Julio Meinvielle (1905-1973)
Lo scritto che segue è
stato espunto dall’interessante e stimolante volume del filosofo e metapolitico
argentino Alberto Buela “Pensamiento de ruptura” (Editorial Theoria, Buenos
Aires 2008). Si tratta della trascrizione di una conferenza pubblica che Buela
tenne insieme al fratello sacerdote Carlos nell’anno 2005 in occasione del
centenario della nascita del Padre Julio Meinvielle (1905-1973), figura di
prim’ordine tra i teologi e i filosofi d’ispirazione aristotelico-tomista del
Novecento, ma fortemente osteggiato dai cattolici
cosiddetti liberali e progressisti per la connotazione aristocratica e
controrivoluzionaria del suo pensiero e soprattutto per il suo presunto
antisemitismo.
Qui non possiamo
passare sotto silenzio che a diffondere il pensiero del Padre Meinvielle in
Italia fu il sacerdote e teologo cattolico Don Ennio Innocenti. E’ a questo
sacerdote dalla forte tempra intellettuale e spirituale che si deve la pubblicazione
dell’opera forse più importante del Padre Meinvielle: “Influsso dello
gnosticismo ebraico in ambiente cristiano”(Ed. Sacra
Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 1988: uscito in lingua originale nel 1970
con il titolo “De la Cábala al
progresismo”).
Nel presentare questo equilibrato
intervento rievocativo di Buela, intendiamo interrompere l’ingiusto e
immeritato silenzio calato su un pensatore “forte”, integralmente e poderosamente
cattolico, che merita non solo di essere ricordato ma anche letto e studiato.
A.L.F.
di Alberto Buela
In quest’anno 2005 in
cui ci è dato vivere si celebrano numerosi centenari di pensatori e artisti, e leggendo
chi li celebra comprendiamo chi sono e cosa pensano.
Così, nel nostro Paese
(Argentina, ndt), il centenario di
Raymond Aron (1905-1983) viene celebrato dal circolo liberal-conservatore del
giornale “Nación” con Natalio Botana come scrivente. Su “Nuestra América” il liberale
ad oltranza Vargas Llosa con la sua consueta prodigalità intellettuale
commemora la nascita di Jean Paul Sartre (1905-1980). Dal canto suo, radio “FM
Tango” festeggia i natali di Osvaldo Pugliese (1905-2000). Altri, i centenari
dei pittori Berni e Soldi. In Spagna, quello di Luis Buñuel, e negli
Stati Uniti -non poteva essere diversamente- quello dell’attore Henry Fonda, essendo
il cinema la loro forma espressiva più completa.
Noi, per parte nostra,
ci accingiamo a celebrare la nascita di Padre Julio Meinvielle (1905-1973) che
sicuramente non sarà riportata da nessuno dei grandi mezzi di comunicazione.
La
sinistra e la destra
La caratterizzazione
che da sinistra ha effettuato il giornalista Horacio Verbitsky, attualmente
ideologo organico del governo in carica, è la versione che i mass media offrono del Padre Meinvielle:
“E’ il propagandista antidemocratico e
antiebraico più furibondo della storia argentina”.[1]
Questa stessa versione
si trova sulla pagina di internet quando si cerca “Julio Meinvielle”, raccolta
a sua volta dal sito “filosofa en español”,
e integrata da destra da nazionalisti paganeggianti come Disandro et alii, i quali qualificano Meinvielle
di “nazionalista guelfo” in opposizione a se stessi autodefinitisi
“ghibellini”. Questo ritorno a una polemica vecchia di otto secoli altro non fa
se non evidenziare il grado di stoltizia e di sterilità intellettuale di questi
sedicenti pensatori della destra argentina.
Di fatto, quindi, il
Padre Meinvielle è criticato ancora nei nostri giorni, trentadue anni dopo la
sua morte, sia dalla sinistra che dalla destra reazionaria esattamente come gli
accadde in vita. Perché? Perché il pensiero cattolico autentico è e deve essere
segno di contraddizione. E Meinvielle ha incarnato il pensiero cattolico nella
sua essenza in maniera esemplare, ovvero, con l’esempio della sua vita.
Così, non solo è stato
il primo di lingua spagnola a condannare Hitler e la sua follia non con frasi
fatte, ma con l’opuscolo La Iglesia y el
Reich del 1937, ovvero un anno prima che avesse luogo la famosa “notte dei
cristalli”, la prima persecuzione degli ebrei, che fino a quel momento avevano
collaborato attivamente con il regime tedesco; inoltre, è stato anche il
critico più profondo e costante del marxismo e del comunismo sia nel nostro
Paese che all’estero, come dimostrano le conferenze da lui tenute a New York insieme a
Lin Yu Than.
Noi, in questo omaggio,
siccome non possiamo percorrere tutto l’ampio spettro delle meditazioni e delle
denuncie di Meinvielle –la critica a Maritain, a Tailhard, a Rahner, al
progressismo cristiano, allo gnosticismo; le sue meditazioni sulla concezione
cattolica dell’economia, la politica, i popoli biblici, la Cristianità- ci
limiteremo all’essenza, alla sostanza più genuina e originale del pensiero del
nostro autore e alla sua proiezione socio politica.
In una parola, ne sonderemo
l’opera per cercare, sommariamente e nell’ambito del tempo che questa conferenza
condivisa ci consente, di esporre le due o tre idee-forza che come dice
Bergson, ha l’autentico pensatore.
Il
fondamento onto-teologico-culturale
Tutto il pensiero del
Padre Meinvielle è centrato, ovvero si fonda e si rivolge alla “regalità di Cristo nella storia”. A
partire da qui egli ha sempre esposto la
sua proposta, il suo apotegma e la sua convinzione più profonda attraverso il
consiglio evangelico: “Cercate dapprima il regno
di Dio e la sua giustizia; e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù (Mt 6,33)”.
La centralità di Cristo
percorre la sua opera dal primo all’ultimo dei suoi scritti e dalla prima
all’ultima delle sue azioni sociali e politiche –dalla creazione degli Scouts
in Argentina, agli atenei come quello di Versalles, alla fondazione di numerosi giornali.
Meinvielle, discepolo
fedele di Aristotele e San Tommaso, sostiene che l’uomo è un conflitto di
potenza e atto puro. E’ potenza pura perché l’intendimento umano ab initio è come una tabula rasa sulla quale non vi è scritto nulla, ma vi è in potenza tutto
l’intelligibile. Ed è atto puro perché grazie all’intendimento può attuare
tutto l’intelligibile.
Questa potenzialità
pura lo porta a definire la cultura nel modo più ampio: “l’uomo nella sua
manifestazione”. E questa cultura sarà tanto più ricca quanto più ricche
saranno le manifestazioni dell’uomo, il cui valore si dovrà ponderare d’accordo
con il loro contenuto di realtà.
E qual è per il nostro
autore la massima realtà? è Dio, in tanto che realtà sussistente. Egli è l’Ipsum esse subsistens. Dal ché si evince
che una cultura sarà tanto più ricca quanto più vicina a Dio e quanto meglio lo
esprima attraverso le proprie manifestazioni.
Quella centralità che
teologicamente era posta in Cristo, Meinvielle la difende e la definisce
filosoficamente in Dio come l’essere che sussiste in sé e per sé. Fondandosi
sull’Essere per antonomasia, inferisce ogni altra cosa da Lui e la riporta a
Lui. Stabilisce una gerarchia funzionale tra la natura dell’uomo e la sua
proiezione socio-politica.
Il nostro autore pensa
in consonanza con il più grande mitologo del XX Secolo, Georges Dumézil (1898-1986),
il quale, nel 1938, scoprì che “le tre
grandi funzioni delle culture primigenie indoeuropee –la prima: la sovranità,
il sacro, l’intelligenza; la seconda: la forza guerriera e la terza:
l’abbondanza, sia quella prodotta dal lavoro agricolo come quella rappresentata
dalla comunità- corrispondevano alle tre categorie dei sacerdoti romani
chiamati Flúmines, alcuni dei quali si dedicavano al culto di Jupiter, il più
grande degli déi, altri a quello di Marte, il dio della guerra e i terzi a Quirino,
protettore della comunità e della produzione agricola”.[2]
Questa visione organica
e normativa della società fu in vigore durante tutto il Medioevo e fino a tutta
la prima parte della modernità. I pensatori delle grandi Summae, -Duns Scoto, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Alessandro di
Halles- sostengono, ciascuno con la propria variante, questa visione gerarchica
della società.
Julio Meinvielle
raccoglie questa visione in ciò che noi consideriamo la sua elaborazione più
propria e originale, che denomina “le quattro formalità dell’uomo”, teoria che
espone in uno dei suoi primi scritti Concepción
católica de la ecónomia (1936) e
riprende approfondendola trent’anni più tardi nel secondo capitolo del suo
libro El comunismo en la revolución
anticristiana (1964).
Le
quattro formalità dell’uomo
Secondo il Parroco di
Versalles, le formalità o dimensioni dell’uomo sono quattro. L’uomo in quanto
ente è qualcosa: è, e non è non-è. L’uomo in quanto qualcosa, esiste, poiché il qualcosa come trascendentale aggiunge
alla nozione di ente la relazione con l’esistenza, e specificamente per quanto
riguarda l’ente uomo, con l’esistenza materialmente considerata. L’uomo come qualcosa
che esiste. Così possiamo dire che in
quanto ente uomo, sono questo qualcosa che sta qui.
La seconda dimensione
dell’uomo ci si presenta quando lo consideriamo in quanto animale nel quale
spicca la sensibilità. Quindi, l’uomo è considerato nel novero degli esseri
sensibili che ha come finalità del suo operare il piacere e il godimento dei
sensi.
Poi appare la
dimensione umana dell’uomo, ovvero l’uomo in quanto uomo. E qui emerge la
specificità di questo chi che tutti
noi siamo: la razionalità. La ragione nel suo uso sano non persegue solo l’ottenimento
del piacere dei sensi, ma il bene onesto.
Infine, l’uomo,
partecipando nel suo essere all’essenza divina, possiede una dimensione
soprannaturale. La finalità propria di questa quarta formalità dell’uomo è la
comunione con Dio, che sulla terra si manifesta nella santità.
“Così l’uomo è qualcosa perché sente come animale; sente come animale
perché ragiona e intende come uomo; ragiona e intende come uomo perché ama Dio
come dio”.[3]
In questa citazione di
Meinvielle osserviamo come il rapporto tra le diverse formalità dell’uomo trovi
il suo fondamento in quel pensiero del vecchio Aristotele quando parlando di
come si rapportano tra loro le diverse facoltà dell’anima osserva: “sempre nel termine seguente della serie di
facoltà si trova inclusa potenzialmente quella precedente. Così la facoltà
vegetativa è inclusa in quella sensitiva.”[4] La
facoltà superiore sussume e dà senso a quella inferiore.
Queste dimensioni si
trovano organizzate gerarchicamente nell’ordine naturale della vita in una
gerarchia di servizi il cui livello più basso corrisponde all’uomo come qualcosa,
poi come animale, poi come razionale, per culminare nella considerazione
dell’uomo come soprannaturale o divino.
Spezzare il rapporto
gerarchico che integra il molteplice nell’unità e che vincola queste quattro
formalità, suppone spezzare il principio di unità, la reductio ad unum, caratteristica propria dell’esistenza completa.
Quindi, la morte altro non è che la disgregazione dell’uno nel molteplice.
E cosa ha fatto
Meinvielle con queste quattro formalità gerarchicamente organizzate, con questa
teoria che, mutatis mutandis, arriva
dalle profondità della storia?
Ha mostrato tutta la
sua sostanza e capacità di comprensione e di penetrazione intellettuale conferendo
loro funzionalità in tutte le manifestazioni dell’uomo. Tenuto conto che per il
Parroco di Versailles cultura non è altro che l’uomo nella sua manifestazione.
E’ a questo punto,
secondo il nostro parere, che un filosofo o un teologo manifesta le sue qualità
intellettuali: quando può conferire funzionalità, in questo caso storico politica,
a una teoria classica. Questo ha fatto Meinvielle, e di questo si accorse
Octavio Derisi, che pur non spiccando per intelligenza era un grande studioso
amante della verità, quando affermò del Padre Julio: “si distinse per la penetrazione e la lucidità della sua intelligenza… sapeva
arrivare con rapidità e perspicacia al punto essenziale… la sua intelligenza
era contemporaneamente chiara, brillante e di profonda penetrazione… noi che lo
abbiamo frequentato intimamente, conoscevamo la limpidezza e la grandezza della
sua anima”.[5]
Attraverso questa
proiezione sociale, politica, economica, storica, filosofica e teologica, il
nostro autore sviluppò, lungo tutta la sua vasta opera –più di venti volumi-
una grandiosa analogia tra le quattro dimensioni dell’uomo e i diversi momenti
storici dello sviluppo politico del mondo, le diverse dottrine economiche,
filosofiche e teologiche. In una parola, abbracciò tutti i grandi ambiti nei
quali l’uomo si manifesta: nella sua formalità soprannaturale come sacerdote;
nella sua dimensione razionale, come aristocrate; nel suo aspetto sensitivo,
come borghese; e in quanto realtà materiale, come operaio o proletario.
L’alterazione di quest’ordine
produce tre rivoluzioni possibili: a) la ribellione del naturale contro il
soprannaturale. L’aristocratico contro il sacerdotale, il politico contro il teologico.
Questa cultura viene inaugurata dal Rinascimento; b) la ribellione dell’animale
contro il naturale. La borghesia contro l’aristocrazia, l’economia contro la
politica. Questa cultura viene inaugurata dalla Rivoluzione Francese; c) la
ribellione de il qualcosa contro
l’animale. Il proletariato contro la borghesia, la pianificazione totalitaria
contro l’economia. Questa cultura viene inaugurata dalla Rivoluzione Comunista.
Tutto questo ampio
processo è denominato dal nostro Autore il
movimento della Rivoluzione Mondiale[6]
costituito dalle grandi rivoluzioni
prodotte dalla modernità: Rinascimento, Rivoluzione Francese e Rivoluzione
Bolscevica, e tutte le implicazioni culturali che comportano: umanesimo,
razionalismo, naturalismo e assolutismo, per la prima; economicismo,
capitalismo, positivismo, democrazia e liberalismo per la seconda; e comunismo,
materialismo dialettico, lotta di classe, per la terza.
Così, il razionalismo
termina nell’irrazionalismo di un Nietzsche; l’assolutismo con Luigi XVI, nel
patibolo; il naturalismo nel materialismo del socialismo reale; il positivismo
nell’evoluzionismo di Darwin; la democrazia in una mera formalità procedurale,
e la morte di Dio nella morte dell’uomo: cosa possiamo fare?, cosa ci è consentito
sperare?
La risposta del Padre
Meinvielle è inequivocabile e perentoria:
instaurare omnia in Christo. O meglio ancora, re-instaurare tutto in
Cristo. Ricreare la Città Cattolica. Recuperare l’idea della Cristianità come
organizzazione della società al modo cristiano.
In poche parole, che i
popoli informati dalla Chiesa, ovvero quelli ai quali la Chiesa ha dato forma e
fede si manifestino in tutti gli ordini al modo cattolico.
Si potrà affermare che
date le attuali condizioni storiche e socio politiche, sia piuttosto
inverosimile, non viabile o, quanto meno, difficilissimo da realizzare. “Può darsi, risponde Meinvielle, ma una cosa è l’opinione del mondo e
un’altra quella di Dio”.[7]
(Traduzione dallo
spagnolo di Aldo La Fata)
[3] Meinville, Julio: El comunismo en la revolución anticristiana,
Bs.As., Theoria, 1964, p.47. L’ultimo
termine della citazione, dio, è scritto con la minuscola perché il nostro
autore ha voluto sottolineare che l’uomo non è Dio bensì un dio minore, un microtheos, per ciò che ha di divino
secondo quanto dice Aristotele facendo riferimento al νους.
[4] Aristotele: De anima, 414b 28-30.
[5] Derisi, Octavio: sulla rivista Universitas, Bs.As., N° 30,
luglio-settembre 1973, pp. 79-80.
[6]
E’ interessante annotare
che Meinvielle elabora l’idea di Rivoluzione Mondiale già nel suo primo studio Concepción católica de la política, del
1932. Il più significativo storiografo cattolico inglese del XX Secolo,
Christopher Dawson (1889-1970), pubblicherà solo nel 1959 uno dei suoi lavori
più importanti con il titolo The movement
of world devolution.
[7]
La letteratura su
Meinvielle si divide chiaramente tra apologisti e detrattori, gli studi seri e
meditati sono quasi inesistenti. Uno dei pochi che troviamo è quello di Juan
Fernando Segovia: La legitimidad entre la
teología y la política en Meinvielle y Castellani, Madrid, rivista Anales, Anno X/2004, pp. 83 a 117.
Non conosco bene questo autore ma non posso non ravvisare fortissime analogie con Plinio Correa de Oliveira, autore del classico Rivoluzione e Contro-rivoluzione.La filosofia della storia è la medesima e giova qui forse ricordare che il "segno" della Contro Rivoluzione per Plinio, quel segno capace di vincere persino la viscida serpe infernale, sia Maria. Lei è il vero vessillo del puro cavaliere senza macchia, Lei è il segno della vittoria.
RispondiEliminaRenè
Certo, e qui si potrebbe anche fare il nome di Francisco Elìas Tejada. Sono gli autori e i maestri riconosciuti della scuola cattolica contro-rivoluzionaria di lingua spagnola. Noi di Metapolitica non apparteniamo a questa corrente, ma ne consideriamo valide e interessanti alcune idee e proposte culturali.
RispondiEliminaSilvano Panunzio ha espresso un giudizio molto severo sul pensiero controrivoluzionario. Forse la sua intransigenza è stata dettata dall’intento di definire in maniera chiara e senza possibilità di equivoci le differenze fra l’arte regale e profetica della Metapolitica e la prassi controrivoluzionaria. Mi chiedo e chiedo: sono davvero radicalmente incompatibili Metapolitica e Controrivoluzione? Invero lo sguardo d’aquila della Metapolitica è ben più alto e sintetico, vede operare, contrapporsi e scontarsi nella storia e nel cosmo la mano destra e la mano sinistra, le forze dell’ordine e della conservazione da un lato e quelle della trasformazione e della dissoluzione dall’altro e tende a ricondurle all’unità dello spirito, riconoscendo la funzione che le une e le altre assumono – nonostante le interferenze della malizia umana e dell’astuzia diabolica - nel disegno provvidenziale. L’impegno di coloro che operano nella sfera della Metapolitica è di carattere prevalentemente, anche se non esclusivamente, intellettuale e spirituale. La controrivoluzione si colloca, mi sembra, sul piano della politica, rappresentata simbolicamente dal leone. La sua visione della storia è dualistica: di qui la luce, l’ordine della natura e i suoi difensori, di là le tenebre, le spinte dissolutive e i loro agenti. D’altra parte quando si combatte è necessario che...........vi sia un nemico! Lo stesso Panunzio ha osservato che, se non ci fosse un bersaglio da colpire, la lancia scagliata si perderebbe nel vuoto. Sul piano teorico e speculativo penso che l’analisi di Silvano Panunzio sia ineccepibile. Ma aveva davanti agli occhi gli eccessi di un certo spirito reazionario d’oltre oceano. A me sembra che i controrivoluzionari italiani di oggi siano assai più equilibrati ed ortodossi, più intelligenti ed aperti dei loro stessi maestri. E che, mantenendo ben distinti gli ambiti differenti, sarebbe possibile un dialogo fecondo. Giuseppe Maddalena
RispondiEliminaPuntuale e centrata la tua analisi, caro Giuseppe. La Metapolitica, come ci ha insegnato Panunzio, si erge ben al di sopra tanto della "sovversione" quanto della "reazione", due facce della stessa medaglia. Ma il pensiero contro-rivoluzionario, come filosofia e teologia della storia ed esempio vivo di accesa e combattiva fede cattolica,potrà sempre fornire spunti di riflessione e buone idee utili anche alla nostra svettante Metapolitica.
RispondiEliminaCari amici,
RispondiEliminaun classico contro- rivoluzionario , Rivoluzione e Contro rivoluzione di Plinio, è ben più che politico... è una filosofia della storia fondata su basi spirituali, addirittura ascetiche, se si legge bene. I due fondamenti contro rivoluzionari infatti sono massime virtù cristiane: l'umiltà e la purezza che sconfiggono rispettivamente l'orgoglio e l'impurità (intesa nel senso più ampio). Il vero stendardo del contro rivoluzoniario è Maria.
Un caro saluto
Renè
Sono d'accordo anch'io con quanto dice Giuseppe ma credo sarebbe auspicabile una sintesi - e non solo a livello simbolico, fra i controrivoluzionari, che però io trovo dotati di pelo sfoltito e unghie ben tagliate, e le aquile metapolitiche.
RispondiEliminaA guardare l'arena politica, italiana e no, mi sembra infatti che le forze della dissoluzione e del disordine stiano cercando da un pò di tempo un nemico contro cui scagliare le proprie frecce.
saluti
Paolo