di Giuseppe Gorlani
Cercheremo di rispondere alle osservazioni di Scali punto per
punto. La prospettiva assunta è quella della Tradizione indiana, mirabilmente
dotata di analisi e di sintesi ad un tempo:
– è proprio a causa dell’ampiezza semantica del termine
“spirituale” che si avverte la necessità di una maggiore precisione. Parlare di
un “potere spirituale” senza ulteriori chiarificazioni non può che dar adito ad
equivoci, giacché con il termine “spirito” ci si può riferire all’Ineffabile
che trascende in assoluto la materia, all’Arché,
allo pneũma kai alétheia, al Soffio
che alita sulle acque, oppure anche ad una forma di materia più sottile
rispetto a quella percepibile dai cinque sensi. Scali nota che simili riflessioni
«appaiono poco utili nello specifico». Per chi scrive, tuttavia, lo “specifico”
non consiste tanto nel disquisire sul rapporto tra i poteri spirituale e
temporale all’interno della visione dantesca (cosa sicuramente di grande
importanza), quanto nell’estendere la riflessione ad un livello normativo,
universale;
– in tutta sincerità, non ci sembra di essere usciti fuori
tema. Come si può comprendere Dante se non se ne colloca il pensiero in un corpus di dottrine tradizionali capace
di soddisfare l’intelletto e il cuore?
– il discorso resta poco chiaro: che valore può avere la reverentia o una sedicente
subordinazione se non le si traduce in norme relazionali razionalmente
comprensibili? Qualora si insista a considerare i due poteri, quello sacerdotale
e quello regale, distinti e il secondo del tutto indipendente ed autonomo
rispetto al primo, la reverentia
assume un carattere puramente formale, non effettivo. Può darsi che ci sia una
chiave che permette di accedere ad una maggiore chiarezza, ma si ha l’impressione
che non venga porta. Con ciò non si intende minimamente tacciare Dante né il
suo esegeta di essere extra traditionem.
Il Sanatana-dharma ammette sei darshana, ciascuno dei quali include una
vasta gamma di dottrine, anche assai diverse tra loro. La forma mentis orientale –
che ci si augura di aver assorbito almeno un po’ – consente una notevole
elasticità nel discriminare tra dottrine ortodosse ed eterodosse;
– questo punto è assai importante, poiché tocca il nucleo della
questione. Che cosa significa invertire la gerarchia tra il mondo dei princìpi
e quello terreno? Scali riprende lo stesso concetto anche nella parte finale
del suo intervento: «Non è insomma chiaro che nelle vicende mondane lo
spirituale si “subordina” (scil.: viene dopo) al temporale, proprio in funzione
anagogica? Nel mondo dei princìpi si comincia dall’alto, […] in quello terreno
dal basso […] a mettere ordine». Per commentare adeguatamente, non ci si può
esimere dallo spostare l’attenzione sul rapporto tra l’Uno e i Molti, tra
Immanifesto e Manifesto. Le dottrine tradizionali non sono univoche in
proposito. È legittimo chiedersi: come può lo Spirito subordinarsi al temporale
in funzione anagogica se, in un qualche modo, non lo essenzia? Solo lo Spirito
ritorna allo Spirito; in altre parole: si parte dalla mèta. Ciò significa che
il temporale non potrà mai avere una sua realtà assolutamente separata dallo
Spirito. Così, per esercitare la giustizia, non sarà sufficiente un potere
temporale non guidato dalla Grazia dello Spirito. Per “giudicare” occorre
lasciarsi ispirare dalla saggezza che non impedisce la pena, bensì il disprezzo
o l’odio per il peccatore, nel quale il giudice riconosce un aspetto di se
stesso. Una giustizia che non abbia già in sé la pace, non promuoverà mai pace.
«Il vero potere può solo venire dall’Alto» (René Guénon). Il rapporto dunque
tra il potere spirituale e quello temporale non è riducibile a semplice reverentia del secondo nei confronti del
primo. Piuttosto, ci sembra più corretto parlare di sottomissione, di
ubbidienza, fermo restando che tali qualità debbono essere abbracciate
liberamente, per comprensione. In questo, sì, la sfera temporale ha autonomia;
essa è in grado di scegliere se lasciarsi dirigere da un potere superiore o no.
Pensare che i due poteri siano nettamente divisi e che per ottenere giustizia
si debba partire dal basso è secondo noi un errore fomite di gravi conseguenze.
Da un tale fraintendimento sono puntualmente scaturite azioni incapaci di
preparare il terreno per il trascendente. La Storia ce lo insegna ad abundantiam.
– forse sarebbe superfluo sottolineare la reverentia di chi scrive per la
gigantesca statura di Dante. Non riusciamo inoltre a distinguere radicalmente
la sfera spirituale da quella temporale; si tratta in fondo di una distinzione
puramente strumentale, dalla quale non ci si può esentare, ma che va utilizzata
nella consapevolezza della sua relatività.
– anche qui si tocca un punto nodale. Si accenna ad una
«“sostanza inferiore a Dio” in cui si unificano i due poteri». Non si capisce,
però, se con essa si vuole indicare lo stato principiale, oppure quello
sottile. Il riferimento al Brahâtma,
in cui si unificano Mahâtmâ e Mahânga, la grande anima e il grande
corpo o mezzo, indurrebbe a
propendere per il secondo, rappresentato, sul piano individuale, dal vijñânamayakosha o buddhimayakosa
(la guaina o involucro fatto di intelligenza noetica), e, su quello cosmico,
dall’hiranya-garbha: “il germe
d'oro”, l'“uovo cosmico”, la totalità della manifestazione sottile. In ogni
caso, sia che ci si riferisca alla dimensione causale che a quella sottile, i
due poteri non si incontrerebbero, bensì quello temporale discenderebbe da
quello noumenico. La tesi che sostiene il contrario ci risulta logicamente
inaccettabile. Non a caso, riguardo al sacerdote, si parla di pontifex; egli infatti funge da ponte
tra la dimensione principiale e quella sottile inferiore e densa. Quale
giustizia potrebbe essere mai esercitata se la mente dicotomica e l’azione che
da essa deriva non fossero guidate dal lógos,
inteso come noũs o buddhi, punto di congiunzione tra il
sovrumano e l’umano?
Venendo
all’ultima parte della replica di Scali, concordiamo nel ritenere giusto per
l’uomo di tradizione rispettare i doveri legati a questo mondo, purché non entrino
in contrasto con i doveri connessi alla salvezza dell’anima. «[L’Anima] è al di
sopra della legge, / Ma non contro la legge», scriveva Margherita Porete. Il
compito di mantenere vivo il contatto e l’orientamento verso il metafisico non
si riduce certo a cosa astratta, ma di necessità coinvolge integralmente
l’uomo. Ci sembra invece parecchio azzardato ritenere che l’etica si imponga
con la spada; semmai la spada dovrà tutelare –
con estrema parsimonia, onestà e lungimiranza –
l’etica irradiata dalla sfera sacerdotale, ovvero dal noũs. L’esempio dell’intervento in Serbia delle forze Nato,
caldeggiato da Giovanni Paolo II, ci convince ancor meno. Sarebbe come
incaricare un malfattore, che ha derubato ed ucciso dieci persone, di assassinare
un suo collega che ne ha uccise undici. I risultati, del resto, sono sotto gli
occhi di tutti.
E
infine, non ci sembra che riflettere su questioni della massima importanza
equivalga a “fare accademia”.
Condivido tutti i punti di Gorlani in risposta a Scali e vi ringrazio per questo "alto" scambio di riflessioni e idee.
RispondiEliminaNon concordo solo in merito alla scelta politica dell'ex Pontefice sulla guerra in Serbia, bisognerebbe approfondire, ma non è questa la sede opportuna e forse non ne avrei neppure gli strumenti adeguati. Altro che accademia inutile, Gorlani ha individuato con grande chiarezza e precisione di principi e linguaggio, alcune direttive fondamentali per tutti coloro che seguono la Tradizione.
Un caro saluto a tutti
Renè