21/06/12

Echi e commenti: Una riflessione sulle considerazioni di Giuseppe Gorlani alla nostra recensione de “Il Filo Aureo”


di Aldo La Fata

Innanzitutto, a nome del “Corriere metapolitico”,  ci preme ringraziare pubblicamente, Giuseppe Gorlani per i contributi scritti proposti e anche per i commenti che sicuramente hanno arricchito di validi e importanti contenuti questa nostra pagina web. La buona fede, la sincerità e l’onestà intellettuale di Gorlani sono fuori discussione e sono le qualità che vorremmo sempre incontrare nei nostri interlocutori quali che siano di volta in volta le posizioni assunte. La verità della Persona infatti ci preme sempre di più della giustezza delle idee e della loro cogenza logica. E tuttavia, la battaglia delle idee non va sottovalutata giacché, come ci ricorda il titolo di un classico politico-giornalistico del pensiero controrivoluzionario, sono proprio le idee a muovere il mondo. Non possiamo dunque trascurare il fatto che un “punto di vista” (in questo caso quello di Gorlani coincidente con le prospettive vertiginose della metafisica orientale e qui da leggersi soprattutto in chiave di personale “autobiografia intellettuale e spirituale”) ancorché libero da condizionamenti ideologici e fondato su presupposti di saggezza spirituale sia, nel suo farsi discorso, anche espressione di una particolare idea di realtà e di verità e in quanto tale soggetto a valutazione critica e a proposta alternativa.  Pertanto, anche la sua “formale” validità metafisica (il “filo aureo”), per excessus mentis, può venir meno e addirittura impedire quella liberazione o “realizzazione” che si era proposto nelle sue intenzioni.
Ciò premesso e fuori da ogni sterile intenzione polemica, entriamo nel merito della disamina di Gorlani apparsa su questo blog il 18 maggio u.s. con il titolo “Considerazioni sulla recensione a Il Filo Aureo”.

Gorlani nelle sue “considerazioni” riassume abbastanza fedelmente il punto di vista di Silvano Panunzio sulla “metafisica cristiana”, anche se, come lui stesso riconosce, il testo di riferimento è esclusivamente il capitolo “Mistero Supremo” tratto da “Contemplazione e Simbolo”  del 1976. Su questo soggetto infatti,  Panunzio ebbe a ritornare costantemente e l’insieme di questi scritti si trova ora raccolto nel volume  “La metafisica del Vangelo Eterno” (2007). Per quanto riguarda invece un bilancio conclusivo del suo pensiero, il rimando  al libro-testamento “La coralità celeste superdivina” del 2010 ci sembra imprescindibile.  Comunque sia, ad un certo punto della sua attenta e scrupolosa analisi del testo, Gorlani afferma che per quanto “ispirante e stimolante”, la tesi di Panunzio sul Mistero Supremo “non è priva di limiti o di nodi insolubili”. Ci chiediamo: non sarebbe stato più prudente e più saggio riconoscere il diverso angolo prospettico di Panunzio rispetto alle proprie tesi? Non è un mistero che Panunzio abbia sempre riconosciuto il carattere limitante della parola e del linguaggio e anche l’incapacità della ragione di pervenire alla Verità Suprema (su questo l’accordo con Gorlani è completo). Semmai, ma per un discorso di coerenza e di fedeltà al magistero cattolico, il Nostro si è sempre attenuto agli insegnamenti delle Sacre Scritture (alla Bibbia in primis) e alla sapienza universale soprattutto, ma non solo, di matrice cristiana. Non avendo questo discorso nulla a che vedere col rigore epistemologico di cui è il caso solo per la scienza profana, perché parlare di “limiti” e  di “nodi insolubili”?
Sui due punti suppostamente critici individuati da Gorlani nel testo di Panunzio ci permettiamo di osservare quanto segue.  Circa il discorso sulla “preferenza” del Padre per chi sceglie allo “stare nell’Uno” “la terribile esperienza dei molti”, andrebbe precisato che Panunzio quest’idea l’ha derivata dal concetto teologico di Kénosis secondo il quale Dio entra nello spazio e nel tempo per “farsi” uomo, spogliandosi dei propri attributi divini. Tale idea si ritrova del tutto analoga nello Tzimtzum o tzim tzum ebraico che rimanda letteralmente alla “ritrazione” o “contrazione” di Dio interpretata dai cabalisti medievali nel senso di una “autolimitazione di Dio” il quale si “ritrae” nell'atto della creazione del mondo. Mutatis mutandis, Panunzio ritrova questa medesima idea nell’ideale sacrificale ed eroico del Bodhisattva. Calarsi nella dimensione del Molteplice, significa, cristianamente, “Amare”. Gorlani,  preferendo un linguaggio più astratto ed extra-soggettivo, sceglie di porre la questione non nei termini dell’accettazione o del rifiuto del Molteplice (poiché, “volenti o nolenti, siamo immersi nella molteplicità”), bensì nella necessità di orientare la propria esistenza verso l’Alto, “armonizzandone le contrapposizioni ed offrendo noi stessi al Sublime”. Due modi diversi di dire la medesima cosa? E senz’altro possibile,  ma è altrettanto possibile che l’affermazione dell’una possa comportare l’azzeramento concettuale dell’altra e viceversa.  E’ questo un problema che occorre porsi per lo meno in sede di dibattito o di confronto intellettuale. La diversità di linguaggio può infatti anche comportare l’incomunicabilità tra le parti, a meno che non si adatti costantemente il linguaggio alla statura intellettuale e morale del proprio interlocutore. E’ esattamente quello che fa Gesù nei Vangeli, ma nel suo caso il dato costante non sembra essere la forma del suo linguaggio (quasi sempre analogico, simbolico e metaforico), ma il suo carattere di verità immediata certa ed evidente per sé, cioè la sua indiscutibile autorità (exousia). In questo senso il linguaggio dei mistici, ancorché caratterizzato da espressioni “affettive”, è superiore al linguaggio dei “metafisici formali” la cui lettera proprio perché non sempre vivificata dalla forza dello Spirito può arrivare ad “uccidere”. E infatti, non si può escludere nel caso dei “metafisici formali” una deriva nichilistica (qui tralasciamo per ragioni di spazio il caso “esistenziale” dei cosiddetti “nichilisti attivi” alla Evola, alla Jünger o alla Freda).  

Quanto all’immagine usata da Panunzio dell’uomo come “specchio di Dio” e di Dio come “specchio dell’uomo”, che Gorlani ritiene poco calzante mentre per lui lo sarebbe molto di più quella gnostica e plotiniana della “scintilla”, giacché essa “se pur infinitesima rispetto al Fuoco assoluto, partecipa della sua stessa natura”, avremmo da eccepire che mentre l’una rimanda a un simbolo tradizionale per sua natura extra-discorsivo, la seconda è più una metafora e cioè una figura retorica discorsiva. Il simbolismo dello “specchio” ha inoltre nell’ambito tradizionale a cui anche Gorlani dice costantemente di ispirarsi, un consenso sicuramente più unanime e trasversale di quello della “scintilla”. Se ne trova la presenza, solo per fare dei riferimenti autorevoli, in San Paolo, Ibn ‘Arabî, Maestro Eckhart, Angelo Silesio, Dante Alighieri e in Oriente nella tradizione vedica e nel buddhismo tibetano.
Ad ogni modo, sul piano del discorso Gorlani obietta che “se fossimo specchi, la nostra alterità col Padre sarebbe irrimediabile”. Bene, questo ci sembra davvero un punto dirimente, perché di fatto tanto il cristianesimo come pure la religione ebraica e l’islamica hanno sempre concordemente insistito su una differenza ontologica tra Dio e l’uomo (il Corano dice letteralmente che esiste  “la distanza di un arco tra Dio e l’uomo”). Qui però facciamo notare che proprio il cristianesimo –che, ci preme sottolinearlo, non è un monoteismo puro (fermo restando che l’espressione monoteismo è sorta solo in funzione polemica e nel confronto con il cosiddetto politeismo)- conosce un’importante eccezione all’idea di distanza irriducibile tra l’uomo e Dio, ed è precisamente quella di Gesù Cristo, ovvero dell’Uomo-Dio. In tutti gli altri casi -e vorremmo dire pour cause-  il cristianesimo lascia sussistere una differenza, uno scarto ontologico irriducibile e apparentemente irrimediabile. Qui, infatti, si tratta di far prevalere un dato esistenziale certo (l’abissale distanza tra l’uomo e Dio) su un dato metafisico imponderabile (la presunta identità sostanziale). E’ un “realismo” necessario che dinamizza creativamente il rapporto Uomo-Dio non risolvendone mai del tutto la tensione unitaria. E’ questo un conoscere per partecipazione e non per identità ed è la massima esperienza possibile di Dio o dell’Assoluto per un vivente.  Immaginare una conoscenza di Dio per identità è senz’altro suggestivo e in astratto possibile, ma non conosciamo nessun caso documentabile di questo tipo. La cosiddetta intuizione superconscia o l’esperienza evocata da Gorlani dell’andare al di là di dualità e non dualità (esperienza di espansione coscienziale, di Illuminazione, di Risveglio), per stare nella “formale” coerenza metafisica, dovrebbe avere come conseguenza la totale estinzione del corpo (e qui non basterebbe neppure una “temporanea” trasfigurazione: quest’ultima associata ai ben noti fotismi o esperienza della Luce attestate con certezza nelle tradizioni mistiche cristiana e mussulmana) e l’immediata e istantanea “assunzione in Cielo”. Lo stato del cosiddetto “liberato in vita” non corrisponde e non può corrispondere allo stato di “Identità Suprema” per la medesima ragione. Paradossalmente non si conosce in India nessuna figura storica che abbia realizzato questo stato (lo stesso Budda, secondo vuole la Tradizione scritta, sarebbe morto –se in modo volontario o accidentale poco importa- come un essere umano), mentre il caso di Gesù sembra il caso perfetto. Quindi, un vero metafisico dovrebbe avere come “modello” supremo e maestro perfetto proprio l’uomo-Dio Gesù, il quale non è semplicemente il “fondatore” di una religione a cui non si è congeniali. Il cristianesimo non può infatti essere considerato come una faccenda relativa a un gruppo umano (una tribù) di cui si può non tener conto, tanto più se si appartiene per nascita, per eredità  e per cultura al suo milieu. Non lo diciamo per partito preso o per fanatismo confessionale, ma a noi obiettivamente il Gesù proposto dai Vangeli e annunciato dal cristianesimo sembra la manifestazione più alta del divino in terra che si conosca. Qui però non si tratta di consentire al linguaggio cristiano di diventare il linguaggio universale (sarebbe questa senza dubbio una intollerabile prevaricazione), ma di considerare la possibilità che il “mistero cristiano” sia intimo a tutte le vere tradizioni che però lo riconosceranno con altri nomi e lo esprimeranno con altri linguaggi (quest’ultima idea fu caldeggiata da Raimundo Panikkar).
Aggiungiamo che per un “metafisico cristiano” non è accettabile che la domanda fondamentale sia un molto filosofico “chi sono io?”, ma, volendo usare le parole attribuite dalla Tradizione all’arcangelo Michele, un più religioso “Chi come Dio?”. Diciamo questo perché l’amico Gorlani astrae la domanda dal contesto metafisico hindù e la presenta come la domanda per eccellenza che ogni essere vivente si pone (e deve porsi se vuole venir fuori da se stesso). Facciamo poi notare sempre di passata a Gorlani che il Dio della Bibbia (quello per intenderci che sul Sinai si manifesta a Mosè nella forma del “roveto ardente”) non era un filosofo greco e che il senso dell’“Io sono colui che sono” non può risolversi in una semplice “filosofia dell’essere”. Su questa questione c’è da riconoscere che anche il nostro Doctor Angelicus, alias San Tommaso d’Aquino, ha filosofeggiato in senso aristotelico un po’ troppo e che parlare di una “metafisica dell’Esodo” come ha fatto il Gilson è un vero e proprio azzardo ermeneutico. 

In sintesi: la metafisica cristiana non può coincidere mai con una generica “metafisica o filosofia dell’Essere” e non può neppure accettare di essere subordinata ad una altrettanto generica e decontestualizzata “metafisica pura o integrale” che di fatto e di diritto non è altro che un punto di vista filosofico sulla Verità. La presunta universalità di questo sapere per quanto ammirabile e saggio non può essere mai posto al di sopra della Tradizione vivente che deve rimanere il Centro simbolico e reale del proprio orientamento spirituale, pena il vivere di illusioni mentali (salvo l’intervento della Grazia o della Divina Misericordia). Gorlani sa bene che il metafisico e vedantino René Guénon la cui statura e lucidità intellettuale appare anche oggi difficilmente eguagliabile, ha incardinato la propria esistenza in un contesto tradizionale vivo e che si è spento “religiosamente” invocando il nome di Allah (dunque il teorico della metafisica pura e dell’Identità Suprema in articulo mortis avrebbe ignorato i principi metafisici da lui stesso enunciati?).

L’amico Gorlani non può neanche ignorare il fatto che ogni religione debba essere in sé un assoluto e che nessuna religione possa accettare formalmente e dialetticamente di essere considerata o ridotta ad un relativo, per quanto lo si voglia ammantare di assoluto. In questo senso -e soprattutto in questo senso- arriviamo a dire che l’esclusivismo delle religioni ha un valore provvidenziale e intrinseco in sé (anche qui, tolto il fatto che tale esclusivismo possa degenerare fatalmente in ideologismo fanatico o in ottuso fondamentalismo), come, analogamente, ha valore intrinseco in sé la singolarità della persona umana, che va sempre considerata unica e irripetibile (non siamo né animali sociali in senso illuministico, né insetti collettivi in senso scientifico), che non può mai essere scambiata con un'altra né ridotta alla somma di altre. In questo senso, dare valore relativo a una persona o ad un essere vivente o considerarlo in modo strumentale significa di fatto offenderne la dignità e minarne l’integrità (su questa scala si può scendere fino all’ammissione e alla giustificazione dell’omicidio e dello sterminio di massa). Ugualmente parlare della religione, dei mezzi devozionali e delle pratiche di pietà religiosa come “strumenti” o come “mezzi” di cui ci si deve servire per andare oltre è a tal punto sminuente che nessun uomo veramente religioso potrebbe mai accettare un simile punto di vista. Senza contare che con simili riduzioni si finisce involontariamente con  l’invalidare “logicamente” teologicamente e metafisicamente il senso stesso della religione. Ogni religione infatti, è un tutto, e in questo senso effettivamente detiene “in esclusiva” le chiavi della Verità ultima. Una verità per tutti, sussistendo le diversità culturali ed esistenziali delle moltitudini che popolano la terra, sarebbe di fatto una verità per nessuno e quindi una falsa verità, una non-verità (come quella che la Scienza sostituendosi alla Religione va imponendo al genere umano. La famosa “unica proposta di vendita” di goebbelsiana memoria).  Riconoscere “l’esistenza di più lignaggi spirituali” non significa automaticamente relativizzare la propria religione che, ripetiamolo, richiede di essere un assoluto. Si tratta solo di una concessione puramente intellettuale o al più filosofica, come si riconosce il caso della diversità di opinioni e di idee per gli esseri umani. Ma intimamente non si può e non si deve mai relativizzare la propria religione o pensare di parificarla alle altre. Una simile operazione infatti, non spetta all’uomo ma solo a Dio.
Altro punto critico: la prospettiva metafisica si presenta formalmente come “il punto di vista di Dio”, ma la verità è che non esiste alcun uomo per quanto qualificato capace di poterlo assumere veramente (o meglio, per il cristianesimo, come abbiamo già detto, quest’uomo c’è ed è Gesù il Cristo). Quindi il discorso religioso non è mai veramente esaurito “preliminarmente”, ma è sempre in essere, sempre attuale, sempre vivo.
Quanto alla possibilità per gli uomini di questa epoca di scoprire un irresistibile richiamo verso altre tradizioni diverse da quelle di appartenenza, questa sembra essere effettivamente una possibilità che è difficile e imprudente escludere in maniera assoluta, ma rimane pur sempre il dubbio che si possa trattare di un misanderstending, di un errore di valutazione o peggio di un cedimento al proprio ego e alle sue aspettative e richiami illusori. Anche Panunzio a un certo punto della sua esistenza si sentì attratto da un'altra forma tradizionale (era il buddismo lamaico tibetano), ma vi seppe rinunciare in nome di un più alto “sacrificio intellettuale” (l’evangelico “rinnega te stesso” evocato per un diverso caso dallo stesso Gorlani). In questa circostanza si può parlare effettivamente di “innalzamento verticale” ma in senso “religioso”. 
Quanto all’innalzamento verticale “sovrareligioso” o transreligioso non sapremmo dire con esattezza dove esso stia veramente di casa (forse nella pura ascesi come sostiene Gorlani), ma dove sarebbero in quest’epoca di devastazione totale (estetica, culturale, psicologica, intellettuale, morale e spirituale) gli uomini capaci di tanto?

10 commenti:

  1. Grazie di cuore per questa "perla" che mi conferma e sostiene nella Via cristiana intrapresa. Guenon rimane il punto di riferimento, ma va assunto e riassunto in Cristo. Dobbiamo però percepire Cristo vivo per riempirci di sacro splendore.
    Cari saluti

    Bernard

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  2. Aldo, quando scrivi:

    ‘Lo stato del cosiddetto “liberato in vita” non corrisponde e non può corrispondere allo stato di “Identità Suprema” per la medesima ragione. Paradossalmente non si conosce in India nessuna figura storica che abbia realizzato questo stato (lo stesso Budda, secondo vuole la Tradizione scritta, sarebbe morto –se in modo volontario o accidentale poco importa- come un essere umano), mentre il caso di Gesù sembra il caso perfetto. Quindi, un vero metafisico dovrebbe avere come “modello” supremo e maestro perfetto proprio l’uomo-Dio Gesù, il quale non è semplicemente il “fondatore” di una religione a cui non si è congeniali.[...] Non lo diciamo per partito preso o per fanatismo confessionale, ma a noi obiettivamente il Gesù proposto dai Vangeli e annunciato dal cristianesimo sembra la manifestazione più alta del divino in terra che si conosca.’

    In linea teorica sconfesserebbe la storiella zen del “Quasi un Buddha”(che parrebbe collocare in una scala spirituale, Gesù, leggermente di sotto di un risvegliato, poichè non ancora risvegliatosi)?

    La riporto di seguito:

    “Un giovane universitario, che era andato a trovare Gasan, gli domandò: Hai Mai letto la Bibbia cristiana?.
    No, leggimela tu disse Gasan.
    Lo studente apri' la Bibbia e lesse da san Matteo: E perchè ti preoccupi del vestiti? Guarda come crescono i gigli del campo: essi non lavorano Salomone in tutta la sua gloria era abbigliato come uno di loro... Percio' non darti pensiero del domani, perchè sarà il domani a pensare alle cose....
    Gasan osservò: Chiunque abbia detto queste parole, a me sembra un uomo illuminato.Lo studente continuo' a leggere: Chiedi e ti sarà dato, cerca e troverai, bussa e ti sarà aperto. Perchè colui che chiede riceve, e colui che cerca trova, e colui che bussa verrà aperto. Gasan commento':Questo è molto bello. Chiunque l'abbia detto, è quasi un Buddha.”

    Gasan però non si sofferma sulla reale domanda, cioè chi è la persona che ha detto quelle parole.

    Cosa ne pensi?

    Fabrizio

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  3. Caro Fabrizio,
    innanzitutto ti ringrazio del commento. E’ chiaro poi che il mio punto di vista è quello di un cristiano e di un cattolico professo che formaliter sarà sempre diverso e magari anche distante da quello del Dalai Lama o da quello di un monaco zen o da quello di uno sciamano siberiano. La mia è una testimonianza di fede e non una posizione da contrapporre a chicchessia, foss’anche il monaco della storiella zen che reputa il discorso evangelico saggio ma ben al di sotto degli insegnamenti di un Risvegliato. Se il monaco zen anziché ascoltare semplicemente un brano del Vangelo letto con ogni evidenza con scarsa immedesimazione da un europeo senza fede avesse incontrato “personalmente” il Cristo, non pensi Tu che lo avrebbe di sicuro riconosciuto come un Buddha vivente?

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  4. Ciao Aldo, grazie a te per la risposta. La tua riflessione è senz'altro corretta e condivisibile.

    Chiaramente la tua è una testimonianza di fede, anche perchè sarebbe certamente pericoloso riportare una propria opinione, sia anche frutto di uno studio rigoroso e complesso, come punto di vista assoluto e non relativo. Diciamo che in campo di studi "tradizionali" confondo sempre il relativo e l'assoluto tra le varie definizioni e massime concettuali dei vari filosofi. Spesso mi chiedo dove cominci uno e dove finisca l'altro, per evitare di cadere nel solito relativismo culturale.

    Tornando alla tua domanda, provo a rispondere. Chiaramente trovarsi di fronte Gesù dev'essere stata un'esperienza così straordinaria da portarci logicamente a supporre che se Gasan se lo fosse trovato davanti probabilmente avrebbe avuto una reazione ben diversa da quella avuta ascoltando il brano del vangelo letto dall'universitario.
    Su questo non ci resta che la testimonianza degli Apostoli , in grado di dare la vita, di rinnegare sè stessi pur di tramandare il Vangelo (che non è cosa da poco, non voglio sminuire la cosa) fino a noi.

    Detto ciò, però, chi può dirlo, bisognerebbe aver davvero incontrato Gesù di persona per parlare. Faccio il San Tommaso? Forse, ma volevo chiudere con una provocazione, chi ha incontrato veramente Gesù, dopo di loro?

    Fabrizio

    Fabrizio

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  5. Più che altro, scusa se insisto, la cosa che mi colpisce è che il monaco si limita a valutare la persona o il maestro che insegna dall'altezza dei suoi insegnamenti(il discorso sarebbe ovviamente diverso se si ponesse invece la domanda dell'identità del "maestro", l'evangelico "e voi chi dite che io sia?").

    Però mi colpisce questo, Gasan inizialmente dice che gli sembra un Illuminato, quando Gesù dice di non preoccuparsi per il domani, agendo impersonalmente(l'insegnamento taoista del wei wu wei) l'azione passiva/attiva, ma dice che è "quasi" un Buddha, espressione singolare, quando dice ai suoi discepoli di chiedere senza timore perchè riceveranno (dal Padre) e quindi dal punto di vista buddhista, l'insegnamento sarebbe scorretto o inferiore perchè si alimenterebbe in qualche modo il desiderio samsarico che invece andrebbe "estinto" (Nirvana) ed estirpato definitivamente.

    In questo senso riesco a capire l'opinione di Gasan, ma forse non ha senso confrontare in questo modo le tradizioni, visto che cristianesimo e buddhismo hanno il medesimo fine ma percorrono strade diverse.

    Fabrizio

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  6. Caro Fabrizio,
    la storia del cristianesimo è una testimonianza continua di questi incontri con il Cristo Vivente e non c’è che da prenderne atto onestamente e senza pregiudizi. Una testimonianza di fede poi è qualcosa di incontestabile e non esistono argomenti “a contrario” in grado di delegittimarla. Il problema è che solo la fede comprende la fede; solo chi è nella Verità comprende la Verità. Qual è il grado di partecipazione alla Verità di un buddista? E quale quella di un cristiano o di un musulmano? Questa è la domanda fondamentale da porsi. Cristianamente solo chi ha operato un autentico “discernimento degli spiriti” può rispondere, per tutti gli altri deve valere la regola d’oro della sospensione di giudizio o il rispetto che si deve sempre e comunque al diverso da sé. E’ imprudente infatti l’esprimersi su un contesto che si ignora e di cui non si ha nessuna esperienza diretta. Per un taoista il cristianesimo è “una dottrina puerile”; per un cristiano gli insegnamenti taoisti sono nella migliore delle ipotesi “rivelazione naturale” nella peggiore “animismo”, “magia” o simili. Ciò che io esprimo nella mia lingua è compreso diversamente da chi ne parla un’altra e così via. Insomma, a conti fatti non possiamo neanche dire che due religioni diverse perseguono il medesimo fine. In realtà, ognuna persegue il fine (diverso) per cui è stata creata e voluta dall’Alto. La “salvezza dell’anima”, il “risveglio”, la “liberazione” non sono proprio la stessa cosa, non trovi?

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  7. Se però parliamo di:

    “salvezza dell’anima”
    “risveglio”
    “liberazione”

    come di fini diversi, allora è facile supporre gradi di rivelazione della Verità diversi?

    A che pro quindi degli studi tradizionali per cogliere elementi comuni nelle diverse tradizioni se sconfessiamo un autentico fine unico anche a livello sostanziale e non solo formale?

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  8. Caro Fabrizio,
    non si tratta di sconfessare l’utilità e il merito degli studi comparati delle religioni o di sminuire la provvidenzialità e l’importanza degli “studi tradizionali”. Dagli uni e dagli altri c’è molto da imparare e molti insegnamenti da cui trarre profitto culturale intellettuale e spirituale.
    Tuttavia, la serietà e il rigore non ci consentono di omologare concettualmente dottrine che si presentano come diverse. Liberarsi dal ciclo delle rinascite o salvarsi l’anima non sono esattamente la medesima cosa, ne converrai. Sarebbe oltre che incauto, sbagliato e fuorviante il sostenerlo. Siamo pertanto costretti a riconoscere la diversità e non solo come un puro fatto linguistico o formale. Ma attenzione: non si tratta di “gradi differenti di verità” (es. meno verità nel cristianesimo, più verità nell’hinduismo o viceversa), ma di differenze di prospettiva legate alle diversità umane e antropologiche, oltre che esistenziali culturali e di civiltà. Senza contare –fatto rilevantissimo- che sono proprio le Potenze Soprannaturali a volere e ad ispirare questa “diversità”. E a sostenerla dall’Alto.

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  9. Cari amici, se leggiamo e meditiamo bene il Vangelo di domani (Marco 5, 21-45), XIII dom., allora si potrà capire l'importanza della formula iniziatica "Talità kum" che vien tradotta: "Fanciulla, ti ordino, alzati". Una migliore traduzione potrebbe essere: "Anima, ti ordino di risvegliarti" oppure: "di risorgere". Ho scoperto che l'espressione "Talità kum" è una storpiatura di una formula iniziatica più lunga. Forse una formula segreta che veniva trasmessa oralmente e che non poteva essere messa per iscritto affinché non cadesse nelle mani dei non-iniziati? (La formula completa si trova nel Bezae Codex Cantabrigensis). Questa ed altre formule sono poi state inglobate nei riti dei sacramenti. Purtoppo non c'è ancora uno studio sulle formule iniziatiche usate da Gesù e poi dai suoi apostoli. Bisogna studiare ancora e poi forse vi dirò ancora qualcosa. Cordiali saluti P.Danilo.

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  10. Caro Padre Danilo,
    aspettiamo da te ulteriori approfondimenti della tua importante scoperta filologica che getta uno squarcio di luce sul carattere davvero "iniziatico" e metafisico del cristianesimo delle origini. Tali verità sono rimaste per troppo tempo sepolte anche a causa di una insufficiente e spesso deviante esegesi moderna di cui i cosiddetti "nuovi teologi" sono i maggiori responsabili.

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