Sull’Agorà
di domenica 23 settembre (inserto del quotidiano l’Avvenire) è apparso un lungo articolo del professore Mons. Fiorenzo
Facchini, già ordinario di antropologia all’Università di Bologna e
riferimento costante dell’Osservatore Romano per quanto riguarda il
tema dell’Evoluzione.
L’articolo
ripropone alcuni passi significativi del suo ultimo libro: “Evoluzione:
cinque questioni” (Jaka Book, 2012), sotto il titolo: “Dio non è
contro Darwin”. Vorrei qui esporre due osservazioni a proposito di
questo autorevole testo. La prima è di carattere paleoantropologico
e la seconda, invece, di ordine epistemologico.
Fiorenzo Facchini
scrive che “una parentela diretta, per discendenza, con le scimmie
antropomorfe, non viene sostenuta da nessuno. Viene ammesso un ceppo comune per
le antropomorfe e gli ominidi, tra i quali si svilupperà la linea umana.” E’
chiaro che questa rassicurazione da una parte conforta, perché conferma
il salto evidente che c’è tra noi e le scimmie, ma dall’altra rilancia
la ricerca verso un mondo sconosciuto qual è quello di un “ceppo comune” che
oggi non esiste e di cui non si hanno tracce. Se il confronto tra il
genere Homo e la Scimmia risulta oggi possibile e ci
vede totalmente diversi (per la postura eretta, per la
capacità cranica, per il linguaggio simbolico, per il senso religioso, ecc…),
il confronto tra il genere Homo ed un “antenato comune” risulta impossibile dal
punto di vista empirico (non c’è e come si potrà riconoscerlo?).
Proseguo con i
miei pensieri. Proprio comprendendo tutte le difficoltà
che si incontrano nel tentativo di attribuire un reperto fossile ad un gruppo
piuttosto che ad un altro, soprattutto nel caso in cui si tratti di specie
estinte, mi chiedo se non sia possibile includere i pochissimi frammenti
attribuiti a Homo habilis (3-4) nella variabilità
intraspecifica delle australopitecine o comunque delle scimmie in
generale. La capacità cranica del cosiddetto Homo habilis (600) mi pare
che possa confortare una simile inclusione. Dall’altra
parte il cosiddetto Homo erectus è a tutti gli effetti Homo
(così è stato chiamato), cioè uomo, e perché non potrebbe essere
considerato all’interno dell’amplissima variabilità antropometrica
dell’Homo sapiens? Se queste due operazioni fossero possibili,
non avremmo certamente risolto il problema dell’origine dell’uomo, però avremmo
fatto un po’ di ordine, molto importante nella nostra indagine
sull’origine.
La seconda
osservazione. Mons. Facchini sostiene l’intervento diretto di Dio
nella creazione dell’Uomo difendendo la sua tesi con queste parole: “l’intervento
di Dio nella comparsa dell’uomo non è per supplire a deficienze di causalità di
ordine naturale, ma perché la struttura fisica del vivente non è adeguata a
produrre da sola un essere arricchito dello spirito. Quando e come ciò sia
avvenuto è impossibile dirlo o immaginarlo.” Ora io concordo
certamente con l’Autore sul fatto che la materia non possa produrre lo spirito,
ma mi interesserebbe anche conoscere il suo pensiero su come la materia abbia
potuto produrre l’informazione necessaria per farle assumere
l’aspetto delle forme viventi che tutti conosciamo.
In altre parole,
vorrei proporre di applicare l’argomentazione che ha invocato per spiegare la
comparsa dell’Uomo anche alla morfogenesi degli esseri viventi,
dal batterio all’uomo, proprio perché questa costituisce una complessità
di informazioni strutturate tale da non essere predicibile a partire
dalle proprietà dei suoi costituenti fisici. Insomma, se l’identità
dell’uomo non è riconducibile alla sua struttura fisica, non possiamo dire lo
stesso dell’identità della vita in quanto tale? E se nel primo caso è
lecito parlare di Dio, non è possibile farlo anche nel secondo caso
senza tema di essere radiati dal consesso degli uomini che usano il cervello?
Umberto Fasol
http://www.uccronline.it/2012/10/06/sullorigine-delluomo-alcune-domande/
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