La
rivista Antarès nasce, nell’estate del 2010, per iniziativa di un gruppo di
studenti dell’Università degli Studi di Milano, intenzionati ad approfondire
talune tematiche che il mondo accademico pare ignorare risolutamente. É in
particolare il pensiero antimoderno a fungere da collante delle diverse
personalità che vi collaborano – un pensiero anticonformista e in
controtendenza rispetto a quelle correnti che determinano, quasi senza
esclusione, la totalità del nostro presente. Dopo la stampa di qualche
fascicolo, dapprima a spese dei redattori e in seguito grazie ai fondi
universitari previsti per le attività culturali studentesche, l’iniziativa
viene accolta dalle Edizioni Bietti, che permettono al progetto di uscire dal
mondo universitario, con scansione trimestrale, per raggiungere un pubblico più
ampio.
Direttore
editoriale: Andrea Scarabelli
Direttore responsabile: Gianfranco de Turris
Redattori:
Rita Catania Marrone, Francesca Noemi Coscia, Emanuele Guarnieri
Contatti:
antares@edizionibietti.com
Direttore responsabile: Gianfranco de Turris
Redattori:
Rita Catania Marrone, Francesca Noemi Coscia, Emanuele Guarnieri
Contatti:
antares@edizionibietti.com
Il
MANIFESTO DI ANTARES
IL
PROGETTO che presentiamo si rivela, al contempo, conclusione di una serie di
riflessioni svolte dalle personalità che vi ruotano intorno e come periplo
intellettuale e filosofico, atto a favorire lo sviluppo di tematiche la cui
urgenza DEVE impensierire chi ha a cuore la cultura di questo ateneo, di questa
città, di questo nostro tempo.
Da
siffatte preoccupazioni nasce questa associazione, la quale si prefigge, come
scopo da conseguire, una riflessione costante e puntuale su quei DOGMI in nome
dei quali il mondo moderno – nonostante la sua apparente avversione per ciò che
è dogmatico – miete le sue vittime. Riflessioni, queste ultime, il cui
contenuto è stato abbozzato nell’opuscolo diffuso, in cinquanta copie –
tiratura limitatissima dovuta alla natura stessa del progetto, il quale è
interamente autofinanziato – tra il 18 e il 19 ottobre, nel nostro Ateneo.
Proprio in merito a quanto trattato in esso, Antarès, nella forma della sua
redazione e dei suoi collaboratori, accusa tutti i SISTEMATISMI, volti a
cristallizzare in forme costituite il divenire multiforme e metamorfico di una
vita che assai malvolentieri accetta la prigionia, che sia museale, analitica o
da catalogo. E ciò, sulla scia di un Goethe, che lesse piuttosto svogliatamente
la kantiana Critica della ragion pura entusiasmandosi invece per la Critica del
Giudizio.
Un
MODERNISMO che reinterpreta e riscrive gli albori e i destini planetari per
porsi quale stadio definitivo e conclusivo di quelle istanze che altre culture
– lontane da noi tanto spazialmente quanto temporalmente – non sarebbero state
in grado di compiere. Come se gli Antichi, loro malgrado, non fossero che
Moderni imperfetti!
Il
mito del PROGRESSO il quale, livellando le specificità delle culture, le
consegna in catene all’altare della Modernità totalitaria. E così il
materialismo, ancella del progressismo, del quale prepara l’avvento, in quanto
suo elemento costitutivo e complementare. Solo attraverso la riduzione della
storia intera a dinamiche di ordine materiale, infatti, è possibile costruire
ponti ideali tra culture NATURALMENTE differenti. Materia e progresso sono i
figli gemelli della Modernità. Ma un’indagine morfologica e destinale non può
che avere in odio ogni qualsivoglia Storia Mondiale.
Il PASSATISMO, rivelantesi alla stregua di supina denuncia di una umanità incapace di produrre forme e condannata al TRAMONTO, secondo la lezione di certa eretica filosofia della storia. Non al passato occorre guardare, non al divenuto, al cristallizzato, ma ad un divenire che, come spartito, ritorna, seppure con variazione, come inedita – e, al contempo, ancestrale – configurazione storica e destinale. Non occorre cercare in altre epoche le soluzioni alla crisi che attanaglia la Modernità – come la fiamma che, accarezzando la carta, ne rivela i caratteri occultati, così la decadenza produce, al contempo, anticorpi che IN NESSUN ALTRO MODO avrebbero potuto essere generati. Curare la modernità CON la modernità stessa. Questa è la scommessa intellettuale che anima le presenti ricerche.
Il PASSATISMO, rivelantesi alla stregua di supina denuncia di una umanità incapace di produrre forme e condannata al TRAMONTO, secondo la lezione di certa eretica filosofia della storia. Non al passato occorre guardare, non al divenuto, al cristallizzato, ma ad un divenire che, come spartito, ritorna, seppure con variazione, come inedita – e, al contempo, ancestrale – configurazione storica e destinale. Non occorre cercare in altre epoche le soluzioni alla crisi che attanaglia la Modernità – come la fiamma che, accarezzando la carta, ne rivela i caratteri occultati, così la decadenza produce, al contempo, anticorpi che IN NESSUN ALTRO MODO avrebbero potuto essere generati. Curare la modernità CON la modernità stessa. Questa è la scommessa intellettuale che anima le presenti ricerche.
La
QUANTITÀ, in tutte le sue configurazioni epocali. Dall’industria culturale, che
seleziona il valore delle cose e degli uomini secondo i dettami della tirannia
del danaro, a certo égalitarismo incapace di generare uguaglianza se non
attraverso la massificazione selvaggia delle genti, l’inaugurazione di una
inaudita NOTTE DEI POPOLI. Dalla tecnocrazia imperante, che strangola i domini
della cultura, costringendo questa ultima, nella migliore delle ipotesi, a
farle da supporto teoretico, ad un individualismo che mutila l’uomo di quelle
dimensioni aliene dalla RATIO calcolante – autentico MITO della Modernità.
Certe
forme di popolarismo selvaggio le quali tendono a porsi come condizione
normalizzata di una politica che ha abdicato al suo compito di formare lo Stato
e non, meramente, di amministrarlo. E, così, certo apparente anticonformismo,
che, sovente, oltre a spartire i medesimi principi che vorrebbe ardere, si
dimostra essere il migliore alleato dei Leviatani, di ieri e di oggi.
Una precisa collocazione tanto ideologica quanto religiosa e fideistica, non intravedendo nelle usuali definizioni legate a questi domini – con scarsissime eccezioni – che simulacri e parodie. Dove la religione si esaurisca in certo moralismo, senza un minimo supporto di ordine spirituale, il presente progetto si dichiara ARELIGIOSO. Dove le categorie politiche consuete, alle soglie della postmodernità, abbiano perso la loro forza centripeta e propulsiva, Antarès si dichiara APOLITICA – purtuttavia, in senso stoico e non passivo, vale a dire come rifiuto ideale di falsi ideali.
Una precisa collocazione tanto ideologica quanto religiosa e fideistica, non intravedendo nelle usuali definizioni legate a questi domini – con scarsissime eccezioni – che simulacri e parodie. Dove la religione si esaurisca in certo moralismo, senza un minimo supporto di ordine spirituale, il presente progetto si dichiara ARELIGIOSO. Dove le categorie politiche consuete, alle soglie della postmodernità, abbiano perso la loro forza centripeta e propulsiva, Antarès si dichiara APOLITICA – purtuttavia, in senso stoico e non passivo, vale a dire come rifiuto ideale di falsi ideali.
RECLAMA
la MOLTEPLICITÀ in luogo della riduzione, la PLURALITA’ in luogo dei martirii
dell’univocità. Afferma che la storia, la scienza, l’uomo, la politica, la
cultura e quegli altri principi che fondano il nostro esserci odierno non
possano, per nessuna ragione, essere ridotti ad UNA delle loro dimensioni,
quale che essa sia.
Il
MOVIMENTO in luogo della quiete, il sentiero di montagna in luogo della pianura
che tutto livella. Il pensiero libero, vivo e pulsante, che ha in odio la
clausura dell’uomo entro schemi architettati da certo pessimo razionalismo che
altro non vede se non ghiaccio, forme morte e immobilità. Antarès reclama
Eraclito in luogo di Parmenide.
L’ARTE,
il Grande Stile, uniche fonti dalle quali, secondo la lezione nietzschiana, può
abbeverarsi quell’uomo che ha vissuto sino in fondo la bancarotta della
razionalità – o meglio, del culto di essa, secondo le riduzioni anzidette.
Giacché disponiamo dell’arte per liberarci dal dispotismo della razionalità.
Pensatori
messi al bando dalla cultura ufficiale – e da ampie sezioni del panorama
accademico all’interno del quale ci troviamo ad operare – in quanto
contraddicenti i DOGMI DELLA MODERNITA’, in quanto ingiurianti i suoi altari
secolarizzati. Maestri del progetto saranno intellettuali del calibro
metafisico di Nietzsche, Spengler, Jünger, Benjamin, Huizinga, Baudelaire,
Evola, Heidegger, Guénon, Schmitt, Stirner, de Benoist, Trakl, Kafka, Thoreau,
Yeats, Eliot, Pound, Cioran, Huxley, Orwell, Pessoa, Céline, Tolkien, Borges,
Anders, Eliade, Michelstaedter e altri che hanno combattuto e combattono
tuttora sul fronte antimoderno. Voci stonate, fuori dal coro e ampiamente
inascoltate, forse proprio in quanto valide alternative alle aporie di un
sistema la cui precarietà è oggi sotto gli occhi di tutti.
LA
RIFLESSIONE in luogo dello studio passivo, la proiezione in luogo della
rifrazione, la filosofia della storia in luogo della storia della filosofia. Le
rovine in luogo delle biblioteche, la ricerca in luogo dell’accumulo, il
dialogo in luogo del monologo libresco. Il pro-getto in luogo dell’ansia di
esattezza che caratterizza una cultura monopolizzata da un positivismo che va
dispiegandosi, in misura sempre maggiore, strangolando intere sezioni del
panorama culturale a noi contemporaneo.
Innanzi
agli scempi perpetrati dalle filosofie ANALITICHE – sia d’oltreoceano che
nostrane – l’UNITA’ METAFISICA DI OGNI ENTE IN QUANTO TALE, secondo il precetto
olistico per il quale un tutto è alcunché di QUALITATIVAMENTE superiore alla
somma aritmetica e dunque QUANTITATIVA delle sue componenti.
Un
ANTIMODERNISMO che non si risolva in una sterile critica del presente ma che
sia in grado di fornire a questo ultimo strumenti che, invero, sono GIA’ in suo
possesso. Dotare la modernità di una metafisica alla sua altezza: questa la
celebre scommessa tra Faust e Mefistofele, della quale il presente progetto si
sente erede.
IL PRIMATO DELLA DOMANDA SULLA RISPOSTA. Ciò, nella persuasione che la modalità di formulazione della prima determini attivamente il configurarsi della seconda e che una adeguata impostazione del domandare, secondo la lezione heideggeriana, possa fungere da scandaglio tra le innumerevoli soluzioni, tanto artificiose quanto fallaci, con le quali la modernità omaggia le coscienze. Giacché è lo stesso domandare la via maestra per raggiungere quelle oasi che ancora costellano il deserto che cresce, in misura sempre maggiore, nel cuore dell’uomo moderno.
IL PRIMATO DELLA DOMANDA SULLA RISPOSTA. Ciò, nella persuasione che la modalità di formulazione della prima determini attivamente il configurarsi della seconda e che una adeguata impostazione del domandare, secondo la lezione heideggeriana, possa fungere da scandaglio tra le innumerevoli soluzioni, tanto artificiose quanto fallaci, con le quali la modernità omaggia le coscienze. Giacché è lo stesso domandare la via maestra per raggiungere quelle oasi che ancora costellano il deserto che cresce, in misura sempre maggiore, nel cuore dell’uomo moderno.
Il
dibattito, la polemica, la scrittura e l’espressione artistica, questioni di
VITALE importanza all’interno di un’epoca nella quale le riflessioni sono
schiacciate dalla tirannide degli slogan. Il progettarsi, l’aprire nuovi
sentieri alle idee, in un ciclo storico nel quale ogni originalità si risolve
nel rimescolare vecchi principi, ormai arrugginiti. Un futuro vivo e creativo,
contrapposto alle distopie escatologiche, di cui il progressismo vive per
perpetuarsi.
Un
pensiero, per usare il celebre motto spengleriano, che non si limiti a cadere
all’interno di un’epoca ma che accolga la sfida di determinare, di FARE epoca.
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