Noiosi, per
nulla più dirompenti, autoreferenziali, sono gli “artisti” – così è se vi pare
– che espongono al Castello Sforzesco, in questi giorni, nella mostra
presuntuosamente chiamata “Homo faber”.
Nulla di
nuovo sotto le luci alogene, lo avevano già fatto, e meglio, Duchamp con il suo
orinatoio e Manzoni con la più che nota “merda d’artista”. Ma loro almeno erano
divertenti, ironici, controcorrente. Erano già oltre l’Avanguardia e non
l’ennesima sterile, inutile e supponente riproposizione di quella pseudo arte
contemporanea che tanto aggrada ad Achille Bonito Oliva, con le sue
trans-pre-post-fiancodestr e fiancosinistr’avanguardia.
A guardare -
perché osservarle, sinceramente, sarebbe pretendere troppo - le opere o, come
si usa adesso in linguaggio più “trendy” e soprattutto più “cool”,
a volte troppo “cool”, le “installazioni” non vediamo alcunché di nuovo.
Tutto già fatto, già sperimentato, Andy e la sua “Factory” li hanno
preceduti di alcuni decenni prendendo per le natiche tutti, ma loro non se ne
sono accorti.
Forse invece
se ne sono avveduti i “mercanti” ed i “critici d’arte” contemporanea, i “buyer”
sempre più “cool”, che ritrovandosi i magazzini ormai stracolmi da anni
di “installazioni” che nessuno mai si sognerebbe di installare in casa propria
e che ormai cominciano a prendere polvere anche nei più avveniristici musei
d’arte “moderna”, hanno ideato di riciclare tali meraviglie in una sorta di
oscena “wunderkammer” del nostro tempo.
Non paghi di
ciò, approfittando del fatto di poter infierire sulle sale dello Sforzesco,
cosa inventano? Un bel ricollegamento tra queste forme di espressione
artistoide – definirle opere d’arte sarebbe veramente pretenzioso – e
nientemeno che l’Artefice, l’”artifex”, colui che fa, crea arte nel
Medio Evo e del Rinascimento.
Ma come?
Dopo anni di violenta critica nei confronti di tutto ciò che era l’Arte dei
secoli di mezzo e quella “alla maniera degli antichi” dal XV secolo in poi,
adesso si va cercando una nobilitazione culturale nell’età passate? Già finita
la transipersuperultravanguardia?
E adesso chi
glielo dice al MoMa, al Museo d’Arte Moderna di New York, chi lo avverte
Achille Bonito Oliva? Vuoi vedere che tra un po’ gli tocca pure rivalutare
Duccio e Simone Martini?
Nella mostra
milanese si auspica un “ritorno del fare nell’arte contemporanea”. Complimenti,
perché questo significa che fino ad ora, nell’espressione artistica attuale,
proprio di “fare” e soprattutto “saper fare” ne sia esistita proprio poca o punto
alcuna.
I curatori
della mostra hanno scoperto ciò che Pater, Ruskin e Morris già sapevano
meravigliosamente più di un secolo fa e lo hanno detto e fatto in modi di gran
lunga superiori.
In quelle
installazioni, ceramiche, rielaborazioni grafiche e collage non vi è
l’antica “Magia del Fare” propria delle Botteghe prima medievali e poi
rinascimentali. Assistiamo soltanto all’ennesimo vuoto di idee, al milionesimo
tentativo di trovare una paternità a qualcosa che non ha padre né madre, ma
soltanto padrini mossi dall’istinto economico.
L’empio
connubio tra le meravigliose sale del Castello Sforzesco, ancora dipinte nelle
sue volte con il gelso di Ludovico il Moro e il sole radiante, con siffatte
“mostruosità” – e non in senso latino – ricorda l’altrettanto osceno risultato
perpetrato nei Musei Vaticani molti anni or sono.
Là, infatti,
disertate anche con un certo senso di istintiva attitudine dal grosso
pubblico dei turisti, si snodano le meravigliose stanze dell’Appartamento
Borgia. L’unico luogo rimasto pressoché intatto, in tutto il complesso di San
Pietro, dell’antica basilica medievale.
Gli
avventurosi, e sanamente folli, che osassero abbandonare il pecorume turistico
in fuga attraverso i Musei Vaticani, prima di immergersi nella Sistina con
seguente cervicale, deviando verso il “Museo di Arte Sacra Contemporanea” si
troverebbero straniati e straniti a vedere appunto le supposte “opere d’arte
contemporanea” dentro la meravigliosa teoria degli affreschi densi di misteri e
significati ermetici ad opera del Pinturicchio.
Ma nelle
Sale Borgia non scende nessuno, vanno tutti alla Cappella Sistina, così si
salvano dall’arte contemporanea ma si perdono lo splendore del Primo
Rinascimento e dell’autunno del Medio Evo.
Sarà ancora
la leggenda nera di Cesare e Lucrezia a incutere timore e preferire quindi il
loro nemico Giulio II della Rovere o piuttosto sculture e altri manufatti
sinceramente ascrivibili alle categorie del “brutto”?
Così è la
vita. Non si può avere tutto.
Quindi se
proprio vi scappasse di andare al Castello Sforzesco in questo periodo, entrate
– tanto è gratuito – a guardare la meravigliosa scultura funeraria di Gaston IV
Conte di Foix, Signore del Bearn, ultimo di una dinastia di nobili guerrieri
che ha reso grande l’Europa per secoli, capitano delle armate del Duca
Valentino – godetevi la pietà incompiuta di quel Buonarroti dal carattere
intrattabile, sfiorate con lo sguardo le superbe panoplie di armi ed armature
dei Negroli e dei Missaglia, e poi, ma proprio se non potete resistere andate a
far pipì, tanto per “Homo faber” c’è tempo, state tranquilli… ne faranno
un’altra.
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