Nuccio D’Anna, Il Santo Graal. Mito e realtà, Archè, Milano
2007. € 20
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Presentazione
Da oltre un secolo gli
studi sulla saga del Graal costituiscono la fatica di attenti eruditi
appartenenti ad una esigua cerchia accademica, ma nel corso degli ultimi anni
si è assistito ad una vera e propria inondazione di libri che in vario modo
hanno preteso di accostarsi a questa complessa leggenda. Senza minimamente
avere una preparazione filologica adeguata molti improvvisati ricercatori hanno
tentato di interpretare la famosa coppa vedendo in essa di tutto, dall’Arca
Santa alla metafora di una dinastia reale, da un veicolo di pura potenza
materiale al calice che il Cristo ha avuto in mano concretamente durante
l’ultima Cena. Una serie innumerevole di indagatori si è data la pena di
spiegare perché è importante ritrovare questa coppa e quali benefici materiali
ne possono derivare a coloro che riescono nel compito. Qualcuno è arrivato
persino a negare che nella saga del Graal la cosa più importante sia… il Graal
e ha tentato d’indicare vaghi percorsi di ricerca che lascerebbero pietrificati
profondi eruditi di scuola antica come Gaston Paris, Eduard Wechssler, Arthur
Edward Waite o Edmond Faral. Si è visto di tutto e il contrario di tutto, sino
a far perdere al Graal le caratteristiche che la leggenda gli ha attribuito e
si è delineata una astratta “cerca” senza alcuna mèta, priva di qualsiasi
significato spirituale. A poco a poco lo stesso simbolismo che sostanzia in
modo inequivocabile le diverse versioni della leggenda si è liquefatto in
ipotesi personali scaturite solo dalle elucubrazioni mentali di alcuni
improvvisati scrittori.
Il compito che ci siamo proposti non è quello di partecipare a questa
specie di fiera para-culturale, ma di riportare la saga del Graal innanzitutto
alle sue basi storiche e compositive, poi studiare l’autentico simbolismo che
emerge nei diversi cicli narrativi e infine farne vedere i risvolti dottrinali
e spirituali. Il tema viene affrontato secondo l’ottica di uno storico delle
religioni che non intende affatto trascurare il sottofondo ecclesiale e
persino liturgico sul quale si sono mosse le varie leggende e che in sé sembra
avere costituito l’humus del quale si sono nutriti molti racconti. La nostra
ricerca ha fatto emergere un sostrato ricco di tutta una serie di arcaiche
leggende, di rituali antichi, di simboli universali, di oggetti di devozione,
di luoghi di culto e di pellegrinaggio presso i quali la Coppa e il Sangue del
Cristo hanno costituito un punto di riferimento diretto, sono stati la vera
cornice storica, sociologica e dottrinale del Graal e spesso il loro floruit ha
coinciso con la diffusione di questa saga in regioni nelle quali quelle forme
liturgiche hanno avuto il loro punto di forza.
Per poter comprendere le radici spirituali e il complesso simbolismo
del Graal non si possono trascurare i legami con l’eredità antico-celtica e
quelli, più particolari, con il monachesimo cristiano presente nelle regioni in
cui verosimilmente è stata formulata la prima versione del Graal. Pensiamo che
molti personaggi della leggenda, lo stesso Merlino o quegli enigmatici eremiti
la cui immagine appare poco collegata col mondo ecclesiale, ma che, tuttavia,
nei racconti spesso danno la chiave interpretativa del simbolismo e di molti
aspetti del rituale, possano trovare una loro spiegazione in quel misterioso
retroterra ad un tempo culturale e spirituale che ha fecondato quella
particolare forma tradizionale che è conosciuta come Cristianesimo celtico, i
cui monaci e i cui eremiti hanno costituito il tramite per la preservazione degli
elementi “essenziali” della spiritualità druidica e la loro “trasfigurazione”
nella tradizione cristiana.
Per dare significato al simbolismo che sostanzia il ciclo del Graal ci
si è perciò preoccupati di seguire le diverse formulazioni della leggenda quali
emergono prima in Chrétien de Troyes, le cui opere in vario modo
appaiono fortemente radicate nelle forme spirituali derivate dal mondo
antico-celtico; poi nelle lunghe quattro Continuations che sviluppano una materia e un complesso
simbolismo quasi completamente assente nello scrittore francese; poi ancora
nella “trilogia” di Robert de Boron e nel ciclo del Lancelot-Graal dove le dottrine contemplative cristiane e
i simboli formulati dai monaci cluniacensi di Glastonbury e dai “monaci
bianchi” di Citeaux diventano fondamentali; infine nei testi compilati in area
tedesca (Wolfram von Eschenbach e Albrecht von Scharfenberg), i quali mostrano
chiaramente un’enigmatica presenza di dottrine islamiche quasi sicuramente
mediate dall’Ordine del Tempio, che completano, vivificano e arricchiscono il
sostrato antico-celtico e quello cristiano del Graal.
Nuccio D'Anna
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