28/06/14

Giovanni Gentile: un metapolitico in fieri?







di Aldo La Fata

Giovanni Gentile è un autore misconosciuto, vittima di una profonda e reiterata incomprensione. Di lui si ricordano solo l’adesione al Fascismo storico e la fedeltà al Duce. Nulla si sa e nulla si vuol sapere invece dei suoi libri, della sua filosofia, dei suoi grandi meriti culturali e soprattutto del suo rigore morale e della rilevanza interiore del suo pensiero.  Sconfortante conseguenza della damnatio memoriae operata con sistematica continuità da quella indegna sinistra italiota che con Togliatti ne aveva addirittura legittimato e giustificato l’omicidio, inneggiando “al grande valore politico” della sua “soppressione” quale “atto di giustizia” compiuto “per volere ed eroismo di popolo” da “un gruppo di giovani generosi”, anzi, come “una delle più rischiose ed ardite imprese della gioventù antifascista”(1). Per fortuna a partire dal dopoguerra un piccolo manipolo di studiosi intellettualmente attrezzati, anche di parte cattolica, ebbero l’ardire di andare controcorrente, producendo una ricca messe di ricerche e interpretazioni teoriche che restituiscono al pensiero di Gentile tutto il suo grande spessore, il vigore speculativo e la sua attualità. Solo per fare qualche nome di ieri, qui ricorderei Armando Carlini, Pantaleo Carabellese, Augusto Guzzo, Marino Gentile, Michele Federico Sciacca, Gustavo Bontadini, affiancati in epoca più recente da Antimo Negri, Nicola Abbagnano, Pietro Prini, Sergio Romano, Emanuele Severino. Proprio quest’ultimo che si può considerare, che piaccia o meno, come uno dei più importanti filosofi del nostro tempo, ha riconosciuto in più occasioni il suo debito nei confronti di Gentile, mettendolo alla pari del grande filosofo di Friburgo, Martin Heidegger.
Certo, non va sottaciuto che anche tra gli esponenti della cosiddetta “cultura di destra” c’è stato chi ha stroncato Gentile, primo fra tutti quel campione di anticonformismo che fu Julius Evola. E d’altronde di antigentiliani ce n’erano stati parecchi anche durante il fascismo. Chi scrive sa perfettamente che anche un Sergio e un Silvano Panunzio – padre e figlio, rispettivamente il teorico del sindacalismo rivoluzionario e il teorico della metapolitica - non avevano affatto in simpatia il filosofo di Castelvetrano. Tuttavia,  come abbiamo detto, nell’elenco degli estimatori  risuonano nomi altrettanto importanti, come quello ad esempio del grande orientalista e tibetologo Giuseppe Tucci. L’attualismo gentiliano poi  influenzò e ispirò certe correnti dello spiritualismo cristiano (Carlini, Sciacca), del neotomismo (Gemelli, Olgiati) e persino del neospiritualismo esoterico  (Massimo Scaligero, Aniceto Del Massa). Tra gli ammiratori del Giovanni Gentile uomo e filosofo, troviamo anche penne importanti del cattolicesimo militante come quelle di Don Ennio Innocenti, Piero Vassallo, Fausto Belfiori, Primo Siena. Quest’ultimo che fu sodale e amico di Silvano Panunzio ed esponente di punta della metapolitica ideale e tradizionale  ha appena licenziato, con l’editore abruzzese Solfanelli, un piccolo ma denso saggio dal titolo “Giovanni Gentile: un italiano nelle intemperie”. Ricorderemo che Siena aveva già dedicato al filosofo italiano un toccante e vibrante profilo apparso nel suo “Incontri nella terra di mezzo” (Solfanelli, 2013) con il titolo “Giovanni Gentile: la filosofia del combattimento”. Ora invece con questo nuovo saggio Siena entra nel vivo del dibattito teorico sull’attualità delle tesi del pensatore siciliano soffermandosi in particolare su quel Genesi e struttura della società, scritto di getto nel ’43 e uscito postumo nel ’46, che può considerarsi il libro centrale e conclusivo del suo itinerario intellettuale e speculativo e quindi, in certo modo, il suo testamento filosofico.
Quanto al Gentile educatore, i metodi educativi proposti soprattutto in quello straordinario e celebre testo che fu il Sommario di pedagogia come scienza filosofica  pubblicato per la prima volta nel 1913/14, che conobbe ben cinque edizioni e diverse ristampe, sono per Siena sempre validi e sulla linea dei modelli pedagogici, come ad esempio quello proposto dalla scuola Steineriana, che mettono al loro centro l’anima dell’uomo e non il suo cerebro, i valori spirituali e non le nozioni o l’erudizione.
Il saggio di Siena inoltre, dedica ampio spazio anche al rapporto che il filosofo di Castelvetrano ebbe con la Chiesa Cattolica, dimostrandone infine l’intimo e profondo legame.

La prima parte del libro si conclude con un capitolo che indaga sul legato filosofico del pensatore dell’attualismo, dopo il suo assassinio. E qui Siena, in pagine dove la polemica vivace si avvale sempre di una rigorosa documentazione, reagisce al  duplice tentativo  di rimuovere il pensiero del filosofo dall’italiano Gentile politicamente impegnato (è il caso, ad esempio, di Severino, puntualmente citato) o, peggio, di “scipparlo” dopo averlo opportunamente adulterato; come ha fatto la scuola marxista nel tentativo  di strumentalizzarlo per opzioni politiche di segno opposto.
La seconda parte è arricchita da una selezione di scritti di Giovanni Gentile sulla Scuola, la Patria, il Fascismo, i rapporti tra Stato e Politica, la Storia, il Lavoro. Sono testi brevi, ma che danno un’idea precisa non solo della forza speculativa del sistema di pensiero del filosofo dell’attualismo, ma anche della sua coerenza morale, dell’indole fondamentalmente buona e anche di quella rara liberalità intellettuale che fu una delle caratteristiche non solo di Giovanni Gentile ma anche del suo duce Mussolini.
Il saggio di Siena termina con un’appendice di testi del sacerdote gesuita argentino Leonardo Castellani che affronta l’argomento del Gentile filosofo del Fascismo; del romeno-spagnolo George Uscatescu che mette a confronto le tesi sul lavoro e il lavoratore di Gentile con quelle dell’anarca Jünger e infine, a chiusura, un saggio del filosofo spiritualista cristiano Armando Carlini di diretta derivazione gentiliana.
Alla fine del libro e a conti fatti ci siamo chiesti se Giovanni Gentile possa meritare di entrare anche lui nel pantheon ristrettissimo dei classici della Metapolitica sulla linea inaugurata da Silvano Panunzio e la risposta che ci siamo dati è possibilista. Intanto perché Gentile si è collocato fin dai suoi esordi universitari sulla linea di un Rosmini e di un Vico (autori a pieno titolo Metapolitici) e poi perché la sua filosofia si propone come “azione etica”, profondamente nutrita da una costante inquietudine religiosa che si svolge infine come “filosofia del combattimento” e quindi in sintonia con il profetismo ebraico e lo spirito cristiano, soprattutto di marca paolina.  A questi due già di per sé validi e più che sufficienti motivi, potremmo aggiungerne un terzo, forse ancora più decisivo, quello relativo al martirio di Gentile, conseguenza inevitabile e direi quasi fatale del suo impegno civile e della sua coerenza intellettuale mai tradita. Coerenza verso se stesso e verso la Patria che il Nostro pagò con il prezzo altissimo della vita. Non che tutti i “martiri” di una causa, quale che sia, debbano essere eletti automaticamente “profeti” e quindi metapolitici, come non tutti i virtuosi possono essere ritenuti dei Santi, ma nel caso di Gentile pensiamo che sia giusto riconoscergli la qualifica di metapolitico in fieri, d’accordo con Siena che  “tutta la filosofia gentiliana attesta un’aspirazione verso l’alto, che dalla trascendentalità aspira alla trascendenza: tracciato d’una via verticale dell’uomo a Dio, un itinerarium mentis in Deum” (p. 29). 

(1)             V. F. Perfetti, Assassinio di un filosofo. Anatomia di un omicidio politico, Ed. Le lettere Firenze 2004

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