di Andrea Perrone
La
Corte europea dà ragione al popolo islandese. L’Islanda dovrà rimborsare solo
l’importo minimo previsto per legge pari a 20mila euro a tutti quei
risparmiatori britannici e olandesi che avevano investito nella banca online
Icesave e che era ignobilmente fallita nel 2009. La Corte Ue del libero scambio
ha inoltre respinto il ricorso dei governi di Gran Bretagna e Olanda – che
chiedevano al governo di Reykjavik la cifra stratosferica di 2 miliardi di euro
– contro i rimborsi minimi concessi ai correntisti di Icesave.
Il confronto con Londra e Amsterdam risale al 2009 quando l’Islanda, dopo il crack del suo sistema finanziario, si era rifiutata di restituire i soldi ai 350mila utenti inglesi e olandesi della Icesave, il conto online della banca Landesbanki che aveva attirato 4,5 miliardi di euro di depositi grazie ai tassi d’interessi particolarmente elevati. Il rifiuto del popolo islandese è stato più volte motivato grazie ad un paio di referendum che hanno sottolineato a larga maggioranza la volontà di rifiutare qualsiasi restituzione di danaro da parte degli islandesi perché non colpevoli del fallimento della banca. I veri responsabili sono stati infatti individuati e sono riconducibili a banchieri e politici che hanno speculato sulla banca e fatto finta di nulla pur sapendo che stava per fallire. Per questo il popolo islandese costituito in maggioranza da pescatori e allevatori si è detto assolutamente contrario a qualsiasi rimborso che avrebbe portato l’isola ad una crisi economica irreversibile.
Le autorità bancarie britanniche e olandesi, dopo un primo serrato confronto con l’Islanda, avevano deciso di rimborsare al 100% i loro concittadini rimasti a bocca asciutta, riservandosi di rivalersi in sede legale su Reykjavik. Da parte sua l’Islanda, grazie alla ripresa della sua economia e al riassetto del suo sistema creditizio, ha provveduto a rimborsare la cifra di 20mila euro a testa prevista dagli accordi con l’Unione europea. E dopo una serie di minacce – da parte di Londra e Amsterdam – che preannunciavano già la loro opposizione all’ingresso nell’Ue dell’Islanda, qualora Reykjavik non avesse rimborsato i loro cittadini, Gran Bretagna e Paesi Bassi hanno deciso di fare ricorso alla Corte europea per il libero commercio, opponendosi alla decisione di rimborsare i propri cittadini e clienti Icesave per una quota minima, ma subendo una sonora sconfitta. La sentenza del tribunale Ue, nonostante tutto, ha fatto giustizia ad un Paese come l’Islanda che è uscita completamente risanata dal fallimento da 80 miliardi di euro delle sue banche Kaupthing, la Glitnir e la Landsbanki. Un default equivalente a più di dieci volte il Prodotto interno lordo dell’isola. L’ennesima vittoria per il piccolo Stato dell’Europa settentrionale che, dopo aver rimandato a casa i tecnocrati del Fondo monetario internazionale, pronti a concedere un prestito ad usura in cambio di duri sacrifici, è riuscita a far riprendere la sua economia, che nel 2013 dovrebbe crescere del 2,9%. Un bel successo per un Paese che conta poco più di 300mila abitanti e che nonostante questo ha avuto il coraggio di opporsi all’usura internazionale, alla Perfida Albione e all’Olanda. A fallire come aveva ricordato subito dopo la scoperta del crack finanziario l’attuale primo ministro di Reykjavik, Johanna Sigurdardottir è stato tutto il sistema fondato sul libero mercato. “Le banche private hanno fallito, il sistema di supervisione ha fallito, la politica ha fallito, l’amministrazione ha fallito, i media hanno fallito e l’ideologia di un mercato libero e non regolamentato ha fallito completamente”, aveva chiosato il premier. La risposta del popolo islandese è stata dunque un bell’esempio che dovrebbe essere seguito da tutti quei popoli che vittime dei Signori del denaro intendono affrancarsi dal loro iniquo dominio.
Il confronto con Londra e Amsterdam risale al 2009 quando l’Islanda, dopo il crack del suo sistema finanziario, si era rifiutata di restituire i soldi ai 350mila utenti inglesi e olandesi della Icesave, il conto online della banca Landesbanki che aveva attirato 4,5 miliardi di euro di depositi grazie ai tassi d’interessi particolarmente elevati. Il rifiuto del popolo islandese è stato più volte motivato grazie ad un paio di referendum che hanno sottolineato a larga maggioranza la volontà di rifiutare qualsiasi restituzione di danaro da parte degli islandesi perché non colpevoli del fallimento della banca. I veri responsabili sono stati infatti individuati e sono riconducibili a banchieri e politici che hanno speculato sulla banca e fatto finta di nulla pur sapendo che stava per fallire. Per questo il popolo islandese costituito in maggioranza da pescatori e allevatori si è detto assolutamente contrario a qualsiasi rimborso che avrebbe portato l’isola ad una crisi economica irreversibile.
Le autorità bancarie britanniche e olandesi, dopo un primo serrato confronto con l’Islanda, avevano deciso di rimborsare al 100% i loro concittadini rimasti a bocca asciutta, riservandosi di rivalersi in sede legale su Reykjavik. Da parte sua l’Islanda, grazie alla ripresa della sua economia e al riassetto del suo sistema creditizio, ha provveduto a rimborsare la cifra di 20mila euro a testa prevista dagli accordi con l’Unione europea. E dopo una serie di minacce – da parte di Londra e Amsterdam – che preannunciavano già la loro opposizione all’ingresso nell’Ue dell’Islanda, qualora Reykjavik non avesse rimborsato i loro cittadini, Gran Bretagna e Paesi Bassi hanno deciso di fare ricorso alla Corte europea per il libero commercio, opponendosi alla decisione di rimborsare i propri cittadini e clienti Icesave per una quota minima, ma subendo una sonora sconfitta. La sentenza del tribunale Ue, nonostante tutto, ha fatto giustizia ad un Paese come l’Islanda che è uscita completamente risanata dal fallimento da 80 miliardi di euro delle sue banche Kaupthing, la Glitnir e la Landsbanki. Un default equivalente a più di dieci volte il Prodotto interno lordo dell’isola. L’ennesima vittoria per il piccolo Stato dell’Europa settentrionale che, dopo aver rimandato a casa i tecnocrati del Fondo monetario internazionale, pronti a concedere un prestito ad usura in cambio di duri sacrifici, è riuscita a far riprendere la sua economia, che nel 2013 dovrebbe crescere del 2,9%. Un bel successo per un Paese che conta poco più di 300mila abitanti e che nonostante questo ha avuto il coraggio di opporsi all’usura internazionale, alla Perfida Albione e all’Olanda. A fallire come aveva ricordato subito dopo la scoperta del crack finanziario l’attuale primo ministro di Reykjavik, Johanna Sigurdardottir è stato tutto il sistema fondato sul libero mercato. “Le banche private hanno fallito, il sistema di supervisione ha fallito, la politica ha fallito, l’amministrazione ha fallito, i media hanno fallito e l’ideologia di un mercato libero e non regolamentato ha fallito completamente”, aveva chiosato il premier. La risposta del popolo islandese è stata dunque un bell’esempio che dovrebbe essere seguito da tutti quei popoli che vittime dei Signori del denaro intendono affrancarsi dal loro iniquo dominio.
RispondiEliminaGrande Islanda!
Le usure internazionali, agenti della contro iniziazione nulla possono vs proiezioni iperboree della più che iniziatica isola.
Renè