la fede nel liberatore Sabbatai aveva raggiunto dimensioni imponenti. Da Amsterdam a Bordeaux, da Venezia a Safed, da Amburgo ad Aleppo, gran parte dei seguaci rifiuta l’atto ignominioso e riconosce con sofferenza nella 'messianicità' di Sabbatai una tenebrosa mistificazione. Un’altra parte, invece, accetta la spiegazione teologica fornita da Sabbatai stesso: il Messia, nel suo «abrogare la Legge», avrebbe dovuto raggiungere l’abisso della perdizione, compresa l’apostasia. Teologia perfezionata da discepoli come Berekyah Russo, secondo il quale la nuova Torah messianica, la Torah de Azilot, comportava la trasformazione delle 36 keritot (proibizioni) della Torah in norme positive. La storia di Sabbatai e delle conseguenze della sua predicazione antinomista, in buona parte rimossa dalla storiografia ufficiale, è fluita da allora come un fiume carsico nella cultura ebraica ed europea. A riportarla pienamente alla luce è stato, com’è noto, Gershom Scholem, soprattutto col monumentale Sabbatai Zevi, il Messia mistico del 1973, riaccendendo un interesse per quelle complesse e tortuosissime vicende che non si è più spento. Così, se in Turchia è da poco uscito in libreria Sabatay Sevi ve Sabataycilar. Mitler ve Gerçekler («Sabbatai e i sabbatiani. Miti e verità », Asina Kitaplari edizioni, Ankara) dello storico e specialista della materia Cengiz Sisman, Il Saggiatore propone la traduzione italiana di The Lost Messiah, biografia scritta nel 2001 dall’americano John Freely, eclettico docente di storia della fisica a Istanbul, con la passione per la storia dell’impero ottomano.
Uno studio, questo, in cui Freely condensa i risultati di una ricerca pluridecennale su Sabbatai, ricostruendo con acribia numerosi passaggi poco noti o nebulosi della sua parabola: dal viaggio in incognito a Roma, per conto del 'Messia', di Natan di Gaza, il quale portò a termine la sua esoterica missione «gettando nel fiume (Tevere) un rotolo con su scritto: ancora un anno e Roma sarà distrutta»; ai rapporti iniziatici fra il movimento sabbatiano e la confraternita dei sufi Bektashi; al ruolo giocato nella nascita della Repubblica turca, tramite l’organizzazione dei Giovani Turchi, da parte dei cosiddetti Dönmeh, discendenti di quei sabbatiani che, come il loro maestro, scelsero di abbracciare un essoterismo islamico mantenendo nel segreto i propri culti (David Bey, uno dei tre Dönmeh che ricoprirono nel 1909 la carica di ministro nel primo governo dei Giovani Turchi, era un discendente diretto di Berekyah Russo); ecc. Fino all’identificazione della sepoltura perduta di Sabbatai, che Freely ritiene di aver scoperto a Berati, in Albania. Mentre tutti pensavano si trovasse in Montenegro.
Nato a Smirne nel 1626 da una famiglia sefardita dedita al commercio – il padre Mordekhai era al servizio della Compagnia britannica delle Indie orientali – allievo di Yosef Eskapa, rabbino capo della città, Sabbatai a diciotto anni gode già della nomea di valente cabalista, sia teorico che pratico. Nel 1648 però si autoproclama Messia e, dopo un crescendo di provocazioni blasfeme, viene bandito dalla propria comunità. Dà inizio così a un’avventura 'mistico messianica' che lo porta nella sua predicazione a Costantinopoli, a Salonicco, indi al Cairo, dove prende in sposa la misteriosa Sarah, proveniente dalla comunità ebraica di Livorno e con la fama di «donna di fornicazioni » (ricorda Gershom Scholem che «la sua reputazione di prostituta la precedette in Oriente » e che «Sabbatai la sposò precisamente per quella ragione, per imitare il profeta Osea»). Giunto in Palestina, Sabbatai incontra un astro nascente del cabalismo luriano, Natan di Gaza, che diviene suo braccio destro e profeta. È Natan, nel 1665, ad annunciare che l’anno seguente sarebbe stato l’inizio dell’era messianica e che Sabbatai avrebbe radunato le dieci tribù perdute d’Israele in terra santa. Denunciato alle autorità ottomane da numerosi rabbini, Sabbatai viene convocato alla corte del sultano Mehmed IV. Imprigionato e posto di fronte alla scelta se convertirsi all’islam o accettare il martirio, si converte prendendo il nome di Aziz Mehmed Effendi. Un’apostasia che ha l’effetto di un terremoto nel mondo della diaspora, in cui la fede nel liberatore Sabbatai aveva raggiunto dimensioni imponenti. Da Amsterdam a Bordeaux, da Venezia a Safed, da Amburgo ad Aleppo, gran parte dei seguaci rifiuta l’atto ignominioso e riconosce con sofferenza nella 'messianicità' di Sabbatai una tenebrosa mistificazione. Un’altra parte, invece, accetta la spiegazione teologica fornita da Sabbatai stesso: il Messia, nel suo «abrogare la Legge», avrebbe dovuto raggiungere l’abisso della perdizione, compresa l’apostasia. Teologia perfezionata da discepoli come Berekyah Russo, secondo il quale la nuova Torah messianica, la Torah de Azilot, comportava la trasformazione delle 36 keritot (proibizioni) della Torah in norme positive. La storia di Sabbatai e delle conseguenze della sua predicazione antinomista, in buona parte rimossa dalla storiografia ufficiale, è fluita da allora come un fiume carsico nella cultura ebraica ed europea. A riportarla pienamente alla luce è stato, com’è noto, Gershom Scholem, soprattutto col monumentale Sabbatai Zevi, il Messia mistico del 1973, riaccendendo un interesse per quelle complesse e tortuosissime vicende che non si è più spento. Così, se in Turchia è da poco uscito in libreria Sabatay Sevi ve Sabataycilar. Mitler ve Gerçekler («Sabbatai e i sabbatiani. Miti e verità », Asina Kitaplari edizioni, Ankara) dello storico e specialista della materia Cengiz Sisman, Il Saggiatore propone la traduzione italiana di The Lost Messiah, biografia scritta nel 2001 dall’americano John Freely, eclettico docente di storia della fisica a Istanbul, con la passione per la storia dell’impero ottomano.
Uno studio, questo, in cui Freely condensa i risultati di una ricerca pluridecennale su Sabbatai, ricostruendo con acribia numerosi passaggi poco noti o nebulosi della sua parabola: dal viaggio in incognito a Roma, per conto del 'Messia', di Natan di Gaza, il quale portò a termine la sua esoterica missione «gettando nel fiume (Tevere) un rotolo con su scritto: ancora un anno e Roma sarà distrutta»; ai rapporti iniziatici fra il movimento sabbatiano e la confraternita dei sufi Bektashi; al ruolo giocato nella nascita della Repubblica turca, tramite l’organizzazione dei Giovani Turchi, da parte dei cosiddetti Dönmeh, discendenti di quei sabbatiani che, come il loro maestro, scelsero di abbracciare un essoterismo islamico mantenendo nel segreto i propri culti (David Bey, uno dei tre Dönmeh che ricoprirono nel 1909 la carica di ministro nel primo governo dei Giovani Turchi, era un discendente diretto di Berekyah Russo); ecc. Fino all’identificazione della sepoltura perduta di Sabbatai, che Freely ritiene di aver scoperto a Berati, in Albania. Mentre tutti pensavano si trovasse in Montenegro.
(John Freely , IL MESSIA PERDUTO, La storia di Sabbatai Sevi e il misticismo della Qabbalah , Il Saggiatore. Pagine 288. Euro 22,00)
(Autore: Andrea Galli; Fonte: L’Avvenire del 29/03/08)
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