21/11/10

I «fratelli di Gesù»

Roberto REGGI, I «fratelli di Gesù». Considerazioni filologiche, ermeneutiche, storiche, statistiche sulla verginità perpetua di Maria, EDB, Bologna 2010, pp. 256, euro 22,50.

[Recensione di Mario A. Iannaccone]

Gesù aveva fratelli carnali? Ogni tanto la questione viene risollevata, talvolta puntellandola all’interpretazione di nuovi reperti archeologici; è il caso di quell’Ossario di Giacomo che fu presentato nel 2002 a Washington da André Lemaire (ma il reperto oggi è sospettato di falso). Com’è ovvio, una risposta affermativa alla domanda se Gesù avesse fratelli può rendere invalido il dogma della verginità perpetua di Maria. La posizione tradizionale della Chiesa, ribadita dalla patristica a partire da San Girolamo e da numerosi dottori, è che Maria non ebbe altri figli oltre a Gesù.

La posizione protestante (per la quale si espressero Lutero, Zwingli e Calvino) è stata simile per lungo tempo. Fu Elpidio, vescovo ariano di Milano nel IV secolo, che sostenne che gli adelphói nominati nei Vangeli, Giacomo Giuseppe, Giuda e Simone, siano stati i “fratelli” di Gesù nati da Maria prima o dopo Gesù. A lui rispose, appunto, Girolamo sostenendone la verginità perpetua. Dalla fine dell’Ottocento, il dibattito è stato ripreso in molte chiese riformate (che hanno negato la verginità) e da ricercatori di varia provenienza e serietà. La posizione classica della Chiesa viene attaccata perché sarebbe fondata su una sovrastruttura teologica e non già sulla storia.

Ben consapevole della delicatezza del tema e della presenza d’un dibattito multidisciplinare fittissimo di contributi, Roberto Reggi – giovane studioso che ha già all’attivo una quindicina di traduzioni di testi veterotestamentari – ha scritto il libro I “fratelli” di Gesù, Considerazioni filologiche, ermeneutiche, storiche, statistiche sulla verginità perpetua di Maria, appena pubblicato dalle Edizioni Dehoniane Bologna, tenendo conto di tutte le posizioni e di tutte le ipotesi che si sono accumulate nei secoli. Per esporre le sue conclusioni con chiarezza e migliorare la leggibilità e la persuasività di un ragionamento che si avvale dell’apporto di discipline storiche (e non poggia sul fideismo), l’autore ha inserito nel suo libro numerosi diagrammi, tabelle, esami comparati, schemi ed analisi statistiche. In questo modo, la discussione sui personaggi che nel Nuovo Testamento possono essere identificati, anche implicitamente, come “fratelli” di Gesù diventa più chiara.

E le varie ipotesi, che gli adelphói fossero cugini paterni, materni, fratellastri, fratelli o “collaboratori” (apostoli o altri discepoli) vengono presentate con singolare chiarezza visiva assieme a quella che ha la maggiore probabilità di essere vera: che gli adelphói siano quattro “cugini paterni”, figli dello zio paterno di Gesù, Alfeo Cleofa, e di sua moglie Maria di Cleofa. Il termine che traduce il greco adelphós è polisemico e suscettibile di varie traduzioni. Nel greco precristiano il vocabolo indica proprio i fratelli carnali o i fratellastri, che abbiano in comune almeno un genitore, e occupa dunque un campo semantico circoscritto.

Nelle traduzioni in greco ellenistico di brani di lingue semitiche, il campo semantico, inevitabilmente, si allarga, sfuma, si fa meno certo ed è per questo che sono possibili una mezza dozzina di traduzioni, da precisare a seconda del contesto: cugino o parente in senso generico, fratello, fratellastro e collaboratore-discepolo. Roberto Reggi presenta anche le altre ipotesi e argomenta con efficacia il perché, sulla base di argomenti filologici, di ermeneutica del testo, storiche e antropologiche, esse possano essere considerate, nel complesso, assai meno probabili. Va detto che questo libro è accessibile anche ai lettori non specialisti, grazie proprio alla struttura con la quale è costruito.

Ogni ipotesi viene illustrata con il medesimo metodo e con pari accuratezza, a ciascuna viene dato il giusto spazio. Reggi conclude che l’unica interpretazione che riesce a comporre in un quadro coerente, organico e non contraddittorio le informazioni rintracciabili nel Nuovo Testamento è proprio l’interpretazione di adelphói come “cugini”. A tale approdo si arriva per ragione, e non per forzare le pur frammentarie evidenze storiche all’interno del quadro dell’esigenza teologica. Nessun fideismo cieco ma, al contrario, un’analisi guidata dal lume della ragione, che circoscrive il campo, seleziona i metodi storici e filologici mediante i quali procedere per approdare a conclusioni che – ma questo lo si verifica in fondo al percorso – si armonizzano con gli insegnamenti della Chiesa.

(Fonte: “Avvenire“, 10 novembre 2010)


2 commenti:

  1. La ragione aveva torto, disse qualcuno. Non basta la ragione a spiegare tutto, soprattutto quando capitano sul tavolo dello studioso il testo sacro, il Vangelo, le cui fonti, traduzioni, interpretazioni sono tra le più complesse da analizzare, sviscerare, capire. Lessi da ragazzotto l'opera del Ricciotti su Gesù, credo che sia ancora buona in quanto a profondità. Ho letto pure ultimamente gli studi controcorrente di anglofoni dilettanti - sempre sferzanti quando non blasfemi - e li ho trovati banali e tendenziosi. Hanno successo tra un pubblico digiuno di studi seri. La storia di Cristo, credo, non si può ridurre soltanto con i criteri scientifici. La griglia interpretativa degli accademici non mi soddisfa, anche studiosi credenti non mi convincono con le loro analisi. No, ci vuol ben altro per entrare in risonanza con una storia sacra. Sì, perché non è col bisturi della ragione che si può comprendere ciò che è divinoumano. Qui non si tratta di affrontare la Vita di Cristo con la lente di ingrandimento o col microscopio, non è una partita di calcio tra agnostici contro credenti e vinca il migliore. C'è dell'altro tra le righe, un ipertesto, un codice che apre porte, cuori, anime. Parola che risuona, illumina, risveglia. A me fa questo effetto quando medito sui Vangeli.
    La ragione ha torto quando vuol diventare l'unica risposta a tutto. Gesù non è Cartesio, va oltre ogni riduzionismo umano, indica dentro il cuore dell'uomo le latenze da portare in superfice, non distingue tra maschio e femmina, tra spirito e materia, apre ciò che è chiuso da pregiudizi, istituzioni, ci dice che il Regno di Dio è dentro di noi, dove altrimenti? Dove, se non fuori da ogni rigida convenzione religiosa, oltre norme, precetti, dottrine umane, troppo umane. Caro Aldo sono fuori tema, scusa, ma anche un eretico può amare Cristo, al di là della ragione, col cuore, come Pascal suggeriva.

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  2. Carissimo Angelo,
    non sei affatto fuori tema. Mi viene da dire: se la ragione ha torto e il tuo è un ragionamento (cos’altro sennò?), allora anche tu hai torto. Ma se tutti abbiamo torto e nessuno “ragione”, allora dove sta di casa la verita (con la minuscola)?Giacché anche la verità storica ha la sua importanza e senza non avremmo argomenti di cui parlare. Infatti, una cosa è riconoscere i limiti della ragione (ma la Chiesa caro Angelo li riconosce eccome: è anche la lezione di Kant), altro è pensare a una religione senza ragionamento che, come forse ho già avuto modo di dire, diventa pericolosa superstizione o diceria. Quindi tu dici bene, anzi benissimo, quando sostieni che “la ragione ha torto quando vuol diventare l'unica risposta a tutto”, ma hai torto quando pensi che la religione possa farne a meno o ridurla al silenzio con il pretesto di una superiore verità che comunque rimarrebbe inaccessibile ai più. Tu sai bene Angelo –o dovresti saperlo- che la Chiesa per esistere non può fare a meno della “verità storica” che appunto va ricercata con onestà e…ragione. O vuoi che qualcuno domani venga a dirci che “Gesù è morto dal freddo”? (ipotesi che farebbe il paio con le varie storie di fantasia degli gnostici che ieri magari avevano pure un significato simbolico, ma che oggi vengono credute da molti come “verità storiche”: Gesù esseno, Gesù morto in Kashmir, Gesù sposato con figli, Gesù omosessuale e altre simili amenità).
    Un abbraccio
    p.s.
    Confidenza. Quando ho letto il tuo intervento ho esclamato: “bravo Angelo!”.

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