26/05/12

Note sulla replica di Alessandro Scali


di Giuseppe Gorlani

Cercheremo di rispondere alle osservazioni di Scali punto per punto. La prospettiva assunta è quella della Tradizione indiana, mirabilmente dotata di analisi e di sintesi ad un tempo:

è proprio a causa dell’ampiezza semantica del termine “spirituale” che si avverte la necessità di una maggiore precisione. Parlare di un “potere spirituale” senza ulteriori chiarificazioni non può che dar adito ad equivoci, giacché con il termine “spirito” ci si può riferire all’Ineffabile che trascende in assoluto la materia, all’Arché, allo pneũma kai alétheia, al Soffio che alita sulle acque, oppure anche ad una forma di materia più sottile rispetto a quella percepibile dai cinque sensi. Scali nota che simili riflessioni «appaiono poco utili nello specifico». Per chi scrive, tuttavia, lo “specifico” non consiste tanto nel disquisire sul rapporto tra i poteri spirituale e temporale all’interno della visione dantesca (cosa sicuramente di grande importanza), quanto nell’estendere la riflessione ad un livello normativo, universale;

in tutta sincerità, non ci sembra di essere usciti fuori tema. Come si può comprendere Dante se non se ne colloca il pensiero in un corpus di dottrine tradizionali capace di soddisfare l’intelletto e il cuore?

il discorso resta poco chiaro: che valore può avere la reverentia o una sedicente subordinazione se non le si traduce in norme relazionali razionalmente comprensibili? Qualora si insista a considerare i due poteri, quello sacerdotale e quello regale, distinti e il secondo del tutto indipendente ed autonomo rispetto al primo, la reverentia assume un carattere puramente formale, non effettivo. Può darsi che ci sia una chiave che permette di accedere ad una maggiore chiarezza, ma si ha l’impressione che non venga porta. Con ciò non si intende minimamente tacciare Dante né il suo esegeta di essere extra traditionem. Il Sanatana-dharma ammette sei darshana, ciascuno dei quali include una vasta gamma di dottrine, anche assai diverse tra loro. La forma mentis orientale – che ci si augura di aver assorbito almeno un po’ – consente una notevole elasticità nel discriminare tra dottrine ortodosse ed eterodosse;

– questo punto è assai importante, poiché tocca il nucleo della questione. Che cosa significa invertire la gerarchia tra il mondo dei princìpi e quello terreno? Scali riprende lo stesso concetto anche nella parte finale del suo intervento: «Non è insomma chiaro che nelle vicende mondane lo spirituale si “subordina” (scil.: viene dopo) al temporale, proprio in funzione anagogica? Nel mondo dei princìpi si comincia dall’alto, […] in quello terreno dal basso […] a mettere ordine». Per commentare adeguatamente, non ci si può esimere dallo spostare l’attenzione sul rapporto tra l’Uno e i Molti, tra Immanifesto e Manifesto. Le dottrine tradizionali non sono univoche in proposito. È legittimo chiedersi: come può lo Spirito subordinarsi al temporale in funzione anagogica se, in un qualche modo, non lo essenzia? Solo lo Spirito ritorna allo Spirito; in altre parole: si parte dalla mèta. Ciò significa che il temporale non potrà mai avere una sua realtà assolutamente separata dallo Spirito. Così, per esercitare la giustizia, non sarà sufficiente un potere temporale non guidato dalla Grazia dello Spirito. Per “giudicare” occorre lasciarsi ispirare dalla saggezza che non impedisce la pena, bensì il disprezzo o l’odio per il peccatore, nel quale il giudice riconosce un aspetto di se stesso. Una giustizia che non abbia già in sé la pace, non promuoverà mai pace. «Il vero potere può solo venire dall’Alto» (René Guénon). Il rapporto dunque tra il potere spirituale e quello temporale non è riducibile a semplice reverentia del secondo nei confronti del primo. Piuttosto, ci sembra più corretto parlare di sottomissione, di ubbidienza, fermo restando che tali qualità debbono essere abbracciate liberamente, per comprensione. In questo, sì, la sfera temporale ha autonomia; essa è in grado di scegliere se lasciarsi dirigere da un potere superiore o no. Pensare che i due poteri siano nettamente divisi e che per ottenere giustizia si debba partire dal basso è secondo noi un errore fomite di gravi conseguenze. Da un tale fraintendimento sono puntualmente scaturite azioni incapaci di preparare il terreno per il trascendente. La Storia ce lo insegna ad abundantiam.

forse sarebbe superfluo sottolineare la reverentia di chi scrive per la gigantesca statura di Dante. Non riusciamo inoltre a distinguere radicalmente la sfera spirituale da quella temporale; si tratta in fondo di una distinzione puramente strumentale, dalla quale non ci si può esentare, ma che va utilizzata nella consapevolezza della sua relatività.

anche qui si tocca un punto nodale. Si accenna ad una «“sostanza inferiore a Dio” in cui si unificano i due poteri». Non si capisce, però, se con essa si vuole indicare lo stato principiale, oppure quello sottile. Il riferimento al Brahâtma, in cui si unificano Mahâtmâ e Mahânga, la grande anima e il grande corpo o mezzo, indurrebbe a propendere per il secondo, rappresentato, sul piano individuale, dal vijñânamayakosha o buddhimayakosa (la guaina o involucro fatto di intelligenza noetica), e, su quello cosmico, dall’hiranya-garbha: “il germe d'oro”, l'“uovo cosmico”, la totalità della manifestazione sottile. In ogni caso, sia che ci si riferisca alla dimensione causale che a quella sottile, i due poteri non si incontrerebbero, bensì quello temporale discenderebbe da quello noumenico. La tesi che sostiene il contrario ci risulta logicamente inaccettabile. Non a caso, riguardo al sacerdote, si parla di pontifex; egli infatti funge da ponte tra la dimensione principiale e quella sottile inferiore e densa. Quale giustizia potrebbe essere mai esercitata se la mente dicotomica e l’azione che da essa deriva non fossero guidate dal lógos, inteso come noũs o buddhi, punto di congiunzione tra il sovrumano e l’umano?

Venendo all’ultima parte della replica di Scali, concordiamo nel ritenere giusto per l’uomo di tradizione rispettare i doveri legati a questo mondo, purché non entrino in contrasto con i doveri connessi alla salvezza dell’anima. «[L’Anima] è al di sopra della legge, / Ma non contro la legge», scriveva Margherita Porete. Il compito di mantenere vivo il contatto e l’orientamento verso il metafisico non si riduce certo a cosa astratta, ma di necessità coinvolge integralmente l’uomo. Ci sembra invece parecchio azzardato ritenere che l’etica si imponga con la spada; semmai la spada dovrà tutelare con estrema parsimonia, onestà e lungimiranza l’etica irradiata dalla sfera sacerdotale, ovvero dal noũs. L’esempio dell’intervento in Serbia delle forze Nato, caldeggiato da Giovanni Paolo II, ci convince ancor meno. Sarebbe come incaricare un malfattore, che ha derubato ed ucciso dieci persone, di assassinare un suo collega che ne ha uccise undici. I risultati, del resto, sono sotto gli occhi di tutti.
E infine, non ci sembra che riflettere su questioni della massima importanza equivalga a “fare accademia”.

1 commento:

  1. Condivido tutti i punti di Gorlani in risposta a Scali e vi ringrazio per questo "alto" scambio di riflessioni e idee.
    Non concordo solo in merito alla scelta politica dell'ex Pontefice sulla guerra in Serbia, bisognerebbe approfondire, ma non è questa la sede opportuna e forse non ne avrei neppure gli strumenti adeguati. Altro che accademia inutile, Gorlani ha individuato con grande chiarezza e precisione di principi e linguaggio, alcune direttive fondamentali per tutti coloro che seguono la Tradizione.
    Un caro saluto a tutti

    Renè

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