25/03/08

D'Arte

Riporto più che volentieri:

Per parlare del dopo elezioni...di anti '68...di relativismo etico...di cinema....di arte

LA BATTAGLIA DELLE IDEE

Le elezioni passano...la cultura rimane...con questo spirito ci è parso opportuno proporre alcuni spunti di riflessione metapolitica...pensando alla necessità di costruire una nuova progettualità, che punti sulle idee fondanti, muovendosi nell'ambito di specifici settori d'intervento:

1) I beni culturali sono un’espressione di civiltà e, quindi, come tali rappresentano la viva testimonianza spirituale di un processo comunitario che ha vissuto ed è stato attraversato dai popoli. I beni culturali, prima di essere considerati un investimento e dunque un percorso produttivo, costituiscono la vera trasmissione di una tradizione che ha caratterizzato la civiltà, l’anima e la costruzione di un popolo. Vanno tutelati attraverso una profonda politica della conoscenza che deve avere come elemento portante un progetto educativo, che punti chiaramente a un tracciato fruitivo. I beni culturali (qualsiasi settore essi rappresentino) non possono che essere considerati come un sistema di educazione permanente.
2) La cultura popolare o le tradizioni popolari (quelle forme che passano attraverso dei modelli antropologici) sono realtà di conoscenza delle civiltà e dei popoli. Vanno recuperate e proposte come processi non solo storici ma umani. Lo stesso folclore rientra in un processo culturale che appartiene ad un popolo e non ad una classe, appartiene alla consapevolezza di una tradizione e non può essere “usato” come uno strumento con finalità ideologiche. Nazione e popolo sono parte integrante di un’identità comunitaria. La difesa dell’ identità linguistica è parte integrante di una cultura della tutela che permette la conoscenza e la non dispersione dei linguaggi e delle forme identitarie della comunità.
3) La scuola deve avere una funzione prioritaria non solo nel campo formativo, ma soprattutto come modello primario di un’agenzia educativa che ponga come dato valoriale non la ragione come sentimento, ma il sentimento come significato centrale nella formazione dell’uomo. Diventa sempre più urgente recuperare il ruolo e la capacità della famiglia in una sinergia diretta con i docenti. Il punto fondamentale non può che restare l’educazione che realizza modelli formativi e non viceversa.
4) Una letteratura che sia sganciata dalle teorie della critica militante di natura gramsciana e ponga al centro non solo i valori spirituali ma anche la capacità di espressione, non più degli ambienti, ma dei personaggi,; ponga freno ad una letteratura materialistica a discapito del ruolo metafisico del linguaggio. Linguaggio non solo come ricerca ma come riferimento esistenziale e sentimentale, il cui sentimento della memoria deve essere pregnante di connotati vivi nella Tradizione. Su questa linea bisogna avviare una vera e propria cultura del teatro, che non debba fare disperdere le identità, ma che sappia proporsi come anche come modello innovativo. Difendere la cultura del teatro significa, tra l’altro, rafforzare i valori classici e i linguaggi che su questi si basano.
5) Un cinema che sia in grado di recuperare i grandi temi della testimonianza umana e dia senso a quell’identità storica che ha caratterizzato l’esperienza cinematografica e culturale italiana, la quale, pur non assentandosi da modelli di nuova avanguardia, deve portare dentro di sé elementi creativi e pedagogici alti. Riconsiderare la cultura dello spettacolo è un altro tassello importante che va trascurato (dalla musica leggera alla musica classica, dagli spettacoli d’intrattenimento a quelli di vario umorismo) e va inserita nella riconsiderazione della tradizione nazionale, che è lontana da linguaggi scurrili e da immagini disgustose.
6) Un percorso artistico che possa avvalersi delle innovazioni tecniche senza però perdere di vista la figura, l’espressione metaforica, il tracciato onirico e il colore su una tavolozza, la cui valenza estetica non deve cedere il passo allo sperimentalismo purchessia. Innervare nel tessuto contemporaneo la scelta dei grandi artisti con la presenza di mostre e di scambi di alto spessore. Arte e artisti devono costituire, sempre più, un modello appropriato di conoscenze e diffusione degli stessi valori artistici. Il dato simbolico deve essere un elemento artistico, ma arte è conoscenza e sensibilità perché l’artista non può che essere “il creatore di cose belle” (Wilde).

Mario Bozzi Sentieri

QUALE ARTE ?

A Genova, proprio in questi giorni, viene proposta una mostra "spazzatura", così presentata dal critico "politicamente corretto":
"Un percorso artistico tra sculture, installazioni e opere di medie e grandi dimensioni, esclusivamente realizzate con materiali di scarto raccolti lungo gli arenili: frammenti, oggetti in plastica e in metallo ossidato, pezzi di legno, corde, vetro levigato, vengono assemblati dall'artista con naturalezza interpretativa ma con provocazione ed ironia.
I rifiuti raccolti, utilizzati senza subire modifiche o aggiunte decorative artificiali, si arricchiscono di contenuti espressivi, volti a "ri-dare-vita" a qualcosa di sporco che il mare ha inghiottito senza desiderarlo per poi restituirlo come purificato. Il risultato? Opere 'materiche' godibilissime che fanno scatenare la fantasia, quasi specchi rivelatori dell'espressioni della mente e dei contenuti del cuore, raccontati attraverso articolate storie marine (Junk Fish), nature morte floreali (Junk Flowers) e composizioni tridimensionali (Junk Bodies).
La mostra, patrocinata dal Comune di Genova, si avvale del sostegno dell'Associazione "Amici della Vita-Onlus", di LEGAMBIENTE e PENTAPOLIS".

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Nello stesso tempo su un blog di un caro amico non conformista , Dionisio Di Francescantonio, viene proposta un'interessante "Discussione sull'arte"....

A chi ci legge di fare le dovute comparazioni...

DISCUSSIONE SULL'ARTE

Non c’è dubbio che certi sperimentalismi esasperati praticati nel secolo appena trascorso (sperimentalismi che oggi ci appaiono spesso niente più che manifestazioni di assenza di idee e di contenuto se non di totale mancanza di talento), richiedano almeno un tentativo di fare chiarezza, di ricondurre il senso del fare arte in una prospettiva di serietà e di impegno.
In questo senso ho scelto di definire i vari modi di esercitare l'arte discipline artistiche proprio per sottilineare la necessità che la pratica dell'arte deve rispondere innanzitutto a una disciplina, ossia all'esigenza di acquisire un mestiere con un tirocinio (anche duro e difficile) attraverso il quale ciascuno trova il proprio linguaggio personale. In altre parole, chi vuol fare arte deve diventare in primo luogo un artigiano capace, dopodiché, se avrà talento, potrà essere un artista, grande o piccolo si vedrà.
E questo per riaffermare una volta per tutte un concetto che si trascura da tempo in nome del falso mito della creatività istintiva (cioè che il talento, per esprimersi, deve necessariamente affidarsi al mestiere).
Ma che dire a proposito di dove siamo arrivati con gli sperimentalismi nati da quella malintesa necessità di andare oltre il già visto e il già provato che, da un certo momento in poi, ha informato gran parte delle (si fa per dire) arti (non solo figurative)?
Tanto per fare un esempio, in questo momento ho sott'occhio il catalogo di una mostra di "Arte americana" tenuta nel (già) lontano 1992 al Lingotto di Torino. Ricordo perfettamente l'impressione provata durante quella visita. Accanto ad autori ed opere di pregio (tra gli altri, Ben Shahn, George Tooker, Andrew Wyeth) erano esposti un assembramento di tubi fluorescenti (titolo "Luce fluorescente bianca"), una serie di cassetti di rame appesi a una parete ("Untitled"), un cappello, la fotografia del cappello e la definizione stampata del cappello ("One and Three Hats"), tre fili di piombo in forma serpentina ("Lead Pipe") ecc.
Quello che, in quell'occasione, lasciava di stucco era proprio la disinvoltura con cui i curatori della mostra, accanto ad artisti "veri", esponessero lavori molto discutibili come quelli da me citati. Non parliamo poi di ciò che ci viene ammannito da un po' di tempo a questa parte alle Biennali veneziane... Con questo dove voglio arrivare? Voglio dire che la cosa veramente sconcertante è che oggi i nostri critici d'arte sembrano malati di schizofrenia quando, per esempio, vanno (e giustamente!) in brodo di giuggiole allorché parlano della mostra di un grande del passato (ricordo alcune mostre viste negli anni recenti, come una di Van Dick a Genova e una di Caravaggio a Firenze, entusiasticamente recensite da molti critici), ma poi elogiano anche (sia pure, talvolta, con reticenza) certe mostre di autori simili a quelli che avevano prodotto i tubi fluorescenti o i cassetti nella mostra americana.
C'è, insomma, qualche critico d'arte, oggi, da qualche parte, che abbia il coraggio di dire, davanti a certi prodotti che circolano ancora troppo numerosi nelle gallerie d'arte, Basta con queste imposture (o porcherie o pagliacciate) .
Per ora mi fermo qui, perché vorrei già sentire qualche parere riguardo a quanto ho detto finora. Mi piacerebbe ritrovare l'articolo di cui ho parlato all'inizio, quello del Falò per l'arte moderna, perché sarebbe sicuramente una buona base di partenza per avviare una discussione sullo stato (o, se preferite, sulla salute) dell'arte nei giorni nostri, ma purtroppo, benché sappia di averlo conservato da qualche parte, non mi ricordo più dove. Se lo troverò, lo pubblicherò senz'altro. Ma intanto, vorrei sentire qualcuno che dicesse la sua su questa questione.
Che cosa mi propongo con questo sfogo? Di lanciare una sorta di rappel à l'ordre, come quelli già visti in passato? Ebbene, credo che la mia intenzione sia proprio questa. Credo sia proprio arrivato il momento di tornare a dire che l'arte deve tornare ad essere una cosa seria e importante, una cosa sublime, come si diceva una volta, che faccia vibrare l'anima e i sensi, il cuore e la mente. C'è qualcuno che voglia raccogliere il mio appello?

Dionisio Di Francescantonio

Tratto da : ddf-dionisiodifrancescantonio.blogspot.com

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