di Giuseppe Maddalena
Nel 1595 il padre benedettino Arnoldo de Wion pubblicò, nella sua
opera Lignum Vitae,una profezia attribuita a San Malachia, vissuto
quattro secoli prima, e nota anche come la profezia dei Papi. Il testo
profetico consiste in 111 motti, che esprimerebbero sinteticamente le
caratteristiche della persona o dell’opera di altrettanti Papi. La serie viene
chiusa da un centododicesimo titolo, Pietro Romano, riferito ad un Pontefice
sotto il quale si preparebbe, sembra, il ritorno di Cristo. La profezia, in
verità, è molto controversa e vede gli studiosi attestati su posizioni assai
differenti, che vanno dalla negazione recisa della sua autenticità al suo
convinto riconoscimento, all’attenzione più cauta e possibilista. Come sempre,
l’autenticità di una profezia può essere valutata solo a posteriori,
quando gli eventi ne avranno mostrato almeno con una certa approssimazione
l’inveramento. Se la lista delle divise dei Papi corrispondesse a verità (e in
molti casi è difficile negare la piena rispondenza dei motti con i Papi a cui
si riferiscono) l’appellativo di Petrus Romanus spetterebbe a Papa
Francesco. Non vi è dubbio che colpisce l’insistenza del neoeletto Pontefice,
fin dalle sue primissime dichiarazioni, nei minuti successivi alla sua
elezione, sul suo ruolo di Vescovo di Roma e la sua particolare venerazione per
la “Salus Populi Romani”.
Prima di procedere
oltre, però, è necessario soffermarsi su un altro punto importante . Se
Papa Francesco è il Pietro Romano della profezia di San Malachia, la divisa n.
111 spetta a Benedetto XVI e a lui va riferito perciò il motto “Gloria olivae”,
che richiede almeno un tentativo di spiegazione. Se consideriamo l’olivo
come segno di consacrazione della gloria mondana di poeti o condottieri è
evidente che esso non ha alcun legame con Ratzinger. In verità, neanche come
simbolo religioso della pace l’olivo sembra avere una qualche attinenza col suo
pontificato. Ma, a ben guardare, l’olivo ha assunto nel Vangelo anche un’altra
connotazione. E’ infatti una pianta dalle foglie amare, appuntite e, quando non
più fresche, taglienti. Quando è avanti con gli anni ha tronco e
rami contorti, che ben rendono l’angoscia e il tormento di un’anima. Ed è
nell’orto degli ulivi del Getzemani che Gesù sperimenta l’amarezza della
solitudine e del tradimento. Difficile negare che solitudine e tradimento
abbiano caratterizzato, tra le altre cose, il pontificato di Benedetto XVI e
che egli abbia conseguito l’unica gloria a cui un cristiano deve
aspirare, quella di una somiglianza con Gesù. Lo dice chiaramente S.Paolo nella
Epistola ai Galati (6,14): “Mihi autem absit gloriari,
nisi in cruce Domini nostri Iesu Christi” (“Quanto a me non ci sia altra gloria
se non nella croce del nostro Signore Gesù Cristo”).
Cerchiamo ora altri indizi – perché
nientre altro è possibile trovare – di un’identificazione di Papa Francesco con
Pietro Romano Qualche anno fa la rivista “Metapolitica” (Anno XVI, n.2)
pubblicò un saggio di grande suggestione dello studioso Emile Folange, che per
la interpretazione della Profezia dei Papi proponeva una chiave
matematica. I punti essenziali della sue tesi erano i seguenti:
1) Numero
ricorrente nell’analisi matematica del testo profetico è 111, dal quale si
ottiene per riduzione il numero tre e che rappresenta perciò (anche
ideograficamente, aggiungeremmo) la SS.Trinità.
2) L’intero
arco cronologico in cui si inscrive la serie dei Pontefici indicata dalla
profezia abbraccia 888 anni; il numero 888 è l’espressione aritmologica del
nome di Gesù in lingua greca.
3) Assumendo
il 1143 (anno della morte di S.Malachia) come data iniziale della serie dei
Pontefici e sommandolo agli 888 anni si ottiene la data conclusiva:
il 2031.
Va chiarito in primo luogo che nel linguaggio
profetico date e numeri hanno una valore simbolico, esprimono ritmi più che
periodi misurabili quantitativamente, come avviene con il tempo degli orologi;
con analisi di questo genere è possibile non tanto determinare una precisa
scadenza cronologica, quanto piuttosto delineare un tipo di percorso . Il
Signore Gesù ci avverte che”quanto a quel giorno e a quell’ora” li conosce solo
il Padre Celeste, ma ci incoraggia a riconoscere i segni dei tempi. Tentare di
individuare il momento esatto di realizzazione di una profezia può risultare,
perciò, ingannevole e forse anche temerario. E’ bene allora lasciare a Dio il
Suo segreto e provare invece a cogliere il senso degli eventi in atto e in
preparazione per il prossimo futuro e verso i quali abbiamo una responsabilità.
Va inoltre osservato che nell’impiego di elementi simbolici per
l’interpretazione della storia (passata o in “fieri”), è importante
che essi siano coerenti fra loro e pertinenti, e che attraverso le loro
combinazioni si possa disegnare un quadro dotato di senso. Tutto ciò premesso,
proviamo svolgere qualche considerazione che possa offrire, come
l’interpretazione del Folange, un supporto per una meditazione sulla storia e
che assuma come punto di partenza il pontificato di Papa Francesco.
Mario Bergoglio è stato eletto Pontefice nel 2013,
a diciassette anni da quel 2030 che il misterioso Re del Mondo indicò a
Ossendowsky come data della “fine del mondo” ; o, come sarebbe meglio dire, di
“un” mondo, di un’era, nella prospettiva di uno svolgimento ciclico della
civiltà. E’ importante notare che il 17 è un numero biblico, in relazione col
Diluvio Universale. In Genesi 7, 11-13 si legge: “Nel secondo mese, nel
diciassettesimo giorno del mese, proprio in quel giorno, eruppero tutte le
sorgenti del grande oceano e le cateratte del cielo si aprirono...in quello
stesso giorno entrarono nell’arca”. Si noti l’insistenza sul diciassette:
“proprio in quel giorno.....in quello stesso giorno” . Il giorno diciassette si
conclude un’era, viene sommerso un mondo. Ma in un altro diciassettesimo giorno
ha inizio un’era nuova. L’arca galleggiante sulle acque si arresta in un altro
giorno diciassette. In Genesi 8,4 si legge: “Nel settimo mese, il diciassette
del mese, l’arca si fermò sui monti dell’Ararat”. L’intera navigazione
dell’arca si è svolta tra due diciassette: il numero segna così il passaggio
dal mondo prediluviano ad una nuova era. Nell’alfabeto ebraico, del resto, la
diciassettesima lettera è espressa con il vocabolo PHE, che significa “bocca” e
indica perciò un varco, un passaggio. Inoltre nella corrispondenza tra le
lettere dell’alfabeto ebraico e i segni zodiacali (trasmessa dal Sepher
Yetzira) la lettera PHE è in relazione con il segno del Capricorno, col
quale si chiude un anno e se ne apre un altro. Dunque i 17 anni che ci separano
dal 2030 sembrano alludere ad un passaggio critico, ma che apre un’era
migliore, e alla distruzione di un mondo che ha ormai esaurito le sue
possibilità, per lasciare spazio libero ad un mondo rinnovato. Se si assume poi
il 30 come anno della Crocifissione e della Pentecoste, e quindi come inizio
dell’era cristiana, l’arco di tempo compreso fra l’inizio della vita della
Chiesa e l’ipotetica conclusione nel 2030 è di duemila anni; una durata che ha
il valore di un piccolo ciclo – corrispondente strutturalmente all’anno solare
– scandito in quattro “stagioni”, ciascuna delle quali, come la vita della
mitica Fenice, di cinquecento anni. Il che confermerebbe che siamo alla
conclusione di un ciclo. Ma è possibile combinare ancora questa cifra (2000)
con altre del tutto coerenti col discorso che andiamo svolgendo. Dopo aver
scelto i dodici Apostoli, Gesù elegge 72 discepoli e li invia a due a due ad
evangelizzare. Il numero 72 ha un significato rilevante. Per gli Ebrei i popoli
del mondo erano 72, perciò la scelta di 72 disepoli è considerata come un segno
dell’opera di evangelizzazione universale. Ogni settantadue anni, inoltre, si
ha lo spostamento di un grado dei punti equinoziali nel fenomeno astronomico
della precessione degli equinozi. Moltiplicando 72 per 360 gradi, si ottengono
i 25920 anni che costituiscono un Grande Anno. Il numero 72 evoca così l’idea
di una totalità pienamente sviluppata nello spazio e nel tempo e di un completo
svolgimento di un ciclo. Moltiplicando il 72 per il piccolo ciclo di 2000 anni
della storia cristiana si ottiene il ben noto numero apocalittico dei 144000
eletti. Così, partendo dal numero 17, dai diciassette anni che separano
l’elezione di Papa Francesco dal 2030, siamo giunti a conclusioni assai vicine
a quelle di Folange, ma utilizzando un dato, di cui Folange non poteva
disporre: la data dell’elezione dell’attuale Pontefice.
La profezia di San Malachia si conclude con la distruzione della “civitas
septicollis” e il giudizio di Dio. Roma sarà distrutta? Il testo profetico, in verità, non parla di
“urbs”, cioè della città intesa come insieme di edifici, strade, ponti, ecc.,
ma di “civitas”, termine che designa una città sotto il profilo giuridico e
istituzionale, e pertanto sembra alludere alla “funzione” di governo e guida
della Christianitas . La “civitas” in questione è anche detta
“septicollis”; è, questo, un particolare non descrittivo, che non avrebbe
ragion d’essere in un testo profetico, ma, piuttosto, restrittivo:
indica, cioè, una ben determinata “civitas”, con una precisa
collocazione in un territorio con sette colli. Il testo sembra voler
precisare: sarà Roma in quanto centro direttivo della Chiesa ad essere
annientata. Dopo la distruzione, infine, un “Judex tremendus” giudicherà
il suo popolo. Ora nel linguaggio della Chiesa l’espressione “popolo di Dio”
non designa l’intera umanità, ma l’insieme del popolo dei credenti. Saranno i
Cristiani ad essere giudicati e non singolarmente, ma come popolo di Dio: sarà
forse saggiata la fede e la coerenza di vita di quei popoli che hanno avuto sin
qui il privilegio di costituire il cuore della “Christianitas”? Saremo noi
Europei ad essere valutati? Se la profezia è autentica, si profilerebbe forse
la possibilità (non la necessità, perché le profezie private non enunciano un
destino inesorabile, ma una possibilità) di una conclusione del Pontificato
romano. Se le cose stanno veramente così si spiega allora l’appellativo,
per l’”ultimo” papa, di Petrus Romanus. Ma la Roma di cui si dice che
“diruetur” (=sarà distrutta) è la Roma in senso geografico,non in senso tipico.
Esiste e non sarà distrutta la “Roma Aeterna”, quella che, quale che sia la sua
dislocazione, tenta di realizzare nel massimo grado possibile l’ordine e la
giustizia, che consistono nel perseguire l’ordine voluto da Dio. E’ questa
“Roma Aeterna” che costituisce il fondamento della Christianitas e che fin ora
ha trovato la sua collocazione nell’Europa, erede della Roma imperiale e della
Christianitas medievale e la sua sede nella “Civitas septicollis”. Dunque lo
“Judex tremendus” potrebbe trovare che noi europei ci siamo resi indegni di
questa eredità e che perseguiamo un disegno diverso da quello di Dio,
anzi deliberatamente opposto ad esso, attraverso la violazione, l’alterazione,
la negazione delle leggi della natura.
Vi sono dunque motivi per ritenere possibile che
l’asse della civiltà cristiana si sposti altrove. E sembra carica di
significato, a questo proposito, l’elezione al soglio pontificio di un Papa
sudamericano, con le idee e il carisma di Jorge Mario Bergoglio. Sua
convinzione, espressa quando svolgeva il suo ministero episcopale in Argentina,
è che la liberazione dell’America latina dal colonialismo culturale ed
economico che incombe su di essa richieda un duplice ordine di interventi: sul
piano economico-sociale, con la ricerca di nuovi modelli di sviluppo, che
consentano di condurre efficacemente la lotta alla povertà e alle gravi
disuguaglianze sociali; sul piano politico, con “un percorso di
integrazione” che porti alla la realizzazione della Grande Patria
sudamericana, cioè di una Nazione-Continente , unica sulla terra, ma resa
possibile dalla sua forte omogeneità linguistica e culturale e dalla comune e
diffusissima fede cristiana e cattolica. Operando su questi due piani l’America
latina potrà preservara la sua cultura dalla minaccia esercitata da due
correnti di pensiero: da un lato una “concezione imperiale della
globalizzazione” che vorrebbe annientare le identità dei popoli e che
“costituisce il totalitarismo più pericoloso del postmodernismo”;
dall’altro un tipo di progressismo “che dà forma al colonialismo culturale
degli imperi e ha una relazione con una concezione di laicità dello Stato che
è, invece, laicismo militante”. Ora se l’ascesa al soglio pontificio di un Papa
sudamericano, dotato di un carisma semplice e forte e di idee molto
chiare sulla via di liberazione da perseguire, galvanizzerà i popoli
dell’America latina, assisisteremo nei prossimi decenni alla nascita di
un nuovo assetto politico-culturale ed economico del Continente americano. La
Grande Patria che Bergoglio auspica è, naturalmente, una grande Patria
cattolica.
Potrebbe essere allora il Sud America il deserto
ideale, preparato da Dio, dove fuggirà l’apocalittica Donna incinta,
vestita di sole e con la luna sotto i piedi, simbolo della Chiesa
minacciata dal Dragone. Primo Siena ha ricordato, a proposito della Madonna di
Guadalupe, la più venerata immagine dell’America Latina, che è la prima volta
“nell’intero corso millenario delle teofanie mariane che l’Immagine di Nostra
Signora appare incinta” e che “fin dal Seicento si riscontrò la puntuale
corrispondenza della Vergine guadalupana con la ‘Donna vestita di sole e
incinta’ dell’Apocalisse. Questo sembra essere un segno trasparente del destino
escatologico dell’America Latina (METAPOLITICA, Anno XII n.3, 1987).
E’ un’ipotesi, quella del ruolo del Sud America, che
Silvano Panunzio riteneva possibile. Già nel 1953, nel saggio “Cattolici
svegli”, proponeva la seguente interpretazione della parte conclusiva della
profezia di S. Malachia: “Finora i più, riflettendo su certe definizioni
emblematiche, avevano pensato a un pontefice americano a Roma: invece potrebbe
trattarsi del contrario, ossia di un pontefice romano in America nei prossimi
anni”. Ora è evidente che la prima ipotesi si è pienamente realizzata: abbiamo
a Roma un pontefice proveniente dall’America. La seconda potrebbe risultare non
opposta e alternativa, ma complementare alla prima: un pontefice venuto
dall’America potrebbe creare le condizioni per un trasferimento della Chiesa
romana in America e la navicella di Pietro si preparebbe, in un futuro non
molto lontano, a salpare, forse sotto la spinta di gravi eventi internazionali.
Tutto fa pensare, dunque, che Papa Francesco sia identificabile col Pietro
Romano di San Malachia e rappresenti il Papa di una svolta radicale.
Anche altri elementi possono essere presi in
considerazione.Una particolare importanza rivestono per i tempi ultimi i sogni
di San Giovanni Bosco. Tra i suoi numerosisimi sogni, ve ne sono alcuni
ripetuti e molto significativi. Nel saggio sopra citato Panunzio scriveva:
“Nelle visioni di San Giovanni Bosco, la cui importanza è rafforzata da precisi
riferimenti astronomici, si parla continuamente de “L’Anziano del Lazio”” (si
ricordini i 24 Anziani dell’Apocalisse e la proclamazione di Pietro: “io che
sono anziano con loro”).” L’Anziano del Lazio, in virtù dei possibili rinvii
scritturistici (I Pietro, 5,1 e Ap.) fa pensare alla figura di un Pontefice
che guiderà la Chiesa dei tempi ultimi. “L’epoca dell’impegno
risolutivo per questo Anziano – continua Panunzio - sarà contrassegnata da un
“Maggio con due Lune” (due pleniluni)”. Del mese dei fiori con due pleniluni è
stata data, generalmente, come era naurale che fosse, un’interpretazione
astronomica. Panunzio ha ricordato che due pleniluni hanno avuto luogo nel mese
di Maggio nel 1950, anno del Giubileo; Vittorio Messori ha segnalato che
il rarissimo fenomeno si è verificato nel 1988, centenario della morte di San
Giovanni Bosco. C’è da chiedersi, però, se non sia preferibile dare al presagio
di San Giovanni Bosco un’interpretazione non astronomica, ma simbolica, più
adatta al linguaggio profetico. Se, infatti, Gesù è il “Sole di giustizia”, il
pontefice, che ne è il vicario e brilla di luce riflessa, è simbolicamente
Luna. E non si sono forse visti, al rientro di Ratzinger in Vaticano nel Maggio
di questo eccezionale 2013, due pontefici biancovestiti abbracciarsi
fraternamente? Non sarà questa l’”iride di pace nel mese dei fiori con due
lune”? E’ comunque un evento unico nella storia della Chiesa e certamente
meritevole d’essere preannunziato. Sarà dunque Papa Francesco l’Anziano del
Lazio di San Giovanni Bosco?
In ogni caso, non vi è dubbio che siamo di fronte a
eventi di straordinaria portata e a gesti di sapore emblematico. Le dimissioni
di Papa Benedetto XVI e l’interruzione del suo pontificato, improntato
alla difesa e al recupero delle radici della Cristianità-Europa, e
la successiva elezione del sudamericano Bergoglio danno l’impressione di un
passaggio di mano. Profezie ed eventi sembrano indicare una direzione, il passaggio
dell’asse della Cristianità dall’Europa al Sudamerica. Ma come è stato scritto
in un fondo di “Metapolitica” (anno XII,n.1-2) : “ove la Cristianità-Europa
geografico-storica entrasse in crisi, o addirittura in disfacimento, l’ Europa
perennis e la Christianitas perennis, assumendo una nuova
veste, resteranno pur sempre l’asse del mondo, tenuto conto della posizione
centrale dell’emisfero latino-americano riguardo all’intera estensione del
globo terracqueo, dal Nord al Sud, dall’Est all’Ovest....In questo preciso
senso si può legittimamente ritenere che la civiltà in gestazione nell’America
latina, in cui le arcaiche tradizioni sacre (di discendenza atlantide)
rinverdiscono e riforiscono in virtù della forza generatrice e assimilatrice
cristiano-europea (di discendenza iperborea), rappresenti una “Nuova Europa” e
una “Nuova Cristianità” come ramificazione vitale di un primitivo
intramontabile ceppo. Per tanto, le posizioni “europee” dell’Alleanza
Michelita.....rimangono intatte, ancorate come sono a una fonte di luce che va
sempre intesa e difesa a oltranza”. Dunque la possibilità
dolorosissima e sconcertante di un tramonto europeo, in senso
storico-geografico, esiste.
Tuttavia le profezie private, come quella di San Giovanni Bosco possono
intendersi e attuarsi in vari modi, perché molto dipende da noi, dalle nostre
scelte, dalla collaborazione con le forze celesti. L’abbraccio, il
rispetto reciproco e la concreta collaborazione tra i due Pontefici (si pensi
all’enciclica “Lumen fidei” scritta a quattro mani dal Papa regnante e dal Papa
emerito) assumono infatti anche altri significati e ci rivelano ulteriori
possibilità inscritte nella storia che stiamo vivendo, e ci suggeriscono nuove
chiavi interpretative della profezia delle due Lune. Nei sogni-visione di
San Giovanni Bosco si dice che “un’iride di pace” sorgerà “nel mese dei fiori
con due pleniluni”. In che consiste la pace cui si allude e che sembra resa
visibile dall’abbraccio dei due Pontefici? Nell’opera “La Conservazione
Rivoluzionaria”, riferendosi alle tensioni e ai conflitti tra i teologi
vaticanensi e i cattolici rivoluzionari della teologia della liberazione,
Silvano Panunzio scriveva che “il più grande contrasto storico e ultrastorico
che stiamo vivendo è quello tra l’America latina e la Roma togata” (pag. 111).
Oggi il conflitto – storico e ultrastorico – tra le aspirazioni alla
giustizia sociale, che animano il mondo sudamericano, e il rigore dottrinale
della Roma togata, che definisce i limiti entro i quali deve mantenersi
ogni apertura teologica, per non sconfinare nell’eterodossia, si va
ricomponendo nella concordia tra i due Pontefici che incarnano le due anime
distinte e complementari della Chiesa. Sembra, così, realizzarsi
l’auspicio dell’Alleanza Trascendente Michele Arcangelo (ATMA) di una
collaborazione tra civiltà europea e civiltà latino-americana: la
Cristianità-Europa costituisce, infatti, “il centro dinamico d’una superiore
Civiltà dell’Orbe: fondata, questa, sull’ordine, la giustizia, la verità. Tale
sintesi centrale cristiano-europea è pure l’estremo baluardo contro tutte le
suggestioni e le contaminazioni malefiche che “vagano per la terra” e che ormai
corrodono, con la tentazione temporalista, profana e livellatrice, persino i
pilastri millenari delle sacre civiltà del Mondo Antico; mentre, poi, le
civiltà migliori o più promettenti del Mondo Nuovo, in quanto prive di autoctone
tradizioni intellettuali tuttora operanti, sono inesperte nello scoprire le
sottili insidie e nello sventare le raffinate arti diaboliche della
macchinazione antispirituale” (Appello cristiano-europeo, 1959).
L’Europa ha, dunque, ancora molto da offrire ed ha ancora in sé la
possibilità della resurrezione. Giacché si è parlato di simboli bisogna anche
ricordare che la bandiera d’Europa è stata disegnata dal suo ideatore sul
modello della Medaglia Miracolosa dell’Immacolata. E’ più di un segno di speranza:
è un’indicazione degli strumenti a nostra disposizione per la buona battaglia,
strumenti semplici ma potentissimi, perché la loro potenza non è nostra ma
discende del cielo.
Grazie Sig. Maddalena per questo bellissimo articolo, mi hanno sempre edificato le sue riflessioni, grazie davvero.
RispondiEliminaRimaniamo uniti nella preghiera , umilmente, in attesa dei segni dei tempi
Alberto
Ringrazio Alberto delle gentili parole e dell'invito all'unità nella preghiera, che accolgo con gioia. Giuseppe Maddalena
RispondiEliminaI miei complimenti per questo splendido articolo, sig.Maddalena. Ho solo una domanda, riguardante la profezia di S.Giovanni Bosco. Assieme all'Anziano del Lazio, il fondatore dei Salesiani parlava anche di un Guerriero del Nord. Lei ha qualche ipotesi in base alle sue letture e conoscenze?
RispondiEliminaCordiali Saluti
Robertus
L’immagine del guerriero del Nord è molto suggestiva, ma è difficile tentarne un’identificazione. L’interpretazione di una profezia, specialmente se espressa nella forma della rivelazione privata, è sempre problematica. In generale credo che il suo significato diventi più intelligibile via via che gli eventi preannunciati si avvicinano.Giuseppe Maddalena
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