31/10/07

Gli Olocausti Dimenticati


Riceviamo e segnaliamo:

Mercoledì 7 Novembre, alle ore 18
presso il “Caffè Storico Garibaldi” (Via Quattro Canti di San Francesco 28r– Genova) in occasione dell’uscita del numero speciale dedicato a “Gli olocausti dimenticati” incontro-aperitivo con la Rivista bimestrale “Storia Verità”.
Introdurranno:
Mariarosaria Murmura e Maurizio Gregorini dell’Associazione Opera Prima.
Interverranno: Enzo Cipriano (editore della testata STORIA VERITA’), Alberto Rosselli (direttore editoriale della rivista).
Saranno presenti i collaboratori della rivista: Gianni Bernabò Brea, Mario Bozzi Sentieri, Bruno Pampaloni, Roberto Roggero.
La Sua partecipazione è particolarmente gradita.
Segreteria organizzativa Opera Prima - 3478105412
Per informazioni 010/8375357 o 0185/720912

Il termine di genocidio (dal greco ghénos, razza, stirpe e dal latino caedo, uccidere) è entrato in uso soltanto nel Ventesimo secolo, in concomitanza con l’esplodere dei conflitti mondiali e globali. Nell’antichità gli eserciti vincitori erano autorizzati, in forza da una sorta di regolamento non scritto, ma da tutti rispettato ed applicato, a saccheggiare le città e i territori strappati al nemico e a fare schiavi. Difficilmente, però, si assisteva a stermini di massa ai danni dei popoli vinti che di preferenza venivano assoggettati e inglobati, vuoi appunto come schiavi, vuoi, come accadde spesso in epoca romana, come ‘federati’. Il genocidio (termine genocidio coniato nel 1944, in riferimento allo ‘sterminio armeno’ perpetrato dai turchi tra il 1915 e il 1918, dal giurista polacco di origini ebraiche Raphael Lemkin) ovvero lo sterminio totale della parte vinta, emerge dunque con prepotenza in stretta relazione con l’avvento delle guerre ideologiche e/o a rinnovato e innovativo contenuto tecnologico. Detto questo, moltissimi ‘genocidi’ del XX secolo o ancora in atto, ai giorni nostri, sul pianeta che ci ospita, risultano poco noti, se non del tutto sconosciuti. Ragion per cui, con questo numero monografico (e con il successivo), StoriaVerità si è posta come obiettivo quello di ricordare al grande pubblico quelli maggiormente negletti, cioè ‘dimenticati’ o ripercorsi troppo frettolosamente dai ricercatori, vuoi per condizionamenti ideologici (vedi quello cambogiano), vuoi per sottovalutazione della questione (la soppressione delle cultura indiana nordamericana), vuoi addirittura per cancellazione ope legis (l’olocausto armeno’). Consci del fatto che la Storia non è – come molti credono ed auspicano - un formaggio svizzero ricco di buchi che non si debbono o possono riempire, ma un qualcosa da analizzare in toto, StoriaVerità ha deciso di scendere in campo per sfatare, anzi combattere, questo dannoso oltre che sleale paradigma... Una testata di ‘ricerca storica’ come la nostra ha infatti – diremmo per statuto deontologico - il dovere di scoprire, raccontare e riempire questi buchi, sen non altro per ridare alla Storia stessa dignità di esperienza vissuta e subita (anche drammaticamente), dando una continuità temporale e reale allo svolgersi degli avvenimenti, anche a costo di infastidire o scandalizzare. D’altra parte, StoriaVerità è una testata non certo ‘politicamente corretta’ (viva Dio) ed ama quindi mettere le mani ad argomenti scomodi, senza ipocrisie o ‘buonismi’ d’accatto….

29/10/07

Ennesima mossa dell'Avversario


Riportiamo dal "Corriere della Sera" del 25 ottobre 2007:

Il Padre Pio di Sergio Luzzatto è un libro importante e serio. Per questo, non gli rendono giustizia certe anticipazioni giornalistiche che — dalle oltre 400, fitte pagine — estrapolano «rivelazioni » e «gialli», come le richieste da parte del frate di acido fenico e di veratrina, quasi fossero le sostanze con cui procurarsi stigmate truffaldine. A questi sospetti — provenienti soprattutto da ambienti clericali — hanno già dato risposta da decenni non solo gli agiografi del frate, non solo perizie e controperizie di illustri clinici, ma anche le inchieste implacabili delle commissioni vaticane che hanno portato alla beatificazione del 1999 e alla canonizzazione del 2002. Libro serio, dicevo, che non merita presunti scoop da rotocalco; libro nato da anni di lavoro, da ricerche a tutto campo, non solo negli archivi (da cui sono emersi molti documenti inediti) ma anche nel fall out mediatico e magari spettacolare del «fenomeno padre Pio». Una serietà di indagine — unita a un gusto gradevole per la divulgazione che non disdegna l'aneddoto e la curiosità — di cui sarebbe sleale sospettare, basandosi solo su sviste sorprendenti: ad esempio, la veggente di Lourdes, Bernadette, indicata sempre e solo come Soupirous e non Soubirous, come sanno non gli specialisti, ma tutti i milioni di pellegrini alla grotta dei Pirenei.
Ci voleva, dunque, un ancor giovane ma già temprato studioso di tradizione ebraica per riempire una lacuna di informazione sul francescano che Luzzatto stesso (pur parlando di boutade, ma non troppo) definisce «l'italiano più importante del secolo scorso». In ogni caso come risulta da ogni indagine, il più pregato, accanto a Giovanni XXIII, oggetto anch'egli di un vastissimo culto popolare. È uno dei paradossi o, se si vuole, dei molti enigmi di questa storia: sono accomunati nella devozione della gente — e nella quasi contemporanea elevazione agli altari — il «Papa buono » e «lo stigmatizzato del Gargano», i cui rapporti furono o nulli o, addirittura, di «persecuzione» da parte di un pontefice dal polso ferreo sotto l'aspetto bonario. Luzzatto non ha torto nel rivendicare di avere colmato un vuoto: da una parte una vastissima, ripetitiva, spesso acritica produzione editoriale di devoti; dall'altra, gli scherni e le sbrigative liquidazioni di un anticlericalismo come quello dei pamphlet che vanno oggi per librerie. E dai quali Luzzatto prende subito le distanze, indicando esplicitamente, come esempio da evitare, le invettive goliardiche di un ex seminarista enragé come Piergiorgio Odifreddi.
Un vuoto riempito, dunque. Ma come? Certamente non solo con un lavoro lungo e tenace, ma con una pietas e un rispetto lodevoli. Ci sarà tempo e luogo per confrontarsi, e magari dissentire, sulla documentazione, di prima mano ma utilizzata secondo un taglio «politico» (che si annuncia sin dal sottotitolo) che fa l'interesse del libro per i laici, ma che è estraneo alla prospettiva del santo e della folla dei suoi devoti. Una incomprensione di un certo modo di sentire e di vivere la fede cattolica che, peraltro, non è certo rimproverabile a uno storico della formazione di Luzzatto. Sembra poco presente, qui, la consapevolezza della «ambiguità» necessaria nelle cose cristiane dove, per preservare la libertà di accettare o di rifiutare, sempre vige la dialettica rilevata da Pascal: «Abbastanza luce per credere, abbastanza buio per dubitare». Alter Christus secondo i devoti, Padre Pio condivide la sorte di Gesù stesso, considerato dalla nomenklatura del tempo un impostore, un falso Messia, oltre che «un ghiottone e un bevitore».
In ogni caso, Luzzatto si è accorto e, lo scrive, che «padre Pio è ormai ovunque», che non possiamo più prescindere dalla presenza enigmatica di un frate che pur non si mosse, per mezzo secolo, da un disadorno convento nel Sud più profondo. È ovunque: nelle gigantografie dei Tir sulle autostrade e nelle cornicette d'argento sui tavoli dei Vip, nel borsellino della massaia e nel portafoglio del professore. C'è, qui, il mistero di una presenza carismatica che stringe da vicino una infinità di vite. La mia stessa, alla pari di innumerevoli altre, magari con piccoli prodigi dove brillano l'attenzione e la misericordia per le cose quotidiane. Se è lecito, dunque, (e per capire), un aneddoto personale. Una spastica grave che non ho mai visto di persona ma con la quale intrattengo da decenni un rapporto epistolare, molto imparando dal suo sensus fidei. La sua desolazione, anni fa, per il ritardo nel ricevere posta, a causa di miei viaggi e di superlavoro, il suo rivolgersi a padre Pio, di cui è ovviamente devota, e l'immediato, forte profumo di fragola che è per lei il segno di essere stata ascoltata. Il mattino dopo, ecco la lettera. Ma, dall'annullo sul francobollo, risultava spedita il giorno stesso, soltanto un'ora prima: e tra le nostre case corrono più di 300 chilometri. L'esclusione, da parte del direttore dell'ufficio, che fosse possibile un errore nel timbro, errore impensabile ma che, comunque, avrebbe portato a un ritardo, non a un anticipo della data. Poco tempo dopo, una mia visita a un convento lombardo di cappuccini, l'incontro con un vecchio frate che fu a lungo segretario del Santo, sul Gargano. Al racconto dell'episodio, nessuna sorpresa ma un gesto di condiscendenza: «Roba normale, niente da stupirsi. Quando aveva una lettera che gli stava a cuore, mi diceva di metterla nella buca in piazza: ma al recapito provvedevano gli angeli custodi. Un'ora dopo, puntualmente, arrivava».
Che fare, con un tipo così? Studiarne la storia, certo, ma consapevoli che c'è, qui, una meta-storia che, per dirla col Vangelo «è rivelata ai piccoli e ai semplici ed è nascosta ai sapienti del mondo».

27/10/07

Il ritorno del Pinturicchio


A Perugia, 550 anni fa, nasceva da un’umile famiglia di artigiani Bernardino di Betto detto il Pintoricchio, il cui nome è diventato nei secoli Pinturicchio, destinato a diventare uno degli artisti umbri più conosciuti nel mondo.
In occasione dell’anniversario della nascita del Pinturicchio, rientra definitivamente in Italia la “Madonna col Bambino”(nella foto) , acquisita a Vienna dalla fondazione Cassa di Risparmio di Perugia ed esposta a Palazzo Baldeschi in concomitanza con le mostre umbre sull’artista. La regione, infatti, festeggia con una serie di iniziative che ruoteranno attorno alla mostra principale allestita a Perugia, nella Galleria Nazionale dell’Umbria, e al suo collegamento esterno, realizzato a Spello, per la valorizzazione della “Cappella Bella” nella Chiesa di Santa Maria Maggiore. Per quest’ultimo capolavoro dell’artista, sarà inaugurato il nuovo allestimento illuminotecnico che consentirà la migliore fruizione del ciclo pittorico, accompagnato da un accurato apparato didattico (a Spello saranno inoltre realizzate proposte teatrali e percorsi guidati inediti alla città).
La mostra di Perugia e l’iniziativa di Spello saranno aperte al pubblico dal 2 febbraio al 29 giugno. Il programma dedicato al Pinturicchio, elaborato da un comitato scientifico presieduto da Vittoria Garibaldi e composto da studiosi e specialisti di rilievo internazionale, è promosso dal ministero per i Beni e le Attività culturali in collaborazione con regione Umbria, provincia e comune di Perugia, comune di Spello e fondazione Cassa Risparmio Perugia. L’iniziativa sarà arricchita anche da percorsi e itinerari regionali alla scoperta, nei loro luoghi d’origine, delle testimonianze dell’opera di Pintoricchio e della stagione rinascimentale.
La rassegna monografica, dedicata a uno dei più interessanti protagonisti del Rinascimento italiano, prosegue l’opera di valorizzazione dei grandi artisti umbri. Dopo il Perugino, è la volta di Bernardino di Benedetto di Biagio, nato a Perugia e chiamato, con malcelato disprezzo, Pinturicchio, considerandolo come l’alter ego in tono minore del “divin pittore”, il grande Perugino. Una sezione della mostra indagherà il rapporto tra Pinturicchio e Raffaello Sanzio, ben più stretto di quanto normalmente si ritenga, mentre in un’altra sarà raccontata la fortuna di Pinturicchio sui contemporanei, rendendo così giustizia all’importanza del pittore nel panorama umbro.
In mostra saranno esposte quasi tutte le opere mobili esistenti di Pinturicchio, alcune delle quali mai viste in Italia, insieme con una importante selezione di opere coeve, allo scopo di illustrare il ruolo di primo piano ricoperto dall’artista nel panorama artistico del Rinascimento in Italia centrale. Gli anni a cavallo tra i due secoli XV e XVI furono caratterizzati da una serie continua di capolavori, dalla pala di Santa Maria de’ Fossi della Galleria Nazionale dell’Umbria alla “Cappella Bella” dipinta per i Baglioni a Spello e che dimostra tutta la grandezza di Pinturicchio. Custodita nella chiesa di Santa Maria Maggiore, la cappella è interamente decorata da affreschi eseguiti tra la fine dell’estate del 1500 e la primavera del 1501 dal Pinturicchio su commissione di Troilo Baglioni.
Capolavoro assoluto del Rinascimento italiano, nella “Cappella Bella” vengono narrati gli episodi mariani: sulle pareti di sinistra l'Annunciazione con episodi di vita quotidiana; in fondo l’Adorazione dei pastori, con la Cavalcata dei Magi in secondo piano; a destra la Disputa di Gesù con i dottori; nella volta le Sibille Tiburtina, Eritrea, Europea, Samia. Inoltre, nella vicina Pinacoteca sarà allestita la mostra “Pintoricchio e le arti minori” che, attraverso tessuti, codici miniati, intagli lignei, oreficerie e ceramiche, documenterà la vivacità della produzione coeva e il debito stilistico nei confronti del pittore.
L’anniversario di Pinturicchio sarà anche l’occasione per scoprire alcune sue opere ancora presenti nei luoghi di origine. Nel periodo della mostra, saranno aperte al pubblico (orari consultabili su www.mostrapintoricchio.it) la chiesa di Sant’Andrea a Spello, la chiesa della Madonna del Feltro e Palazzo Baldeschi al Corso a Perugia, la cattedrale di Santa Maria Assunta a Spoleto, il Complesso mussale di Trevi, il Museo del Duomo di Città di Castello, la cattedrale di Santa Maria Assunta di Orvieto.

Fonte: Adnkronos/Adnkronos Cultura

25/10/07

OGNISSANTI NON HALLOWEEN


Nei paesi latini sono "los dias de los muertos", da noi "i giorni dei morti", "Tutti i Santi" o più semplicemente "Ognissanti". Nel mondo celtico e anche in quello del mediterraneo precristiano erano da sempre i giorni ( e le notti ) durante i quali il varco tra i mondi umano e soprannaturale si faceva più sottile. Il Tempo si mutava in Spazio. Nulla a che vedere con l'attuale buffonata commerciale basata sul marketing delle industrie ( che non rispetta più neppure l'anglosassone originale Halloween ) che noi idioti italiani immemori della nostra cultura plurimillenaria abbiamo importato pari pari dal più becero mal costume consumistico americano. L'attuale finta festa di Halloween è un basso trucco per fregare i fessi, fare spendere ulteriori soldi alle famiglie in ciarpame nero e arancio. Vorrei che la Chiesa si ricordasse di "santificare le Feste" e ripristinasse, Lei per prima l'antico culto dei "morti" dove la "pietas"cristiana insegna a credere in "cose visibili e invisibili", nell'"aldilà" e in una Vita dopo la Morte.
Ridateci le nostre candele e il nostro incenso!!!

Halloween: sacerdote genovese invita ad obiezione di coscienza

«Halloween è pedofilia esercitata in campo morale, psicologico, spirituale, mentale, senza violentare il corpo». L’allarme è stato lanciato da don Marino Bruno, insegnante di religione e parroco della chiesa di Santa Maria delle Nasche, in un lungo articolo pubblicato oggi sul settimanale cattolico di Genova «Il Cittadino».
Il sacerdote ha chiesto «ai genitori ed agli educatori cristiani di evitare ogni manifestazione» legata a questa festa invitando a fare una «obiezione di coscienza» e a «non festeggiare Halloween». Halloween, spiega don Bruno, «è una festa dove le componenti religiose celtica e cristiana sono state eliminate» ed aggiunge: «c’è un abisso tra Halloween ed il carnevale: i mandanti di questo `carnevale d’ottobre´ sono gli stessi che stanno cercando di bombardare, con stile politically correct, la religione in sé e quella cattolica in particolare».
I mandanti, per don Bruno, sono «esoterismo, lobby politiche e filosofiche» che «lavorano per svitare il senso del sacro ed il rispetto che gli si deve» e che hanno quali «prede preferite i bambini». Il pensiero dominante, ha aggiunto il parroco delle Nasche, afferma che «forse un bambino può venir lasciato libero di scegliere da grande se farsi battezzare oppure no, Halloween va vissuta perché è innocua».
«Rendere la morte un carnevale - ha aggiunto il sacerdote - significa che il capolinea del vivere terreno è solo edonismo». E «un popolo infettato di edonismo può essere manipolato con maggiore facilità dal burattinaio più furbo».

24/10/07

Templari: non facciamone dei proto-massoni

Domani presso la Biblioteca Apostolica vaticana si tiene un evento di straordinaria importanza. Sarà presentata l’edizione critica dei documenti relativi al processo all’Ordine Templare, tenutosi fra 1307 e 1312. Fin qui la cronaca di un evento che senza dubbio interesserà gli studiosi; ma che, dato il suo oggetto, non mancherà di incuriosire anche un pubblico molto più vasto, ­noto che, quando si parla dei Templari, le passioni e gli interessi, le cacce ai tesori nascosti e agli imperscrutabili segreti si scatenano violentemente.
In effetti, un’avvisaglia­venuta da un’interessante ma anche discutibile dichiarazione di Claudio Bonvecchio, ordinario di Filosofia Politica all’Università di Trieste e studioso che non ha mai fatto mistero della sua militanza massonica. Bonvecchio si schiera con molta chiarezza, ma non senza qualche contraddizione, dalla parte dell’innocenza dei Templari; il loro scioglimento fu in effetti voluto dal re di Francia Filippo IV desideroso di appropriarsi dei loro tesori (se e nella misura in cui c’erano). In realtà, il sovrano intendeva liberarsi dello scomodo peso dell’Ordine, che gli aveva in passato prestato molto denaro; e vendicarsi forse di più recenti prestiti non accordati. Perchè­ noto che l’Ordine Templare, perdute ormai gran parte delle sue funzioni militari in seguito alla caduta della Terra Santa crociata, era in gran parte rifluito in Europa dove esercitava le funzioni di grande proprietario terrieri e di prestatore di denaro. Il che non mancava di addensare sulla sua testa molte inimicizie. In una parola, i Templari erano ormai, alla fine del Duecento, una presenza militarmente abbastanza inutile per il mondo cristiano e moralmente piuttosto scomoda.
La contraddizione latente nell’assunto di Bonvecchio sta nel militare da un lato per l’innocenza riguardo agli addebiti mossi all’Ordine Templare, ma nell’insinuare dall’altro lato che esso avesse ­un fondo gnostico ­che lo rende affine alla Libera Muratoria. In effetti, insieme alla corretta osservazione che la filosofia massonica, elaborata a partire dal XVIII secolo, attinge largamente a un substrato di tipo gnosticoermetico-esoterico, si lascia intendere che tra le associazioni massoniche e l’Ordine religioso-militare del Tempio esista qualche affinità concettuale e filosofica, nonchè forse una forma di filiazione.
Ma tale idea è ­un mito culturale elaborato a partire dal ’700 tra Inghilterra, Francia e Germania e sono ben noti i responsabili: personaggi come lo scozzese naturalizzato francese Ramsey e il nobile tedesco von Hund. Queste cose sono studiatissime e solo una letteratura occultistica di quint’ordine le prende sul serio. Stupisce che uno studioso di valore dia l’impressione di avvalorarle.
Ma non è ­tutto. Bonvecchio osserva correttamente che Clemente II non fece nulla per difendere i Templari anche se (e i documenti presentati in Vaticano lo dimostrano) era convinto della loro innocenza e ortodossia. Però sbaglia nel sostenere che fu la Chiesa nel suo complesso a condannare un Ordine innocente. Chiariamo le cose: la Chiesa non ha niente da farsi perdonare. Resta vero che l’abolizione dell’Ordine e addirittura il rogo del suo ultimo Maestro è ­una pessima pagina della storia della cristianità. Ma si era in un tempo in cui la Chiesa non coincideva semplicemente con la comunità dei fedeli, benscon la societcivile tutta, con l’Europa cristiana nel suo complesso. E il Re di Francia falsò le carte in tavola e impose un processo truccato. Non­ è lecito pertanto mettere in campo un gioco di bussolotti che relegherebbe agli uomini di Chiesa tutta la responsabilit di quell’orribile evento.

(Fonte: Avvenire del 24/10/2007; autore: Franco Cardini)

22/10/07

Una nuova rivista: "EUROPAITALIA"

È stato presentato questa mattina ai media il nuovo mensile EUROPAITALIA, dal suo direttore il dr. Adolfo Morganti.
Il mensile è dedicato alla realtà dell’Europa unita, ai piccoli Stati europei, a tutta l’area culturale di lingua italiana del continente.
Dal numero zero, già pronto, si evince la struttura: grafica chiara ed impostazione veloce e sintetica, assenza di ogni tentazione di inutili polemiche, molte firme ‘europee’ tra le quali quella del nostro Dalmazio Frau.

 

19/10/07

"Un'altra gioventù" a novembre in libreria

In un mondo senza tempo (che per un verso richiama la Romania sotto la dittatura fascista e per un altro è sull'orlo di una guerra atomica), un uomo colpito da un fulmine diventa immortale e acquisisce l'intera memoria dell'umanità, fino a trovarsi al centro di intrighi di potere e a prefigurare l'avvento di una nuova specie. Nella figura del protagonista di questo romanzo fantastico si nasconde l'autoritratto dell'autore, grande storico delle religioni affascinato dalle tradizioni orientali ed esoteriche.

("Un'altra gioventù", Rizzoli 2007)

15/10/07

Enrico Berti: In principio era la meraviglia. Le grandi questioni della filosofia antica

"Qualche volta può capitare di guardare il mondo in modo diverso, di meravigliarsi che le cose stiano in un certo modo. In questi momenti accade di guardare il mondo 'con occhi greci' ovvero con gli occhi dei Greci." La meraviglia è consapevolezza della propria ignoranza e desiderio di sottrarvisi, cioè di apprendere, di conoscere, di sapere. Ecco perché proprio la meraviglia, secondo Aristotele, è l'origine della filosofia, ovvero della ricerca disinteressata di sapere. Stato d'animo raro e prezioso, la meraviglia è la sola espressione della vera libertà. Enrico Berti rilegge il pensiero dei grandi filosofi della classicità e costruisce un sorprendente percorso attraverso le domande senza tempo che la filosofia occidentale ha continuato a porsi, formulate per la prima volta dai Greci: che cos'è l'uomo, che cos'è la felicità, chi sono gli dèi, qual è il nostro destino?

(In principio era la meraviglia, pp 349, Laterza, 2007, euro 18)

14/10/07

Un libro da leggere: "L'anima e il suo destino"


"Il libro incontrerà opposizioni e critiche, ma sarà difficile parlare di questi argomenti senza tenerne conto", scrive nella prefazione il cardinale Martini. Gli argomenti sono i più classici, l’esistenza e l’immortalità dell’anima, il suo destino di salvezza o perdizione. Del tutto nuova è invece la trattazione, in cui scienza e filosofia assumono il ruolo di interlocutori privilegiati della teologia, configurando una fondazione del concetto di anima immortale di fronte alla coscienza laica. Criticando alcuni dogmi consolidati, il libro affronta l’interrogativo fondamentale che da sempre inquieta la mente degli uomini: se esiste e come sarà la vita dopo la morte. Qui appare la difficoltà del pensare contemporaneo, anzi del pensare umano in sé e per sé, visto che già Platone constatava che “sull’ anima la gente è molto incredula e teme che essa, non appena si allontani dal corpo, non esista più in nessun luogo .. e si dissolva disperdendosi come soffio o fumo”.

( "L'anima e il suo destino", Raffaello Cortina, Milano, 2007, pp. 324, euro 19,80).

12/10/07

Un film di Coppola ispirato a un racconto di Mircea Eliade

La storia mi riguardava da vicino. A 66 anni cominciavo a sentirmi arrivato a fondo corsa. Non giravo un film da otto anni, e non volevo farne un altro come quelli che facevo una volta. Mi sentivo frustrato dalla mia incapacità di finire la sceneggiatura di un film che sognavo da tempo, Megalopolis. Ho iniziato a pensare che l'unico modo per risolvere il dilemma di ritrovare l'ispirazione fosse ritornare giovane, mettendo da parte tutta l'esperienza accumulata e provare a ritrovare l'attitudine mentale di uno studente. Re-inventare me stesso facendo finta di non avere mai avuto una carriera cinematografica e desiderando invece di averne una.
Uno dei vantaggi della "giovinezza" nell'arte è l'ignoranza, sapere così poco da non temere di sperimentare. L'inconsapevolezza che alcune cose su cui si fantastica sono effettivamente impossibili da realizzare. Quando terminai le riprese di Apocalypse Now ho pensato: "Se avessi avuto allora la consapevolezza che ho oggi non ci avrei neanche provato". Certamente l'età d'oro porta con sé "esperienza" ed è una cosa che non va sottovaluta, tuttavia quando si lavora in un campo artistico, l'incapacità di provare paura è una condizione più desiderabile dell'esperienza. E' una situazione molto vicina all'innovazione, mentre l'esperienza spesso può essere assimilata alla paura. Dopo che sei caduto dall'albero più volte, hai sperimentato il dolore della ferita e l'imbarazzo di essere ridicoli, diventa sempre più difficile essere audaci in quello che si fa o persino in quello che si prova a fare.
Siccome il copione di Megalopolis esplorava i concetti filosofici di tempo e coscienza, l'ho spedito a una persona che speravo potesse avere qualcosa di interessante da dirmi, Wendy Doniger, una vecchia compagna del liceo che oggi insegna mitologia comparata e induismo all'Università di Chicago. Wendy mi ha risposto inviandomi alcune citazioni sul tempo scritte dal suo mentore, Mircea Eliade, e mi ha suggerito di leggere un suo racconto, Un'altra giovinezza.
Non è stato facile trovarlo, ma ci sono riuscito. Mentre lo leggevo, sapevo di avere trovato il mio soggetto. Si può vedere il film come una storia faustiana: un uomo anziano torna giovane, ha l'opportunità di finire la sua grande opera e di innamorarsi di nuovo, ma non riesce a finire l'opera proprio perché si innamora. E' il suo sacrificio estremo. Ma può anche essere l'occasione per imparare qualcosa sulla filosofia indiana.
C'è una differenza fondamentale tra il modo orientale e quello occidentale di interpretare la vita. Il filosofo indiano non è confuso quando parla di passato, presente e futuro. La reincarnazione è parte integrante della loro filosofia, e chi la studia acquisisce una visione più ampia di cosa sia l'esistenza, o di cosa siano i sogni. E' ricorrente nel film, tra gli altri simboli, quello del "doppio" che come sottolinea la mia amica docente Wendy Doniger "porta sulle spalle il peso filosofico della storia. Rappresenta una scissione nella natura del protagonista Dominic (interpretato da Tim Roth), tra lo scienziato che cerca una spiegazione per tutto, la parte fredda, e l'uomo che incontra una donna e vuole continuare a vivere, vuole amarla, cioè la parte calda".
E' un modo stupendo per rappresentare la consapevolezza interiore e la coscienza di sé. Gli esseri umani possiedono una coscienza multidimensionale, in effetti i problemi legati al dualismo sono molto collegati alle religioni dell'India.
Ho imparato molto da Mircea Eliade, semplicemente ripercorrendo le sue orme. Ho sempre pensato che se stai lavorando a un film che affronta temi di cui vorresti sapere di più, il solo fatto di realizzarlo ti garantisce che imparerai qualcosa. E' stato eccitante scoprire in questo racconto di Eliade gli stessi temi che spero ardentemente di comprendere meglio: il tempo, la coscienza e l'aspetto fantastico della realtà. Per me è stato come ritornare alle ambizioni giovanili che avevo da studente sul fare cinema.
Quando ho letto la storia, sapevo che se avessi fatto il film avrei imparato a esprimere il tempo e i sogni nel linguaggio del cinema. Fare un film è come fare una domanda, e quando hai finito, la risposta è il film.

(Fonte: La Repubblica del 12/10/2007)

10/10/07

"Trattati d'amore cristiani del XII secolo"

La Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo Mondadori Editore nella mai troppo stimata collezione di scrittori greci e latini pubblica i “Trattati d’amore cristiani del XII secolo”, volume primo, a cura di Francesco Zambon, scrupolosa, dettagliata, esauriente. Se l’Italia e l’Europa conservano memoria e onore della loro tradizione umanistica greca, romana, cristiana lo dobbiamo anche a pubblicazioni del genere rilevanti, anzi fondamentali, per varie ragioni. Innanzi tutto per la straordinarietà dei testi, quindi perché testi negletti, addirittura sviliti proprio perché negletti, quasi che non sapendo della loro esistenza è come se non esistessero, e quei secoli niente avessero manifestato. Dicevo che i testi hanno un eccelso valore per se stessi. Di che si tratta? Si tratta della espressione della civiltà cristiana, nei testi che ora leggiamo viene “data” la civiltà cristiana come veniva vissuta. Se qualcuno, specialmente di quei laici accaniti che confondono il diritto all’agnosticismo con la poca cognizione del cristianesimo vissuto, si imbatterà nel volume di cui scrivo, avrà più moderazione nei confronti del cristianesimo vissuto.
Perché dico “cristianesimo vissuto”, anzi “cattolicesimo vissuto”? Perché si fa troppa discussione sul diritto o meno di credere, sulla verità della fede e se ne fanno molto meno su quello che è il punto da centrare: quale civiltà viene fuori dal credente, ad esempio nel Medioevo? Nessuno oggi si porrebbe la questione se la religione greca sia stata vera o falsa, oggi la questione è: che civiltà venne dalla religione greca? Ora, che civiltà sorge dal cristianesimo vissuto nel XII secolo? I testi sono trattati di amore, amore cristiano, amore verso Dio, misticismo. Il devoto cerca di liberarsi dalla terrestrità per volgersi completamente a Dio. Ma sarebbe un errore catastrofico ritenere l’amore di Dio opposto all’amore del prossimo. All’opposto. Nei bellissimi testi, se escludiamo alcune insistenze scolastiche, nei brani in cui si lascia trasportare dall’impeto amoroso verso Dio, Guglielmo di Saint-Thierry, di cui abbiamo due opere, in una calorosa intensa amorosa attenzione che lo unisce negli atti della vita quotidiana abbraccia gli altri monaci e insieme, tutti quanti, si volgono a Dio. Il termine “comunità” non credo abbia avuto mai significato così ben vissuto come nella vita conventuale del Medioevo, una comunità non oppressiva piuttosto gioiosa dell’altro, di poter condividere amore dei monaci l’un l’altro e tutti insieme nei confronti di Dio. Saint-Thierry, che fu personalità insigne con incarichi ponderosi e saggista proficuo ha dei momenti di trasporto, che valgono al di là dell'adesione da parte del lettore della fede.
E del vero e del falso. Non si tratta di discutere se Dio esiste o non esiste è certo che esisteva dentro Saint-Thierry, che egli ne viene animato, e che tutti i suoi atti sono vissuti in questa immedesimazione. Ciò a cui Saint-Thierry tende conclusivamente è la carità. Prendendo da San Paolo che riteneva niente ciò che l’uomo fa e possiede se privo dello spirito della carità, Saint-Thierry ribadisce questo concetto con una sincerità interiore che coniuga teologia a poesia. Un cristianesimo vissuto e che riviviamo.
Meno acceso il testo del celeberrimo San Bernardo di Chiaravalle, amico di Saint-Thierry e in vicendevole collaborazione. San Bernardo è più analitico e attenua quell’amore di Dio appassionato che vibra in Saint-Thierry. Egli gradua l’amore verso Dio concludendo che il termine ultimo è quello di riuscire a diventare pienamente esecutore della volontà di Dio. Anche Bernardo è intriso nello spirito di carità. Da notare che entrambi furono uomini d’azione, che governarono monasteri, che influenzarono, soprattutto Bernardo, in modo decisivo la storia del cattolicesimo. Dei mistici che amavano Dio ma attraverso il mondo o amavano il mondo attraverso Dio. E con una coltivazione dell’interiorità spirituale senza di cui muore la civiltà, anche la più potentemente “tecnica”.

(Autore: Antonio Saccà)

05/10/07

Ascesi


O insensata cura de' mortali,
quanto son difettivi silogismi
quei che ti fanno in basso batter l'ali!
Chi dietro a iura e chi ad amforismi
sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
e chi regnar per forza o per sofismi,
e chi rubare e chi civil negozio,
chi nel diletto de la carne involto
s'affaticava e chi si dava a l'ozio,
quando, da tutte queste cose sciolto,
con Bëatrice m'era suso in cielo
cotanto glorïosamente accolto.
Poi che ciascuno fu tornato ne lo
punto del cerchio in che avanti s'era,
fermossi, come a candellier candelo.
E io senti' dentro a quella lumera
che pria m'avea parlato, sorridendo
incominciar, faccendosi più mera:
«Così com' io del suo raggio resplendo,
sì, riguardando ne la luce etterna,
li tuoi pensieri onde cagioni apprendo.
Tu dubbi, e hai voler che si ricerna
in sì aperta e 'n sì distesa lingua
lo dicer mio, ch'al tuo sentir si sterna,
ove dinanzi dissi: "U' ben s'impingua",
e là u' dissi: "Non nacque il secondo";
e qui è uopo che ben si distingua.
La provedenza, che governa il mondo
con quel consiglio nel quale ogne aspetto
creato è vinto pria che vada al fondo,
però che andasse ver' lo suo diletto
la sposa di colui ch'ad alte grida
disposò lei col sangue benedetto,
in sé sicura e anche a lui più fida,
due principi ordinò in suo favore,
che quinci e quindi le fosser per guida.
L'un fu tutto serafico in ardore;
l'altro per sapïenza in terra fue
di cherubica luce uno splendore.
De l'un dirò, però che d'amendue
si dice l'un pregiando, qual ch'om prende,
perch' ad un fine fur l'opere sue.
Intra Tupino e l'acqua che discende
del colle eletto dal beato Ubaldo,
fertile costa d'alto monte pende,
onde Perugia sente freddo e caldo
da Porta Sole; e di rietro le piange
per grave giogo Nocera con Gualdo.
Di questa costa, là dov' ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo talvolta di Gange.
Però chi d'esso loco fa parole,
non dica Ascesi, ché direbbe corto,
ma Orïente, se proprio dir vuole.
Non era ancor molto lontan da l'orto,
ch'el cominciò a far sentir la terra
de la sua gran virtute alcun conforto;
ché per tal donna, giovinetto, in guerra
del padre corse, a cui, come a la morte,
la porta del piacer nessun diserra;
e dinanzi a la sua spirital corte
et coram patre le si fece unito;
poscia di dì in dì l'amò più forte.
Questa, privata del primo marito,
millecent' anni e più dispetta e scura
fino a costui si stette sanza invito;
né valse udir che la trovò sicura
con Amiclate, al suon de la sua voce,
colui ch'a tutto 'l mondo fé paura;
né valse esser costante né feroce,
sì che, dove Maria rimase giuso,
ella con Cristo pianse in su la croce.
Ma perch' io non proceda troppo chiuso,
Francesco e Povertà per questi amanti
prendi oramai nel mio parlar diffuso.
La lor concordia e i lor lieti sembianti,
amore e maraviglia e dolce sguardo
facieno esser cagion di pensier santi;
tanto che 'l venerabile Bernardo
si scalzò prima, e dietro a tanta pace
corse e, correndo, li parve esser tardo.
Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!
Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
dietro a lo sposo, sì la sposa piace.
Indi sen va quel padre e quel maestro
con la sua donna e con quella famiglia
che già legava l'umile capestro.
Né li gravò viltà di cuor le ciglia
per esser fi' di Pietro Bernardone,
né per parer dispetto a maraviglia;
ma regalmente sua dura intenzione
ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
primo sigillo a sua religïone.
Poi che la gente poverella crebbe
dietro a costui, la cui mirabil vita
meglio in gloria del ciel si canterebbe,
di seconda corona redimita
fu per Onorio da l'Etterno Spiro
la santa voglia d'esto archimandrita.
E poi che, per la sete del martiro,
ne la presenza del Soldan superba
predicò Cristo e li altri che 'l seguiro,
e per trovare a conversione acerba
troppo la gente e per non stare indarno,
redissi al frutto de l'italica erba,
nel crudo sasso intra Tevero e Arno
da Cristo prese l'ultimo sigillo,
che le sue membra due anni portarno.
Quando a colui ch'a tanto ben sortillo
piacque di trarlo suso a la mercede
ch'el meritò nel suo farsi pusillo,
a' frati suoi, sì com' a giuste rede,
raccomandò la donna sua più cara,
e comandò che l'amassero a fede;
e del suo grembo l'anima preclara
mover si volle, tornando al suo regno,
e al suo corpo non volle altra bara.
Pensa oramai qual fu colui che degno
collega fu a mantener la barca
di Pietro in alto mar per dritto segno;
e questo fu il nostro patrïarca;
per che qual segue lui, com' el comanda,
discerner puoi che buone merce carca.
Ma 'l suo pecuglio di nova vivanda
è fatto ghiotto, sì ch'esser non puote
che per diversi salti non si spanda;
e quanto le sue pecore remote
e vagabunde più da esso vanno,
più tornano a l'ovil di latte vòte.
Ben son di quelle che temono 'l danno
e stringonsi al pastor; ma son sì poche,
che le cappe fornisce poco panno.
Or, se le mie parole non son fioche,
se la tua audïenza è stata attenta,
se ciò ch'è detto a la mente revoche,
in parte fia la tua voglia contenta,
perché vedrai la pianta onde si scheggia,
e vedra' il corrègger che argomenta
"U' ben s'impingua, se non si vaneggia"».

(Fonte: Dante, XI Canto del Paradiso)

01/10/07

Anna Caterina Emmerich: a proposito del suo angelo custode


"Lo splendore emanante da lui è pari solo al suo sguardo: un raggio di luce. A volte passavo intere giornate con lui. Mi mostrava delle persone che conoscevo e altre che non avevo mai visto. Con lui attraversavo i mari alla velocità del pensiero. Potevo vedere molto lontano. Mi condusse dalla regina di Francia (Maria Antonietta) mentre era in prigione. Quando arriva per portarmi con sé solitamente vedo un debole chiarore e poi improvvisamente mi appare dinanzi come la luce di una lanterna che illumina le tenebre... La mia guida è sempre davanti a me, a volte al mio fianco e non ho mai visto i suoi piedi muoversi. E’ silenzioso, fa pochi movimenti, ma talvolta accompagna le sue brevi risposte con un cenno della mano, o inclinando il capo. Oh, com’è brillante e trasparente! E’ serio e gentile e ha capelli setosi, fluttuanti e brillanti. Il suo capo non è coperto e l’abito che indossa è lungo e di un candore abbagliante... Gli parlo liberamente e tuttavia non ho mai potuto guardarlo in viso. Mi inchino dinanzi a lui ed egli mi guida con diversi cenni. Non gli faccio mai troppe domande perché la soddisfazione che provo solo sapendolo al mio fianco, mi trattiene. E’ sempre molto breve nelle sue risposte... Una volta mi persi nei campi di Flamske, ero terrorizzata, cominciai a piangere e pregare Dio. Improvvisamente vidi davanti a me una luce, simile a una fiamma, che si trasformò nella mia guida. La terra sotto i miei piedi diventò secca e né pioggia né neve cadevano più su di me. Ritornai a casa senza nemmeno bagnarmi".