Oltre i porti grigi: Tolkien è morto, viva Tolkien!
di
Dalmazio Frau
Sono pochi giorni che è trascorso l’anniversario,
il quarantesimo, dalla scomparsa di John R. R. Tolkien.
È egli a tutti
troppo noto, per cui del tutto superfluo io ricordi qui la sua vita e le sue
opere.
Tutti avranno
almeno visto i film tratti da “Il Signore degli Anelli” e adesso da “Lo
Hobbit”; un po’ meno avranno letto i romanzi dai quali essi sono stati tratti;
ancor più rari saranno coloro che hanno affrontato il Tolkien saggista,
professore di linguistica e conoscitore del Simbolo.
Però se ne parla,
si cita, se ne disserta come se. Insomma, la figura di Tolkien tanto “a destra”
come da qualche anno anche “a sinistra” è “trendy”, fa “cool”.
Tolkien, prima
visto come un negativo esempio di letteratura “fallocratica”, “filofascista” e
poi recuperato in “area democratica”, dopo essere passato attraverso il suo
bravo momento “new age”, hippy, naturalista ecologista e libertario.
Continuo a voler
pensare che J. R. R. T. e la sua opera sia stato molto più di tutto questo, e
che nessuna di tali categorie, o di altre, lo possa esaurire nella sua
ristrettezza e limitatezza.
Tolkien, come
altri scrittori, è un “inventore di mondi” con il preciso dettaglio del
filologo e, se le ragioni anagrafiche e geografiche lo avessero consentito,
sarebbe di certo ascrivibile a quel movimento artistico sì, ma anche
letterario, che lo precedette di alcuni decenni e che fu la “Confraternita
Preraffaellita”.
John comunque è
debitore a Ruskin, Peter, Morris e “compagnia” perchè senza il loro lavoro, nè
quello da lui stimatissimo di Rucker Eddison e di Lord Dunsany, non vi
sarebbero mai state le atmosfere dei suoi romanzi.
Egli ha saputo
lavorare come un antico artigiano nel solco già tracciato della Tradizione,
reinventando laddove necessario, lasciando inalterato nei casi in cui tutto
doveva restare così com’è. Come fecero Rossetti, Millais e Burne Jones.
E così come i
dipinti della “Confraternita” vanno saputi leggere in dettaglio nella loro
tessitura simbolica che va oltre la tela, altrettanto è stato fatto negli anni
sull’opera dello scrittore di Oxford.
Non sempre con
esiti felicissimi in verità, così come avviene puntualmente con tutte le
“icone” culturali.
Mi ha sempre
lasciato alquanto perplesso non soltanto la disinvoltura con la quale venga
riportato a seconda degli interessi politici o culturali ma, per esempio,
l’utilizzo di sfruttamento accanito fatto dagli stessi eredi di Tolkien sui
suoi lavori.
Mi aspetto sempre
più il rinvenimento di una lista della spesa redatta dallo scrittore, magari in
“elfico” o più semplicemente in versi dai quali ricavare un volume nuovissimo
per il mercato editoriale mondiale.
Nessuno credo, per
esempio, abbia mai indagato i rapporti esistenti nella letteratura di Tolkien ,
in opere come “Sir Gawayne ed il Cavaliere Verde”, con la letteratura
“Ermetica” ed Alchemica del Primo Rinascimento. Eppure esistono.
O anche quale
influenza e conoscenza della stessa abbia avuto su di lui la “Musica”, il
“Suono” come Antico mezzo di trasmissione del Mito e della comunicazione con
l’Alto e verso l’umano.
Tutti troppo
impegnati a dare dell’opera tolkieniana una valutazione socialista o
nazionalista, libertaria o reazionaria. Tutti, o quasi, come spesso avviene ,
troppo intenti a guardare il dito quando il saggio indica la luna.
Detto tutto ciò,
di J. R. R. se ne parlerà e scriverà ancora a lungo e per molti anni a venire,
in modi più o meno scontati, banali, noiosi o forse troppo innovativi.
Nell’attesa che
qualcuno smetta gli adusati panni del difensore e dell’attaccante, dal mio
canto, riprendo la lettura di Ariosto e Rabelais.
Continuo ad andare
in cerca “di un grande Forse”.
Fonte:
Ciao a tutti e grazie a Dalmazio Frau, per questo articolo molto interessante.
RispondiEliminaIo mi sono avvicinato a Tolkien da poco, leggendo prima Lo Hobbit ed ora Il Signore degli Anelli. Una cosa mi ha appunto colpito di Tolkien come autore letterario, cioè il suo "fastidio" per l'allegoria (al punto che non riuscivo a capire perchè).
Tolkien scrive appunto nelle note del Signore degli Anelli:
“Cordialmente non amo l’allegoria in nessuna delle sue manifestazioni. […] molti confondono ‘applicabilità’ con ‘allegoria’; sebbene una risieda nella libertà del lettore, l’altra nel proposito di dominio dell’autore.”
Questo trova conferma nella dissertazione di Frau, che al Tolkien politicizzato e schierato, pone in risposta quello autentico, ovvero il "professore di linguistica e conoscitore del Simbolo".
Immaginare un Tolkien simbolista, rende più facile capire la sua grande avversione verso l'allegoria. In questo senso è anche più chiaro per me, capire le altre affermazioni di Frau riguardo al Tolkien operante:
"nel solco già tracciato della Tradizione, reinventando laddove necessario, lasciando inalterato nei casi in cui tutto doveva restare così com’è".
E ancora:
Nessuno credo, per esempio, abbia mai indagato i rapporti esistenti nella letteratura di Tolkien , in opere come “Sir Gawayne ed il Cavaliere Verde”, con la letteratura “Ermetica” ed Alchemica del Primo Rinascimento. Eppure esistono.
Ecco, un Tolkien più esoterico davvero esiste? Vi sono tracce della Tradizione più alta anche nel Signore degli Anelli e se sì, chiedo a voi, come e dove riscontrarle?
Forse il viaggio di Frodo può e deve essere inteso anche in chiave interiore?
Caro Fabrizio,
RispondiEliminafrancamente io non credo che si possa parlare di un Tolkien “esoterico”. Certo, lo studioso di letteratura medievale non può aver ignorato il filone ermetico-alchemico e il suo simbolismo ed è indubitabile che nelle sue opere se ne trovino le tracce sicure. Tuttavia, la chiave di lettura principale dei suoi romanzi credo sia soprattutto di tipo “etico” più che “esoterico”. Il simbolismo anche esoterico per lui è essenzialmente un espediente letterario e immaginativo per potenziare la sua personale “lotta contro il male”. Io vedo insomma un Tolkien che sta dalla parte di San Michele e di San Giorgio e che desidera portare i suoi lettori a schierarsi apertamente e consapevolmente dalla parte del Bene.
L'ottimo Amico Ginfranco de Turris, i giorni scorsi, mi ha fatto il bel regalo di un libro delle edizioni Bietti di cui ha fatto l'introduzione. Il titolo del saggio di Stefano Giuliano è semplicemente J.R.R. TOLKIEN. Devo dire che rispetto ad altri saggi precedenti - alcuni in verità schierati tanto di qua come di là, e comunque francamente, almeno per me, pallosi ed epigoni della "Corazzata Potemkin" di fantozziana memoria, a cominciare a quelli di Primo Siena - si sta rivelando non soltanto molto equilibrato e dottamente ricercato nelle fonti e nelle comparazioni ma di grande interesse e stimolo. Il che, dopo anni ed anni, di gente che da tutte le parti ed i fronti ha scritto su Tolkien senza poi aggiungere o dire grancgé non mi pare cosa da poco.
RispondiElimina- Dalmazio Frau -