Il cardinale Joseph Alois Ratzinger (nato
a Markt am Inn, Baviera, Germania 16 aprile 1927), è stato eletto 263° papa il
19 aprile 2005. Nel 1977 arcivescovo metropolita della Diocesi di München-Freising
e quindi Prefetto dell’Istituto per la Dottrina della Fede.
Ha adottato uno stemma che, in parte,
contraddice le forme canoniche precedenti ma con un preciso intento simbolico e
che risulta così blasonabile:
“Di rosso, cappato d’oro alla conchiglia
dello stesso; la cappa destra alla testa di moro al naturale, vestita,
labbrata, coronata di rosso; la cappa sinistra all’orso bruno al naturale,
levato lampassato e caricato d’un basto di rosso, legato di nero. Accollato
alle chiavi pontificie. Timbrato da una mitra d’argento, portante tre fasce
d’oro collegate verticalmente dello stesso. Uscente dal margine inferiore della
punta un pallio al naturale, con un’estremità visibile di nero, caricato di tre
crocette patenti rosse” (1).
La forma della partizione dello scudo è detta
a “cappa”: è stata messa in relazione ai simboli “di religione” e farebbe
riferimento alla spiritualità monastica (in questo caso probabilmente
benedettina o agostiniana).
La conchiglia è simbolo del
pellegrino e legata in particolare al Pellegrinaggio di Santiago di Compostela
(è detta anche conchiglia di San Giacomo), ma ricorda anche una leggenda legata
a Sant’Agostino (2). Si racconta infatti che un giorno, il santo vescovo di
Ippona, mentre stava meditando sull’imperscrutabilità della Trinità, incontrò
un bambino intento a versare acqua di mare in una buca; Agostino gli chiese
cosa stesse facendo e il bambino candidamente rispose “sto versano il mare in
questa buca”: questo fece riflettere il santo su quanto fosse impossibile per
la mente umana comprendere il mistero dell’infinità di Dio. Nello stemma
cardinalizio di Ratzinger la conchiglia era in effetti rappresentata pescante
dal mare.
La stessa conchiglia è anche arma principale
dell’Abbazia “degli Scozzesi” (Schotten Abtei) di Ratisbona (Regensburg), dove
Ratzinger fu insegnante dal 1967 al 1977.
Vuole ricordare come il nostro stato sia
quello di “pellegrini sulla terra” alla continua ricerca di Dio “pur con i
nostri mezzi inadeguati”, nonché il “pellegrinante popolo di Dio” del quale
Benedetto XVI si riconosce pastore.
Il “ moro ” è il
tradizionale simbolo della Diocesi di Frisinga (Freising) risalente all’ VIII
secolo e adottato intorno al 1316 all’epoca dell’erezione del Principato Vescovile;
secondo la tradizione rappresenterebbe San Maurizio (3), il cui nome ha fatto
ipotizzare una sua origine dalla Mauritania o dalla Numidia (Sudan), che fu
“Primicerio” (ufficiale maggiore) della Legione Tebea (formata da legionari
cristiani), durante la spedizione contro i Galli rifiutò con i suoi soldati di
sacrificare agli dei per propiziare la vittoria: perciò l’imperatore Massimiano
Erculeo li fece uccidere tutti presso Agaunum (l’odierna Saint Maurice, presso
Martigny, nel Vallese) nel 287 (la corona è un antico simbolo di martirio per
la fede). Figura molto diffusa nell’araldica germanica è anche il patrono delle
Guardie Svizzere nonché “contitolare” dell’Ordine Cavalleresco dei Santi
Maurizio e Lazzaro (detto Ordine Mauriziano).
Nel 1818 (con il Concordato tra Pio VII e re
Massimiliano Giuseppe di Baviera) venne creata l’Arcidiocesi di
Monaco-Frisinga, con sede a Monaco.
L’ orso carico del basto è
simbolo di San Corbiniano, evangelizzatore della Baviera, primo vescovo e
patrono di Frisinga (nato nel 680 a Chartres e morto l’8 settembre 730). Sempre
secondo la tradizione la mula sulla quale Corbiniano stava viaggiando verso
Roma fu sbranata da un orso durante l’attraversamento della Alpi; il santo
allora lo redarguì aspramente e lo costrinse a portare la soma e ad
accompagnarlo lungo il cammino, per poi lasciarlo nuovamente libero al ritorno.
L’orso compare anche in un commento di Sant’Agostino del salmo 72: “…sono
divenuto per te una bestia da soma, e così io sono in tutto e per sempre vicino
a te”.
Se in origine, quindi, la figura dell’orso
“addomesticato” voleva indicare come il cristianesimo ammansì il paganesimo, in
seguito finì per simboleggiare l’onere del ministero episcopale (4).
La mitra d’argento, novità
nello stemma del pontefice, ricorda però in molti particolari la precedente
tiara (5): riporta anch’essa tre fasce d’oro, collegate però da un braccio
verticale così da farle assomigliare ad una croce patriarcale: indicano che i
tre poteri (Ordine Sacro, Giurisdizione, Magistero) sono collegati nelle stessa
persona del papa.
Papa
Benedetto XVI si è, da subito, definito come “vescovo di Roma” e mai come
“Pastore della Chiesa Universale”:
una definizione gravida di potenzialità ecumeniche soprattutto nei confronti
della Chiesa Orientale, che ha sempre riconosciuto al papa di Roma un “primato”
esclusivamente onorifico (analogamente alla relazione esistente tra i
patriarchi orientali e il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli).
Altra novità è rappresentata dal pallio
, che da sempre indica la dignità pontificia; secondo alcuni (Corsero
Lanza di Montezemolo) in antico era una vera e propria pelle d’agnello poggiata
sulla spalla, secondo altri (Heim) deriva dalla toga senatoria (6); in seguito
venne sostituita da una lunga striscia di lana bianca tessuta con il vello di
agnelli allevati tutt’oggi per questo scopo. La striscia è caricata con sei
croci (nere o rosse).
È anche segno di dignità degli arcivescovi
metropoliti: indica quindi la collegialità del ministero e della giurisdizione
del papa con gli arcivescovi e, per mezzo di loro, con i vescovi suffraganei.
Prima di essere indossati i pallii devono restare per un certo periodo
nella Basilica di San Pietro, presso la tomba dell’apostolo.
La forma del pallio è mutata nel corso del
tempo: papa Ratzinger ne ha adottato uno che ricalca quello ritrovato nel
sepolcro di San Martino di Tours, lungo 260 centimetri , larga 8, risalente
all’XI secolo è considerato l’esemplare più antico giunto fino a noi (7).
Note:
• Blasonatura nostra
• Joseph Ratzinger conseguì la laurea
in Teologia, con una tesi dal titolo “Il popolo e la casa di Dio
nell’insegnamento di Sant’Agostino sulla Chiesa”.
• Se ne possono vedere richimi
nell’arma civica di San Candido/Innichen (BZ) e di Saint Vincent (AO).
• Vedi anche lo stemma del Comune di
Caines/Kuens (BZ)
• L’ultimo papa ad utilizzare
effettivamente la tiara fu Paolo VI (gli era stata donata dall’Arcidiocesi di
Milano della quale era stato metropolita) ma dopo l’incoronazione la mise in
vendita, la comprò il cardinale Francis Spellman, arcivescovo di New York, e il
ricavato utilizzato per le missioni africane. Ciononostante Giovanni Paolo I e
Giovanni Paolo II continuarono ad usarla nella rappresentazione grafica dei
loro stemmi, analogamente agli altri prelati che (pur non usandolo più)
continuano a fregiare i loro scudi con il “galero” (cappello simile al
copricapo da pellegrino) del colore di rango.
• I metropoliti devono fare richiesta
al papa del pallio ( “postulazione del pallio” ) entro tre mesi dalla
data della loro nomina e non possono indossarlo al di fuori dei confini della
loro Provincia Ecclesiastica; all’atto della rinuncia o abbandono della carica
non ne perdono il possesso ma non possono più indossarlo, infine alla loro
morte viene sepolto con loro.
• Precedente, ma assai simile nella
forma e nel significato, è l’ Omophorion della Chiesa Orientale. Una
famosa rappresentazione del pallio è quella dell’arcivescovo Massimiano di
Ravenna, nei celebri mosaici di San Vitale in quella città. Al pallio del papa
sono anche aggiunti degli spilloni d’oro rappresentanti le piaghe di Cristo.
Testi di
Massimo Ghirardi
Nessun commento:
Posta un commento