04/07/09

Quel Barack è un Anticristo!

Per incalzare i nostri amici "complottisti" e invitarli a una più attenta e seria valutazione della storia, proponiamo un valido e interessante articolo di Andrea Romano apparso sul Domenicale del Sole 24 Ore del 21 giugno scorso. In Italia i complottisti più quotati come Giulietto Chiesa e Maurizio Blondet arrancano e fanno sempre più fatica a documentare le loro azzardate affermazioni, mentre i loro più o meno numerosi seguaci e cattivi imitatori sono impegnati in uno sfiancante lavoro di "copia e incolla", al solito senza nessuna verifica delle fonti. Ombre di stupidtà, di ignoranza grassa e di infinita ingenuità. E a chi dovrebbe giovare tutto questo? Ai complottisti intelligenti e critici (se ce ne sono) l'ovvia risposta.

In una celebre lezione all’Università di Oxford del novembre 1963, trasformata l’anno dopo in un saggio per Harper’s Magazine, Richard Hofstadter formulò una definizione del complottismo come “stile paranoico” destinata a fare scuola. “Lo stile paranoico – era una delle conclusioni dello storico statunitense – si diffonde laddove si contrappongono due interessi che siano, o sentano di essere, totalmente inconciliabili e dunque estranei ai normali procedimenti politici di contrattazione e compromesso. Peggio ancora accade quando i rappresentanti di un particolare interesse sociale sono estromessi dal processo politico”.
Hofstadter guardava naturalmente alla stagione vissuta in quel periodo dagli USA, tra i postumi del maccartismo e le atmosfere legate alla candidatura dell’ultraconservatore Barry Goldwater alle elezioni presidenziali del 1964, ma quella sua raffigurazione dello stile paranoico non ha mai perso di attualità. Soprattutto nel suo essere sintomo di crisi politica, o meglio di crisi da immobilismo e da perdita della capacità di una o più parti politiche di esercitare la propria funzione di rappresentanza.
È difficile evitare di ripensare a Hofstadter in queste settimane. Non solo guardando alla risorgenza di complottismi di vario colore nella più recente cronaca politica italiana, ma anche per quanto va accadendo ad altre latitudini. Laddove il ricorso alle teorie cospiratorie riprende vigore all’interno di tradizioni politiche reduci da traumatiche sconfitte e ancora incapaci di rinnovare la propria missione e il proprio modo di essere forza nazionale.
Il caso statunitense è di gran lunga il più interessante, come accade ogni volta che si esplori lo spazio delle fantasie cospirative. I primi mesi dell’amministrazione Obama hanno visto risorgere nell’area ancora stordita della destra repubblicana alcune delle costruzioni complottistiche già diffuse prima delle elezioni, con l’aggiunta di numerose nuove comparse.
La teoria più rilevante è una sorta di “classico recente” del genere: il presidente degli Stati Uniti non sarebbe nato a Honolulu nelle Hawaii, e dunque in territorio statunitense, ma in Kenya o persino in Indonesia. Barack Obama non sarebbe dunque un “natural born American citizen” ma un ex suddito di Sua Maestà (essendo il Kenya del 1961 ancora una colonia britannica) e non godrebbe del diritto costituzionale a candidarsi per la Casa Bianca. Il cosiddetto “birther movement” pretende la divulgazione del certificato di nascita originale di Obama, che in realtà è già stato pubblicato ben prima del voto di novembre in una sezione speciale del sito ufficiale obamiano. Ma ovviamente quel documento viene considerato contraffatto, perché “un agente dell’FBI ha saputo da un compagno di bevute ben introdotto nell’Amministrazione – si legge in uno dei siti del “movimento del certificato” – che ben prima del giuramento il falso era stato preparato su una stampante Heidelberg del 1960 conservata in un museo di Toronto, controllato da una banca d’affari canadese con forti interessi negli USA, utilizzando carta e inchiostro dei primi anni Sessanta”. Nel frattempo il bizzarro ma insidioso movimento si allarga, contando sull’appoggio del presentatore televisivo ultraconservatore Rush Limbaugh e diffondendosi in numerosi stati attraverso gruppi di militanti organizzati.
Più pittoresche, ma non meno diffuse nell’ambiente della destra radicale, sono altre fantasie recenti che la rivista on-line Salon si è incaricata di catalogare nel dettaglio. Di ambito tecnologico quella che descrive Barack Obama incapace di intervenire in pubblico senza il cosiddetto “gobbo”, dove i collaboratori fanno scorrere testi già preparati e di cui il presidente non sarebbe mai a conoscenza. Di sapore classicamente millenaristico, anche se prevedibile, quella secondo la quale Obama sarebbe l’Anticristo: perché “Io vedevo Satana cadere dal cielo come folgore”, dice Gesù in Luca 10:18, e “baraq o bama” in ebraico significherebbe “fulmine dall’alto”, ma anche e più banalmente perché il giorno dopo la sua elezione alla Casa Bianca alla lotteria dell’Illinois uscì come combinazione vincente il satanissimo 6-6-6. Di senso etnico e geopolitico la credenza secondo la quale Obama avrebbe firmato una disposizione segreta in base alla quale saranno autorizzati a trasferirsi permanentemente negli Stati Uniti alcune centinaia di migliaia di palestinesi, tra cui è inevitabile che vi sia un buon numero di bombaroli fondamentalisti.
Forse diretta a spaventare i genitori di adolescenti in agitazione ormonale è la fantasia secondo cui Obama avrebbe finanziato con fondi federali un avveniristico treno monorotaia in grado di collegare direttamente Disneyland ai bordelli del Nevada. E chissà che non ricavi nuovo alimento dall’eccessiva cautela con cui la Casa Bianca sta seguendo i tumulti in Iran la storia secondo cui Barack, in qualità di musulmano occulto, avrebbe intenzione di permettere al regime di Teheran di dotarsi dell’arma nucleare così da poter distruggere Israele. “Perché dobbiamo ricordare a tutti – si legge sul sito radicale repubblicano Repubx.com – che Obama è un agente dell’Islam radicale e vuole che l’Iran possa contare sulla bomba atomica. Naturalmente non lo ammetterà mai e continuerà a dire tutto il contrario, ma sappiamo che i musulmani sono autorizzati a mentire per la causa dell’Islam”.
Sarebbe facile consolarsi con lo spirito credulone dei “soliti americani”, capaci delle più clamorose ingenuità. Quel che è vero è che negli Stati Uniti il complottismo sta forse tornando a casa, recuperando forza e credibilità in quegli ambienti conservatori dove Hofstadter aveva collocato lo “stile paranoico”, dopo che nel nostro ultimo decennio è stata soprattutto la sinistra radicale a farne uso in chiave anti-Bush. Si confermerebbe così l’associazione tra il ricorso al complottismo come risorsa di mobilitazione e la crisi della funzione di rappresentanza e innovazione di una parte politica, che nel caso della destra americana è ormai conclamata. Ma è ancor più vero che l’Europa è tutt’altro che immune dal fenomeno, se guardiamo anche solo in Francia e Gran Bretagna.
Nel primo caso lo stordimento di una sinistra sempre più tramortita dal sarkozismo spiega molto del recente e clamoroso successo di “L’insurrection qui vient”, pamphlet anonimo che a firma di un “Comité invisible” annunciava il lavorìo insurrezionale di una setta di giustizieri anticapitalisti ormai prossimi alla presa del potere. Nel caso britannico, poi, lo scandalo dei rimborsi parlamentari e i colpi che tutta la politica britannica ne ha ricevuto hanno provocato una piccola epidemia di “stile paranoico” in un paese che ne è tradizionalmente immune, tra cui molte voci sull’affiliazione massonica di David Cameron e su una sua regia nella rivelazione al Daily Telegraph delle note spese dei parlamentari. Tanto da indurre un commentatore radicale e atipico come Nick Cohen a scrivere sulle colonne di Standpoint che “con il collasso dell’autorevolezza dei politici britannici la domanda “Cui prodest?” è sempre la primissima reazione alla notizia di un disastro inatteso o alla morte improvvisa di una qualsiasi figura pubblica”. Rimarrebbe da dire della resurrezione del complottismo in Italia. Ma in fondo cosa c’entra la politica del nostro paese con “lo stile paranoico”?

(Fonte: www.andrearomano.ilcannocchiale.it)


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