La storia mi riguardava da vicino. A 66 anni cominciavo a sentirmi arrivato a fondo corsa. Non giravo un film da otto anni, e non volevo farne un altro come quelli che facevo una volta. Mi sentivo frustrato dalla mia incapacità di finire la sceneggiatura di un film che sognavo da tempo, Megalopolis. Ho iniziato a pensare che l'unico modo per risolvere il dilemma di ritrovare l'ispirazione fosse ritornare giovane, mettendo da parte tutta l'esperienza accumulata e provare a ritrovare l'attitudine mentale di uno studente. Re-inventare me stesso facendo finta di non avere mai avuto una carriera cinematografica e desiderando invece di averne una.
Uno dei vantaggi della "giovinezza" nell'arte è l'ignoranza, sapere così poco da non temere di sperimentare. L'inconsapevolezza che alcune cose su cui si fantastica sono effettivamente impossibili da realizzare. Quando terminai le riprese di Apocalypse Now ho pensato: "Se avessi avuto allora la consapevolezza che ho oggi non ci avrei neanche provato". Certamente l'età d'oro porta con sé "esperienza" ed è una cosa che non va sottovaluta, tuttavia quando si lavora in un campo artistico, l'incapacità di provare paura è una condizione più desiderabile dell'esperienza. E' una situazione molto vicina all'innovazione, mentre l'esperienza spesso può essere assimilata alla paura. Dopo che sei caduto dall'albero più volte, hai sperimentato il dolore della ferita e l'imbarazzo di essere ridicoli, diventa sempre più difficile essere audaci in quello che si fa o persino in quello che si prova a fare.
Siccome il copione di Megalopolis esplorava i concetti filosofici di tempo e coscienza, l'ho spedito a una persona che speravo potesse avere qualcosa di interessante da dirmi, Wendy Doniger, una vecchia compagna del liceo che oggi insegna mitologia comparata e induismo all'Università di Chicago. Wendy mi ha risposto inviandomi alcune citazioni sul tempo scritte dal suo mentore, Mircea Eliade, e mi ha suggerito di leggere un suo racconto, Un'altra giovinezza.
Non è stato facile trovarlo, ma ci sono riuscito. Mentre lo leggevo, sapevo di avere trovato il mio soggetto. Si può vedere il film come una storia faustiana: un uomo anziano torna giovane, ha l'opportunità di finire la sua grande opera e di innamorarsi di nuovo, ma non riesce a finire l'opera proprio perché si innamora. E' il suo sacrificio estremo. Ma può anche essere l'occasione per imparare qualcosa sulla filosofia indiana.
C'è una differenza fondamentale tra il modo orientale e quello occidentale di interpretare la vita. Il filosofo indiano non è confuso quando parla di passato, presente e futuro. La reincarnazione è parte integrante della loro filosofia, e chi la studia acquisisce una visione più ampia di cosa sia l'esistenza, o di cosa siano i sogni. E' ricorrente nel film, tra gli altri simboli, quello del "doppio" che come sottolinea la mia amica docente Wendy Doniger "porta sulle spalle il peso filosofico della storia. Rappresenta una scissione nella natura del protagonista Dominic (interpretato da Tim Roth), tra lo scienziato che cerca una spiegazione per tutto, la parte fredda, e l'uomo che incontra una donna e vuole continuare a vivere, vuole amarla, cioè la parte calda".
E' un modo stupendo per rappresentare la consapevolezza interiore e la coscienza di sé. Gli esseri umani possiedono una coscienza multidimensionale, in effetti i problemi legati al dualismo sono molto collegati alle religioni dell'India.
Ho imparato molto da Mircea Eliade, semplicemente ripercorrendo le sue orme. Ho sempre pensato che se stai lavorando a un film che affronta temi di cui vorresti sapere di più, il solo fatto di realizzarlo ti garantisce che imparerai qualcosa. E' stato eccitante scoprire in questo racconto di Eliade gli stessi temi che spero ardentemente di comprendere meglio: il tempo, la coscienza e l'aspetto fantastico della realtà. Per me è stato come ritornare alle ambizioni giovanili che avevo da studente sul fare cinema.
Quando ho letto la storia, sapevo che se avessi fatto il film avrei imparato a esprimere il tempo e i sogni nel linguaggio del cinema. Fare un film è come fare una domanda, e quando hai finito, la risposta è il film.
Uno dei vantaggi della "giovinezza" nell'arte è l'ignoranza, sapere così poco da non temere di sperimentare. L'inconsapevolezza che alcune cose su cui si fantastica sono effettivamente impossibili da realizzare. Quando terminai le riprese di Apocalypse Now ho pensato: "Se avessi avuto allora la consapevolezza che ho oggi non ci avrei neanche provato". Certamente l'età d'oro porta con sé "esperienza" ed è una cosa che non va sottovaluta, tuttavia quando si lavora in un campo artistico, l'incapacità di provare paura è una condizione più desiderabile dell'esperienza. E' una situazione molto vicina all'innovazione, mentre l'esperienza spesso può essere assimilata alla paura. Dopo che sei caduto dall'albero più volte, hai sperimentato il dolore della ferita e l'imbarazzo di essere ridicoli, diventa sempre più difficile essere audaci in quello che si fa o persino in quello che si prova a fare.
Siccome il copione di Megalopolis esplorava i concetti filosofici di tempo e coscienza, l'ho spedito a una persona che speravo potesse avere qualcosa di interessante da dirmi, Wendy Doniger, una vecchia compagna del liceo che oggi insegna mitologia comparata e induismo all'Università di Chicago. Wendy mi ha risposto inviandomi alcune citazioni sul tempo scritte dal suo mentore, Mircea Eliade, e mi ha suggerito di leggere un suo racconto, Un'altra giovinezza.
Non è stato facile trovarlo, ma ci sono riuscito. Mentre lo leggevo, sapevo di avere trovato il mio soggetto. Si può vedere il film come una storia faustiana: un uomo anziano torna giovane, ha l'opportunità di finire la sua grande opera e di innamorarsi di nuovo, ma non riesce a finire l'opera proprio perché si innamora. E' il suo sacrificio estremo. Ma può anche essere l'occasione per imparare qualcosa sulla filosofia indiana.
C'è una differenza fondamentale tra il modo orientale e quello occidentale di interpretare la vita. Il filosofo indiano non è confuso quando parla di passato, presente e futuro. La reincarnazione è parte integrante della loro filosofia, e chi la studia acquisisce una visione più ampia di cosa sia l'esistenza, o di cosa siano i sogni. E' ricorrente nel film, tra gli altri simboli, quello del "doppio" che come sottolinea la mia amica docente Wendy Doniger "porta sulle spalle il peso filosofico della storia. Rappresenta una scissione nella natura del protagonista Dominic (interpretato da Tim Roth), tra lo scienziato che cerca una spiegazione per tutto, la parte fredda, e l'uomo che incontra una donna e vuole continuare a vivere, vuole amarla, cioè la parte calda".
E' un modo stupendo per rappresentare la consapevolezza interiore e la coscienza di sé. Gli esseri umani possiedono una coscienza multidimensionale, in effetti i problemi legati al dualismo sono molto collegati alle religioni dell'India.
Ho imparato molto da Mircea Eliade, semplicemente ripercorrendo le sue orme. Ho sempre pensato che se stai lavorando a un film che affronta temi di cui vorresti sapere di più, il solo fatto di realizzarlo ti garantisce che imparerai qualcosa. E' stato eccitante scoprire in questo racconto di Eliade gli stessi temi che spero ardentemente di comprendere meglio: il tempo, la coscienza e l'aspetto fantastico della realtà. Per me è stato come ritornare alle ambizioni giovanili che avevo da studente sul fare cinema.
Quando ho letto la storia, sapevo che se avessi fatto il film avrei imparato a esprimere il tempo e i sogni nel linguaggio del cinema. Fare un film è come fare una domanda, e quando hai finito, la risposta è il film.
(Fonte: La Repubblica del 12/10/2007)
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