«Ho appena terminato un grande romanzo a cui ho lavorato per quasi dieci anni...» scriveva nel 1960 Vasilij Grossman, scrittore noto in patria sin dagli anni Trenta (e fra i primi corrispondenti di guerra a entrare, al seguito dell’Armata Rossa, nell’inferno di Treblinka). Non sapeva, Grossman, che in quel momento il manoscritto della sua immensa epopea (che aveva la dichiarata ambizione di essere il Guerra e pace del Novecento) era già all’esame del Comitato centrale. Tant’è che nel febbraio del 1961 due agenti del KGB confischeranno non solo il manoscritto, ma anche le carte carbone e le minute, e perfino i nastri della macchina per scrivere: del «grande romanzo» non deve rimanere traccia. Gli occhiuti burocrati sovietici hanno intuito subito quanto fosse temibile per il regime un libro come Vita e destino: forse più ancora del Dottor Živago. Quello che può sembrare solo un vasto, appassionante affresco storico si rivela infatti, ben presto, per ciò che è: una bruciante riflessione sul male. Del male (attraverso le vicende di un gran numero di personaggi in un modo o nell’altro collegati fra loro, e in mezzo ai quali incontriamo vittime e carnefici, eroi e traditori, idealisti e leccapiedi – fino ai due massimi protagonisti storici, Hitler e Stalin) Vasilij Grossman svela con implacabile acutezza la natura, che è menzogna e cancellazione della verità mediante la mistificazione più abietta: quella di ammantarsi di bene, un bene astratto e universale nel cui nome si compie ogni atrocità e ogni bassezza, e che induce a piegare il capo davanti alle sue sublimi esigenze. «Libri come Vita e destino» ha scritto George Steiner «eclissano quasi tutti i romanzi che oggi, in Occidente, vengono presi sul serio».
31/01/09
30/01/09
L'Apocalisse della modernità
Emilio Gentile, storico di fama internazionale e allievo di Renzo De Felice (dal quale ha ereditato il gusto per un'approfondita e originale interpretazione del fascismo), è tra gli studiosi italiani più curiosi e intelligenti del Novecento. Un altro campo d’interesse di Gentile è la “sacralizzazione” della politica (si veda il suo saggio, La democrazia di Dio. La religione americana nell’era dell’impero e del terrore).
Ora, in L’apocalisse della modernità. La Grande Guerra per l’uomo nuovo, edito da Mondadori, Gentile offre al lettore un appassionato e appassionante studio sulla Prima guerra mondiale, spaziando in un periodo storico compreso tra il 1870 (epoca della guerra franco-prussiana) e il dopoguerra (gli anni atroci e “folli” della Storia europea, in cui l’apocalisse della modernità generò i totalitarismi rossi, neri e bruni).
L'opera di Gentile - sorretta da una bella scrittura - è una vera e piacevole sorpresa per chi ama la Storia. Lo studioso, infatti, non solo restituisce il sapore di un’epoca, quella che precede la catastrofe del conflitto, ma tutto un mondo poco noto: l’altra faccia del solare medaglione della Belle Époque. Un’altra parte dominata dall’irrazionale, dalle tante previsioni e profezie di guerra che divennero sempre più frequenti nella pubblicistica, nella letteratura, nelle arti figurative, contribuendo a creare un clima di ansiosa aspettazione apocalittica.
Gentile scrive dello sfarzo della Belle Époque, un periodo storico dominato in Europa dal trionfo delle scienze, della cultura, della civilizzazione (che ebbe la sua apoteosi nell’esposizione universale di Parigi, inaugurata il 14 aprile 1900 dal presidente della Repubblica Émile Loubet con una sfarzosa e solenne cerimonia). E tuttavia, nell’epoca della bella modernità trionfante, lo storico scandaglia gli abissi neri dell’uomo europeo di fine Ottocento, rilevando quelle sfumature - espresse da Nietzsche - di décadence e “fine secolo”.
Ci furono alla fine dell’Ottocento alcuni intellettuali che perorarono la causa del pacifismo in Europa; Gentile, ad esempio, racconta la voce di una moderna Cassandra, come quella di Jean de Bloch, inascoltata. Prevalse, invece, la figura dell’uomo marziale della rigenerazione, in un’epoca che benché “sicura” e bella era avvertita come alla fine, oltre la decadenza, vicina alla morte.
Prevale il pensiero di Nietzsche, la voce di Zarathustra, l’antico profeta persiano, al quale il filosofo tedesco aveva ridato la parola per annunciare l’apocalisse della modernità e rivelare all’uomo moderno il destino di una grande guerra per la rigenerazione totale.
Gentile offre un’inedita visione dell’uomo della Belle Époque e descrive alcuni tipi europei vicini al pensiero di Nietzsche, come Max Beckmann e Alfred Kubin.
Il disegnatore Kubin fu anche uno scrittore; scrisse la sua opera letteraria maggiore - L’altra parte - in dodici settimane nella primavera del 1908. Un “romanzo fantastico” nel quale si racconta la distruzione della città di Perla.
Il protagonista del romanzo, un disegnatore e illustratore di trent’anni, condivide le visioni irrazionali dell’epoca con molti intellettuali, soprattutto tedeschi. Sotto l’influenza di Schopenhauer, di Nietzsche e di Dilthey, l’uomo di fine secolo prova diffidenza nei confronti dell’Aufklärung, delle scienze naturali e di tutto ciò che può essere assimilato al progresso tecnico.
Kubin, che preferisce i paesaggi dei Balcani a quelli italiani, e trova Parigi troppo ciarlatana, trasferendosi da Monaco a Zwickledt, non fa eccezione a quel modo si sentire. Condivide con Nietzsche un “individualismo aristocratico”.
Kubin, come molti altri giovani europei, vide in Nietzsche il profeta e la guida, colui che aveva rivelato il destino dell’uomo moderno, annunciando l’apocalisse della modernità, la catastrofe rigeneratrice, l’avvento dell’uomo nuovo.
Nella “bella” estate del 1914, mentre i capi militari e i diplomatici d’Europa danzavano su un vulcano acceso, la scintilla di Sarajevo innescò un conflitto mondiale che molti pensavano impossibile. Intellettuali come Thomas Mann, Max Weber e Robert Musil gioirono. Molti giovani volontari tedeschi andarono al fronte portando nello zaino le opere di Nietzsche. Una libreria di Londra affisse alla vetrina un cartello su cui era scritto che il conflitto iniziato il 2 agosto 1914 era “la guerra europea di Nietzsche”.
Era la fine di un’epoca, solo pochi intellettuali europei se ne accorsero – Gentile ricorda Romain Rolland e Karl Kraus – ma la fine dell’Europa era iniziata e i giovani e baldanzosi eroi della patria divennero presto i rottami di una creazione frantumata. (Roberto Coaloa)
29/01/09
Il Dante di Alessandro Scali
PRESENTAZIONE
Lo scritto intende dimostrare che i numerosi studi danteschi emarginati dall’attuale sistema culturale sono ormai in grado di offrire, dell’opera dell’Alighieri, un’interpretazione generale ben più sottile, approfondita e organica rispetto a quella, parcellizzata e/o autoreferenziale, oggi praticata. A tal fine il lavoro si orienta a rompere, nella massima stringatezza possibile, il quadro generale entro cui viene compressa, in particolare, la lettura della Divina Commedia, senza entrare in un’esegesi sistematica, ma senza sottrarsene tutte le volte in cui l’occasione si presentava propizia, onde inverare il nuovo contesto offerto. A conseguire tale obiettivo l’elaborato, avvalendosi di eminenti studi europei, si dispiega su quattro macrosequenze:
- nella prima si denuncia l’ascendenza islamica del modello utilizzato dalla ‘Commedia’ (la dimostrazione che ne dà Asin Palacios è irrefutabile), alla cui luce si ridisegna anche il progetto politico-religioso di Federico II;
- la seconda dimostra che le conoscenze sapienziali islamiche hanno ridestato quelle autoctone dell’Occidente, in particolare quelle celto-cristiane (l’incontro è comprovato da una mirata analisi della saga del Graal), che si istituzionalizzano nella regola dei Cavalieri del Tempio: lo svelamento dei misteri legati alla cavalleria graalico-templare, così come chiariti dagli studi del Guénon, del Polia, del Ponsoye, trova esatta e definitiva conferma in Dante;
- con la terza ci si avvia a ricostruire, nella sua essenzialità, la dottrina imperiale cui Dante attese con impeccabile fedeltà e che Pascoli riportò a luce: la relativa rilettura di lacerti essenziali del I, II, X canto dell’Inferno restituisce al poema la sua funzione e al Poeta la sua eccezionale missione, quella che rende ragione del “sacrato poema”, “al quale ha posto mano e cielo e terra”;
- nell’ultima si colgono i frutti del complesso di tali studi, collimanti con precisi (e originali) riscontri condotti sull’ Eneide virgiliana (la Tradizione romana). Affiora così, attraverso la rivisitazione serrata e fiscale di diversi scenari del poema, l’inedito contesto ermeneutico della ‘Commedia’ la cui esatta messa a fuoco, in quanto declina il mero punto di vista esoterico, riconduce le tre “religioni del libro” all’unità cosmologica della Tradizione occidentale, organicamente integrata nell’opera di Dante.
Lo studio esperito, pertanto, pone in rilievo le quattro Tradizioni presenti nella Commedia (celtica, greco-romana, ebraico-cristiana e islamica), illuminandone le linee di sutura e gli esatti intarsi con cui Dante le ha raccolte in un disegno unitario (‘raunai le fronde sparte’).
Il catalogo finale elenca esclusivamente le opere citate a sostegno del testo.
Alessandro Scali
INDICE
Presentazione
Al lettore
Prefazione
Cap. I - DANTE E L’ISLAM : (Le risorse degl’infedeli) (Propositio prima)
- Il passato che non passa (ove si dice che la Storia, alla pari di certi virus, comporta una sua influenza che, come tutte le influenze, può essere più e meno contagiosa)
- Il prototipo (dove si rivela che qualcuno prima di Dante era passato per l’al di là, raccontandolo poi a quelli di qua
- Arrivano i …loro (e diventano i nostri) (in cui si serrano gli anelli in forza dei quali l’approdo, documentalmente non rinvenuto, si documenta benissimo da sé, così da dare un dispiacere a certi segugi che, braccando a lepre, hanno ignorato l’orso, e perciò ‘preso la lepre’)
- La pasticca (la vettura non parte)
Conclusione
Cap. II - L’ISLAM E IL TEMPIO : (Arriva la cavalleria) (Propositio secunda)
- Qualche sassata (portate pazienza)
- L’archetipo del Tempio (ovvero, la prima Pietra)
- Il significato del Tempio (ove si parla di Pietre, ma anche di Coppe)
- La Pietra exillis e l’Occidente (la Pietra sprizza scintille e l’Occidente si illumina)
- La Guarnigione del Tempio (i Guardiani della Soglia )
- Le Radici (i muscoli del Tempio)
- I Privilegi (le ali del Tempio)
- Il Respiro dell’Europa (il Principe e Biancaneve)
- Sunt Lacrimae Rerum (il suicidio dell’Occidente)
Cap.III– LA DOTTRINA DELL’IMPERO (Imperium salus una) (Propositio tertia)
- Il Bereshit della Commedia (il primo carisma)
- La divina missione (l’Avatâra)
- La spada spezzata (L’Impero e la ‘hybris’)
Cap. IV - DANTE E IL TEMPIO : (Un poema templare) (Propositio ultima)
- Dante nel Tempio (‘raunai le fronde sparte’)
- Dante col Tempio (la contestazione di Vienne)
- Dante nel Graal (ovvero nel ‘sancta sanctorum’ del Tempio)
- I prodi Anselmo (Mettiamoci l’elmetto)
- Bafomet (Un’ ‘ombra’ nel Tempio)
- Dante nella Tradizione (il ‘vettore’ Virgilio “…onde Cristo è Romano”)
- Per la conclusione, c’è da attendere (non molto)
- Repertorio delle opere citate
- Due tavole fuori testo
- Un inserto alla fine di ciascun paragrafo
27/01/09
I cattolici ritornano a casa
Dagli ambienti tradizionalisti però ancora si avanzano delle legittime richieste come la rivalutazione di Mons.Lefebvre ed un riconoscimento ufficiale della comunità all’interno della Chiesa.
Da Città del Vaticano trapelano dei chiari messaggi secondo cui il processo di reintegrazione, iniziato proprio con il “Motu proprio”, non è terminato; all’interno della chiesa sono molte le opposizioni da parte di coloro che pronti ad accettare qualunque tipo di eresia e di movimenti eretici vogliono negare ai tradizionalisti il diritto di stare alla tavola del Padre, come legittimi figli primogeniti.
Queste persone neanche si immaginano che cosa sarebbe accaduto se Mons. Lefebvre non avesse dato vita alla sua comunità. Gran parte della Tradizione Cattolica, e dunque universale, si sarebbe persa; quel patrimonio dell’umanità che ha unito sotto le insegne dello Spirito popoli e culti di tutto il mondo e con la sua struttura vivificato i culti tradizionali precedenti ormai spenti assorbendone il meglio, sarebbe stata perduta.
Un problema dottrinario
Il problema infatti non è tanto la lingua o le modalità della messa, non fu questo il motivo principale di Mons. Lefebvre di dar vita ad un seminario, quanto la perdita della dottrina fondante della Chiesa, sempre viva all’interno ma sempre meno chiara all’esterno dove troppo spesso vengono prese troppo in considerazione dichiarazioni e gesti di sacerdoti e vescovi non qualificati o comunque servi di un padrone che non è il Signore.
Sulle spalle di pochi
Il crollo avvenuto nella chiesa in seguito alla strumentalizzazione delle direttive del concilio vaticano II, con questo atto di Benedetto XVI ha subito un assestamento; dispiace, certo, che la popolazione cattolica di massa sia costretta a sorbirsi la messa moderna, sulla cui validità nessuno ha niente da eccepire, visto che tutto ciò che è Sacro non può minimamente dipendere o essere influenzato dai cambiamenti dell’uomo; ma adesso più di prima, perché la messa tradizionale o meglio la santa messa non è mai stata abrogata, le persone dotate di una sensibilità maggiore possono scegliere; possono scegliere tra le chitarre, gli abbracci e i canti da carosello o la serietà virile del sacrificio eucaristico; la cosa che maggiormente conta è che ciò avvenga dentro la chiesa perché proprio come ai tempi di San Francesco Papa Innocenzo III in un sogno vide la chiesa, a quei tempi in preda a corruzioni e problemi ben più gravi di quelli odierni, sostenuta sulla spalla dell’esile fraticello anche oggi la vita di questo grande ed immenso mondo cattolico si sostiene sulle misere spalle di quei sacerdoti semplici, preparati e veramente consapevoli della crisi che il mondo intero si appresta a vivere e che ogni giorno, nelle piccole chiesette dinanzi a due o tre fedeli, mantengono fede al comandamento di Nostro Signore “fate questo in memoria di me”.
L’apocalisse
C’è chi sostiene che non è un caso che proprio in prossimità a quel cambio epocale, descritto da tutte le tradizioni più antiche, e di cui i segni ormai preannunciano l’arrivo, la chiesa con gesti simili cerchi di arrivare unita e forte, seppur in diverse forme, alla resa finale; ogni anima troverà il posto che si è costruita in terra, compito della Santa Sede è non privare le anime superiori dei mezzi per giungere alla santità che il cattolicesimo, proprio nella sua universalità ed unicità, ha sempre offerto.
Poco importa che la maggioranza ignori il valore del “Pater Noster” recitato in latino, o delle litanie del rosario, poco importa che in pochi conoscano le modalità anche fisiche della preghiera e la formula della preghiera del cuore tramandata da Nostro Signore e custodita da monaci ortodossi, poco importa; quel che importa è che chi ne ha le possibilità si serva di questi strumenti per dare il proprio contributo di testimonianza affinché la Tradizione delle tradizioni, quella che più di tutte si avvicina alla Tradizione Primordiale, fonte eterna di sapienza rimanga viva…
(Autore: Gaspare Dono; fonte:www.azionetradizionale.com)
Il punto di vista del giovane amico Gaspare Dono ci trova in massima parte d'accordo, ma l'argomento varrà il caso di ulteriori messe a punto che speriamo fare prossimamente.
24/01/09
Un nuovo libro di Nuccio D'Anna: "Il Santo Graal, Mito e Realtà"
In questo documentatissimo studio l’Autore si propone essenzialmente lo scopo di restituire la simbolica, arcana immagine del Graal, mondata dall’incredibile quantità di notizie fantasiose – se non più o meno volutamente distorte – in circolazione ormai da anni. Sulla base dell’analisi della vasta letteratura sull’argomento, opera di insigni studiosi italiani e stranieri, Nuccio D’Anna risale dapprima alle radici del “mito” del Graal, vale a dire alla civiltà antico-celtica dell’isola di Avallon, l’Inghilterra, dove si produsse l’osmosi fra la tradizione druidica e la tradizione cristiana la quale, a poco a poco, assorbì la prima conservandone tuttavia alcuni aspetti peculiari.
Nel successivo excursus lungo l’età medievale, emerge l’alto rilievo che la spiritualità cistercense e cluniacense ebbe nella società del tempo; spiccano le figure di due sovrani illuminati, il plantageneto Enrico II e la sua potentissima sposa Eleonora d’Aquitania; appaiono tre enigmatici autori - Chrétien de Troyes, Robert de Boron e Wolfram von Eschenbach – i quali, cantando le gesta di re Artù, del mago Merlino e dei cavalieri della Tavola Rotonda, introdussero la leggenda del Graal, il “sacro calice” che, secondo la tradizione, Cristo usò nell’Ultima Cena o, stando a un’altra versione, il vaso in cui Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo. Nell’esplorazione della “leggenda”, l’Autore ne coglie altri pregnanti elementi simbolici – quali il “Re Pescatore” e il favoloso regno del “prete Gianni”, oltre a sorprendenti accostamenti, come la misteriosa città di Sarraz, sede del Graal ed evidente legame con la tradizione islamica – ma anche, e soprattutto, l’immensa struttura, che fa risaltare il Santo Graal quale punto centrale della Storia della Salvezza.
(Edizioni Archè PiZeta, pp. 270)
Nuccio D’Anna è uno storico delle religioni attento al mondo classico sul quale, fra gli altri, ha scritto: Il Neoplatonismo (Il Cerchio, 1989); Il dio Giano (SeaR, 1992);
Distribuzione:
LIBRERIA ASEQ, Via dei Sediari 16, Roma; tel. 06 6868400
EDIZIONI ARCHE’, Via Troilo 2, Milano, tel./fax 02 89409525
EDIZIONI PIZETA, Via R. Morandi 28/B, San Donato MI; tel. 02
5278368; fax 02 700438433
Beato Angelico: ritrovate le due tavolette della Pala di San Marco
Smembrata nel corso delle dismissioni napoleoniche, della Pala si conserva nella Sala dell'Ospizio del Museo fiorentino la tavola principale, dove, fra i santi che circondano la Madonna in trono col bambino, sono ben identificabili Cosma e Damiano, a riprova della committenza medicea (furono Cosimo il Vecchio e il fratello Lorenzo a commissionare la tavola all'Angelico). Oltre a due pannelli della predella. Sei santi di documentata provenienza dalla Pala sono dispersi in vari musei. I due domenicani dovevano verosimilmente appartenere ai pilastri dell'imponente cornice. Scoperte e riconosciute del Beato Angelico solo nel 2006, le tavolette erano in Inghilterra. L'identificazione si deve a Michael Liversidge dell'Università di Bristol, il successivo restauro a cura dell'Opificio ne ha confermato attribuzione e provenienza. Andate all'asta da Duke's nel 2007, furono acquisite dall'antiquario fiorentino Fabrizio Moretti, dopo che il Ministero dei beni culturali aveva dovuto recedere, data la congruità della cifra raggiunta. Il buon esito della successiva trattativa ha portato all'acquisto, nel 2008, della tavola raffigurante San Vincenzo Ferrer, ancora indicato solo "Beato"(fornendo così il 1455, anno della canonizzazione, come termine "ante quem" per la datazione della Pala). I fondi sono stati quelli del Polo museale, mentre la seconda tavoletta, un Santo domenicano ancora non identificato, è stata acquistato dall'Ente Cassa di Risparmio di Firenze, che l'ha concessa in comodato al Museo di San Marco. Ricomponendo insieme a "La sepoltura dei santi Cosma e Damiano" e "Il sogno del diacono Giustiniano", dalla predella, un'idea più compiuta di quello che doveva essere l'aspetto originario della Pala con la sua monumentale cornice.
Firenze, Museo di San Marco, Biblioteca Monumentale, fino all'8 marzo 2009
(Fonte:www.ilsole24ore.com)
23/01/09
"L'archivio di Sergio Panunzio"
"L'archivio di Sergio Panunzio"
Giovedì 29 gennaio ore 17.00
Sala Renzo De Felice, Fondazione Ugo Spirito
Via Genova 24, Roma
Giovedì 29 Gennaio a partire dalle ore 17.00 nella Sala Renzo De Felice della Fondazione Spirito si terrà la presentazione al pubblico dell'Archivio Sergio Panunzio. All'evento parteciperanno Alessandro Campi, Susanna De Angelis e Francesco Perfetti con tre relazioni introduttive sulla figura e l'attività dell'intellettuale. Presiede Giuseppe Parlato.
Il Fondo interamente digitalizzato, recentemente acquisito dalla Fondazione Spirito, rappresenta un corpus documentario di pregevole valore storico: 21 Buste ordinate in 7 serie di materiale documentario afferente sia all'attività accademica sia politica e istituzionale di Panunzio, ricoprendo l'arco cronologico che si estende dal 1901 fino al 1945.
Sergio Panunzio (1886-1944), giurista e uomo politico, dopo una formazione socialista incontrò il sindacalismo rivoluzionario di Sorel e ne fu uno dei più autorevoli e significativi esponenti in Italia. Vicino a Mussolini all'epoca dell'interventismo nella prima guerra mondiale, Panunzio durante il regime elaborò un progetto di Stato dei sindacati attraverso la trasformazione della camera dei deputati in Camera delle categorie. Rettore dell'Università di Perugina nel 1926-27, docente di Filosofia del Diritto, insegnò Dottrina dello Stato nella Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Roma. Fu autore di diversi volumi sul ruolo del sindacato nella società moderna e sul fondamento giuridico del fascismo (Stato nazionale e sindacati, Milano 1924, Rivoluzione e costituzione, Milano 1933, Teoria generale dello Stato fascista, Padova 1939) attraverso i quali costituì il tramite giuridico più cospicuo tra le politiche concrete del regime e il mito soreliano dell' "autogoverno delle categorie".
Il Fondo Sergio Panunzio (21 buste, 1901-1945)
L'archivio di Sergio Panunzio conserva materiale documentario afferente alle sue attività accademica e politico-istituzionale. Di notevole consistenza è la documentazione che riguarda la sua attività di pubblicista. Infatti molti sono i suoi scritti, sia manoscritti e dattiloscritti, sia pubblicati su giornali e riviste. Non mancano tuttavia anche degli inediti. La serie "Corrispondenza", la cui consistenza è di ben 221 fascicoli, è anch'essa assai ricca e particolarmente interessante perché fornisce un quadro dei rapporti avuti da Sergio Panunzio con intellettuali italiani e stranieri, uomini politici e professori universitari.
Il fondo è ordinato in 7 serie per un totale di 21 buste e 356 fascicoli:
Serie I - Attività accademica, 08/1922-07/1944
Serie II - Attività di pubblicista, 10/1902-071944
Serie III - Attività legale, [post 1908]-06/1910
Serie IV - Attività politica e istituzionale, 06/1901-11/1943
Serie V - Corrispondenza, 08/1903-06/1944
Serie VI - Personale, 1866-10/1945
Serie VII - Rassegna e ritagli stampa, [1902]-09/1944.
Che fine farà l'ISIAO, ex IsMEO, di Tucci e Gentile?
22/01/09
Notarella sulla buon'anima di Jean Markale
Un apprezzato studioso e scrittore di “studi tradizionali” ci scrive a proposito di Jean Markale, di cui abbiamo dato qualche giorno fa la notizia della morte, che “si è trattato di un autore sopravvalutato”, che ha dimostrato “una inusitata ignoranza delle realtà dottrinali, rituali e simboliche del Cristianesimo nelle regioni cosiddette 'celtiche'” e che infine “pare che non conoscesse le lingue celtiche”. Rassicuriamo il nostro corrispondente che, in linea di massima, è quel che ne pensiamo anche noi, ma che abbiamo voluto semplicemente passare la notizia della sua scomparsa ricordandone l'opera (che ha fuori di dubbio attinenza con i temi che ci interessano e ci appassionano), ma senza esprimere giudizi o valutazioni di sorta. Chi ci segue sa bene che a suo tempo abbiamo già provveduto a “castigare” il colorito druido surrealista con critiche assai severe, ma che almeno nella circostanza della morte, abbiamo ritenuto non fosse il caso di rincarare la dose. Tutto qui.
20/01/09
GNOSTIKA – Una rivista per Iniziati
Sotto la guida appassionata del Dott. Hans Thomas Hakl, che segue con interesse le pubblicazioni di "Metapolitica", la rivista "GNOSTIKA" si occupa di esoterismo, in tutti i suoi aspetti; come esemplarmente risulta dall'indice del fascicolo di novembre 2008, gentilmente inviatoci dall'Editore:
1) "Caleidoscopio" sulla necessità di atteggiamenti mentali complementari, nei quali l'economia e la politica siano integrate non solo dalla coscienza religiosa, ma anche da quella dell'individuo e della sua multilateralità.
Onde la citazione di Pierpaolo Pasolini (definito "autore e regista comunista"): "il più gran malanno degli uomini non consiste nella povertà né nel profitto, bensì nella perdita dell'unicità umana sotto il giogo del Consumismo".
Il Caleidoscopio si conclude con una serie di aforismi, tra i quali meritano citazione i seguenti:
"Chi difende il suo punto di vista con armi diverse da quelle dello spirito, di costui devo dedurre che ha perduto le armi dello spirito " (Bismark);
"Nel ventesimo secolo non è oggetto di scherno la massa conformista, bensì molto di più l'individualista, che sempre osa pensare in modo autonomo" (Max Horkheimer). "Pochi sono degni che li si contraddica" (Ernst Jünger).
2) Intervista col Prof. Michael Fuss, Padre domenicano insegnante di scienza delle religioni all'Angelicum: il quale spiega come il suo compito sia di educare i giovani studenti - seminaristi o laici - provenienti da tutto il mondo, ad interpretare l'irruzione di nuovi movimenti spirituali, all'interno della chiesa o anche all'esterno di essa.
In quest'ultimo caso, la multiforme frammentazione del "paesaggio religioso" ai margini della cultura occidentale comprende la spiritualità esoterica, che entra in conflitto non solo con "l'ordine pubblico" della chiesa, ma anche con quelli della medicina, della psicologia, dell'esegesi biblica; rendendo così necessaria una risposta chiarificatoria.
3) L' UNIO MYSTICA nella mistica giudaica, del Prof. Moshe Idel, con ampi cenni sulla cabala e sui suoi legami con la mistica induista (Katha Upanishad, IV: 15).
4) Mircea Eliade e l'India, di Wolfang Saùr.
5) L'uomo integrale secondo Jacob Bóhme - sesso e caduta - di Ernst Benz - recensione di Gerhard Webr.
6) Il roseto del mago Ambrogio, di Henri Birven - trascrizione di testi Rosacrociani.
Concludendo, la rivista esaminata ci sembra degna di consultazione, per quanti (ahimè, in Italia sempre meno) sappiano leggere il tedesco.
In ogni caso, aspettiamo di leggere la traduzione in italiano del libro in preparazione di Hans Thomas Hakl "Lo spirito nascosto di Eranos", che senz'altro varrà la pena di acquistare.
(Autore: Giovanni D'Aloe)
Per saperne di più si può consultare il sito:
www.aagw-gnostika.de
18/01/09
La conversione del Massone
Una specie di folgorazione. «Alla fine della Messa, seguii il sacerdote in sacrestia e, senza molti preamboli, gli chiesi il battesimo» . Caillet non era arrivato lì come pellegrino. Nato nel 1933 in una famiglia bretone anticlericale, era cresciuto nell’ostilità verso ogni cosa che sapesse anche vagamente di 'cattolico'. Laureatosi in medicina, specializzatosi in urologia e ginecologia, si era associato a Planned Parenthood, la lobby multinazionale abortista, impegnandosi nella promozione della contraccezione e – benché non fosse ancora legalizzata – nella pratica della sterilizzazione sia maschile che femminile.
Divorziato dalla prima moglie, nel fatidico maggio 1968 aveva bussato a Rue Cadet 16 a Parigi, sede del Grande Oriente di Francia, chiedendo l’ammissione alla Libera Muratoria. Richiesta, accettata, che lo avrebbe portato nel giro di non molti anni a salire la scala iniziatica: Apprendista, Compagno, Maestro, nel 1973 Vigilante di una nuova Loggia fondata a Rennes, un anno dopo Venerabile Maestro, quindi deputato al ' convento', l’assemblea nazionale del Grande Oriente. Infine l’iniziazione agli alti gradi del Rito Scozzese Antico e Accettato, sino al diciottesimo, quello di Cavaliere Rosa- Croce. Parallelamente, l’ascesa era stata anche professionale, grazie all’aiuto di innumerevoli "fratelli" sparsi nelle strutture sanitarie e ammini-strative locali: da specialista rinomato a direttore di un’altrettanto rinomata clinica privata, poi l’iscrizione al Partito Socialista e, con l’arrivo all’Eliseo di François Mitterrand nel 1981, la nomina in una commissione del ministero della Salute.
Nel mentre, Caillet si era anche distinto come primo medico a praticare aborti in Bretagna, dopo la depenalizzazione della cosiddetta ' interruzione di gravidanza' nel 1975, arrivando a polemizzare sulle pagine di Le Monde direttamente con l’illustre genetista Jerôme Lejeune. Un curriculum impeccabile, insomma. Fino a quella visita fatta a Lourdes, dove Caillet si era deciso a portare la compagna Claude, da mesi a letto per una malattia misteriosa, alla ricerca non di una "grazia", ma di un contatto con quelle forze telluriche che anche l’Iniziazione – René Guénon docet – riconosce attive in molti santuari e luoghi sacri. Forze banalmente interpretate dalla bêtise cattolica come influssi mariani. Se non che, mentre il Cavaliere Rosa- Croce sperava in un influsso benefico per Claude, cattolica non praticante ma con una fede mai del tutto sopita, lei dal freddo delle piscine in cui era immersa pregava per la conversione di Maurice. Ottenendo, alla fine, il vero miracolo.
Di questa vicenda e di come abbia sconvolto la sua vita, con l’abbandono traumatico della Massoneria, Caillet ha voluto parlare per esteso in un libro da poco uscito in Spagna, Yo fui masón (LibrosLibres, pagine 188, euro 18), Sono stato massone. Trattasi di un racconto dall’interno – e per questo piuttosto raro – del mondo delle Logge e della vita nel Grande Oriente di Francia. Una descrizione dei riti iniziatici, una testimonianza oculare dell’odio anticattolico coltivato nel GOF e, non ultimo, dell’efficacia della Massoneria nel dettare la propria agenda politica. Racconta Caillet, fra i tanti episodi: «Dopo la sua elezione nel mese di maggio [ 1974] Valery Giscard d’Estaing, oltre alla nomina di Jacques Chirac come primo ministro, prese come consigliere personale Jean- Pierre Prouteau, Gran Maestro del Grande Oriente di Francia… al ministero della Salute collocò Simone Veil, giurista, già deportata ad Auschwitz, che aveva come consigliere il già citato [ e massone] Pierre Simon, con cui tenevo una corrispondenza.
I politici erano già rodati… e il progetto di legge sull’aborto venne elaborato rapidamente » . Infine il ricordo, drammatico, di come la solidarietà massonica possa tramutarsi in un’implacabile tagliola per gli apostati: dal mobbing che costrinse sia Caillet che la compagna ( poi, dopo lunghe traversie, sposata in Chiesa) alle dimissioni dal proprio posto di lavoro, con l’impossibilità di reinserirsi nella sanità pubblica, alle minacce di morte fatte pervenire da ex-"fratelli". Un quadro che, come spiega l’autore in un’intervista concessa una radio cattolica, porta inevitabilmente a chiedersi: «Dopo la legge del 1905 sulla separazione della Chiesa dallo Stato, a quando una legge per la separazione dello Stato dalla Massoneria?» . Bella domanda.
(Autore: Andrea Galli; fonte: Avvenire, 18/01/2009)
Addendum: Bibliografia
- Du secret des loges à la lumière du Christ, Maurice CAILLET
144p, 12 €, Editions Saint-Joseph-Imprimeur - La Franc-maçonnerie, un péché contre l'Esprit, Maurice CAILLET
195p, 14.50 €, Editions Saint-Joseph-Imprimeur - Rien n'est impossible à Dieu, Maurice CAILLET
200p, 17.50 €, Editions Saint-Joseph-Imprimeur - Occultisme ou christianisme, Maurice CAILLET
40p, 5 €, Editions Saint-Joseph-Imprimeur - Edonisme ou christianisme, Maurice CAILLET
60p, 6.10 €, Editions Saint-Joseph-Imprimeur - Peut-on être catholique et franc-maçon ?, Maurice CAILLET
3h de conférence en vidéo, 17 €, Editions Saint-Joseph-Imprimeur - Lumière sur l'occultisme, Maurice CAILLET
3h de conférence en vidéo, 17 €, Editions Saint-Joseph-Imprimeur
Olivier Clément: un testimone del Risorto
Nato nel 1921, nel sud della Francia, Clément era arrivato alla fede da adulto, alla fine degli anni Quaranta, dopo essere stato a lungo un "pagano mediterraneo", pieno di dubbi irrisolti e di finte risposte, finché nel cristianesimo, incontrato attraverso l'esperienza dei filosofi religiosi russi - soprattutto Nikolaj Berdjaev e Vladimir Losskij - aveva trovato una forza di vita; più radicalmente, aveva trovato la vita: la visione di un uomo trasfigurato dalle energie divine in un mondo assediato dal nulla, l'esperienza della bellezza luminosa e sorprendente delle cose al fondo di una personale notte dell'anima dalla quale nulla sembrava poterlo liberare.
Il cristianesimo come vita, come l'esperienza del Vivente: non un discorso astratto, una serie di valori e di idee sia pur altissime, delle risposte preconfezionate e rassicuranti, ma semplicemente il gusto e il senso della vita, la capacità di tener desta una domanda e una sete di senso proprio nel momento in cui si trovava una risposta assolutamente sorprendente e convincente a tutti i propri interrogativi; come avrebbe detto molto più tardi, nel 1996: "Il cristianesimo non è né moralismo né ritualismo, ma invocazione, forza, luce. Il cristianesimo non è più né un'imposizione ideologica, la vecchia eresia dei tempi della cristianità, né un comparto della cultura in serie con tanti altri, la nuova eresia dei tempi della modernità, ma l'esorcismo, la densità, la profondità di ogni esistenza - per chi lo vuole - nell'amore e nella libertà. Per l'amore e per la libertà".
Nei libri di Olivier Clément le risposte, la salvezza, la trasfigurazione dell'uomo e del cosmo non erano mai un banale e facile lieto fine, ma la sempre drammatica sconfitta della morte attraverso la morte di Croce: non la fine della storia, ma la sempre rinnovata freschezza di un nuovo inizio nell'amore e nella libertà, la rinascita dell'uomo in Cristo.
In un mondo fatto di divisioni insuperabili, lacerato soprattutto dalla contrapposizione tra il Creatore e le sue creature, che non riuscivano più ad accettare il mondo di Dio, il mondo di Auschwitz e Hiroshima, del nuovo e temuto olocausto nucleare, il cristianesimo si presentava invece attraverso Clément come la possibilità di tornare finalmente a concepire Dio e l'uomo in una unità vivente, dove l'uomo trovava la forza di creare e di essere libero non rubandola a Dio, ma ricevendola da Lui come un dono e un compito: il dono di essere creato e il compito del figlio; era l'idea dell'immagine di Dio presente in ogni uomo come verità dell'uomo stesso, come fondamento dell'irriducibile dignità di ogni singolo uomo. All'inizio degli anni Settanta, in uno dei suoi primi libri tradotti in italiano, Riflessioni sull'uomo, cogliendo la radice del nichilismo che stava catturando l'umanità contemporanea e inchiodava l'uomo alla sua orgogliosa solitudine o alla disperata fusione in una società sempre più massificante e spersonalizzante, aveva scritto: "Abbiamo la tendenza a giustapporre il Creatore e la sua creatura mentre al contrario occorrerebbe presentire che le creature esistono solo in Dio, proprio in quella volontà creatrice che le rende diverse da Dio".
Una volontà creatrice che ci rende diversi da Dio proprio mentre Dio ci fa a Sua immagine: è l'infinita antinomia dell'unità nella diversità, dell'unità dell'uomo con Dio e dell'unità degli uomini fra di loro, riaffermate proprio mentre Dio resta assolutamente trascendente e irriducibile a quanto l'uomo può pensare di Lui e mentre ogni uomo resta assolutamente irriducibile a tutti gli altri e a ogni altra realtà creata. Scriveva ancora Clément: "Il fatto che l'uomo sia formato a immagine di Dio significa dunque che è formato a immagine di Cristo ed è soltanto in Cristo che l'uomo trova la propria verità. (...) È nel Risuscitato che l'uomo scopre il senso della terra, lo scopo della creazione. Il volto del Cristo è inseparabilmente il volto di Dio nell'uomo e il volto dell'uomo in Dio, il solo volto che non si chiude mai perché la sua trasparenza è infinita, il solo sguardo che non pietrifica mai, ma che libera. Volto dei volti, chiave di tutti i volti".
Il cristianesimo, dunque, come religione dei volti, non delle filosofie e dei precetti, dei discorsi, dei libri e delle parole, ma della Persona, del Verbo di Dio fatto carne e diventato esperienza per ciascun uomo. In questo sguardo che non pietrifica, in questa esperienza che ha tutto il rigore e l'esigenza del rapporto personale, il cristianesimo, liberato dalle astrazioni dei sistemi e delle loro imposizioni, ritrovava la sua capacità di investire tutto il cosmo, di liberarlo dal suo peso. Il cristianesimo non era più il rifiuto del mondo, della storia e della carne, anzi li ritrovava con una pienezza che il mondo, la storia e la carne non sapevano più di avere: questa nostra modalità di esistenza, intessuta di morte e di corruzione, non era più l'ultima parola sull'essere; come spiegava Clément citando Berdjaev, "non si può dire che la carne sia un principio malvagio e degno di morte perché sarebbe peccaminoso nella sua essenza stessa, è vero piuttosto che essa deve essere trasfigurata e risuscitata perché nello stato in cui si trova attualmente muore e va in disfacimento, soffre e patisce, non è né eterna né libera".
La Chiesa e il mondo, distinti e irriducibili l'uno all'altra, non erano più separati e contrapposti, ma uniti in un progetto nel quale il mondo stesso ci veniva restituito proprio "nella profondità della Chiesa che, mediante i sacramenti, o meglio in quanto unico sacramento "pneumatico" del Risorto, altro non è se non il cosmo in via di trasfigurazione".
Il cristianesimo, come esperienza dell'incontro personale con Cristo, era dunque inseparabilmente l'incontro di Cristo nella Chiesa, nell'oggettività dei sacramenti, dove l'uomo era liberato dal proprio soggettivismo e dalla propria pretesa dell'uomo di salvarsi da solo: l'io ritrovava se stesso incontrando un tu irriducibile alle proprie creazioni; l'intellettuale francese educato alla modernità cartesiana del cogito ergo sum riscopriva la maggiore attendibilità dell'es ergo sum.
Se il pensiero di Clément ha sempre avuto lo spessore della vita e ha sempre saputo comunicare questo spessore è proprio perché è nato dall'incontro con la vita sul limitare della morte, quella morte che aveva assalito gli uomini del XX secolo e che spesso questi uomini stessi si erano creati, credendo di potersi liberare da soli. Ricordando la propria conversione e ricordando che era stata la vittoria sulla solitudine del proprio io, Clément aveva scritto: "Una sera ho guardato a lungo, molto a lungo, le vene del legno sul mio tavolo. Tutto era presente, tutto era bene. Mi sono detto che Kirillov aveva ragione. Di già, traversando le strade, non evitavo più le macchine: essere nulla, essere tutto, tutto è uguale. Stavo per uscire per evitarle un po' meno. Allora Qualcuno m'ha guardato. Lui, sull'icona. Non giocherò a fare l'illuminato. Tutto era silenzio, parole del silenzio. Ma silenzio di Lui, parole di Lui, in una profondità più grande di quella dell'io, in una profondità in cui non ero più solo".
L'io si era ritrovato in Cristo, non aveva perso nulla di quello che era, neppure il proprio male e i propri dolori: il primo avrebbe dovuto essere purificato nel corso di tutta la vita, i secondi sarebbero stati i mattoni di una lunga costruzione, ma intanto davanti a quel tu l'io era rinato: "Mi ha detto che esistevo, che voleva che io esistessi, e dunque che non ero nulla. Mi ha detto che non ero tutto, ma responsabile. Che il male era quello che facevo. Ma che, ancora più profondo, lui c'era. Mi ha detto che avevo bisogno di essere perdonato, guarito e ricreato. E che in lui ero perdonato, guarito e ricreato".
In Cristo l'uomo non è più il nulla, ma non diventa magicamente il superuomo che si era sognato, diventa piuttosto responsabile, cioè libero: il che è molto di più. Nelle conferenze, numerosissime, che hanno segnato l'attività di Olivier Clément, di fronte alle domande che il pubblico gli poneva, non c'era problema che il suo cristianesimo lasciasse senza risposta, ma non c'era mai risposta che togliesse il dramma della libertà e che privasse quindi l'ascoltatore del fascino della vita che lo attendeva. "Tieni il tuo spirito nell'inferno e non disperare", era una delle massime che Clément evocava spesso richiamando i grandi spirituali alla cui scuola si era formato, su tutti, i Padri della Chiesa; nell'inferno del mondo contemporaneo l'uomo non era solo, era con la compagnia di Cristo disceso agli inferi e con questa compagnia poteva affrontare ogni dolore: il dolore non era tolto, ma nella forza di chi aveva vinto la morte l'uomo trovava la forza per non esserne più condizionato, per essere pronto ad affrontare ogni prova senza che quella prova potesse determinarlo.
Il centro di tutto era dunque Cristo; in lui tutto diventava miracolo: "Che qualcosa esista e non il nulla, che qualcuno esista e che non sia soltanto un pezzo di materia ma un volto, non è già un miracolo? Per chi sa guardare, tutto è miracolo, tutto è immerso nel mistero, nell'infinito. La più insignificante delle cose è un miracolo. E ancor di più lo è ogni incontro". Ma questo è possibile soltanto in Cristo perché "senza di lui la religione "sarebbe rimasta un'astrazione"; senza di lui "l'unione reale con Dio sarebbe impossibile"".
Ma la centralità di Cristo per Olivier Clément era la centralità della Chiesa, senza della quale Cristo rischiava ogni volta di essere ridotto alla fantasia soggettiva delle idee o dei buoni sentimenti dell'umanità, perché "fuori dalla comunione interna alla Tradizione di Cristo, non si può vederlo né comprenderlo; si vedranno sempre elementi separati, Dio nel cielo e l'uomo sulla terra". E ancor di più, ancor più dolorosamente, per un ortodosso che viveva in un Paese tradizionalmente cattolico, per un ortodosso assetato dell'unità, questa separazione tra il cielo e la terra veniva sottolineata dalla separazione storica dell'oriente e dell'occidente, alla quale Clément non è mai stato tentato di rispondere con ricette tranquillizzanti o con progetti arrischiati; a tutto ciò preferì piuttosto la via difficile ma entusiasmante della conversione personale. Quelli che lo incontravano erano conquistati da questa prospettiva e dalla sua amicizia, e con lui iniziavano uno scambio di esperienze nel quale proprio le diverse conversioni all'unico Cristo aprivano "la possibilità di ritrovare l'unione non attraverso la via - presto sbarrata - di un riaccorpamento sociologico o di un aggiustamento concettuale, ma innanzitutto attraverso il recupero creativo del senso vivente dell'unica Chiesa nella diversità delle sue tradizioni".
È tra l'altro questa sfida che ci lascia oggi Olivier Clément, la sfida rivolta a ciascuno di noi perché ciascuno di noi recuperi il senso vivente dell'unica Chiesa nella diversità della tradizione in cui gli è stato dato di incontrare Cristo e di vivere in Cristo; il resto è in Dio, "il futuro è in Dio. Le volontà di Dio riposano nell'eternità. Esse entrano nel tempo quando il tempo è maturo, quando si offre. Il nostro compito è quello di far maturare il tempo".
(Autore: Adriano Dell'Asta; fonte: L'Osservatore Romano, 18.1.09)
14/01/09
Pierre Pascal e Charles Maurras nella soprannaturale vicenda di Padre Pio
Lo scrittore francese Pierre Pascal fu uno dei visitatori dello stigmatizzato del Gargano negli anni Sessanta. Pierre Pascal si trovava Roma dal 1945; prima della guerra era stato un amico di Charles Maurras e aveva conservato nei confronti dell'ispiratore dell'Action française una fedeltà assoluta (Bisogna leggere il commovente e documentatissimo Maurras, che Pierre Pascal ha pubblicato nel 1986 nelle edizioni Chiré). E' noto che Maurras, sordo dall'adolescenza, si era aperto ai lumi della fede cattolica nelle ultime settimane della sua esistenza, Padre Pio evocherà il paladino del nazionalismo francese, il suo destino d'oltretomba e i vincoli che lo avevano unito al suo visitatore che vedeva per la prima volta. Parole assolutamente sorprendenti nella bocca del cappuccino stigmatizzato, che sicuramente non aveva mai letto una riga di Maurras, ma che lo conosceva, per così dire, in una visione soprannaturale. Pierre Pascal ha raccontato il primo incontro con Padre Pio, con le straordinarie affermazioni fatte da quest'ultimo, in un sonetto che qui riportiamo:
“Per la prima volta, ero solo, a lui davanti.
Venne da me, che mi trovavo in mezzo a tanti,
Mi guardò in fondo all'anima e dopo un po'
Mormorò lentamente: “Io vedo...io so.
Perché questo buio e questo immenso dolore?
Molto hai sofferto, figliolo, ti sia reso onore!
Per amore della Verità e stasera a casa sua,
Padre Pio ti aspetta. Ma viene con la croce tua!”
La porta era aperta. In piedi mi aspettava
E mi tese le braccia. “In ginocchio ci mettiamo
Io per te e ancor più tu per me preghiamo!”
I miei giorni a lungo mi sentii raccontare,
Tutti i miei giorni con voi. “Tranquillo devi stare!
Non più sordo, un eroe ti protegge.
Sì, figliolo, in pace devi andare”!
Pierre Pascal ha incontrato Padre Pio due altre volte. E' Stato lui a raccontare che, nella penombra della cella, le stimmate erano luminose, con quella luce soprannaturale che anticipa la luce eterna dei corpi risorti e gloriosi.
(Fonte: Yves Chiron, Padre Pio, una strada di misericordia, Ed. Paoline, 1997)
13/01/09
Operazione Piombo Fuso
12/01/09
Simone Weil, Attesa di Dio
Autore Simone Weil
Titolo:Attesa di Dio
Originale: Attente de Dieu
Curatore: Maria Concetta Sala
Con un saggio di Giancarlo Gaeta
Editore: Adelphi (collana Biblioteca Adelphi)
Anno: 2008
Due flussi diversi per la prima migrazione nelle Americhe
Più in dettaglio, dall’analisi di dati genetici sembra che una stessa popolazione sia arrivata in almeno due gruppi separati più o meno nello stesso periodo.
Dopo l’ultimo massimo glaciale, avvenuto tra 15.000 e 17.000 anni fa, un gruppo raggiunse il Nord America attraverso la Beringia, il lembo di terraferma che anticamente collegava l’estremo nordorientale della Siberia con l'Alaska.
Il secondo gruppo, invece, attraversò un corridoio tra due coltri di ghiaccio per arrivare direttamente nella regione a est delle Montagne Rocciose.
Questi primi americani diedero vita così a tutti i gruppi di nativi americani moderni del Nord, del Centro e del Sud del continente, con le importanti eccezioni delle popolazioni dei Na-Dene e degli Eschimesi-Aleutini delle regioni più settentrionali.
“I dati recenti ottenuti con le analisi dei reperti archeologici e ambientali suggeriscono che gli esseri umani abbiano messo piede sul suolo delle Americhe arrivando dalla Beringia circa 15.000 anni fa, e la diaspora avvenne lungo le coste del Pacifico liberate dai ghiacci”, ha spiegato Antonio Torroni dell’Università di Pavia. "Il nostro studio, per contro, si basa su uno scenario alternativo: due flussi migratori quasi concomitanti, entrambi dalla Beringia tra 15.000 e 17.000 anni fa, diedero origine alla diaspora dei Paleo-Indiani, i primi americani.”
La doppia origine dei nativi del nuovo continente ha notevoli implicazioni in molte discipline: per esempio, non c’è ragione per ipotizzare una singola lingua originaria per i primi migranti che avrebbe dato poi dato luogo a una straordinaria ricchezza linguistica delle popolazioni trovate dalle prime esplorazioni europee del XV secolo.
In questo nuovo studio, Ugo Perego e Alessandro Achilli, insieme con Torroni, hanno analizzato i resti di DNA mitocondriale di due rari aplogruppi, tipi mitocondriali che condividono un comune antenato materno. Tale frazione del materiale genetico della cellula è molto importante per tracciare le linee di discendenza e le migrazioni dei popoli del passato, dal momento che passa direttamente dalla madre alla generazione successiva.
In questo caso, è risultato che l’aplogruppo noto con la sigla D4h3 si è diffuso dalla Beringia verso le Americhe lungo la linea costiera del Pacifico, raggiungendo rapidamente la Terra del Fuoco, all’estremo sud del continente.
Il secondo aplogruppo, indicato come X2a, si è diffuso nello stesso periodo lungo il corridoio libero dai ghiacci tra due estese coltri glaciali dell’epoca: il Laurentide, che occupava i territori dell’attuale Canada e degli attuali Stati Uniti del nord, e quello della Cordillera del Pacifico, che sovrastava la terraferma dalle attuali regioni dell’Alaska, della British Columbia, del Montana, dell’Idaho e dello Stato di Washington. (fc)
Fonte:http://lescienze.espresso.repubblica.it/
11/01/09
E' morto il celtista Jean Markale
(Fonte: Adnkronos)
07/01/09
A Taiwan i ricercatori scoprono una conformazione rocciosa "sospetta".
Girard: «Così sono rinato cristiano»
«Sì, è vero; la storia è diversa dal momento che io ero già cristiano da parte di madre, una donna molto credente e abbastanza "sofisticata" nel suo modo di esserlo, specialmente per il tempo in cui è vissuta. Mio padre, invece, era moderatamente anticlericale. Questa situazione era abbastanza tipica nella classe media francese. Mia madre, all’inizio, non mi ha influenzato granché. Dall’età di 12 anni fino ai 30, ogni volta che potevo evitavo la Messa domenicale. Ma è falso pensare che mi sia imbattuto per caso nel cristianesimo. Nella mia infanzia c’erano diversi elementi cristiani che erano - che sono - molto potenti e l’influenza di mia madre è stata parecchio importante. Per questo le ricerche effettuate per Deceit, Desire and the Novel sono state una rinascita del mio cristianesimo e si è trattato di qualcosa molto impegnativo. Le esperienze dell’infanzia possono essere molto importanti. Più ci rifletto, meglio capisco che lei ha ragione nel suggerire che la mia vicenda si è svolta così».
La Chiesa in America, e meno in un certo senso nell’Europa occidentale, sembra tristemente divisa tra coloro che si autodefinisco tradizionalisti e chi si fa chiamare progressista. A parte ignorare queste distinzioni superficiali, in che modo lei è stato capace di non allinearsi con uno "gruppo" dentro la Chiesa?
«È una domanda complicata. Penso che ci sia poca differenza tra Europa e America, o meno di quanto lei insinua. La questione sulla divisione tra progressisti e tradizionalisti ha dominato il dibattito per molti anni. Oggi io la sento come un po’ dépassé e non rilevante per come viene usata. Sembra che il grande entusiasmo progressista del Concilio sia diminuito e sia diventato meno importante. Secondo me la domanda vera è se uno resta un cristiano o no. Sono incline a non sentirmi un cristiano del passato ma un cristiano "permanente". Per un certo periodo sono stato visto come un conservatore estremo perché sentivo che il cristianesimo progressista di quel periodo stava imitando, se così si può dire, quei dibattiti che non sono di per sé religiosi¿ dibattiti della vita politica e dell’azione sociale, che sono interessanti, ma non fondamentali per il cristianesimo. A mio modo di vedere, l’interrogativo è se uno crede o no nell’Incarnazione e nella divinità di Cristo. Lentamente stiamo tornado a questo punto».
Visto che lei è francese ma anche residente in America, trova che la Chiesa americana si stia rinchiudendo tra le proprie mura?
«Storicamente, questo è stato vero per la Chiesa francese che si faceva chiamare "Chiesa gallicana" per enfatizzare la propria indipendenza dal papato. Da un punto di vista francese, la Chiesa americana è molto più preoccupata della sua relazione con il papato e del suo desiderio di essere "ortodossa", cioè nel non fare affermazioni estranee ad una prospettiva cristiana. Dalla prospettiva di qualcuno che viene da fuori, la Chiesa americana è estremamente generosa nelle sue donazioni. In questo c’è di certo qualcosa del processo del capro espiatorio, ma ciò non mi colpisce come un fenomeno particolarmente americano. La tendenza a criticare il papato era molto diffusa in Francia. Per esempio, durante la prima guerra mondiale, la gente non era conscia di quello che succedeva con Benedetto XV (e credo che Benedetto XVI abbia preso questo nome proprio a causa di quest’ultimo). Benedetto XV era molto popolare durante la guerra sebbene fosse impopolare in Francia per essere troppo filo-tedesco e lo stesso in Germania perché esageratamente filo-francese. Fece sforzi notevolissimi per mettere fine ai combattimenti. Intervenne e fece del suo meglio per promuovere i negoziati. Nessuno ha apprezzato questo sforzo come si sarebbe dovuto fare. Fu veramente profetico nel capire che la guerra era un disastro di proporzioni enormi per tutta l’Europa».
Cosa risponderebbe se il Papa le chiedesse cosa bisogna fare per meglio portare avanti l’opera di catechesi nella Chiesa?
«La Chiesa è cosciente di questo e continuamente si interroga su cosa deve fare per migliorare. Certamente è necessario raggiungere i giovani. Questo spiega perché Giovanni Paolo II era così importante. La simpatia misteriosa che i giovani hanno avuto verso Giovanni Paolo II è stata notevolmente sottolineata nel momento in cui si è riflettuto sul suo papato. Eventi come le Giornate mondiali della gioventù sono molto importanti. Ovviamente non è facile avere lo stesso appeal di Wojtyla, ma il grande successo della visita di papa Ratzinger negli Stati Uniti e il recente viaggio in Francia sono stati molto importanti. A Parigi c’erano 250 mila persone ad ascoltarlo alla Messa e 100 mila di queste hanno passato la notte lì. Un evento impressionante. Per questo, la gente che pensa che il cristianesimo in Francia sia ormai finito sbaglia completamente, a mio giudizio. Per esempio, quando il cardinale Lustiger era arcivescovo di Parigi celebrava la messa alle 6.30 della sera ogni domenica, a Notre Dame. Se non si arrivava in tempo, era impossibile trovare un posto per sedersi in chiesa. Tra la gente di Parigi la sua popolarità era incredibile. Questo fenomeno non è stato fatto conoscere come si sarebbe dovuto fare, perché in esso c’era qualcosa di abbastanza paradossale. Lustiger non era un parigino doc, ma un ebreo, e vescovo di Orleans prima di arrivare a Parigi. La sua popolarità è stata qualcosa di veramente inedito».
Lei considera il suo lavoro un impegno apologetico?
«Penso che l’aspetto più influente del mio lavoro sia mostrare che l’ebraismo e il cristianesimo esistono in continuità con le religioni arcaiche. Fondamentalmente, io sono un antropologo e un razionalista. Ciò che sostengo è il fatto che le società umane sono molto diverse da quelle che gli specialisti definiscono come "società animali", perché le prime hanno la religione. Nella società arcaica religione e cultura sono assolutamente un tutt’uno, anche quando ciò non appare. La religione, perciò, è un modo con cui gli esseri umani imparano, senza averne coscienza, il modo in cui comportarsi con la violenza all’interno del proprio gruppo. In questo caso, il sacrificio arriva a rivestire il ruolo delle vittime sostitutive. Questo fenomeno dovrebbe essere spiegato in termini puramente antropologici come qualcosa di scientifico. Non c’è bisogno di una convinzione religiosa per capirlo. Questa comprensione della religione arcaica (portata avanti anche da chi ha una considerazione sfavorevole nei confronti della religione stessa) rappresenta una vera rivoluzione; è molto importante mostrare che queste vittime sono assolutamente indispensabili alla sopravvivenza dell’uomo. In un certo qual modo, il cristianesimo è la fine delle religioni arcaiche perché rivela che la vittima è innocente. Quando si comprende il cristianesimo in maniera corretta nella sua vicinanza-distanza dalla religione arcaica, si scopre che siamo di fronte alla stessa struttura, ovvero il fenomeno del capro espiatorio, cioè Gesù come vittima. Già il testo biblico è concepito per distruggere lo schema del capro espiatorio invece di usarlo per realizzare sacrifici. La relazione con tutte le religioni arcaiche nel passato è davvero centrale e razionale al punto che si potrebbe andare indietro per decine di migliaia di anni. Questo è un dato molto importante. La religione dell’Incarnazione dovrebbe essere un’antropologia così come una teologia. L’Incarnazione significa uomo e Dio insieme. La teologia è il Dio puro ed è costruita su schemi che trascurano completamente quello che nel cristianesimo chiamiamo Incarnazione».
A livello più personale, lei ha qualche suggerimento per rendere la fede attraente nei confronti dei non credenti?
«Una cosa importante sarebbe mostrare che il cristianesimo ha qualcosa da dire rispetto alle scienze dell’uomo. Questo è assolutamente indispensabile. L’antropologia ha sempre visto la religione come un tipo di storia. Nel diciannovesimo secolo Auguste Comte sentiva che la religione arcaica era il primo tentativo di capire i "misteri dell’universo". In altre parole, intraprendeva lo stesso percorso della scienza. Ma secondo Comte si trattava di una scienza molto scadente e non di alto livello. Per i positivisti dell’Ottocento, la filosofia si poneva a metà strada, era un po’ meglio della teologia ma non ancora accettabile come la scienza. Questa visione era molto astratta e aveva poco a che fare con il fatto che la religione è un fenomeno molto concreto che porta le persone ad evitare di uccidersi del tutto le une le altre».
Quale ruolo pensa avranno le principali tesi del suo lavoro intellettuale nei decenni a venire?
«Ritengo che la questione e il paradosso del capro espiatorio (perché esso c’è quando non lo si vede, ed è assente quando si dice che è presente) verrà compreso meglio e rivestirà un ruolo che non ha mai assunto nell’apologetica. La visione del cristianesimo non è abbastanza paradossale. Io penso che quando si legge Kierkegaard con attenzione, si vede che egli non era molto lontano da molte delle affermazioni che la teoria del capro espiatorio può formulare in maniera più razionale. Perciò tale visione può essere uno strumento di apologetica che non è stato ancora scoperto».
06/01/09
05/01/09
Mircea Eliade esoterico
(Autore: Carlo Gambescia)
Addendum
Carlo Gambescia, autore della recensione, è un colto e preparato sociologo, studioso del pensiero di Sorokin e autore di saggi importanti sull’economia e il mercato. Scrive su numerosi quotidiani e riviste. Di lui segnaliamo "Viaggio al Termine dell’Occidente" (Edizioni Settimo Sigillo) di cui speriamo di occuparci prossimamente.