28/02/09

Giuseppe Capograssi: "Pensieri a Giulia"

I Pensieri a Giulia sono stati pubblicati come opera postuma nel 1978-81 presso l'editore Giuffrè, che aveva in catalogo tutti i volumi editi e inediti dell'opera filosofica, a completamento delle Opere di filosofia giuridica. Capograssi infatti respira, per usare una nota metafora, con due polmoni: quello dello scienziato e quello dello scrittore. I Pensieri a Giulia sono un grande diario, nel solco della tradizione diaristica tra Otto e Novecento. Gli autori amati e più spesso citati da Capograssi sono Agostino, Dante, Pascal, Leopardi, Amiel, Kierkegaard. La pagina di Capograssi regge il confronto con la pagina dello Zibaldone. Quanto al contenuto, nei Pensieri si svolge da foglietto in foglietto il messaggio quotidiano di un uomo che celebra l' ordo amoris.

Pensieri a Giulia (1918-1924), Bompiani, 2007.

Addendum

La vita. Nato a Sulmona (Aq) il 21 marzo 1889 (da una antica casata della provincia di Salerno trasferitasi nella cittadina abruzzese nel 1319, al seguito del vescovo Andrea), Giuseppe Capograssi è stato un filosofo del diritto di fama internazionale. Iniziò la carriera accademica a Macerata, dove venne nominato rettore; quindi si trasferì a Padova, Napoli e, infine, a Roma, dove ricoprì l'incarico di consigliere superiore della Pubblica istruzione e di giudice presso la Corte costituzionale (3 dicembre 1955 – 23 aprile 1956). Fu tra i fondatori dell'Ugci (Unione giuristi cattolici italiani) di cui fu anche primo presidente.

Evento centrale nella vita del giurista fu l'incontro e il matrimonio, nel 1924, con Giulia Ravaglia che condivise con lui la cura, nelle varie sedi universitarie, di una cerchia di discepoli riuniti intorno al maestro - "Socrate cattolico", secondo la definizione di Arturo Carlo Temolo -; un "sodalizio che educò molti futuri giuristi alla scienza giuridica, ai valori cristiani (sant'Agostino, Pascal, Vico e Rosmini) e alla civile religione della libertà". Durante i 5 anni del fidanzamento, Capograssi scrisse ogni giorno a Giulia, comunicandole pensieri, riflessioni, idee scaturite dalle molte letture, per annullare le distanze che separavano i due giovani.

Il risultato sono circa 2000 foglietti, piegati in quattro, che sono stati raccolti nei 3 volumi dei "Pensieri a Giulia, in cui, tra l'altro, scriveva: "Il mondo chiama spesso uomo fortunato colui che ha molte fortune. Come sempre il mondo è in errore. Fortunato è colui che riesce a trovare rispecchiato il proprio essere nell'essere di un altro spirito. Si vive solo quando si ama". Capograssi morì il 23 giugno 1956.

26/02/09

Anna K. Valerio: Per grazia, con grazia

di Aldo La Fata

A volte, lo confessiamo, ci è venuta voglia di abbandonare la difesa del cristianesimo e passare armi e bagagli sul fronte del nichilismo attivo dei Nietzsche e degli Evola o su quello “Foresta Nera” degli anarchi solitari alla Jünger. Ma ce la mettiamo tutta e resistiamo, resistiamo cristiani e resistiamo cattolici, anche se l'uso e abuso di questi aggettivi ci fa arrossire di vergogna (tutto si degrada a furia di ripetizioni). Il cristianesimo cosiddetto laico, progressista e democratico non ci appartiene e ci sembra qualcosa di insensato e di sconveniente: lo disconosciamo. Ugualmente ripudiamo il linguaggio miele-fratellanza-carità-perdono di una Chiesa divenuta l'ombra di se stessa e che ci fa venir voglia di togliere la sicura alla nostra Browning, posto che ne avessimo una. Ma come ci consigliano i virtuosi di oggi e i saggi di ieri, si deve portare pazienza. Ed è con pazienza che continuiamo a definirci cristiani, consapevoli che ormai da tempo il vero significato di questa parola sia andato irrimediabilmente perduto. Un Attilio Mordini avrebbe forse potuto restituirle un minimo di verità e pregnanza, se solo fosse rimasto tra i vivi. Parola, Verbum, Logos. “Verità del linguaggio”, “ontologia del linguaggio”, “teologia della parola”. Nell'attesa ci consoliamo leggendo Anna K. Valerio. Una vera scoperta. Donna di intelletto sano, spirito eletto ed eclettico, stilista per natura e dalla prosa elegante al pari dell'indimenticabile Cristina Campo di cui la Nostra è estimatrice. Di origine friulana e quindi avvezza al tedesco, la Valerio si è radicata a Padova, una di quelle città del nord'Italia dove la presenza invasiva e invadente di migliaia di extra-comunitari va soffocando ogni residuo di italianità (ma città come Brescia, Torino o Bologna non stanno certo meglio). A Padova Anna ha trovato nelle edizioni di Ar la sua fortezza e il suo hortus conclusus-hortus deliciarum e in Giorgio Freda il suo mentore. Per esiguità di anni, non ha scritto molto, ma quel poco è già abbastanza. Potrebbe anche smettere domani e con ciò avrebbe comunque lasciato una traccia indelebile nel grande affresco delle arti gentili. La sua Opera prima, collocata nella collana “Gli Inattuali” al numero XVIII, porta il titolo perfetto di “Per grazia, con grazia” (sottotitolo: Nietzsche: una forma di lettura). Un vademecum per i pochi veri studiosi di Federico Nietzsche, ammesso che ce ne siano ancora (i tanti falsi studiosi, compresi i filosofi professionisti, continuino pure a non capirci un'acca). Qui la Valerio si firma Arianna De Giorgio. Arianna come la Cosima Wagner dei cosiddetti “biglietti della pazzia” di Nietzsche? De Giorgio come il Guido de “La Tradizione Romana”? Non è dato sapere e la Nostra non ce lo svela. Il testo non è di facile lettura e lo si deve affrontare con molta calma. Un paragrafo al giorno può bastare, ma non senza aver prima letto e riletto la premessa che dell'intero testo è chiave (anche la “Variazione” a chiusura, firmata Giovanni Damiano, è soccorritrice). Acconsentiamo con l'autrice che si tratti di una “forma di lettura” dell'opera di Nietzsche, giacché gli scritti di Dioniso-Il Crocifisso-Nietzsche (un neo-pagano?, un cripto cristiano?, o piuttosto un vate, un visionario, un bardo, un poeta dal cuore immenso apparso per un capriccio del destino, per volontà degli dèi, forse un dio egli stesso?) non si prestano a una lettura univoca. Lungi dall'univocità, la Valerio propende, vuoi per temperamento che per formazione, per l'accostamento filologico-sapienziale (interpretazione e vaticinio), tra tutti il più esigente e probabilmente anche il più onesto. Un approccio che restituisce verità, colore e vita al testo e che ne attiva l'infinito potenziale creativo. Fa inoltre piacere e salute per l'anima ritrovare nello studio della Valerio garbo, gentilezza, profondità, acume, intelligenza, poesia, bellezza e... rispetto. Sì rispetto. Il rispetto che Nietzsche si merita per la grandezza del suo messaggio e la qualità delle sue opere. Chi non muove da questo rispetto taccia e non ingiuri.

Opera breve (80 pagine) ma densa quella della Valerio e che ci introduce a una lettura penetrante, affascinante del testo nietzschiano. Ne ricaviamo che il segreto di Nietzsche sta nella magia della sua scrittura; nel ritmo interno di ogni suo pensiero formulato sempre alto, mai banale e di ogni aforisma inciso e scolpito, nell'incedere delle parole a passo di danza. Parole di musica azzurro cielo. Quasi incantesimi. Übermensch, Eterno Ritorno, Volontà di Potenza. Parole sacre e di passo, vive, sensibili, vibranti. Parole non adatte ai filosofi, non scritte per i filosofi - alla malora i filosofi! alla malora i falsari del vero! -, ma per spiriti forti, ellenici e per solitari scioglitori di enigmi. L'opera di Nietzsche è un immensa liturgia della parola che in essa “come fiamma arde” (Sir. 48,1). Fiamma che nel suo libro la vestale Anna K. Valerio riesce a tenere ben viva.

A proposito: chi pensava che l'edizione-traduzione di Nietzsche della famigerata adelphiana coppia Colli-Montinari fosse il non plus ultra si ricreda e cominci a fare spazio a L’anticristiano. Imprecazione sul cristianesimo (Ar, 2004) e ai Ditirambi di Dioniso-Idilli di Messina (Ar, 2006) della triade boreale Freda-Del Torso-Valerio. Con testo originale a fronte. Là dove osano le aquile.

Bibliografia essenziale dell'Autrice

Contro la P. Melissa. Elogio e invettiva (Ar, 2005)
Infierire
. Scritti di contrasto (Ar, 2007)

(Su www.cultrura.net si possono leggere gli articoli della Valerio di eccellente qualità letteraria e dal savor di forte agrume)



25/02/09

L'ultimo alchimista: un cortometraggio di Nicolàs Caicoya

Il cortometraggio "El Ultimo Alquimista" nasce da una riflessione risultante dalla lettura della sorprendente conversazione che ebbe luogo a Parigi nel 1937 tra Bergier e Fulcanelli riportata ne Il Mattino dei Maghi (Parigi, 1960).
L'intenzione dell'autore è di mostrare la possibilità di un cambiamento che è in ciascuno di noi e non come si pensa in chi ci governa. Ogni essere umana è l'alchimista della sua propria vita.
Secondo dice Fulcanelli:
"Qualche cosa di fantastico che non invita all'evasione, ma al contrario, a una più profonda adesione".

Sinossi
Mentre un gruppo di geometri lavora alla cartografia del deserto di Akbar, il figlio dell'ingegnere capo scopre uno strano e antico manufatto con dei simboli alchemici...
Il tempo passa e il bambino diventa un noto archeologo, Harris, il cui scopo è di scoprire l'enigma del reperto. E il momento sembra arrivato, quel mistero così lungamento occultato è ora sul punto di essere rivelato.
Ma nessuno può immaginare le ripercussioni di una tale scoperta. Le basi di tutto quello a cui crediamo sembrano vacillare.
Solo una domanda tormenta il cuore di Harris: l'uomo commetterà di nuovo gli stessi errori?

Il DVD si può richiedere qui: Association Jacques Bergier

24/02/09

In Cile vivono gli atlantidei

di Arturo Figuerga
13 mila anni fa una cometa si scontrò con la Terra, provocando una pioggia di sfere di fuoco che incendiarono la maggior parte dell'emisfero Nord. Le culture umana vennero in parte cancellate e molte specie della grande Fauna, come il mastodonte, sparirono dal pianeta.

L'esplosione produsse anche un nuovo periodo di raffreddamento climatico che durò mille anni.

Questa è la sorprendente conclusione a cui è giunta una equipe di scienziati nella riunione della “Uniòn Geofìsica Americana” ad Acapulco nel 2007.

Si crede che questa sia stata la causa della distruzione della mitica Atlantide, continente descritto da Platone che venne sommerso dalle acque.

Affascinante e strane forme archeologiche di tempi remoti in Sudamerica che ancora conservano il mistero della loro origine. Figure umane e teschi di cristallo preistorici con tratti totalmente diversi dal resto delle popolazioni indigene che tutti conosciamo.

In sintesi, una serie di misteri da risolvere che, secondo un giovane storico dell'Università Cattolica (Universdad Catòlica), ha una sola risposta: l'Atlantide non solo è esistita come continente, ma i suoi sopravvissuti ebbero una discendenza che abita fino ai nostri giorni in paesi quali Cile, Perù e Bolivia.

“Dopo la catastrofe che distrusse l'Atlantide, sommergendola nel mare, alcuni dei suoi abitanti avrebbero popolato l'America. Alcuni cronisti hanno indicato che gli Atlantidei fondarono fiorenti civiltà, come ad esempio la città di Tiahuanacu e Puma Punku, vicino al lago Titicaca nell'altopiano andino. Certamente, i volti scolpiti sulle pareti di Tiahuanacu sono totalmente diversi da quelli degli indigeni che ora abitano nella zona”, ha dichiarato a Publimetro Rafael Videla Eissmann, storico della U.C.

Il ricercatore assicura che esistono tracce di una civiltà sconosciuta che sarebbe di origine atlantidea in Perù, Bolivia e Cile. Specialmente nelle zone elevate e nelle alte cime.

Numerosi reperti archeologici sarebbero così vestigia degli atlantidei in America. Tra di essi si potrebbero menzionare i teschi di cristallo trovati nel continente, specialmente nelle selve maya e le costruzioni megalitiche, notevolmente simili ai menir e ai dolmen dell'Europa. Resti di questi lontane età si troverebbero anche in Cile. “Per esempio, nella cordigliera del Talca, nelle terrazze pavimentate del “Enladrillado” o anche, nella Pietra del Sole di Santo Domingo e nelle stranissime figure ancora di origine sconosciuta per gli investigatori. Su questo stiamo lavorando”.

Quali sono le caratteristiche fisiche di questi eventuali discendenti degli atlantidei?

Contrariamente a quanto si può pensare gli atlantidei non sono di un solo tipo. Il migliore esempio oggi è quello del Sudamerica o dell'Europa, regioni “multietniche”. Qualche autore ha definito come discendenti degli atlantidei in America, i Toltechi, i Nahui, i Tahuanacoti, i Kichuas e i Maya, tra le altre culture conosciute dalla storia. Pertanto, vi sono cileni che, in una modo o in un altro, discenderebbero così dal continente sommerso.

Cosa direbbe a coloro che, a priori, negano l'esistenza dell'Atlantide e dei suoi abitanti?

Nella “Uniòn Geofìsica Americana” di Acapulco nel 2007, si è constato che effettivamente un corpo celeste (o “luna”, come viene chiamata nelle tradizioni e nel folclore di diversi punti del pianeta) si scontrò con la Terra, causando una grande catastrofe. Questo fatto, col passare del tempo, divenne un mito e una leggenda. Vale a dire la storia che non era scritta, ma trasmessa oralmente, si trasformò in una tradizione. Farei l'esempio di Troia che, per molti secoli fu considerata solo un mito.

La tal cosa si può considerare un fatto?

Ci sono tracce di popolazioni pre-glaciali risalenti a circa 13 mila anni fa. Recentemente mi sono recato a visitare le sorprendenti vestigia del “Enladrillado”, sulla cordigliera del Talca. Esistono anche stranissimi reperti archeologici che secondo alcuni ricercatori danno prova dell'esistenza della discendenza di atlantidei in America.

(traduzione dallo spagnolo di Aldo La Fata)

21/02/09

Il significato teologico dell'olocausto

di Alberto Buela

L'accostamento a un tema o a un assunto filosofico deve iniziare da un'approssimazione filologica, giacché questo primo ragionamento ci consente di congetturare a priori il senso ultimo del tema. Tale l'insegnamento di alcuni filosofi contemporanei come Zubiri, Heidegger o Wagner de Reyna. E' questo uno dei paradossi dell'attività filosofica: così come per il nuoto si impara a nuotare nuotando, allo stesso modo si impara a filosofare filosofando. E il tuffo filosofico ci evidenzia il senso ultimo, o primo, secondo l'interpretazione, dei termini del tema oggetto di studio i quali, solitamente, ci svelano l'aspetto pristino dell'assunto.

In questo caso possiamo affermare che la parola olocausto proviene dal greco ολoς: olòs, che significa tutto, completamente, e da κάυσις: kausis, ovvero azione di bruciare; così, nel suo senso etimologico primario, olocausto stava a significare un gran incendio che distruggeva tutto un bosco. Gli antichi israeliti cambiarono il senso e lo limitarono a “un sacrificio nel quale viene bruciata tutta la vittima”.

La caratterizzazione dell'olocausto come sacrificio è vincolata alla narrazione biblica del Genesi che ci riferisce di Abramo e di Isacco: “E Dio mise Abramo alla prova e gli disse: Isacco, prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, vai con lui nel paese di Morija, e lì offrilo in olocausto sopra una pietra che ti indicherò”. (1)

La storia prosegue dicendo che Abramo si alzò presto, sellò il suo somaro e condusse con se Isacco mentre “tagliava legna per l'olocausto”; dopo tre giorni di marcia, lasciò il somaro e i suoi due aiutanti e si incamminò verso il luogo del sacrificio “prendendo con se la legna per l'olocausto che caricò sul figlio Isacco” (2). Quando era sul punto di sgozzarlo, un angelo di Dio lo fermò. Improvvisamente vide un montone impigliato in un roveto e “lo offrì in olocausto al posto del figlio” (3).

Vediamo come il termine olocausto si ripete in questo breve racconto per lo meno quattro o cinque volte, il che rende indubitabile il suo significato di sacrificio per azione del fuoco.

Questo spiega perché le organizzazioni ebraiche (B'nai Brit, Consiglio ebreo mondiale, Gran Sinedrio, Rabinato d'Israele, etc.) esigono l'esclusiva del termine olocausto per designare unicamente il genocidio nazista contro gli ebrei, e criticano l'applicazione dello stesso termine con riferimento ad altri gruppi di vittime quali zingari, cattolici, prigionieri di guerra, oppositori politici, o per estensione, ai genocidi in Armenia, Ruanda, Biafra, Cambogia o Darfur.

Il fatto è che nel senso teologico primario, l'olocausto viene inteso come la culminazione di una lunga storia di persecuzione e antisemitismo sofferta dagli ebrei dal momento del martirio e morte di Gesù, il Messia da loro non riconosciuto. L'olocausto verrebbe così a tacitare l'orribile rimbombo di duemila anni di: “crocifiggilo, crocifiggilo”(4), il grido col quale i sacerdoti ebrei chiesero a Pilato la morte di Cristo. E questo odio verso Cristo si estese poi al cristianesimo che, nell'interpretazione ebraica classica, è la forza motrice più importante e il principale responsabile dell'antisemitismo che portò all'olocausto. Questo è il motivo per il quale non saranno mai sufficienti, ai loro occhi, le numerose richieste di perdono effettuate durante i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI; ne pretenderanno sempre delle altre e comunque non saranno mai soddisfatti.

Proprio in questi giorni, l'eccellente ed obiettivo storico valenciano Vicente Blanquer, prendendo spunto dalle inopportune dichiarazioni di Monsignor Williamson, ci ha svelato il secondo senso teologico del concetto di olocausto. (5)

“Le critiche contro Monsignor Williamson dimenticano che sono gli ebrei a irrompere sul piano teologico quando parlano di Olocausto (con la maiuscola) e non lo fanno innocentemente, ma messianicamente, per dare alla seconda Guerra Mondiale il ruolo di momento conclusivo delle profezie del canto del Servo Sofferente di Yaveh -Is. 53- e sostenere che sono gli ebrei e non Gesù Cristo l'Agnello di Dio di cui parla Isaia”.

Proprio il capitolo 53 di Isaia è uno dei più importanti nell'ambito della polemica teologica tra ebrei e cristiani (nella misura in cui oggi sia rimasto ancora qualche teologo cattolico strictu sensu, cosa che ignoriamo). Qui, nel IV canto si afferma: “Disprezzato, rifiutato dagli uomini, uomo dei dolori, maltrattato e umiliato come agnello che va al mattatoio, per cui non gli demmo ascolto. Ma lui stesso prese su di sé le nostre sofferenze anche se noi lo considerammo come un lebbroso”. I teologi cristiani vedono in questo capitolo un riferimento diretto a Gesù il Cristo, vale a dire, al Messia atteso dal popolo di Israele sin dall'antichità della sua storia, e una premonizione del suo sacrificio e della sua crocifissione, mentre i teologi ebrei sostengono che queste sofferenze possono intendersi perfettamente come un riferimento all'Olocausto.

Così il Rabbino Isajar Moshé Teijtel, nel suo libro Alegre madre de hijos (Allegra madre di figli), sostiene che la causa che condusse ad Auschwitz sia stata la reticenza degli ebrei ad accettare il sionismo. Dio stava offrendo a Israele la grande opportunità di recuperare la sua terra ancestrale dove costruire il focolare degli ebrei perseguitati, ma essi perseverarono nella loro peccaminosa passività per cui sopraggiunse il castigo.

Vediamo così chiaramente come la teologia ebraica dell'olocausto finisca per giustificare l'esistenza del sionismo e di conseguenza dello Stato d'Israele.

Ciononostante esiste, anche se minoritaria, una corrente teologica ebraica contraria a questa teoria dell'olocausto, come è quella del Rabbino Ioel Teitelboim (188-1979), capo della setta (jasìdica) di Satmer, il quale afferma nel suo libro Vaioel Moshe che il grande peccato degli ebrei sarebbe stato “l'idolatria” del sionismo. Secondo lui, il popolo ebraico doveva rimanere privo di qualunque potere materiale e rimettersi alla guida di Dio, anche se ciò avesse significato subire persecuzioni e carneficine; l'esilio poi, è un castigo divino dato al popolo d'Israele, e non avrà termine finché non venga il Messia. Ecco la spiegazioni di uno dei più chiassosi portavoce: “ Il vero atteggiamento ebraico è quello della sottomissione al decreto divino che riguarda il nostro esilio tra le nazioni del mondo. Ci ha mandato all'esilio a causa dell'ingiustizia degli uni verso gli altri e della nostra infedeltà verso di Lui. L'ingiustizia delle nazioni nei nostri confronti costituisce il nostro castigo”. Questo stesso atteggiamento si trova anche nel recente e coraggioso libro di Fabian Spollansky, La mafia ebraica in Argentina (2008) dove l'autore, rivolgendosi ad alcuni sionisti dichiarati come Eduardo Elsztain, il maggior proprietario terriero dell'Argentina, al suo socio Marcelo Mindlin e al Rabbino Tzvi Grümblatt, chiede: “Rebe, è cosa da ebrei diventare milionari in così breve tempo e impadronirsi di tutta l'Argentina? E, Rebe, è cosa da ebrei mettere soldi in tutte le campagne politiche per ingraziarsi tutti? Dall'alto della nostra etica plurimillenaria, non vogliamo tacere questo abuso che ci ferisce e ci umilia”. (6)

Questa intenzione di considerare uguali il sacrificio di Gesù Cristo e le sofferenze subite dal popolo di Israele per mano dei nazisti, e voler intendere ciò come un Olocausto e non come un genocidio, è specificatamente anti-cristiana. Giustamente afferma il già citato Blanquer: “E con la teologia dell'Olocausto il popolo ebraico si sta forgiando un nuovo vitello d'oro. Si è stancato di attendere e ha scelto se stesso come proprio idolo. Il che mette in evidenza come, lungi dall'essere custodi della promessa, l'abbiano perduta, ma non perché qualcuno gliel'abbia strappata, bensì perché il popolo ebraico ha rinunciato coscientemente e volontariamente ad essa. Cadendo così nello stesso peccato del demonio quando ha preteso di farsi adorare. Questo è il fondo della questione”.

Per questo motivo i grandi teologi cattolici, quando ancora ce n'erano, come Juan Maldonado, Sören Kierkegaard, Luís Billot e nel nostro Paese, Julio Meinvielle, hanno sempre fatto osservare che il messianismo ebraico è un messianismo carnale e che, come tale, ha sempre preteso da Dio segni evidenti e palpabili. E l'infinita distanza che hanno messo tra loro e il loro dio Jehovà, “con timore e tremore si avvicinò Abramo al Signore”, ha fatto che vivano “l'altro”, il cristiano, come una minaccia. Senza rendersi conto che: “Loro, volenti o nolenti, sono i segni viventi che ci ricordano la Passione del Salvatore”, come insegna San Bernardo da Chiaravalle.

E' per tutto questo e per molte altre profonde ragioni che in questa sede non possiamo trattare, che si deve parlare di genocidio ebraico da parte dei nazisti e non di olocausto. Intanto cresce la popolarità della parola ebraica Shoàh, il cui significato è catastrofe, e lo Stato di Israele istituisce il 12 aprile come sua giornata, malgrado il Presidente Simòn Péres, durante la sua ultima visita in Turchia, abbia sostenuto senza vergogna che l'unico genocidio sia quello del popolo ebraico e che tutti gli altri, anche se con un maggior numero di vittime, come è il caso degli ucraini, debbano ritenersi omicidi di massa.

Inoltre, e questo non ha un valore teologico inferiore, la carneficina degli ebrei da parte dei nazisti deve intendersi come genocidio e non come Olocausto al fine di lasciare loro aperta la possibilità della conversione, poiché invece l'idea di Olocausto chiude questa possibilità.

Consideriamo lo sforzo straordinario e meraviglioso degli ebrei conversi che solitamente sono uomini molto ben dotati. Di fatto la conversione è un dono poiché il convertito la chiede al Signore. Se ci soffermiamo appena sui filosofi convertiti del XX secolo (Husserl, Edith Stein, Simone Weil, Bergson, solo per citarne alcuni) troviamo che si tratta di uomini di una profondità di pensiero fuori dal comune e che è stata la loro radicale metànoia a produrre l'eccellenza della loro personale realizzazione filosofica. E' grazie alla conversione che hanno potuto raggiungere la pienezza del proprio essere, ed è ancora la conversione che ha consentito loro di colmare l'infinita distanza che separa il dio di “timore e tremore di Abramo”, l'Assolutamente Altro, dal Dio misericordioso, il Dio vivo della grazia che abbraccia e comprende tutta la natura umana. Ammiriamo e rispettiamo oltremodo la capacità di conversione, di metànoia che hanno avuto questi grandi uomini in ambito filosofico. Metànoia che li ha portati più tardi alle più grandi realizzazioni. Così come invece deploriamo l'atteggiamento vergognoso di quei sedicenti teologi cattolici che rinunciando al parlare secondo verità, hanno abbandonato “il bene degli ebrei” a favore del quieto vivere e della plaisanterie. Il risultato è un groviglio inaudito e incomprensibile di tesi ebraiche trasferite nella teologia cristiana. In tal senso, l'ultimo atteggiamento della gerarchia della Chiesa riguardante questo tema è di una leggerezza (tanto per usare un termine garbato) teologica impressionante in senso negativo sia per gli ebrei che per i cristiani.

E' deplorevole che non esista un solo teologo importante o significativo che intervenga sulle due fondamentali distinzioni teologiche qui esposte, e che, al contrario, la maggior parte di loro si unisca, si sottometta e adotti le tesi ebraiche sul senso dell'olocausto come tesi cattoliche e peggio ancora che le difendano come verità di fede. Uno sproposito teologico assoluto.

1.Genesi, 22, 2.
2.Genesi, 22, 6

3.Genesi, 22, 13
4.Giov., 19, 6
5.Blanquer, Vicente: A propósito de las polémicas declaraciones de monseñor Willamson, Bitácora Digital, agencia de Internet febrero 2009.
6. Sepollansky, Fabián: La mafia judía en la Argentina, Buenos Aires, Ed.anibalgoransky.com, 2008

(Il testo originale pervenuto in lingua spagnola è stato tradotto da Aldo La Fata in modo diretto e senza particolari accorgimenti letterari)

18/02/09

Una recensione di Claudio Lanzi a "Cielo e Terra"


Cielo e Terra poesia simbolismo, sapienza nel Poema Sacro
di Silvano Panunzio -
pp. 290 - Ed. Metapolitica 2009

Silvano Panunzio è un autore scomodo; perché è cattolico, perché non è accondiscendente verso alcuna “corrente” filosofica e neanche politica. Le sue idee possono essere più o meno condivise ma sono sicuramente vivacemente innovative e piene di cavalleresco coraggio spirituale. Panunzio non fa parte della tribù del “copia e incolla” che caratterizza questo secolo di copisti. E da personaggi come lui, che vedono la vita da un’ottica completamente diversa dall’ufficialità buracratica, che possono venire nuove ispirazioni.
E credo proprio che questo libro su Dante, anche se può creare qualche brivido accademico sia un’innovazione. Ma una viva innovazione tradizionale.

Panunzio inizia dalla visione di Papini su Dante poeta, uomo normale e uomo religioso e si affianca a Papini nella critica a questi tre aspetti senza sminuire affatto la grandiosa concezione dantesca. Dante non è un santo, né un profeta, né un evangelista e neanche sempre “artista”. Spesso l’architettura del Poema dantesco è ostica, e il suo spazio tempo è una scelta complessa. Dice Panunzio: “Ci sono due stati: lo stato infernale ed una libera scelta dell’anima”.

Il contrappasso dantesco è una terribile invenzione, che precipita improvvisamente nella storia medievale, introducendo quel “Purgatorio” che sarà poi origine di tante diatribe, e anche dell’esplodere del fenomeno delle indulgenze. Ma Panunzio affronta queste e tante altre “esagerazioni” del poema ponendo bene in evidenza che se si sfugge alla triplice lettura (letterale, simbolica e anagogica) si rischia di fraintendere l’intero messaggio dantesco.

La chiave principale per intenderlo globalmente – dice Panunzio- è di tener presente che, al di la della bellezza e delle sublimità poetiche e letterarie, il Divino Poema consta di un reale viaggio iniziatico e ci dona un breviario dell’ascesa celeste dell’uomo

Nella seconda parte del volume Panunzio esamina l’apporto fondamentale di Gabriele Rossetti. Il tema è assai complesso e l’analisi rossettiana viene confrontata con gli apporti di Valli e di tutti coloro che, in un modo o in un altro, hanno cercato di interpretare il centro della metafisica dantesca: Chi è Beatrice? Indubbiamente Rossetti sconvolge l’approccio melenso e cattedratico di secoli di letture dantesche e svela il segreto dei fedeli d’amore che, a se stessi dicevano “Donne che avete intelletto d’amore”. E mostra come Dante voli ben più alto della visione dei Fedeli stessi.

Il libro è un’ode a Dante e a Rossetti, suo sapiente commentatore, e nel corso delle analisi apre porte assai misteriose, che per tanti anni sono state semplicemente socchiuse.

Claudio Lanzi (www.simmetria.org)

15/02/09

The Immanuel Velikovsky Archive


http://www.varchive.org/
Segnaliamo un ricco e interessante archivio digitale dedicato allo psichiatra di origine bielorussa Immanuel Velikovsky. In realtà Velikovsky si occupò più di cosmologia che di psichiatria e le sue teorie, sottoposte a ogni genere di ostracismo, sono oggi attualissime e degne di ogni considerazione. Altro che strampalate ipotesi parascientifiche!
In particolare consigliamo la lettura o la consultazione di “In the Beginning”, dove è narrata la storia delle catastrofi che precedettero quelle descritte dal famigerato e ormai introvabile "Mondi in collisione".

13/02/09

Stalin ereditò il potere con l'inganno

Sappiamo tutti che la verità assoluta non esiste: è la consapevolezza da cui parte ogni pensiero, ogni filosofia, della vita come della storia. Proprio per questo è importante accertare le verità relative, e battersi perché la constatazione dell’irraggiungibilità di una verità assoluta, che può essere tale solo “per fede”, non si trasformi in cinismo e non porti a sottovalutare quell’imperativo che è la distinzione del vero dal falso.
E’ il senso della responsabilità intellettuale. Quello che spesso manca agli orfani delle ideologie assolute, che, persa la fede, vantano un’indifferenza programmatica, in realtà legata al proprio interesse.
Canfora è, al contrario, un paladino della verità, sempre pronto a smascherare i falsi che vengono proposti ai più semplici da chi conta sulla loro credulità, ma anche ai più avvertiti, da chi conta sulla loro omertà. Certo, come scriveva Lichtenberg, “è impossibile portare la fiaccola della verità in mezzo alla folla senza bruciare qua e là una barba o una parrucca”. O, appunto, qualche maschera.
Già di per sé saper smascherare un falso non è da tutti. Quando poi significa demistificare un’intera costruzione ideologica, per di più imbastita da uno dei personaggi storici più considerati dall’autore, si tocca il vertice dell’onestà intellettuale.
Il documento di cui Canfora si occupa non è un antico papiro ma niente di meno che il “testamento” di Lenin. Falsato, ci dimostra lo “stalinista” Canfora, da Stalin in persona, per occultare le esplicite volontà politiche del padre del partito. Ora, che il parere di Lenin su Stalin fosse totalmente negativo e che Lenin non lo volesse come successore, al contrario di Trockij, su cui era problematico ma non negativo, si sa bene. La rivelazione che emerge dal lavoro filologico di Canfora è che Stalin occultò la rottura con Lenin attraverso la manipolazione testuale. Fu “il suo capolavoro”, perché gli permise di fondare il potere sulla continuità, operazione dietro cui Canfora avverte tutto “il peso e il modello della cultura ecclesiale e imperiale bizantina”.
Quel “testamento” Lenin lo aveva dettato a più riprese, nel dicembre del '22, e completato con un addendum del 4 gennaio '23 molto esplicito sulla necessità di “togliere a Stalin la carica di Segretario Generale”. Eppure, non verrà presentato al Congresso immediatamente successivo, il XII, cui approderà invece un altro scritto di Lenin. Dovrà passare più di un anno prima che venga letto, peraltro a porte chiuse e in sedute ristrette, in forma di “Lettera al Congresso” ancora seguente, il XIII, nel maggio del ’24. In quest’intervallo di tempo si colloca non solo la morte naturale del padre del partito, ma anche quel processo di snaturamento che porterà le volontà di Lenin a correre sotto traccia fino a perdere ogni forza.
Augusto affidò il suo testamento alla moglie Livia e al Collegio delle Vestali. Lenin sembra averlo affidato a sua moglie Nadez^da Krupskaja e attraverso di lei al Comitato Centrale del PCUS. Ma la longa manus di Stalin si interpose. Informato da una delle segretarie di Lenin, intercettò quel testo e lo bruciò, non senza averne fatto fare prima una copia, amanuense, da sua moglie, Nadez^da Alleluieva, più cinque altre a macchina. Ritrovata dallo storico russo Jurij Buranov nell’Archivio del PCUS, la copia autografa della Alleluieva, se la si confronta con la tradizione del dettato pervenuta ai posteri, ci dà la prova che l’interpolazione testuale, e dunque la censura esercitata sulle volontà di Lenin, soprattutto su quelle relative a un'apertura a Trockij, avvenne immediatamente, prima ancora che venissero fatte fare le cinque copie ufficiali.
Su questo, e sul raffronto con quanto fu letto a porte chiuse nel XIII Congresso, si esercita l'abilità del filologo. Sbrogliando l’intrico delle ulteriori e più o meno volontarie mistificazioni create dal proiettarsi dell’ombra di quegli oscuri movimenti sulla stampa dell'epoca, lo storico ricostruisce il ruolo che la falsificazione del “testamento” di Lenin ebbe nella lotta tra la fazione staliniana e l'opposizione, e di qui sulla fine del potere comunista in Russia.
Perché il caso della lettera si riproporrà puntuale a ognuna delle rotture che porteranno via via al disfacimento dell'Urss: dal XX Congresso del '56, il primo dopo la morte di Stalin, fino al rapporto Chrus^c^ev e oltre. La “forza delle parole ha un senso” conclude Canfora. E una verità. La storia falsa ci consegna una di quelle “verità immanenti” che si collocano “non al capo inesistente della serie, ma nella serie stessa” — per usare le parole di Croce poste in exergo — e che proprio l’inconseguibilità di una verità trascendente rende indispensabile cercare; trascendendo una sola cosa: il pregiudizio, l’interesse personale.

(Recensione di Silvia Ronchey al libro "La storia falsa" di Luciano Canfora, Rizzoli 2008,; fonte:/www.silviaronchey.it/)

11/02/09

Ritrovate in Cile antiche mappe litiche

L'amico, nonché nostro corrispondente, Sergio Fritz Roa (http://nyermia.blogspot.com/) ci informa della recente e interessante scoperta in Cile di una misteriosa e antichissima pietra sulla quale sembra essere stata raffigurata la conformazione del continente sudamericano. Il luogo del ritrovamento è San Esteban, V Regione del Cile, sulla cordigliera delle Ande. Per ora nessuna conferma sull'autenticità del ritrovamento e sul fatto che si tratti di un manufatto, ma si fa sempre più incalzante la tesi, sostenuta ieri da un Roberto Rengifo e ai nostri giorni dall'ex ammiraglio e archeologo indipendente Flavio Barbiero, che sia esistita una razza aborigena dotata di grandi conoscenze che avrebbe abitato il territorio australe. A sostegno della tesi dell'autenticità del graffito il ritrovamento, proprio in quelle zone, di una grande quantità di petroglifi.
Non è la prima volta che si sente parlare di pietre con la “mappa” dell'America. Non molto tempo fa, lo scrittore e ricercatore Rafael Videla Eissmann, aveva annunciato alla stampa cilena il ritrovamento a sud di Santiago (a Enladrillado) di una pietra mostrante il continente sudamericano in tutta la sua estensione. Una ulteriore conferma.

09/02/09

Bombe "intelligenti", "intelligentissime" e "geniali"


Leggo su “Orientamenti” e trascrivo un pensiero di George Bernard Show:
"Gli Stati Uniti d’America sono l’unico Paese occidentale ad esser passato da uno stato di barbarie ad uno di decadenza senza essersi fermato neanche per un giorno in quello della civiltà".

Qualche giorno fa il giornale radio della mattina ha trasmesso un “editoriale”, (trascrivo a memoria): "Gli iracheni hanno usato civili come scudi umani, approfittando della riluttanza dei piloti angloamericani nel colpire i civili".
L’impudenza e il senso del servilismo di certi “editorialisti” non conosce limiti. Infatti è impossibile che un giornalista che si presenta alla radio o alla televisione, quindi persona qualificata, non conosca la verità (quella vera) e, qualora non la conoscesse, è meglio che torni a casa ad aiutare la moglie nelle faccende domestiche.
La querula, leziosa alchimia di parole che si ascolta in questi giorni in merito alle stragi che gli israeliani stanno perpetrando nella Striscia di Gaza, altro non è se non la stessa tecnica messa in atto dagli angloamericani. Quando sarà più chiara la “tecnica” usata da secoli dai Paesi plutocratici – ieri l’Inghilterra, oggi Israele e gli USA – la “tecnica”, cioé di ricorrere a quell’arma preferita, infallibile, che il ricco adotta, con sadica infamia, contro il povero per piegarlo, mettendo cioè in atto l’assedio della fame, quello del terrore, quando tutto ciò sarà più chiaro agli occhi del mondo, solo allora potremo prendere atto dell’entità reale dei danni che regimi, realmente tirannici, hanno arrecato alla civiltà e al mondo.
Queste aggressioni, in Iraq, in Afghanistan e a Gaza sono iniziate con l’incitamento del Grande Capitale, il quale, poi ne ha affidato lo svolgimento ai propri “strateghi”, il cui tono lascia pochi spazi alla fantasia: . Ma non c’è “nulla di nuovo sotto il sole”: è la solita “tecnica” studiata e messa in atto dagli “strateghi” circa settanta anni fa.
Proviamo ad andare con un certo ordine.
Allo scoppio del secondo conflitto mondiale gli angloamericani idearono le “bombe intelligenti”. In realtà le bombe ideate in quel periodo dagli Alleati si dividevano in tre categorie: “intelligenti”, “intelligentissime” e “geniali”.
Le bombe “intelligenti” erano e sono quelle che colpivano e colpiscono edifici civili; quelle “intelligentissime” polverizzavano e polverizzano chiese, monumenti, ospedali, scuole. Ad esempio quella bomba che centrò, in quel lontano 19 luglio 1943, la mia tomba di famiglia al Verano, a Roma, dopo aver distrutto, l’adiacente Basilica di San Lorenzo, era una bomba “intelligentissima”.
Di quelle “geniali” parlerò più avanti, non prima di aver aperto una pagina di storia riconducendo alla verità una favola secondo la quale è stato Hitler a scatenare il terrore sulle città inglesi. La verità è completamente diversa.
Mi preme, innanzi tutto, ricordare che Mussolini quando dichiarò la guerra alla Francia e all’Inghilterra, il 10 giugno 1940, impose di non sganciare alcuna bomba su territori avversari. Due giorni dopo, esattamente il 12 giugno, bombardieri inglesi infierirono su Torino e Genova, distruggendo edifici e causando numerosi morti e feriti.
Scrive lo storico americano George N. Crocker nel suo “Lo Stalinista Roosevelt”, pag. 210: stesso Hitler aveva fatto sinceramente di tutto onde raggiungere con l’Inghilterra un accordo per limitare l’offesa aerea alle zone di operazione>.
La teoria del “moral bomber” – come fu classificata nella cerchia di Churchill – risale al 1923 e massimo esponente fu sir Hugh (“Boom”) Trenchard il quale sosteneva che , come ha scritto Winston Churchill nel libro “The Last Lion”, pag.313; è chiaro che l’”obiettivo” sarà il centro residenziale.
Questa “teoria” di Trenchard fu messa in atto dal Maresciallo in Capo del Comando Bombardieri, sir Arthur Harris, dai suoi subordinati chiamato “The Butcher” (il Macellaio), per la fredda crudeltà con la quale effettuò l’offensiva aerea i cui obiettivi preminenti erano le popolazioni civili, anzichè quelli militari: cosicché . Infatti, mentre la produzione bellica tedesca e anche quella italiana era programmata su aerei per appoggio tattico, quella angloamericana era stata impostata per la produzione di bombardieri pesanti. Quindi, da anni, era stata accettata la filosofia di Trenchard e le popolazioni civili ne subirono le conseguenze.
Sino a giugno del 1940 su Londra non fu sganciata una sola bomba, semplicemente perché il Führer attendeva che la Gran Bretagna si decidesse a trattare. Per confermare l’asserto, partiamo da un punto fisso: l’8 agosto 1940, giorno in cui Goering iniziò l’offensiva aerea sull’Inghilterra. Il già citato George N. Crocker (pag.209) ha scritto: <Fu soltanto la decisione presa a freddo dal Ministro dell’aviazione britannica, l’11 maggio 1940, e non la crudeltà di Hitler, a scatenare la cosiddetta guerra totale>. Infatti è sufficiente rileggere solo alcuni bollettini del Quartier Generale germanico per avvicinarci alla verità: <24>. 7 giugno 1940: >. 22 giugno 1940: . Così il 29 giugno e di seguito. Si può immaginare quanto sia costato confessare che la Germania veniva colpita da bombardamenti aerei, quando il Maresciallo Goering aveva autorizzato ad esser chiamato “Mayer” qualora una sola bomba fosse caduta sul territorio tedesco.
La determinazione con la quale vennero effettuati i bombardamenti sulle città, sui villaggi e sulle più isolate fattorie sparse nel territorio tedesco o italiano è documentato da questo messaggio inviato l’8 luglio 1940 dall’allora Primo Ministro britannico al Ministro della Produzione aeronautica inglese: .
Quando sir Arthur Harris il 22 febbraio 1942 assunse il comando del “Bomber Command” della RAF trasmise il seguente ordine: .
A guerra terminata, al Maresciallo dell’Aria inglese, sir Robert Saundby, furono poste alcune domande quale comandante e responsabile delle squadriglie aeree che avevano devastato, giorno dopo giorno, il territorio nemico, provocando la morte di centinaia di migliaia di civili. Saundby, pur ammettendo tutto ciò, concluse di non sentirsi minimamente colpevole di quelle distruzioni, avendo eseguito semplicemente gli ordini del suo superiore sir Arthur Harris. A sua volta Harris scaricò le sue responsabilità sul Ministro dell’Aria sir Archibald Sinclair. Questi declinò ogni colpa affermando di aver eseguito gli ordini del Primo Ministro Winston Churchill.
Per quanto riguarda le bombe “geniali”, è necessaria una breve premessa. Durante uno dei tanti devastanti bombardamenti su Tokio, solo per una coincidenza si notò che concentrando le bombe, specialmente le incendiarie, su un’area ristretta, si otteneva un risultato ancora più devastante. Infatti l’enorme calore prodotto dalle fiamme tendeva, per un effetto fisico, a sollevarsi violentemente, creando un vuoto immediatamente riempito dall’aria fredda circostante; cosicché un forte vento facilitava ancor più la propagazione delle fiamme, con effetti facilmente comprensibili.
I “Liberatori” approfittarono della scoperta e la perfezionarono a danno delle popolazioni civili di Tokio, di Amburgo, di Dresda e di tante altre “fortunate” città.
Ma il fior fiore della “genialità” gli americani lo misero in atto negli anni 1943-1945 quando sulle nostre città gettarono dei giocattolini e penne, ovviamente destinati ai più piccoli, oggettini caricati di esplosivo. Un ragazzo, mio compagno di classe alla scuola media “Marconi” di Roma, trovò uno di questi “regalini made in USA”, lo aprì e gli esplose in mano: ebbe alcune dita della mano asportate e il viso colpito da schegge. Era il perfezionamento della tecnica del terrore.
Per concludere questa incompleta denuncia, perché non ricordare le “armi di distruzione di massa” in possesso monopolistico di USA e Gran Bretagna sganciate su Hiroshima e Nagasaki, in spregio alle Convenzioni di guerra allora vigenti, in quanto “armi non convenzionali” usate, oltretutto, per polverizzare centinaia di migliaia di civili? E cosa dire delle “Bombe a frammentazione” o di quelle a “uranio impoverito”? L’uso indiscriminato di questi ordigni non è “crimine contro l’umanità”?
I padroni del mondo hanno fatto proprio il “diritto della forza” per abbattere la “forza del diritto”. E allora da che parte sono i “criminali di guerra”? E con spregevole arroganza hanno già posto in atto una nuova Norimberga, questa volta di marca irakena e il cappio al collo è stato posto a Saddam Hussein. E questo per il momento.
Di contro dobbiamo dar atto che essi sono stati da sempre abilissimi nell’imbonire l’opinione pubblica mondiale, trasformando le loro azioni di predoni in operazioni tese a portare democrazia, pace, benessere, nascondendo, con stupefacente destrezza i veri intendimenti delle loro cento e più guerre di aggressione.
Gli uni e gli altri, americani, israeliani e inglesi (questi ultimi divenuti ormai la 51^ stella della bandiera USA) hanno avuto sempre la necessità di inventarsi dei nemici per affermare la loro sovranità sul mondo. Ieri erano gli indiani, i messicani, gli spagnoli, i tedeschi, gli italiani, i giapponesi, i cubani, i nord coreani, i vietnamiti, e così di seguito. Oggi i somali, i talebani, gli iracheni. Domani saranno i siriani, gli iraniani, i libici e così via fino a quando tutto il mondo non sarà globalizzato sotto la bandiera a stelle e strisce.
E pensare che un paio di anni fa, Mr Berlusconi si inginocchiò dinnanzi al Grande gangster, George W. Bush ringraziando l’America per “averci liberati dal Fascismo”.

Usque tandem…?”
(Autore: Filippo Giannini)



07/02/09

DARPA: Defense Aduanced Research Projects Agency e la "smart dust", ovvero "la polvere che spia"

Gli scienziati californiani l'hanno battezzata smart dust, "polvere intelligente". Il Pentagono la definisce "Ia tecnologia strategica dei prossimi anni". Un giorno cambierà Ia nostra vita; intanto sta già cambiando il modo di fare la guerra e potrebbe avere un test decisivo in Iraq. Ilpulviscolo intelligente è fatto di miriadi di computer microscopici. Ognuno misura meno di un millimetro cubo ma incorpora sensori elettronici, capacità di comunicare via onde radio, software e batterie.
Invisibile e imprendibile, la polvere di intelligenze artificiali si mimetizza nell'ambiente e capta calore, suoni, movimenti. Può essere diffusa su territori immensi e sorvegliarli con una precisione finora sconosciuta. Sa spiare soldati standogli incollata a loro insaputa, segnala armi chimiche e nucleari, intercetta comunicazioni, trasmette le sue informazioni ai satelliti.
Dietro la polvere intelligente c'è uno dei più potenti motori del progresso tecnologico americano, la Defense Aduanced Research Projects Agency (Darpa) che è stata all'origine di innovazioni fondamentali, compreso Internet. E' il braccio scientifico del ministero della Difesa, gestisce finanziamenti federali distribuendoli alle migliori università, che in cambio collaborano ad accrescere la supremazia degli Stati Uniti nelle tecnologie avanzate. Per la smartdust la Darpa si è affidata al dipartimento di ingegneria elettronica e informatica di Berkeley diretto da Shankar Sastry. Ci lavorano gli scienziati Kris Pister, David Culler e un ricercatore italiano, Bruno Sinopoli. Gli elementi di base della loro costruzione sono i Merns, micro-elactro-mecanical systems. Sono micro-computer che integrano capacità di calcolo, parti meccaniche figlie della nano-robotica, più i sensori elettronici: cioè termometri, microfoni miniaturizzati, nasi e microspie che captano movimenti o vibrazioni. I Mems esistono da tempo, ora le ricerche ne hanno perfezionato la produzione a costi sernpre più bassi e questo apre l'opportunità per usarli in quantità enormi. I progressi della miniaturizzazione rendono i micro-apparecchi sempre più affidabili e ne allungano la vita, le batterie possono alimentarsi con le variazioni di temperatura o le vibrazioni. Il lavoro degli scienziaticaliforniani ha fatto fare ai Mems il salto verso la polvere intelligente. "Il risultato finale sono network invisibili disserninati nell'ambiente - spiega Bruno Sinopoli - che interagiscono fra loro e trasmettono informazioni".
La produzione è affidata a un'azienda privata della Silicon Valley, la Crossbow, che mette già in mostra alcune applicazioni della polvere intelligente. Le più ambite però non le vedremo mai. Come sostiene la Darpa la rivoluzione dei microsensori diffusi nell'ambiente "diventerà la primaria fonte di superiorità nei sistemi di armamento". L'obiettivo è dichiarato ufficialmente sul sito Intemet della Darpa www.darpa.mil, perché per lavorare con gli scienziati di Berkeley anche i militari devono adottate certe regole di trasparenza. Si tratta di dispiegare in massa sensori remoti per scopi di ricognizione e sorveglianza del teatro di battaglia".
L'informazióne non è stata divulgata dalla Difesa ma gli scienziati californiani non hanno dubbi: la polvere intelligente ha già fatto la sua prima apparizione su un vero campo di battaglia in Afghanistan, dove gli americani hanno cosparso nubi di smart dust sulle zone più impervie e montagnose. Il prossimo test potrebbe essere l'Iraq dove in caso di intervento militare - e anche molto prima-la polvere intelligente verrà cosparsa dal cielo e finirà mimetizzata nella sabbia del deserto per monitorare spostamenti di truppe, artiglierie o rampe dei missili Scud.
I Mems potrebbero fare la loro comparsa anche incorporati nelle nuove tute da combattimento dei marines. È un altro progetto per il quale il Pentagono ha stanziato 700 milioni di dollari: fabbricare una tuta leggera fatta di nuovi materiali adatti alle condizioni nel deserto, ma dotata di sensori intelligenti nelle sue fibre. Una corazza agile per i climi torridi, capace di fermare i veleni delle armi chimiche e di monitorare la salute dei militari esposti ad aggressioni batteriologiche. I sensori elettronici visibili ai raggi infrarossi garantiscono poi il riconoscimento tra i soldati americani nei combattimenti notturni, in modo da evitare le vittime del "fuoco amico".
La polvere intelligente non è stata pensata solo per la guerra. Il gruppo di scienziati di Berkeley ha commciato a utilizzare il pulviscolo di micro-computer per fini pacifici. Sparsi nelle foreste della California, hanno il compito di sentinelle anti-inquinamento e nella prevenzione degli incendi; grazie alla loro ubiquità sentono e segnalano all'istante le minime fonti di calore. I network di sensori intelligenti della smart dust hanno fatto il loro esordio in funzione antisismica: l'università califomiana li sta sperimentando in alcuni immobili per verificare come le strutture reagiscono internamente alle scosse di terremoto; la precisione di queste micro-apparecchiature consente di percepire lesioni interne che sfuggono agli occhi più esperti ma possono minare la resistenza degli edifici.
Un altro campo promettente sembra essere quellodella home automation, o casa intelligente. Spalmata sui muri con la vernice, una miriade di micro-computer consentirà di auto-regolare la temperatura e la luminosità dell'ambiente in modo da eliminare ogni spreco di energia. Sempre che non finisca per spiare chi in casa ci abita. A finanziare ricerche sulle applicazioni della smart dust con i fondi federali non c'è più solo il Pentagono. Ora è sceso in campo anche un fondo di venture capital che nella Silicon Valley tutticonoscono bene: sichiama In-Q-Tel ed è una filiale della Cia.
(Fonte:www.valianti.it/)

Addendum:
Anche una semplice occhiata al sito http://www.darpa.mil/index.html sarà molto istruttiva. Circa lo scopo principale di DARPA è presto detto:

DARPA is the central research and development organization for the U.S. Department of Defense. DARPA's mission is to maintain the technological superiority of the U.S. military and prevent technological surprise from harming our national security. We fund researchers in industry, universities, government laboratories and elsewhere to conduct high-risk, high-reward research and development projects that will benefit U.S. national security.

DARPA research runs the gamut from conducting basic, fundamental scientific investigations in a laboratory setting to building full-scale prototypes of military systems. We fund research in a wide variety of scientific disciplines — biology, medicine, computer science, chemistry, physics, engineering, mathematics, material sciences, social sciences, neuroscience, and more.

Our contracted researchers build information systems, aircraft, robots, spacecraft, microcircuits, lasers, sensors, rifles, advanced networks, medical devices, and much, much more. When a DARPA research program is completed, the technology is available to the Military Services and defense contractors for use in military systems.

Chiaro???


05/02/09

Eutanasia di Stato



Riportiamo in sintesi quanto scrive Adolfo Morganti sulla triste vicenda di Eluana Englaro:

Sulla questione Englaro si veda l'enorme importanza di questo caso umano prima che giuridico.
La poveretta è stata un caso creato, gonfiato ed usato ad arte. Non so se suo padre se ne renda conto, chiuso come appare nelle sue fissazioni.
Una volta che saranno riusciti ad accopparla, Eluana servirà da precedente: partcomunisti, radicali, libertini, massoni vari useranno il precedente per chiedere di aprire sempre più la porta verso l'uccisione di stato. Un passo per volta. Poi un altro.
Ma sia chiaro che la uccideranno. Comunque. E lentamente. Somministrandole farmaci affinché la sua morte continui a invaderla lentamente e costantemente, ché nulla la disturbi nel suo consumarsi di fame e di sete. Stando a fissarla perché la sua morte sia accompagnata dalla necessaria lussuria intellettuale dei tanti. Se necessario difendendo l'omicidio con la forza pubblica. E quando Eluana morirà, una figura sola tirerà un sospiro di sollievo, preparandosi - credo -a morire anch'essa. Tutti gli altri brinderanno alla conquista di civiltà, alla vittoria dei diritti individuali, all'emancipazione dell'individuo dai "variopinti legami" (così diceva Marx) della Chiesa, della morale cattolica quae extat, di tutto ciò che non è il Dio-Io. Consegnandosi con ciò - bella eterogenesi dei fini - alla dittatura dei tribunali. Dopo la morte, un bel "ballo angelico" radicale, tutti assieme appassionatamente.
In mezzo al nulla morale di un ceto politico che ha una sola certezza: di non possederne, al di fuori dell'utile immediato. Figuriamoci che belle leggi pilatesche scriveranno sul testamento biologico...

Col che io penso: siccome un'uccisione ingiusta grida vendetta al cielo come mille, nessuna differenza io colgo fra i poliziotti italiani che strattonano i cattolici dalle ambulanze cariche di morte a Lecco e i solerti militari israeliani che fanno morire le donne palestinesi partorienti e malate ai valichi impedendo loro di raggiungere gli ospedali. Tutto ovviamente in nome dei Diritti umani, della Sicurezza, della Democrazia. Un ribaltamento dello spessore etico delle parole totale e satanico. Una gran puzza di vomito e di Anticristo. Sì, si sente. Chiaramente.

Simone Weil: 100 anni dalla nascita


Ho sempre avuto difficoltà a scrivere su Simone Weil. Di lei mi piacciono le fotografie in cui ha gli sci ai piedi o appare con un elegante impermeabile. I Quaderni sono un' immensità che mi riesce solo a sfiorare. Mi trovo meglio con gli scritti pubblicati in vita - lo scritto sull'Iliade poema della forza, il saggio sulle origini del totalitarismo, gli scritti sulla civiltà occitana. Importanti sono state per me le mediazioni: anni fa ho iniziato un corso su Simone Weil commentando il radio dramma di Ingeborg Bachmann a lei dedicato: già nei primi anni '50, quando uscivano le prime raccolte di scritti dei Quaderni, in Francia, in Germania e in Italia, Bachmann affrontava il problema della "leggenda" di Simone Weil e invitava ad arrestarsi sulla soglia. La purezza, la bellezza matematica del suo stile di scrittura e di pensiero, la forza delle sue idee sul lavoro in fabbrica, sulle parole vuote della politica sono una delle espressioni più alte del pensiero del '900. Simone Weil riverbera anche attraverso Iris Murdoch o Jeanne Hersch, che le dedicò alcuni corsi. Infine Angela Putino, che nel suo libro Un'intima estraneità riuscì a citare pochissimo, a scrivere sottraendola a infiniti stereotipi.
Simone Weil é una donna assoluta, come l'ha definita Gabriella Fiori: pensatrice degli estremi, e come tale figlia del '900. A differenza di Hannah Arendt, che ha fatto uno sforzo incredibile per fluidificare l'estremo (e non a caso viene considerata umanista, universalista, meno radicale in fondo).

(Laura Boella)