28/10/15

Lascia tutto per il convento



Dopo alcuni anni di discernimento, la giovane professoressa Stéphanie, di 26 anni, ha preso la decisione della sua vita: offrire tutta la sua esistenza a Dio, entrando in convento. Abbiamo parlato con lei qualche giorno prima del suo ingresso nella comunità benedettina dell’Abbazia di Nostra Signora di Pesquié, ad Ariège (Francia).

Aleteia: Quando ha scoperto la fede?
Stéphanie: Non sono mai arrivata a “perdere la fede”. Dopo la morte di mia sorella la mia fede, che era mezzo addormentata, si è risvegliata. Ho iniziato a credere profondamente e a voler progredire a livello spirituale nella mia vita. Ho perso una sorella nel 2005, mentre stava andando alla Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia. Quell’evento è stato senz’altro cruciale per il mio discernimento. La sua morte è stata un vero punto di svolta nella mia vita spirituale. Mi sono resa conto dell’importanza della nostra vita; che stiamo sulla Terra per un tempo limitato, che veniamo da Dio e un giorno vorremmo tornare da Lui. Vengo da una famiglia cattolica molto religiosa, ma penso che fino a quel momento andavo in chiesa più per routine e mimetismo che altro.

Aleteia: Quando ha iniziato ad affacciarsi l’idea di entrare in convento?
Stéphanie: Qualche anno dopo, nel 2008, dopo un pellegrinaggio, ho sentito un’attrazione per Dio durante la Messa e un forte desiderio di amarlo. Da quel momento ho vissuto con la sete di assoluto. L’idea di dedicare la mia vita a Lui ed entrare in convento è diventata più pressante. Ho sentito un vero amore per Dio, come se mi innamorassi di Lui. Avevo bisogno di andare a Messa tutti i giorni, di trascorrere del tempo con Lui. Questo grande desiderio è durato solo qualche mese. Sono passati gli anni. Avevo messo da parte la questione, anche se di tanto in tanto ritornava. Ho iniziato a lavorare come professoressa e conducevo la mia bella vita parigina. Ero felice, ma non completa. Con il tempo, il desiderio di mettere Dio al centro della mia vita è aumentato. Ho iniziato a pregare tutte le mattine chiedendo a Dio di aiutarmi a orientare la mia vita. Poi ho fatto un ritiro, e il mio direttore spirituale mi ha chiesto perché non offrivo la mia vita a Dio. L’idea non mi aveva mai abbandonato del tutto, e dopo di allora è diventata evidente. Ma questa evidenza era vertiginosa! Avevo sete di Dio, ma la decisione di fronte a una scelta tanto radicale non è stata affatto facile.

Aleteia: Chi è stato il primo a conoscere la sua decisione?
Stéphanie: Sono andata a informare la direttrice della scuola, ancor prima di dirlo alla mia famiglia o al mio direttore spirituale! È rimasta a bocca aperta. I miei genitori hanno accolto la notizia con allegria ed emozione, pur sapendo che d’ora in poi ci vedremo di meno, ma ammiro il loro coraggio e la loro fede. Mia madre mi ha sempre detto che vedeva i figli come un dono di Dio e che alla fine dei conti i figli appartengono a Lui.

Aleteia: Qualche santo l’ha ispirata in questo percorso?
Stéphanie: Santa Teresa mi ha aiutato a vivere il momento presente. Con lei ho preso coscienza della mia piccolezza davanti all’amore di Dio. Anche San Benedetto mi ha guidato da quando ho preso questa decisione il giorno della sua festa. Mi piace particolarmente la preghiera di abbandono del beato Charles de Foucauld, e cerco di recitarla tutti i giorni.

Aleteia: Cosa pensa della vita che sta per lasciarsi alle spalle: il divertimento, la quotidianità, i rapporti affettivi… Non le mancheranno?
Stéphanie: No. E ad essere sincera mi sembrava tutto un po’ superficiale. Non è in questo che si trova la felicità, ma nelle relazioni profonde. La mia fede mi porta a non vivere in modo superficiale, perché non è in questo che è Dio. I momenti con la mia famiglia e i miei amici mi mancheranno e sono consapevole di rinunciare a molte cose, ma so che nell’abbazia troverò l’essenziale. È vero che agli occhi degli uomini abbandonare la vita in società forse è una follia, ma non lo è agli occhi di Dio.

Aleteia: A suo avviso, cosa offrono le religiose alla società?
Stéphanie: Le monache si allontanano dal mondo e allo stesso tempo sono molto presenti in esso. Si tengono aggiornate sull’attualità e non perdono l’occasione per pregare per tutta l’umanità. Le loro preghiere sono importanti. Sono vere sentinelle dell’Invisibile: nessuno le vede, ma anche così sono essenziali per la società. Viviamo in un mondo individualista, senza punti di riferimento, che ha bisogno più che mai della presenza spirituale e della preghiera dei religiosi.

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

21 commenti:

  1. Con parole semplici e chiare Stephanie esprime già alle soglie del monastero una grande sapienza. Trovo bellissima quella definizione delle religiose quali “sentinelle dell’Invisibile”, che sintetizza in maniera mirabile la loro missione. Tutta l’intervista in verità offre stimoli alla riflessione. Mi colpisce in modo particolare quell’innamorarsi di Dio, che porta dritti al cuore del mistero cristiano del Dio fatto uomo, di Gesù che può essere sentito, amato, perfino abbracciato in tutta la sua umanità e al tempo stesso inafferrabile nella Sua infinità.

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  2. Ti ringrazio Giuseppe per il bel commento che sottoscrivo.

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  3. Grazie per la bella testimonianza. Leggendola mi tornavano in mente le parole del mio parroco, francescano, secondo cui in Francia i giovani si avvicinano alla Fede, prediligendo la frequentazione spirituale di monaci e monasteri a quella dei frati (francescani, domenicani..). Ancora più sorprendente se si pensa che S. Franscesco era francese..

    cordiali saluti
    Paolo C.

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  4. Aggiungerei alla tue giuste e corrette osservazioni che, in generale, i giovani francesi sono più inquieti e sensibili in materia religiosa di noi italiani e, temo, anche più rigorosi e seri. Ma ripeto, si tratta di una generalizzazione che però ha un fondo di indiscutibile verità.
    Un caro saluto

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  5. Temo, caro Aldous, che siano dati di fatto, più che generalizzazioni. Gli italiani non ci sentono da questo orecchio e tendono a confondere (invece di distinguere), a maggior ragione nei vecchi territori dello Stato della Chiesa, la religione con la politica, il parroco con l'autorità civile. Basti pensare al pur simpaticissimo Guareschi, che a Peppone contrapponeva Don Camillo. E gli italiani in fondo non hanno mai capito che la Chiesa si adatta alle diverse società, e se la Chiesa italiana (ci siamo accorti che esistono conferenze episcopali nazionali?) ha i suoi difetti (insieme ai pregi) è per via degli italiani che ne costituiscono le membra.
    Per fortuna per chi cerca l'unione mistica con Dio, come la bella Stéphanie, le latitudini sono del tutto indifferenti.

    un saluto
    Paolo C.

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  6. i suoi occhi parlano da solo ma la scelta del monastero la ritengo non in linea con i tempi e nemmeno con lo spirito del vangelo , bisogna abolire il sacro 'separato' in tutte le sue forme , il vero mistico come insegna anche i tori ZEn dopo il risveglio torna al mercato . il futuro della chiesa è dei laici

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  7. Ancora grazie a Paolo per i commenti del tutto in linea con il mio personale pensiero. A Costa dico che proprio non mi riesce di immaginare una Chiesa senza "religiosi". AI laici, semmai, spetta l'arduo compito di sollecitare i religiosi a una maggiore coerenza con le linee guida del Magistero e a una più sincera adesione allo spirito del Vangelo. Tutti i cristiani sono "re sacerdoti e profeti", ma fuori dal sacro recinto della Chiesa, quanti riescirebbero a mantenere fede al loro carisma?

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  8. contestavo il sacro separato e non il sacro come spirito che soffia dove vuole e si qualifica come Cristo figlio dell'uomo veste come i laici e mangia e beve con peccatori senza percepire uno stipendio (ma offerte libere o nulle )di una struttura superorganizzata che prende i soldi dai fessi che devono lavorare. è bene comunque che rimangano alcuni religiosi per preservare la dottrina ma i tempi sono maturi per una riforma della chiesa

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  9. Insomma, un protestantesimo senza neanche la decima. La vedo dura!

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  10. Marco 6, 7-13 senza bastone, senza bisaccia, senza calzature, senza pane, senza denaro .....chi non fa questo ha perso la fede nella provvidenza chi non cura con l'imposizione della mani ma apre solo ospedali privati (servono anche quelli) ha perso la fede...infine la decima vecchio retaggio ebraico dell'antico testamento criticato anche da gesù in parte. nessun protestantesimo caro Aldous ma possibile riforma per salvare il salvabile del cristianesimo

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  11. Caro Costa, Lei dovrebbe sapere che il massimalismo si traduce sempre nel suo esatto contrario e che quando si pretende troppo si finisce inevitabilmente per restare a mani vuote. Vedi appunto il buon Martin Lutero.

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  12. Buongiorno a tutti.

    Credo che il buon Costa abbia colto nel segno. Mi accodo alla sua "provocazione" per suggerire una riflessione.

    Anche secondo me oggi il futuro della chiesa è dei laici (chiesa intesa come "assemblea dei cristiani"), proprio perchè in un certo senso è secondo me molto più difficile per un laico credente, combattere "la buona battaglia e conservare la propria fede" (parafrasando San Paolo in 2Tm 4,6-8).
    Non si prenda il mio intervento come la classica vulgata anticlericale tanto in voga oggi. Io amo il monachesimo e le figure clericali e spesso mi trovo anche a difenderle dagli attacchi gratuiti (portati sempre da persone che non le conoscono e le attaccano solo per attaccare la Chiesa come istituzione) però bisogna ammettere che tante volte non sembra di certo siano loro a combattere la battaglia in prima fila per la fede.

    Innanzitutto l'uomo moderno è talmente smarrito che riuscire a capire anche solo lontanamente cosa fare della sua vita per dargli uno scopo o un significato è un evento eccezionale. In tal merito Evola parlava della difficoltà per l'uomo comune di riscoprire la propria natura, trovandosi a combattere con una pluralità di "sè" interni così vasta da rendere difficilissimo capire se una natura vera e realizzabile, in sè stessi esisteva ancora. Figuriamoci quindi vivere in coerenza col vangelo senza essere emarginati dal resto della società e finire da soli.
    In senso contrario invece, tanti parroci e monaci possono dirsi al sicuro nelle loro comunità. Gli sono estranee le preoccupazioni dell'uomo comune, il quale oltre a occuparsi in vece propria della sua sopravvivenza (trovare un lavoro, trovare una casa, trovare degli affetti) deve occuparsi della sua anima, mandato come la proverbiale pecora in mezzo ad un mondo di lupi.

    Quale rischi correrrebbe invece un parroco che si limita a parlare del vangelo a chi già crede, a chi già va a messa, magari per abitudine, ma comunque ci va. In questo senso capisco e stimo di più il pionerismo religioso dell'uomo non titolato che chiede per favore di non bestemmiare ai suoi colleghi di lavoro, prendendosi di risposta fischi, biasimi, prese in giro. Rischia decisamente più il secondo che il primo.

    Vogliamo poi parlare della sicurezza che un ambiente come un monastero o una chiesa può dare a livello di vita comune? Non parlo solo di ambiente relazionale, di affetti (un monaco è in mezzo a fratelli pronti ad aiutarlo, un parroco in mezzo a persone della comunità che cercano e offrono aiuto) ma parlo anche della vita "tout court", sia il monaco che il parroco non devono preoccuparsi di trovare un riparo sopra la propria testa o di procurarsi uno stipendio per vivere.

    E' decisamente più facile, senza preoccupazioni di questo tipo, cominciare a pensare alla vita non solo come una sfida per il sostentamento quotidiano ma anche come qualcosa di alto e spirituale.
    Ricordiamoci quindi, come dice Costa, che Gesù come suoi apostoli sceglie pescatori, esattori delle tasse, gente comune, non chierici. La cosa è indicativa e deve far riflettere a mio modesto modo di vedere.

    Mi rendo conto che le mie siano provocazioni antipatiche e scomode, ma bisogna rimarcare oggi una cosa importante, ovvero: quanto i chierici siano distanti (almeno per la maggior parte) dalla vita dell'uomo comune, al punto spesso da non arrivare a comprenderne le difficoltà. Passi per i monaci, la cui vita isolata dal resto della società, può essere un alibi più che sufficiente, ma la cosa non vale secondo me per parroci e sacerdoti.

    FINE PRIMA PARTE DEL COMMENTO

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  13. INIZIO SECONDA PARTE DEL COMMENTO

    A tal proposito ricordo una conversazione che feci con una giovane suora mia amica, anni fa. Portandogli queste riflessioni, nella sua esperienza reale di suora non potè che darmi ragione, dicendomi che aveva conosciuto preti che della loro vita nulla realmente rischiavano ed erano più i benefici che ne traevano rispetto alle evangeliche tribolazioni. In questo senso insisteva su come un "laico" credente, potesse avere decisamente più presa sul resto del "gregge", a livello di conversione e proselitismo, perchè il suo esempio di vita fede, poteva sembrare senza mezzi termini più credibile ed efficace di quello di un prete così lontano e distante dal resto degli uomini e dalle loro difficoltà.

    Spero di essermi spiegato. La mia non è un invettiva contro i chierici, contro chi consacra la propria vita a Dio integralmente, ma un tentativo di far riflettere su come oggi la sfida principale sia in mano ai laici come dice il buon Costa, rispetto che a molte figure clericali. Figure clericali che semmai sono immancabili a livello di guida generale e che debbono esistere, così come in un corpo debbono esistere capo, cuore oltre agli arti superiori ed agli arti inferiori, per un corretto funzionamento dell'organismo tutto. Per questo motivo, ben vengano i monaci nelle abazzie e i sacerdoti nelle chiese, ma non scordiamoci della tremenda difficoltà dell'uomo comune che privo di una vocazione del genere, deve arrabattarsi da solo, magari isolandosi un fine settimana in un monastero o in una chiesa per chiedere aiuto e consiglio alla Provvidenza, salvo poi infine restare sempre da solo nell'affrontare le proprie sfide quotidiane.

    Infine, se debbo dire la mia sino in fondo, io invidio palesemente una donna del genere. Scoprire oggi come oggi, una vocazione inusuale del genere, è un vero terno al lotto. Non penso che la sua strada sarà priva di difficoltà e ostacoli (non a caso le visioni demoniache e le tentazioni più grandi attaccano sempre i monaci e gli eremiti, che scalano la via spirituale più impervia) però penso che sicuramente d'ora in poi, questa fortunata ragazza, avrà più certezze e pienezza di vita di molti di noi che invece si arrabattano per dare un senso alla misera vita comune. La cosa non mi sembra poco.

    Chiudo quindi con la risposta che diede una volta un Priore di un Monastero cistercense dalle mie parti. Alla solita domanda profana:

    "Che senso ha isolarsi per una vita spirituale dal resto della società?"

    egli rispose:

    "Anche noi ci chiediamo come mai il Signore decida di distribuire così le sua vocazioni"

    Ebbene, mi trovo d'accordo con questo Priore, ponendomi spesso anch'io la sua stessa domanda.

    Un abbraccio a tutti.

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  14. Per una laica che ama Cristo e vuole darsi a Lui per tutta la vita e riempire di Dio il mondo; vi sono consacrati che sembrano laici operatori sociali, che fanno fatica a portare la Parola. Il sacro dove è finito? Dove c'è serietà di intenti? Lo ripeto da tempo: la gente è disorientata, viene sempre meno la religiosità o, se volete, lo spirito. Eppure ce lo abbiamo dentro, anzi, lo spirito contiene la carne che ne riceve (o riceverebbe) la sua luminosa influenza. Certo, ognuno di noi deve fare la sua parte affinché non tutto tracolli. Prego ininterrottamente pur distraendomi durante il giorno per futili motivi. Ci sono giorni dove riesco a stare in uno stato di gioia, di tensione e quiete verso Dio, altri meno denso. Se il sacro è indice di profondità dell'essere, beh, questo dovrebbe essere il parametro.
    Grazie Aldo per gli spunti.

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  15. Ringrazio molto sia Fabrizio che Angelo per le arricchenti riflessioni "personali". Le parole che sgorgano dal Cuore sono sempre vere e ad esse nulla deve essere aggiunto.

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  16. vi è un apophtegma dei padri del deserto che non riesco a trovare, anche se in realtà si tratta di un topos che si trova anche altrove, che riflette sulla vita separata in questa maniera. un monaco giudicò malamente di fronte al suo padre spirituale un monaco che era diventato sacerdote in città, perché la sua vita si sarebbe rilassata a contatto con il mondo. il padre allora intervenne facendo notare che quel sacerdote avrebbe in realtà dovuto combattere di più e con maggiori difficoltà perché se prima, da monaco, aveva lottato contro i soli demoni, adesso avrebbe dovuto lottare anche con i demoni che agivano attraverso gli uomini. il monaco allora comprese l'umiltà del padre e chiese perdono. (la storia si ripete, se ricordo bene, anche per mettere in riga quei monaci che si gonfiavano a difesa della superiorità della vita eremitica rispetto a quella cenobitica) - no acrimonia, però mi pare che spesso ci manchi l'umiltà di capire che non siamo nemmeno in grado di capire cosa sia la vita spirituale

    una curiosità, davvero san Francesco era francese? questa mi è completamente nuova.
    cordialmente Francesco

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  17. Il padre Pietro Bernardone si trovava in Francia al momento della nascita e chiamò il figlio Francesco in onore a questa terra che pare gli avesse portato molta fortuna e denaro.
    Grazie Francesco per la tua riflessione monastica che giunge a proposito.

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  18. La Chiesa è Corpo di Cristo, con varie membra, ognuna con una sua specifica funzione a vantaggio di tutto l'organismo, cioé il Corpo stesso. In Cristo, con Cristo, e per Cristo, si riceve una Triplice Iniziazione: sacerdotale, regale, profetica. Nella carne e nel mondo, non si possono fare tre cose insieme, e ognuno esercita il ministero per il quale ha i “talenti” e i “carismi” giusti, che gli sono stati donati. La Chiesa non può essere formata di soli sacerdoti, né di soli profeti e artigiani, né di soli cavalieri, così come un corpo non può essere formato da sole braccia, o sole gambe, o troppe teste. C'è bisogno di diversità di funzioni, e unità d'intento.
    Per i “laici”, che già hanno difficoltà nel secolo, ossia nel mondo, ve ne sarebbero molte di più se non ci fossero monaci che pregano anche per loro, per “noi laici”. Se un priore non ha idea del valore della Preghiera sua e dei suoi monaci, se non sa rispondere a quale sia il senso della vocazione a isolarsi... ciò desta in me un certo sconcerto. O che, ci siamo dimenticati completamente della Comunione dei Santi...?

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  19. Caro Miles Armatus, condivido totalmente la tua riflessione. A furia di frequentare troppo il mondo, proprio i chierici a volte perdone la bussola e dimenticano l'essenziale della nostra fede.

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  20. Buongiorno a tutti

    mi sento solo in dovere di rispondere a Miles Armatus per l'affermazione che trovate di seguito e che mi sembra sia una risposta ad una mia diretta testimonianza di qualche post fa:

    "Se un priore non ha idea del valore della Preghiera sua e dei suoi monaci, se non sa rispondere a quale sia il senso della vocazione a isolarsi... ciò desta in me un certo sconcerto".

    Posso assicurarti che questo priore (il cui nome preferisco non citare per rispetto alla sua privacy e che ho avuto modo di conoscere personalmente) è un sant'uomo. La sua risposta non era dettata da "ignoranza" riguardo al ruolo del monaco ed allo scopo della vita monastica, ma era a sua volta una piccola provocazione in risposta alla domanda dell'intervistatore, nel tentativo di voler dimostrare quanto i piani del Signore siano spesso imperscrutabili anche per gli uomini di fede. Detto ciò, chi può contestare il perchè molti uomini vengano scelti per vivere una vita in mezzo al popolo ed altri, una cerchia più ristretta vengano scelti da Dio per una vita monastica? E' chiaro che conosceva bene il significato della vita monastica, ma in quel caso ha voluto evitare di dare la solita risposta da "libro di testo". Ci tengo ad offrire questa ulteriore specificazione perchè di questo priore nutro grande stima e rispetto e non voglio che (pur restando nell'anonimato) una sua risposta venga mal interpretata.

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  21. Utile e doverosa precisazione. Grazie Fabrizio!

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