21/03/13
Il nuovo libro "metapolitico" di Primo Siena: “INCONTRI NELLA TERRA DI MEZZO”. Profili del pensiero differente
Convocati in una ideale “Terra di Mezzo” l’autore incontra quindici esponenti del “pensiero differente” del secolo XX, sui quali egli s’è formato intellettualmente e spiritualmente. Dieci di essi, italiani (Giovanni Gentile, Marino Gentile, Julius Evola, Guido Manacorda, Attilio Mordini, Silvano Panunzio, Michele Federico Sciacca, Giovanni Papini, Ferdinando Tirinnanzi, Emilio Bodrero); e cinque stranieri (Vintila Horia, Russell Kirk, Romano Guardini, Charles Maurras, Carlos Alberto Disandro). Si tratta di una minoranza di pensatori che hanno saputo concepire intellettualmente e testimoniare nei fatti una visione metapolitica del mondo e della vita: confessori di un “pensiero forte” che – in tempi dominati dal “pensiero debole” – riscatta il vigore essenziale di una cultura “politicamente scorretta”.
18/03/13
1963-2013: cinquant’anni di Ar.
1963. Solo
diciotto anni dalla fine della guerra dei fascismi. A Padova, nel quartiere
Arcella, ci sono ancora i crateri delle bombe angloamericane e il cielo ha il
ricordo dei cerchi di fumo di Pippo, l’inglese spione. È l’anno del primo LP
dei Beatles, del celeberrimo discorso di Martin Luther King, “I have a dream”,
dei paesi sbranati dalla frana del Vajont, dell’assassinio di Kennedy. L’anno
di Marcovaldo in libreria e di 8 ½ al cinema, del primo 007 e del Gattopardo.
In TV c’è Mike Bongiorno con i suoi quiz di cultura generale.
Le Edizioni di Ar nascono il 9 dicembre 1963. Freda ha affittato un’ex rimessa in una strada lunga e sfatta del centro, via (nomen omen) Patriarcato, vicinissima al Liviano di Gio Ponti. Si ritrovano lì tra fuoriusciti dal MSI, per lo più ragazzi tra i diciotto e i vent’anni, insieme a un ex brigatista nero ed ex reggente di Ordine Nuovo.
La realtà è poca, ma è l’idea, secondo Freda, che deve giudicare la realtà, non viceversa. Infatti, il nome che il gruppo si dà è un’esortazione anagogica: Ar. Ar è il radicale di quei termini di origine indoeuropea che esprimono la vigoria fisico-morale (aretè, in greco, ‘aristocrazia’), fino ad arrampicarsi nelle implicazioni metafisiche di essa: i vocaboli ordine, rito.
Un radicale linguistico, germe intemporale di significato da completare nel tempo, da sigillare con il proprio operato. Perenne, arcaico, ma pronto a innestarsi nel nuovo presente che lo voglia e sappia assumere. Un’idea senza il confine di una parola, che chiunque sia abbastanza schietto e lucido può comprendere, indovinare e tradurre in azione (un radicale non è circoscritto: è in attesa della sua espansione). L’idea – banale, in fondo – del Bene come l’avrebbe coltivata un antico.
Ar significava stare nel tempo senza esaurirsi in esso. Coltivare, nel tempo, le migliori virtù umane (o dovremo dire aumane, tanto ci sono, qui, lontane?). Dunque, ogni sabato sera, al posto dei festini col mangiadischi, letture rituali in via Patriarcato. Nietzsche, Evola, la biografia di Federico II del Kantorowicz. A leggere è Freda, con la sua voce da basso. Altro che “così è se vi pare”: così è e così deve essere, costi quel che costi in termini di spiacevolezze. Non si poteva accettare che il mondo precipitasse verso la vita comoda, la competizione dei minimi termini, a chi si comprava prima la nuova Seicento, a chi beveva più daiquiri al tavolino di un bar. Si era alzata una nuvola di cipria che neanche l’atomica americana: si rischiava di non vedere più il sole. E Leonardo, genio riconosciuto, che in tempi non sospetti aveva proclamato: “No si volta chi a stella è fiso”. In Italia stava scoppiando mezza guerra civile il giorno in cui spararono a Togliatti: migliaia di rossi inferociti per le strade, e tutto si ricompose per la vittoria di Bartali al Tour de France. Già allora si poteva intuire come sarebbe finita. “Se si tolgono all’uomo le sue catene, si libera solo un animale” - ci ricorda l’abrasivo Nicolás Gómez Dávila, pubblicato da Ar nel 2007.
Ma le catene dell’uomo non devono necessariamente essere le lambiccate analisi del filosofo razionalista, che vuol salvare capra e cavoli mettendo insieme l’ineffabile e la sua dimostrazione. La verità è ai confini con l’irrazionale, è come un radicale linguistico, come il radicale ar: va indovinata, non può frantumarsi in porzioni di comoda ingestione. Deve turbare – sostiene Nietzsche, autore-cardine di Ar. Ma chi legge il Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane, primo volume pubblicato dalle Edizioni di Ar, deve sapere che non ha di fronte i discendenti degli inglesi che seviziavano i boeri nei primi campi di concentramento della storia e capire che si tratta, in fondo, di una terapia d’urto per uscire dalla palude del dopoguerra. C’è il libro e c’è il lettore: tra di loro un destino, forse, di consonanze.
“Un bosco di corna, l’umanità, più fitto del bosco della Ficuzza quand’era bosco davvero. E sai chi se la spassa a passeggiare sulle corna? Primo, tienilo bene a mente: i preti; secondo: i politici, e tanto più dicono di essere col popolo, di volere il bene del popolo, tanto più gli calcano i piedi sulle corna; terzo: quelli come me e come te… È vero che c’è il rischio di mettere il piede in fallo e di restare infilzati, tanto per me quanto per i preti e per i politici: ma anche se mi squarcia dentro, un corno è sempre un corno; e chi lo porta in testa è un cornuto… La soddisfazione, sangue di Dio, la soddisfazione: mi va male, muoio, ma siete dei cornuti…”
È Leonardo Sciascia a offrirci lo scorcio perfetto della società attuale, attraverso la voce di uno di quei suoi personaggi che quando aprono bocca fanno impallidire tutti i filosofi à la page. E, a proposito di destino, e di consonanze: è sempre Sciascia, nel novembre del 1979, a sdegnarsi per come Freda è stato trascinato in Italia dal Costarica, dove si era allontanato.
Il panorama culturale italiano è così ricco di corna, oggi, che il bosco della Ficuzza, a confronto, pare una radura. Ar splende nel suo altrove (ora una gattabuia, ora Nubicuculia) come un unicum, per libertà di pensiero e sincerità di azione. Cinquant’anni che pubblica libri per i non cornuti: “La soddisfazione, sangue di Dio, la soddisfazione”!...
Le Edizioni di Ar nascono il 9 dicembre 1963. Freda ha affittato un’ex rimessa in una strada lunga e sfatta del centro, via (nomen omen) Patriarcato, vicinissima al Liviano di Gio Ponti. Si ritrovano lì tra fuoriusciti dal MSI, per lo più ragazzi tra i diciotto e i vent’anni, insieme a un ex brigatista nero ed ex reggente di Ordine Nuovo.
La realtà è poca, ma è l’idea, secondo Freda, che deve giudicare la realtà, non viceversa. Infatti, il nome che il gruppo si dà è un’esortazione anagogica: Ar. Ar è il radicale di quei termini di origine indoeuropea che esprimono la vigoria fisico-morale (aretè, in greco, ‘aristocrazia’), fino ad arrampicarsi nelle implicazioni metafisiche di essa: i vocaboli ordine, rito.
Un radicale linguistico, germe intemporale di significato da completare nel tempo, da sigillare con il proprio operato. Perenne, arcaico, ma pronto a innestarsi nel nuovo presente che lo voglia e sappia assumere. Un’idea senza il confine di una parola, che chiunque sia abbastanza schietto e lucido può comprendere, indovinare e tradurre in azione (un radicale non è circoscritto: è in attesa della sua espansione). L’idea – banale, in fondo – del Bene come l’avrebbe coltivata un antico.
Ar significava stare nel tempo senza esaurirsi in esso. Coltivare, nel tempo, le migliori virtù umane (o dovremo dire aumane, tanto ci sono, qui, lontane?). Dunque, ogni sabato sera, al posto dei festini col mangiadischi, letture rituali in via Patriarcato. Nietzsche, Evola, la biografia di Federico II del Kantorowicz. A leggere è Freda, con la sua voce da basso. Altro che “così è se vi pare”: così è e così deve essere, costi quel che costi in termini di spiacevolezze. Non si poteva accettare che il mondo precipitasse verso la vita comoda, la competizione dei minimi termini, a chi si comprava prima la nuova Seicento, a chi beveva più daiquiri al tavolino di un bar. Si era alzata una nuvola di cipria che neanche l’atomica americana: si rischiava di non vedere più il sole. E Leonardo, genio riconosciuto, che in tempi non sospetti aveva proclamato: “No si volta chi a stella è fiso”. In Italia stava scoppiando mezza guerra civile il giorno in cui spararono a Togliatti: migliaia di rossi inferociti per le strade, e tutto si ricompose per la vittoria di Bartali al Tour de France. Già allora si poteva intuire come sarebbe finita. “Se si tolgono all’uomo le sue catene, si libera solo un animale” - ci ricorda l’abrasivo Nicolás Gómez Dávila, pubblicato da Ar nel 2007.
Ma le catene dell’uomo non devono necessariamente essere le lambiccate analisi del filosofo razionalista, che vuol salvare capra e cavoli mettendo insieme l’ineffabile e la sua dimostrazione. La verità è ai confini con l’irrazionale, è come un radicale linguistico, come il radicale ar: va indovinata, non può frantumarsi in porzioni di comoda ingestione. Deve turbare – sostiene Nietzsche, autore-cardine di Ar. Ma chi legge il Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane, primo volume pubblicato dalle Edizioni di Ar, deve sapere che non ha di fronte i discendenti degli inglesi che seviziavano i boeri nei primi campi di concentramento della storia e capire che si tratta, in fondo, di una terapia d’urto per uscire dalla palude del dopoguerra. C’è il libro e c’è il lettore: tra di loro un destino, forse, di consonanze.
“Un bosco di corna, l’umanità, più fitto del bosco della Ficuzza quand’era bosco davvero. E sai chi se la spassa a passeggiare sulle corna? Primo, tienilo bene a mente: i preti; secondo: i politici, e tanto più dicono di essere col popolo, di volere il bene del popolo, tanto più gli calcano i piedi sulle corna; terzo: quelli come me e come te… È vero che c’è il rischio di mettere il piede in fallo e di restare infilzati, tanto per me quanto per i preti e per i politici: ma anche se mi squarcia dentro, un corno è sempre un corno; e chi lo porta in testa è un cornuto… La soddisfazione, sangue di Dio, la soddisfazione: mi va male, muoio, ma siete dei cornuti…”
È Leonardo Sciascia a offrirci lo scorcio perfetto della società attuale, attraverso la voce di uno di quei suoi personaggi che quando aprono bocca fanno impallidire tutti i filosofi à la page. E, a proposito di destino, e di consonanze: è sempre Sciascia, nel novembre del 1979, a sdegnarsi per come Freda è stato trascinato in Italia dal Costarica, dove si era allontanato.
Il panorama culturale italiano è così ricco di corna, oggi, che il bosco della Ficuzza, a confronto, pare una radura. Ar splende nel suo altrove (ora una gattabuia, ora Nubicuculia) come un unicum, per libertà di pensiero e sincerità di azione. Cinquant’anni che pubblica libri per i non cornuti: “La soddisfazione, sangue di Dio, la soddisfazione”!...
16/03/13
HABEMUS PAPAM: Georgium Marium Bergoglio qui sibi nomen imposti Franciscum
di Primo Siena
Nel giorno dell’elezione del nuovo Papa Francesco, il gesuita argentino d’origine italiana
Cardinal Jorge Mario Bergoglio, la prima riflessione che affiora alla mente è
quella di vedere in lui un segno provvidenziale di continuità con il precedente
pontificato, sia pure mediante modalità diverse inerenti alla personalità del
nuovo Pontefice. Francesco è succeduto a Benedetto XVI,
quasi seguendo - in impressionante e significativa analogia storica - Benedetto
da Norcia e Francesco d’Assisi. Chi ha voluto, con subliminale mala fede,
presentare Bergoglio come concorrente di
Joseph Ratzinger nel conclave del 2005, ha ignorato che allora il Cardinale
argentino, al terzo scrutinio fece vertere i suoi voti sul tedesco, divenendo
così il garante della sua altissima votazione (com’è stato ormai accertato). Per
cui il fatto che il conclave del 2013 abbia eletto Pontefice colui che nel
conclave precedente era per voti il primo dei non eletti, avvalora la proiezione di un pontificato sull’altro.
Chi conosce l’azione del Cardinal Bergoglio quale arcivescovo di Buenos
Aires, sa che il porporato si è sempre dimostrato assai sensibile verso la
povertà materiale. Il nuovo Papa, però, com’è stato giustamente rilevato (ad
esempio da Giuseppe Brienza sul “Corriere del sud” del 14 marzo 2013), non è
mai caduto verso quella Teologia della liberazione più volte condannata
dallo stesso Ratzinger sia da Prefetto della Congregazione per la Dottrina
della Fede sia da Pontefice.
Inoltre Bergoglio è persona umile d’animo, ma di spirito forte e di mano
ferma. Il che fa presumere che sia in
grado di spogliare la
Chiesa Romana degli ulteriori residui di potere temporale,
per innalzarne vieppiù la grandezza spirituale.
Lo vedo come un Papa riformatore della Curia, alleggerendone le
strutture, ma fermo nel conservare il
patrimonio dogmatico e liturgico della Chiesa, secondo la consegna sapiente che
fu già di Papa Leone XIIIº, Veteris Novis
Augere.
Si sa che nella capitale argentina, come arcivescovo viaggiava in
autobus, ma sempre con l’abito talare, mai
in clergyman. Anche questo è un segno che la dice lunga. Benedetto XVI aveva sostituto la tiara nel suo stemma pontificale, con la mitria
vescovile (segno simbolico di profondo
significato); Papa Francesco ha immediatamente sottolineato, appena eletto, di sentirsi Pontefice della
Chiesa universale in quanto Vescovo di Roma, ribadendo impicitamente la
romanicità del cristianesimo.
Anche in questo percepisco un nuovo
segno di continuità tra la extra-ordinarietà del Pontificato che è iniziato il
13 marzo (a cominciare dal nome assunto dal nuovo Pontefice), con i precedenti
di Pio XII e Benedetto XVI, che sentirono e concepirono Roma, urbs iustitiae, centro del pontificato
(nel significato specifico di pontus)
del cristianesimo universale sorto in Gerusalemme, luogo sacro deputato al
ruolo escatologico di celestialis Civitas
Pacis.
Papa Francesco, viene da lontano, da quell’America iberica che il maggior
filologo classico argentino del secolo XXº, Carlos Alberto Disandro, definiva
“America Romanica”; e che oggi più che
mai sembra costituire il ponte metapolitico tra passato e futuro, tradizione ed
innovazione. Dal luogo, dunque che già Giovanni Paolo IIº considerò il “continente della speranza”, auspicando da lì il rilancio
dell’evangelizzazione di un mondo avvolto dalle sprire del relativismo
morale e che s’inginocchia dinnanzi ad
un nuovo vitello d’oro, emblema della globalizzazione dei mercati e del potere corruttore
del danaro.
Nella geografia sacra i continenti contano non tanto per il loro spazio fisico
quanto per le tradizioni viventi che vi si manifestano. In questo senso lo
spazio dell’America Iberica dalla quale proviene Papa Francesco, rivitalizza il canto della speranza riassunto nelle apparizioni della “sempre
Vergine Maria di Guadalupe” (Tepeyac, 1531), nel cui mistero è custodito il destino
escatologico dell’America Romanica: potenza evangelica del Cristianesimo teandrico
rivelato dal Cristo crocefisso sostenuto dalla Vergine Madre, diritta e solenne
come colonna che, sorreggendo un mondo ottenebrato, prefigura il fulgore aurorale di una Pasqua
cosmica ventura.
Qui sembra consistere l’entelechia
(appunto da: en telei èchein: avere
in sè la forma ideale, la forza interiore) del continente americano, cioè la
forza ideale esteriore ed interiore della sua cattolicità romana, restauratrice
di una evangelizzazione invocata da Benedetto XVIº e rilanciata con vigore da
Papa Francesco.
S’è sostenuto, con una certa imprecisione, che con l’avvento al soglio di
Pietro di un pontefice iberoamericano, il baricentro della Chiesa
cattolica romana si sposta dall’Europa, impoverendone
l’identità quando la crisi che l’avvolge ne imporrebbe il potenziamento. Questo
puó essere vero, in parte, se consideriamo che Europa ed Africa mediterranea
per secoli costituirono la quarta sponda del cattolicismo romano-germanico
della seconda Roma: Ma ora- con l’elezione
di un Papa argentino di trasparente origine italiana - sul continente americano s’affaccia dalla
quinta sponda oceanica la Terza Roma del
cristianesimo iberoamericano, la cui fede
evangelizzatrice rimonta pur sempre
all’evangelizzazione missionaria partita dall’Iberia e quindi dall’Europa. Alla quale ritorna dalla riva della Baia sognante di Rio de Janeiro, dove giganteggia la statua
del Cristo Redentore, Rex Regum et Dominus Dominantium, quale messaggio di fede rinnovata che,
dalla Chiesa universale di Roma,
si diffonde sull’universo mondo.
Santiago del Cile, 16 marzo 2013
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