Emanuele Severino,
L’intima mano, Adelphi,
Biblioteca Filosofica, 2010,
pp. 179, euro 26,00
La formula vuota e ipocrita che denuncia l’attuale «crisi della politica» nasconde, in realtà, una crisi molto più profonda e inquietante, che accomuna non solo «tutte le forze della tradizione occidentale», ma esse stesse alla loro distruzione, compiuta dalla modernità: un’«“intima mano”, assolutamente più intima (e terribile) di quanto possa supporre Herder, quando, volgendosi al “santo Cristo” e al “santo Spinoza”, si chiede: “Quale intima mano congiunge i due in uno?”». Nel suo nuovo libro, Emanuele Severino mette a fuoco questo grande occultamento, accompagnandoci nel «sottosuolo essenziale» del pensiero filosofico del nostro tempo. Severino ci mostra anzitutto la conflittualità e insieme la specularità di tali forze: l’incerta «identità europea», improntata dal duumvirato Usa-Urss, ovvero il più potente «monopolio legittimo della violenza» dell’ultimo secolo; il marxismo defunto e un capitalismo incapace di offrire alternative all’incremento del profitto privato quale «scopo supremo» della società; il cristianesimo e l’Islam come opposti dogmatici accomunati da una rigida connotazione antimoderna; lo Stato e la Chiesa, distinti sulla base di un Concordato «ambiguo» che lede le ragioni di entrambi. Al tempo stesso Severino rileva come tutte quelle forze convergano nell’asservimento a una «tecnica» modellata dal «sapere ipotetico» della scienza e fondata sul solo «valore della potenza», e dunque sintesi estrema dell’«errore» dell’Occidente: l’«agire» come un carattere separato dall’essere, e il percorso dell’uomo come un procedere «tra nulla e nulla». Fitto di spiazzanti provocazioni intellettuali (sull’ancipite idea di Provvidenza, estesa dal cattolicesimo ai totalitarismi; sulla contiguità tra vecchia e nuova Guerra Fredda; sulla teologia di Benedetto XVI), L’intima mano è così uno sguardo «a volo d’aquila» sugli snodi essenziali della contemporaneità e un invito a inquadrarli al di là, e al di fuori, della loro ingannevole contingenza.
L'Italia avrebbe bisogno di grandi anime, alla Panunzio per intenderci; avrebbe bisogno di donne e uomini capaci di testimoniare una passione, una fede, un impeto di Vita che vada oltre il quotidiano, oltre l'ordinaria follia dell'ordinario. L'Italia avrebbe bisogno di donne e uomini lesti nell'agire perché lenti nel riflettere. Avrebbe bisogno l'umanità, non di servitori del sistema, lacché prezzolati della cultura dominante, ma di giganti del pensiero libero dai lacci dell'ideologia. Invece ci ritroviamo con Severino, Uolter Veltroni, Fini, Eco, Maraini, Giorello, Odifreddi, Augias, Veronesi, Hack, Allevi: ma che cos'è un incubo?
RispondiEliminaCaro Angelo, sono d'accordo su tutto, ma non sarei così severo nei riguardi del buon Severino. Costui non è certo "un santo del mio Paradiso", ma resta un pensatore rigoroso e un filosofo di prim'ordine e come tale credo che meriti rispetto. Anche per i libri che ha scritto (bellissimo il saggio su Leopardi e anche le pagine sulla Tragedia greca). Sugli altri nome (farei un eccezione con riserva anche per un Giorello), stenderei il classico "velo pietoso", ma non tanto per il loro conformismo, quanto piuttosto per la pochezza e l'insufficienza culturale e teorica delle loro idee.
RispondiEliminaCaro Aldo, sei troppo buono e signore. Io vengo dalla strada e bado poco alle buone creanze. Il fatto è che la cultura italica è in mano a compagnucci organici al partito, un tempo, e oggi servitori dell'industria culturale egemone. Pensa, i compagni hanno problemi di coscienza a pubblicare i loro capolavori per la Mondadori, azienda dell'odiato cavaliere. Ovviamente la loro coscienza è in subbuglio, ma il portafoglio è ben stretto. Il denaro non puzza, si dice. L'ex cattolico Severino non a caso scrive su Adelphi, la nuova magione degli gnostici di sinistra. Ovviamente Illuminati. Sai, detto da uno come me munito di peli di cinghiale sul petto,..
RispondiEliminaDevi pure ammettere che in ambiente cattolico c'è poco da stare allegri. Di Chesterton ne vedo pochi, anzi nessuno. Di teologi che non siano solo innamorati del loro affabulare - leggi ego - come sopra. Messori? Mi sembra più una vecchia zitella dai buoni propositi, buon cattolico per carità, ma scarsetto come scrittore. Al contrario di molti, la sua Ipotesi su Gesù, non mi agganciò. Meglio un Fulton Sheen di santa memoria. Forte il pensiero e la fede di un cardinal Siri, ma oggi scarseggiano i cardinali di pensiero e profondità. Il santo Padre Benedetto XVI? Senza offesa e col dovuto rispetto, come scrittore è un tipico professore universitario, pedantino e freddo, poca esperienza di vita. Giovanni Paolo II, invece, sempre come penna, era tosto, immaginifico, dalle forti suggestioni. Si notava che aveva vissuto intensamente.
Silvano Panunzio? Non si batte. Ringrazio Dio per avermelo fatto conoscere. È atlantideo come Platone. Garantito.
Carissimo Angelo,
RispondiEliminain linea di massima sono d'accordo con te, anche se i tuoi giudizi sono sempre piuttosto tranchant e quindi probabilmente sbilanciati e fuori baricentro. Su Severino mi permetto di mantenere il punto. Non ho mai avuto l'impressione che fosse sponsorizzato dalla “sinistra italiana” o “italiota” più di quanto non lo fosse dal pensiero cosiddetto “liberale”; e il fatto poi che il nostro pubblichi preferibilmente, ma non solo, con Adelphi (i suoi editori di riferimento sono anche Rizzoli e Rusconi) non significa che si sia lasciato irreggimentare nell'”esercito della rovina” (così io chiamo i teorici della gnosi spuria). Severino è un “cane sciolto” più ammirato che letto veramente da un pubblico di pseudo intellettuali a “la page” e che proviene da una certa borghesia bresciana che a te farebbe alquanto ribrezzo. Il mio giudizio prescinde totalmente da tutto questo e si riferisce unicamente ai suoi scritti (come ho detto, alcuni sono davvero belli e profondi) più ancora che alle sue idee e anche alla sua straordinaria capacità di esposizione. E' uno insomma che fa mettere in moto il cervello, che di questi tempi di encefalogramma piatto già mi parrebbe una gran cosa.
Vittorio Messori lo conosco anche meglio e ho letto quasi tutti i suoi libri. E' un buon apologista della fede cristiana e cattolica e un discreto scrittore. Sicuramente non è un gigante del pensiero cristiano, ma in linea di massima si fa leggere con profitto. Di solito non è uno che sale in cattedra ed è anche un ricercatore curioso e intelligente, pur se a volte un po' ingenuo. Su di lui potrei anche svelare cose (buone) inedite e inaspettate che sorprenderebbero più d'uno e anche un tipo come te abituato a sentirle tutte, ma per ragioni di discrezione mi taccio. Fatto sta che dopo il pontificato di Giovanni Paolo II è finito -suo malgrado?- un po' in ombra.
Sul merito dei due pontefici abbiamo idee diverse. Giovanni Paolo II è certamente più “letterario” e meno “teologo” di Benedetto XVI, ma personalmente al primo preferisco il secondo. Ti dirò poi che in generale agli “uomini di esperienza” preferisco sempre gli “uomini di pensiero”, ma pure mi rendo conto che questo non è un criterio di giudizio valido ma solo un gusto personale. Il giudizio sul pontificato è invece faccenda assai più seria e complessa per potercela cavare qui con una battuta.
Infine, per i tuoi molto elogiativi giudizi sul nostro amatissimo Panunzio, in sua vece ego te absolvo.
Cosa ne pensi degli studi di don Luigi Villa su Papa Giovanni Paolo II, a proposito del processo di beatificazione? Si denuncia l'eresia di questo Papa - che ammiro - con una esegesi teologico dottrinale ed una analisi delle scelte del Papa polacco in campo politico, sociale e culturale. Su alcune questioni denunciate dal passionale prete, debbo dire che sono alquanto fiacche. In campo teologico e del Magistero, vi sono passaggi nelle encicliche e nei discorsi pubblici di Giovanni Paolo II che mi lasciano interdetto. Insomma, caro Aldo, ti lancio questa patata bollente e vorrei pure, che aprissi un dibattito sul tuo blog a tale proposito. Del resto, affrontare di petto le questioni, anche le più spinose, è un dovere di ogni cristiano. Senza paura. Al di là di facili agiografie o di perfide accuse come quella del Blondet, il quale per il solo fatto di nascere da madre ebrea, sia già di per sé una colpa. Figurati.
RispondiEliminaCarissimo Angelo, permettimi una battuta: nonostante le tue pur buone e ottime intenzioni, più che una “patata bollente”, questa proposta mi sembra una bomba molotov e cioè un ordigno incendiario gettato nella nostra casa (il blog di “Metapolitica”). Come saprai Silvano Panunzio non si è mai pronunciato sul pontificato di Carol Wojtyła, né mai troverai citato il suo nome sulle pagine della nostra rivista e anche su questo blog. Anche la vicenda del processo di beatificazione avviato e voluto anche dall'attuale Pontefice, non ci appassiona. L'uomo è controverso e anche il suo pontificato. E mi fermerei qui. Nessun pregiudizio per carità!, tanto meno “razziale” (e ci mancherebbe pure) o “ideologico”. Queste semplificazioni le lasciamo volentieri ad altri. Io comunque penso che sia impossibile giudicare un pontificato con un metro solo umano e a distanza di così pochi anni dalla sua conclusione. E pertanto, aprire un dibattito oggi su una faccenda così enorme anche da questa nostra modesta tribuna, mi sembra un rischio che non è il caso di correre. Rischio appunto di suscitare un inutile tifoseria da stadio tra i pro e i contro e anche su questo non vorremmo dare spettacolo. Poi naturalmente, se qualcuno si sente di dire la sua, faccia pure, non saremo certamente noi a censurarlo. Purché non sia la solita “tirata” faziosa senza costrutto e priva di argomenti (e non mi riferisco certamente a te caro Angelo, ma ad altri soggetti che di solito non si firmano).
RispondiEliminaP.s. Degli studi di don Luigi Villa non so quasi nulla, ma mi informerò, promesso.
Mi ritiro in buon ordine. Ai posteri...
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