E’ possibile prevedere le azioni sociali? Sì e no. E spieghiamo perché.
Ad esempio, un’azione sociale come quella di aprire l’ombrello in caso di pioggia è sempre possibile, ma non probabile. Ma procediamo per gradi.
In una società, dove solo 5 individui su 10 possono permettersi di acquistare un ombrello, resta certo possibile tutti lo aprano, mentre in realtà è poco probabile che lo aprano tutti (per non parlare della contemporaneità dell’apertura dell’ombrello…). Probabilmente lo apriranno 5 su 10. Ma è altrettanto probabile che tra quei 5, 1 lo abbia dimenticato a casa, 1 venduto per ragioni di bisogno, 1 in riparazione. Il che significa che a fronte della possibilità che tutti in caso di pioggia aprano l'ombrello, resta la probabilità che lo aprano solo 2 su 10… Ma anche questo non è del tutto probabile. Per quale ragione?
Perché i dati di cui sopra, possono mutare in relazione alla crescita o meno della diffusione degli ombrelli, legata non solo alle condizioni economiche (il poter permettersi o meno un ombrello), ma anche alle condizioni climatiche (continuità o meno del regime delle piogge), alle condizioni culturali (veti o meno all’uso dell'ombrello). E queste sono soltanto alcune delle numerose, se non addirittura infinite, variabili da applicare a una elaborazione di tipo statistico, circa il probabile verificarsi, di una azione sociale ritenuta possibile .
Certo possono essere utilizzati dei coefficienti capaci di calcolare le eventuali distorsioni… Ma il punto è che anche facendo così, si resta sempre nel campo del probabilistico.
E ci siamo riferiti solo all’aspetto esteriore, oggettivo, quello che riguarda l’osservatore, colui che formula la previsione.
Quanto a quello interiore, soggettivo, dell’attore in situazione, resta difficilissimo risalire alle ragioni individuali: cosa i singoli abbiano esattamente in testa, circa l’uso o meno dell’ombrello. Perché è vero che una parte della psiche umana è regolata socialmente, ma un’altra no. O comunque si tratta di una sfera che resta regolata, per contrasto, dalle relazioni e reazioni individuali (caratteriali e temperamentali) alle regole sociali. Ad esempio si può accettare o rifiutare l’ uso dell’ombrello in termini utilitaristici (difendersi dalla pioggia), per ragioni individuali non utilitaristiche: paura, imitazione, convincimento, consuetudine, decoro, eccetera.
Ora, se è così difficile, dal punto della previsione statistica dell’azione sociale, prevedere l’esatta percentuale di persone che in caso di pioggia aprirà l’ombrello (per non parlare della predizione tipo: martedì 16 luglio alle ore 14.00 pioverà, e alle ore 14.01, Mario Rossi, di Roma, abitante, eccetera, aprirà l’ombrello), figurarsi il prevedere, come, quando e perché, un ridottissimo gruppo di signori incappucciati, si riunirà, per decidere i destini del mondo. O addirittura predirne i comportamenti (nomi cognomi, data e luogo della riunione, eccetera)
Attenzione, abbiamo data per scontata l’esistenza di un gruppo di signori incappucciati. Cosa che non è perché il “complottismo” rinvia a un giudizio di valore sul mondo o se si preferisce a una visione, sempre “mirata” della storia umana. Ovviamente la stessa cosa può valere per l’”anticomplottismo”. Dal momento che dal punto di vista della teoria dell’azione sociale e della sua previsione, in tutti e due i casi è in gioco un determinante fattore soggettivo.
Il che significa che lo studioso serio - se non vuole essere retrocesso al rango inferiore dell'ideologo - deve sempre assumere una posizione oggettiva, al di sopra delle parti. E pertanto considerare la posizione “complottista” come quella “anticomplottista” per ciò che sono: due forme di manipolazione ideologica della storia.
Dal momento che la storia non esiste di per sé, ma è sempre una elaborazione culturale legata all’interpretazione ideologica degli eventi. Stesso discorso per la politica attiva, che non è altro che una interpretazione “storica”, a uso ideologico, della contemporaneità.
Esistono però “regolarità” psicosociali con effetti di ricaduta in ambito sociologico, che ci permettono di andare oltre il puro uso ideologico della storia. E una di queste regolarità, o costanti, è quella che Pareto, chiamava “istinto delle combinazioni”: il voler spiegare i fatti associandoli a derivazioni (ideologie giustificative). E dunque di "razionalizzarli" a scopo ideologico.
Le ideologie (come contenuti) passano mentre le manipolazioni culturali della storia (come forma) permangono. E la sociologia deve occuparsi di ciò che permane in senso trans-storico, e dunque principalmente della “forma”, o altrimenti detto: della manipolazione culturale, in quanto tale ("complottista" e "anticomplottista"), come costante o "regolarità" trans-storica e sociologica.
Si spera di aver spiegato con sufficiente chiarezza quanto sia difficile, a partire dall’uso dell’ombrello, prevedere - per non parlare del predire… - in modo corretto i “fatti sociali”.
Perciò cari lettori, un piccolo consiglio, diffidate dei complottisti come degli anticomplottisti. Soprattutto di quelli a buon mercato.
(Fonte: http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/)
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