Prefazione dell'Autore:
Nella società odierna gran parte del tempo è occupato da distrazioni e divertimenti, pertanto si ha sempre meno la possibilità di concentrarsi, di dirigere la propria volontà verso il bene, di rimanere tranquilli e sereni. I nostri contemporanei si disperdono e si perdono in una agitazione senza nome proiettati esclusivamente alla ricerca della volontà sfrenata di potenza e dello sviluppo smisurato dell’ego che il mondo moderno propone come valori. Non è quindi vano ricordare ai Cristiani di oggi l’importanza dell’umile raccoglimento interiore che consente di ricentrarsi e di riorientare il proprio sguardo verso il divino nel più profondo di noi stessi; in poche parole, di ritornare all’essenziale riscoprendo i tesori della preghiera contemplativa “senza immagini e senza riflessioni”.
Ormai da qualche
anno abbiamo attirato l’attenzione su un piccolo gruppo spirituale del
diciassettesimo secolo francese. Rappresentato principalmente nell’Île-de-France,
in Normandia e in Bretagna, ma anche a Roma, erano uniti dalla stessa pratica
della preghiera del cuore –la preghiera di Gesù, così come veniva praticata dai
primi Cristiani e dai monaci del deserto- allora conosciuta con il nome di orazione “cordiale”. Questa è stata riscoperta
nei primi anni del Secolo scorso dall’abate Henri Brémond che ne comprese
l’importanza, ma la cui analisi, a nostro avviso, manca a volte di precisione.
Un Carmelitano, il Padre Peter Van Schaick, ha voluto studiarne anche la
ricchezza teologica ponendo la questione di un raffronto con l’esicasmo
orientale. Anne Sauvy vi dedicherà un capitolo in un’opera sapiente e
documentata sulle immagini del cuore. Ma questi due ultimi autori si sono
scontrati con il problema delle fonti storiche del movimento e sfortunatamente
non hanno potuto spingere oltre le loro ricerche. Più recentemente,
Henri-Pierre Rinckel, Placide Deseille nonché lo storico dell’arte Frédéric
Cousinié, hanno dedicato numerose pagine all’iconografia delle opere di Jean
Aumont, uno dei rappresentanti più emblematici di questo movimento ancora mal
definito.
Nella nostra
presentazione che non ha nulla di definitivo né di esaustivo, non pretendiamo
di dare tutte le risposte né di fare luce piena sul soggetto, abbiamo solo
cercato di porre alcune questioni, di aprire qualche pista e di proporre
diversi chiarimenti. In ogni caso, stimiamo che questa preghiera del cuore
cattolica, nel cuore stesso della Chiesa che tanto insiste sulla ricerca
dell’immagine divina in noi nonché sul concorso dell’effusione dello Spirito
Santo e dei suoi sette doni, non sia stata considerata nel suo giusto valore; ingiustamente
lasciata da parte o tristemente preferita alle moderne e disastrose parodie
pseudo carismatiche che d’altronde si sono insediate persino a Paray-le-Monial…
L’opera più nota di
questa costellazione informe è L’Oratoire
du Cœur, del “nobile e discreto Messere Maurice Le Gal, signore di Kerdu,
rettore di Servel”, una parrocchia bretone vicina a Lannion. Questo libro, che
diverrà un vero successo librario, offre ai suoi lettori un “metodo molto
facile per fare Orazione con Gesù Cristo nel fondo del Cuore”. Non è un’opera
isolata e individuale, ma piuttosto un manuale pratico ad uso di coloro che
desiderano seguire questa particolare via d’amore e di volontà, e raggiungere
un traguardo e un comportamento esteriore “caritatevole”, ma molto discreto, sicuramente
vicino ad alcune società cattoliche dell’epoca fondate sul segreto, la più
conosciuta delle quali è la Compagnia del Santo Sacramento. Può farsi un
accostamento anche con la diffusione della devozione al Sacro Cuore e alle
Cinque Piaghe.
Nel nostro procedere
ci siamo basati sui testi stampati esistenti dei quali si deve sottolineare la
ricchezza e la profondità. D'altronde nella seconda parte (del libro, n.d.T.) ne presenteremo un florilegio che permetterà ai
lettori di farsi un’opinione personale. Il testo dell’epoca è stato conservato quasi
integralmente, solo qualche parola è stata tradotta e la sintassi e la punteggiatura,
spesso modernizzate. Benché la raccolta dei brani scelti possa sembrare
arbitraria da parte nostra, nondimeno esprime una certa coerenza. Ma occorre
sforzarsi di non proiettare su questo movimento pregiudizi e a priori appartenenti ai nostri giorni per
evitare di interpretarlo attraverso chiavi di lettura sbagliate. L’uso
frequente di un vocabolario preciso e piuttosto “tecnico” può fuorviare il
lettore moderno che invece dovrebbe prenderne dimestichezza per appropiarsene.
Siamo altresì consapevoli che questi testi possono disturbare un certo numero
di intellettuali cattolici del nostro tempo (in quanto troppo cattolici romani
per degli Ortodossi orientali, o per un approccio che potrebbe fuorviare dei
Cattolici romani…) o suscitare dei dibattiti più o meno vivaci nei quali non
vogliamo né rientrare né prendere parte. Questo insegnamento è situato in un
“luogo” interiore e superiore nel quale le vane contese degli uomini, per
quanto sapienti e impegnati, non hanno presa. Opponendosi alle derive del
Giansenismo e del Protestantesimo e differenziandosi dal Quietismo per come è
stato condannato alla fine del secolo, l’orazione nel cubiculum cordis continuerà a custodire il suo mistero e il suo
segreto ineffabile la cui vera comprensione può passare solo attraverso la propria
esperienza personale interiore –o “passaggio dell’oro attraverso il fuoco” che
consente la transizione dallo speculativo all’operativo- e attraverso un
“linguaggio del cuore” fondato sul puro
amore. Qui non possiamo che ricordare la seguente affermazione di Evagrio
Pontico: “Se sei teologo pregherai veramente, e se preghi veramente sei
teologo” (1). Infine, a causa del suo carattere
molto specifico, l’orazione cordiale costituisce un’efficace scudo contro gli
attacchi del demonio e i sinistri disegni di coloro che lo seguono; per costoro
essa rappresenta, a giusto titolo, un grande pericolo essendo inserita nella
dimensione profetica e apocalittica della vittoria finale dell’Agnello di Dio. La
visione di questo combattimento spirituale è spesso proiettata in avanti
rispetto all’epoca.
Questa via ascetico
mistica, breve o “secca”, se così si può dire -perfettamente ortodossa e ricollegata
al corpo della Chiesa- passa in primo luogo attraverso gli esercizi spirituali,
le meditazioni dello spirito e le affezioni del cuore; discende dallo spirito
nel cuore. Il cuore diviene così il luogo che accoglie il divino, il campo
della métanoia e della trasformazione
interiore.
E’ altresì un
richiamo all’esperienza spirituale di san Paolo nonché un rinnovamento
dell’influenza agostiniana; una sorta di risorgenza, o Grande Secolo, della devotio moderna della fine del Medioevo
(che ha prodotto L’Imitazione di Cristo)
nel quadro di ciò che si è potuto chiamare la “scuola francese di spiritualità”.
Più in generale, questa risorgenza si iscrive anche in un grande movimento di
riforma di alcuni ordini religiosi dell’epoca e, a volte, nella ripresa di una
tradizione iconografica più antica. Tutto volge alla purificazione e alla custodia
del cuore nonché alla realizzazione interiore dell’illuminazione spirituale e
dell’unione intima; la finalità ultima dell’orazione cordiale sarà la visione
contemplativa del Dio trinitario e la deificazione. Essa rende il giusto rango alla Teologia mistica e alla
Metafisica, all’esercizio della volontà e dell’attenzione interiore permanente.
Paradossalmente
questa via del cuore sembra essere aperta a tutti nella sua manifestazione esteriore
–o piuttosto non pone esclusive e ciascuno può trovarvi quello che può e quello
che gli è dato trovare- ma è particolarmente ardua e “provante” per colui che
la vuole perseguire e richiede purezza e perseveranza particolari. Il suo
radicalismo e la sua intransigenza possono scoraggiare più d’uno i quali danno così
testimonianza delle difficoltà della posta in gioco: la triplice morte “al mondo,
alla carne e al diavolo”, l’anelito di fuga, di silenzio, di solitudine, di
deserto, di vita nascosta, di nudità, di vuoto, di annientamento, di
disadattamento e di pace interiore.
Al contempo è
necessari anche abituarsi a una forma mentis capace di elaborare il paradosso e
di evocare la possibilità di risvolti positivi; cosi, ad esempio, in una
“dialettica” dell’essere e del nulla, dell’immagine e dello specchio,
dell’interiore e dell’esteriore, dell’alto e del basso, o ancora della dotta
ignoranza o delle tenebre luminose, non si può salire che discendendo, bisogna
perdersi per trovarsi e morire a se stessi per vivere in Dio. Si tratta
fondamentalmente di percorrere un sentiero di umiltà per accedere
all’invisibile Regno divino nei cuori dove l’essere di Dio deve uccidere
l’apparenza dell’uomo e la follia della Santa Croce prevalere sulla falsa
saggezza mondana.
Si possono sentire
come una eco, queste parole del Cristo al santo starets Silouane: “Tieni il tuo spirito all'inferno e non
disperare”. Poiché “Dio non disprezza un cuore infranto e frantumato”.
(1) Evagrio Pontico, in Piccola filocalia della preghiera del cuore.
L’autore, dottore in lettere alla Sorbonne, di
formazione medievista, abita in Bretagna, nella regione di Saint-Malo. Porta
avanti ricerche sulla storia del sentimento religioso, i luoghi della memoria e
i testi appartenenti alla tradizione spirituale cristiana.
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