28/04/13

La teoria sociale di Steiner. Né di destra né di sinistra.

Sia detto per celia, ma per come vanno le cose in politica, e con la prospettiva poco allettante delle prossime elezioni, opterei per il colpo di Stato. Sto scherzando, ovviamente, faccio tanto per dire. State tranquilli, non voglio i colonnelli. Però, tanto per dire, non mi dispiacerebbe una soluzione golpista come quella che tentò un tale Guglielmo Longo ai tempi del regime fascista. Almeno per come la racconta Massimo Scaligero nel suo saggio autobiografico “Dallo yoga alla Rosacroce” (appena ripubblicato dalle Edizioni Mediterranee, a quarant’anni dalla prima edizione).
Scaligero lasciò le sue spoglie mortali nel 1980, ultrasettantenne; figura volutamente lontana dalla “cultura” ufficiale e dalle passerelle dei nomi noti, fu pensatore, esoterista, saggista (dagli oltre venti titoli) e giornalista. Seguace e continuatore dell’antroposofo Rudolf Steiner, elaborò un sistema di meditazione adatto all’uomo occidentale contemporaneo. Non è però di meditazione che voglio parlare, non renderei buon servizio a Scaligero spiegando in poche righe il suo pensiero; chi è interessato può andare a leggersi le suo opere. Invece l’aneddoto storico, l’avventura del signor Guglielmo Longo raccontata da Scaligero, merita attenzione in questa sede. Quantomeno come spunto.
Longo aveva combattuto la prima guerra mondiale fra gli Arditi. Un “simpatico scavezzacollo”, un poeta e un compagnone dalla “sonora risata”. Ebbene, un giorno Longo annunciò a Scaligero (dal quale aveva assorbito un po’ rozzamente alcuni insegnamenti spirituali) che aveva architettato un colpo di Stato: scioglimento del Partito Fascista, prepensionamento di Mussolini, instaurazione di un regime basato sulla “triarticolazione dell’organismo sociale”, ovvero sulle proposte di Steiner. Quest’ultimo è poco considerato da sociologi, filosofi ed economisti dentro e fuori le accademie, per il comprensibile scoglio di una visione del mondo fortemente spirituale. È però confortante che un nome del calibro di Geminello Alvi, non semplice economista ma pensatore eclettico e spregiudicato, citi e lodi spesso la “triarticolazione” steineriana nelle sue opere. Ricordarci inoltre che in fondo si tratta della distinzione fra le tre sfere dell’agire umano tipiche della tradizione indoeuropea (ben studiate da Georges Dumézil), ripensate per la civiltà moderna.
In sintesi, gli indoeuropei (indù, persiani, antichi greci, romani e vichinghi) e Steiner suggeriscono di restituire piena autonomia alla produzione e distribuzione di beni, alla politica intesa come scienza del Diritto e alla dimensione intellettuale e culturale. Ognuno di questi ambiti dovrebbe essere padrone in casa sua. Insomma, occorre immaginare una civiltà in cui l’economia non è controllata dallo Stato, ma nemmeno le sorti della politica dipendono dagli andamenti dei mercati. E scuole, ospedali, chiese, case editrici, università, laboratori scientifici e artistici, pensatoi vari sono liberi da condizionamenti statali o di portafoglio.
Certo, le tre sfere non devono diventare monadi isolate e indifferenti alle sorti delle altre; solo la circolazione di stimoli fra di loro permette la vita e la salute della società. Solo il libero scambio, appunto libero. Come libero dovrebbe essere per ogni cittadino il passaggio da una sfera all’altra, che non sono caste chiuse e rigide.
Ci pare pleonastico aggiungere che non è prevista la schiavitù (non si può dire lo stesso del capitalismo globalizzato o del neo-comunismo cinese), semmai delle corporazioni, nel senso nobile e solidale della parola.
Sembra roba seria, la teoria sociale di Steiner, di buon senso, per nulla ideologica, anzi libertaria e al contempo organica. Né di destra né di sinistra. Nemmeno c’è bisogno di essere antroposofi per prenderla in considerazione. Ambienti dell’Impero Austro-Ungarico, ad esempio, ci fecero più di un pensierino, ma la catastrofe del 1918 buttò tutto all’aria.
E il tentativo di Longo? Scaligero non si interessava di politica, si considerava “il contrario di quel che è un uomo politico”. Non diede troppo spago all’ex ardito, più che altro si assicurò che l’esclusione della violenza fosse un punto fermo dell’impresa. Poiché Longo sosteneva di aver coinvolto “personaggi chiave della cultura e delle forza armate”, Scaligero gli chiese comunque di tenerlo aggiornato.
Alla fine il golpe steineriano rimase “inceppato nella più volgare delle difficoltà: quella dei mezzi finanziari”. Abbandonato da tutti, Longo scelse di percorrere una via solitaria al regime-change. Gli andò male e finì in galera. Noi non vogliamo seguire il suo destino, non abbiamo in mente colpi di Stato stiamo scherzando, tanto per dire.
Però chiudiamo con altro aneddoto storico, non raccontato da Scaligero ma altrove dallo scrittore Fabio Tombari. Anch’esso antroposofo, però amico personale di Mussolini, gli consigliò la lettura de “I punti fondamentali della questione sociale”, l’opera in cui Steiner spiega la “triarticolazione” Erano i giorni drammatici di Salò, il Duce pare gli rispose: “L’Italia brucia, abbiamo le ore contate e con tutto quello che c’è da fare mi dai da leggere un libro!”. Invece il libro lo lesse, se dobbiamo fidarci di Tombari; qualche giorno dopo l’uomo di Predappio ammise che in quelle pagine aveva trovato “la risposta che tanto ho cercato per tutta la vita”. Per lui e per il fascismo era troppo tardi. Noi, invece, quanto tempo abbiamo?

Il Santo Graal: mito e realtà

Nuccio D’Anna, Il Santo Graal. Mito e realtà, Archè, Milano 2007. € 20

Presentazione
 
Da oltre un secolo gli studi sulla saga del Graal costituiscono la fatica di attenti eruditi appartenenti ad una esigua cerchia accademica, ma nel corso degli ultimi anni si è assistito ad una vera e propria inondazione di libri che in vario modo hanno preteso di accostarsi a questa complessa leggenda. Senza minimamente avere una preparazione filologica adeguata molti improvvisati ricercatori hanno tentato di interpretare la famosa coppa vedendo in essa di tutto, dall’Arca Santa alla metafora di una dinastia reale, da un veicolo di pura potenza materiale al calice che il Cristo ha avuto in mano concretamente durante l’ultima Cena. Una serie innumerevole di indagatori si è data la pena di spiegare perché è importante ritrovare questa coppa e quali benefici materiali ne possono derivare a coloro che riescono nel compito. Qualcuno è arrivato persino a negare che nella saga del Graal la cosa più importante sia… il Graal e ha tentato d’indicare vaghi percorsi di ricerca che lascerebbero pietrificati profondi eruditi di scuola antica come Gaston Paris, Eduard Wechssler, Arthur Edward Waite o Edmond Faral. Si è visto di tutto e il contrario di tutto, sino a far perdere al Graal le caratteristiche che la leggenda gli ha attribuito e si è delineata una astratta “cerca” senza alcuna mèta, priva di qualsiasi significato spirituale. A poco a poco lo stesso simbolismo che sostanzia in modo inequivocabile le diverse versioni della leggenda si è liquefatto in ipotesi personali scaturite solo dalle elucubrazioni mentali di alcuni improvvisati scrittori.
Il compito che ci siamo proposti non è quello di partecipare a questa specie di fiera para-culturale, ma di riportare la saga del Graal innanzitutto alle sue basi storiche e compositive, poi studiare l’autentico simbolismo che emerge nei diversi cicli narrativi e infine farne vedere i risvolti dottrinali e spirituali. Il tema viene affrontato secondo l’ottica di uno storico delle religioni che non  intende affatto trascurare il sottofondo ecclesiale e persino liturgico sul quale si sono mosse le varie leggende e che in sé sembra avere costituito l’humus del quale si sono nutriti molti racconti. La nostra ricerca ha fatto emergere un sostrato ricco di tutta una serie di arcaiche leggende, di rituali antichi, di simboli universali, di oggetti di devozione, di luoghi di culto e di pellegrinaggio presso i quali la Coppa e il Sangue del Cristo hanno costituito un punto di riferimento diretto, sono stati la vera cornice storica, sociologica e dottrinale del  Graal e spesso il loro floruit ha coinciso con la diffusione di questa saga in regioni nelle quali quelle forme liturgiche hanno avuto il loro punto di forza.
Per poter comprendere le radici spirituali e il complesso simbolismo del Graal non si possono trascurare i legami con l’eredità antico-celtica e quelli, più particolari, con il monachesimo cristiano presente nelle regioni in cui verosimilmente è stata formulata la prima versione del Graal. Pensiamo che molti personaggi della leggenda, lo stesso Merlino o quegli enigmatici eremiti la cui immagine appare poco collegata col mondo ecclesiale, ma che, tuttavia, nei racconti spesso danno la chiave interpretativa del simbolismo e di molti aspetti del rituale, possano trovare una loro spiegazione in quel misterioso retroterra ad un tempo culturale e spirituale che ha fecondato quella particolare forma tradizionale che è conosciuta come Cristianesimo celtico, i cui monaci e i cui eremiti hanno costituito il tramite per la preservazione degli elementi “essenziali” della spiritualità druidica e la loro “trasfigurazione” nella tradizione cristiana.
Per dare significato al simbolismo che sostanzia il ciclo del Graal ci si è perciò preoccupati di seguire le diverse formulazioni della leggenda quali emergono prima in Chrétien de Troyes, le cui opere in vario modo appaiono fortemente radicate nelle forme spirituali derivate dal mondo antico-celtico; poi nelle lunghe quattro Continuations che sviluppano una materia e un complesso simbolismo quasi completamente assente nello scrittore francese; poi ancora nella “trilogia” di Robert de Boron e nel ciclo del Lancelot-Graal dove le dottrine contemplative cristiane e i simboli formulati dai monaci cluniacensi di Glastonbury e dai “monaci bianchi” di Citeaux diventano fondamentali; infine nei testi compilati in area tedesca (Wolfram von Eschenbach e Albrecht von Scharfenberg), i quali mostrano chiaramente un’enigmatica presenza di dottrine islamiche quasi sicuramente mediate dall’Ordine del Tempio, che completano, vivificano e arricchiscono il sostrato antico-celtico e quello cristiano del Graal.
Nuccio D'Anna

25/04/13

IL VUOTO CREATIVO


Il Prof. Alessandro Grossato

Sabato 27 aprile, h. 9.30

Relazione del Prof. Alessandro Grossato, "Il simbolismo del vuoto e dell'assenza nelle dottrine metafisiche dell'Eurasia"

IL VUOTO CREATIVO. Incroci tra arte, filosofia, letteratura, psicoanalisi, scienze e spiritualità

MONASTERO DI FONTE AVELLANA
26 - 27 - 28 Aprile 2013

Il PDF del Programma completo è scaricabile al seguente indirizzo:

http://www.fonteavellana.it/file/1365671352.pdf

22/04/13

GIULIO ALFANO: "I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA POLITICA DI LUIGI STURZO"


      Il laico che opera in politica non lo fa in quanto cristiano, ma da cristiano.
     Egli non agisce alle dipendenze della Gerarchia ma nella propria responsabilità; non compie azione cattolica di evangelizzazione, ma azione politica in base alle proprie convinzioni religiose e morali; non si propone di costruire la Città di Dio, compito della Chiesa e della comunità religiosa, ma di contribuire alla costruzione della città dell’uomo.
     Il laico elabora programmi politici e compie azioni politiche tenendo conto dei principi cristiani, ispirandosi a essi, ma lo fa in piena autonomia, sotto la propria responsabilità, operando scelte opinabili perché frutto, alla luce di quei principi immutabili, della propria interpretazione, della mutevole e varia congiuntura storica, e non derivanti direttamente dai contenuti della fede religiosa, né imponibili come verità di fede.
     I meriti di Luigi Sturzo furono molti, fra i quali l’aver capito il momento opportuno del dopoguerra, l’aver agito in armonia con la Gerarchia Ecclesiastica e con l’intera comunità cristiana, l’aver chiarito il rapporto fra la politica e la religione, come fra i partiti e la Chiesa, l’aver fondato l’autonomia politica dei laici e l’aconfessionalità del partito politico.