29/03/08

Il Messia perduto

Scriveva qualche anno fa Jerry Rabow nel suo studio sui «50 messia ebraici» ( 50 Jewish Messiahs, Gefen Publishing House, Gerusa­lemme/ New York): «È facile assegnare il titolo di 'più grande' nelle diverse categorie: la figura sto­rica più importante, il carattere più complesso, quello con il movimento più vasto, con il segui­to più duraturo, quello più dannoso per il popo­lo ebraico. Tutti questi titoli vanno allo stesso messia, Sabbatai Sevi».
Nato a Smirne nel 1626 da una famiglia sefardi­ta dedita al commercio – il padre Mordekhai era al servizio della Compagnia britannica delle In­die orientali – allievo di Yosef Eskapa, rabbino ca­po della città, Sabbatai a diciotto anni gode già della nomea di valente cabalista, sia teorico che pratico. Nel 1648 però si autoproclama Messia e, dopo un crescendo di provocazioni blasfeme, viene bandito dalla propria comunità. Dà inizio così a un’avventura 'mistico messianica' che lo porta nella sua predicazione a Costantinopoli, a Salonicco, indi al Cairo, dove prende in sposa la misteriosa Sarah, proveniente dalla comunità e­braica di Livorno e con la fama di «donna di for­nicazioni » (ricorda Gershom Scholem che «la sua reputazione di prostituta la precedette in Orien­te » e che «Sabbatai la sposò precisamente per quella ragione, per imitare il profeta Osea»). Giun­to in Palestina, Sabbatai incontra un astro na­scente del cabalismo luriano, Natan di Gaza, che diviene suo braccio destro e profeta. È Natan, nel 1665, ad annunciare che l’anno seguente sareb­be stato l’inizio dell’era messianica e che Sabba­tai avrebbe radunato le dieci tribù perdute d’I­sraele in terra santa. Denunciato alle autorità ottomane da numero­si rabbini, Sabbatai viene convocato alla corte del sultano Mehmed IV. Imprigionato e posto di fronte alla scelta se convertirsi all’islam o accet­tare il martirio, si converte prendendo il nome di Aziz Mehmed Effendi. Un’apostasia che ha l’ef­fetto di un terremoto nel mondo della diaspora, in cui la fede nel liberatore Sabbatai aveva rag­giunto dimensioni imponenti. Da Amsterdam a Bordeaux, da Venezia a Safed, da Amburgo ad A­leppo, gran parte dei seguaci rifiuta l’atto igno­minioso e riconosce con sofferenza nella 'mes­sianicità' di Sabbatai una tenebrosa mistifica­zione. Un’altra parte, invece, accetta la spiega­zione teologica fornita da Sabbatai stesso: il Mes­sia, nel suo «abrogare la Legge», avrebbe dovuto raggiungere l’abisso della perdizione, compresa l’apostasia. Teologia perfezionata da discepoli come Berekyah Russo, secondo il quale la nuo­va Torah messianica, la Torah de Azilot, com­portava la trasformazione delle 36 keritot (proi­bizioni) della Torah in norme positive. La storia di Sabbatai e delle conseguenze della sua predicazione antinomista, in buona parte ri­mossa dalla storiografia ufficiale, è fluita da allo­ra come un fiume carsico nella cultura ebraica ed europea. A riportarla pienamente alla luce è sta­to, com’è noto, Gershom Scholem, soprattutto col monumentale Sabbatai Zevi, il Messia misti­co del 1973, riaccendendo un interesse per quel­le complesse e tortuosissime vicende che non si è più spento. Così, se in Turchia è da poco usci­to in libreria Sabatay Sevi ve Sabataycilar. Mitler ve Gerçekler («Sabbatai e i sabbatiani. Miti e ve­rità », Asina Kitaplari edizioni, Ankara) dello sto­rico e specialista della materia Cengiz Sisman, Il Saggiatore propone la traduzione italiana di The Lost Messiah, biografia scritta nel 2001 dall’ame­ricano John Freely, eclettico docente di storia del­la fisica a Istanbul, con la passione per la storia dell’impero ottomano.
Uno studio, questo, in cui Freely condensa i ri­sultati di una ricerca pluridecennale su Sabba­tai, ricostruendo con acribia numerosi passaggi poco noti o nebulosi della sua parabola: dal viag­gio in incognito a Roma, per conto del 'Messia', di Natan di Gaza, il quale portò a termine la sua esoterica missione «gettando nel fiume (Tevere) un rotolo con su scritto: ancora un anno e Roma sarà distrutta»; ai rapporti iniziatici fra il movi­mento sabbatiano e la confraternita dei sufi Bek­tashi; al ruolo giocato nella nascita della Repub­blica turca, tramite l’organizzazione dei Giovani Turchi, da parte dei cosiddetti Dönmeh, discen­denti di quei sabbatiani che, come il loro mae­stro, scelsero di abbracciare un essoterismo isla­mico mantenendo nel segreto i propri culti (Da­vid Bey, uno dei tre Dönmeh che ricoprirono nel 1909 la carica di ministro nel primo governo dei Giovani Turchi, era un discendente diretto di Be­rekyah Russo); ecc. Fino all’identificazione del­la sepoltura perduta di Sabbatai, che Freely ri­tiene di aver scoperto a Berati, in Albania. Men­tre tutti pensavano si trovasse in Montenegro.

(John Freely , IL MESSIA PERDUTO, La storia di Sabbatai Sevi e il misticismo della Qabbalah , Il Saggiatore. Pagine 288. Euro 22,00)

(Autore: Andrea Galli; Fonte: L’Avvenire del 29/03/08)

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