di Alessandro Scali
Amici, le osservazioni di Gorlani mi chiamano a due risposte: la prima a
nome e per conto di Dante, spirito intransigente e mordace; la seconda sarà la
mia, tenuta a bada e stringata per quanto possibile.
Quanto a me, una volta osservato:
-
che i dotti rilievi
sull’insufficienza della classica ripartizione “temporale-spirituale” non
considerano l’ampiezza di significato
comunemente attribuita al secondo termine, per cui poco utili appaiono nello
specifico;
-
che il tema è stato
spostato su tavoli inesistenti, atteso che l’idea che i due poteri non siano
gerarchicamente ordinati non ha mai attraversato mente e intelletto di Dante (e
pertanto nemmeno la volgarizzazione del suo umile scudiero). Bisognava prima
capire perché Farinata degli Uberti staziona nell’Inferno, e perché Giustiniano, in paradiso, si relaziona prima con papa Agapito;
-
che non è bastato né a
Dante rimarcare: “Illa igitur reverentia Caesar utatur...”, né a
me di sostenerlo con “...la funzione temporale sia subordinata a quella
spirituale...”, integrato poi col praestantior
di Giona d’Orleans, per uscire dalla taccia di essere ambedue extra
Traditionem;
-
che l’etimologica
speculazione del critico sul “subordinato” dimentica l’inversione di gerarchia che si
determina tra il mondo dei principî e quello terreno, per cui preordinato e
subordinato si ribaltano (come Dante tra Inferno e
Purgatorio);
-
che con tutta evidenza il
prefato evita sia di sterilizzare Dante e la sua Monárchia, sia di demolire le fonti citate a rincalzo (colonne
della dottrina cristiano-cattolica), eventualmente citandone altrettante non
meno autorevoli e di opposta valenza (ma rimanendo in temporalibus);
-
che il suddetto, pur
avendo presente Evola e Guenon, non si è accorto che la posizione dantesca è
esattamente quella che trova il punto di equilibrio, nella nota divergenza tra
i due intercorsa, in quella “sostanza inferiore a Dio”, in cui si unificano i
due poteri, identificabile nel cristianesimo in Meiki-Tsedeq (Re di pace e di Giustizia) così come
nella tradizione induista nel Brahâtmâ si unificano Mahâtmâ e Mahânga;
poco rimane da
aggiungere, salvo il rammarico di confessarvi che tutto ciò è di nano-importanza rispetto
allo sgomento nel vedere ancora ignorato il dramma che stringe soprattutto i popoli
cattolici, e in particolare il nostro, dramma esistenziale che inutilmente Dante ha interpretato e
denunciato. Traduco: è possibile che ancora
non ci si renda conto che è giusto sia dire: bisogna perdonare l’assassino,
come predica la Chiesa, sia richiederne la dura condanna,
come la giustizia reclama? Il cattolico
che non distingue tra i doveri
legati a questo mondo e a quello superiore ha preso terra a Babilonia: non corrisponde né agli uni né agli altri. Si rifletta
invece sul perché, a fronte di
queste legittime opposte posizioni, fu
lo stesso Giovanni Paolo II a richiedere che si intervenisse militarmente in Serbia, dove la guerra
etnica aveva scatenato forze sataniche.
Non è insomma chiaro che nelle vicende mondane lo
spirituale si “subordina” (scil.: viene dopo)
al temporale, proprio in funzione anagogica? Nel mondo dei principî si comincia
dall’alto, (dal “Quarto” upanishadico e dionisiano), in quello terreno dal
basso (l’inferno) a mettere ordine. E nemmeno è chiaro che nel contesto sociale l’etica si impone con la
spada (la legge), onde preparare il terreno per il trascendente, e che viene
sempre prima la giustizia e poi
la pace?
E sopraintende alla giustizia terrena il potere temporale
o l’autorità spirituale, cui spetta unicamente il compito di mantenere vivo il
contatto col metafisico, elaborandone (la ruminatio)
il simbolo?
E’ possibile che
su fondamentali di quest’ordine ci sia ancora chi fa accademia?
Dichiarando i miei dubbi sulla questione serba, innazitutto a me pare che la si pone egualmente male la faccenda.
RispondiEliminaLe complicazioni sorgono nel dimenticare che ogni trasposizione è su piani diversi seppur analogica.
Innazitutto Pietro non è di per sé figlio del tuono.
Guardando ad oriente la dottrina delle due spade non ha senso poiché l'Imperatore è al contempo chierico.
Troppo spesso diciamo interno ed esterno scordando l'intermedio.
Troppo spesso dichiariamo che che i gradi iniziatici principali siano 2 ( grandi e piccoli misteri ) mentre invece sono tre ( cfr. Guénon "la triplice cinta druidica" ) come 3 sono le marga hindù inerentemente alla natura degli individui.
Qual è dunque il grando imperiale e come correlarlo alla istituzione petrian che sembra così simile?
Daouda