31/07/08

Omaggio a Dante Gabriele Rossetti

Si apre il 14 agosto a Vasto (Chieti), nella sede di Palazzo d’Avalos, la mostra ­I Rossetti tra Vasto e Londra.
Omaggio a Dante Gabriel Rossetti nel 180 anniversario della nascita­.
Cittadina natale del capostipite Gabriele Rossetti, poeta e patriota morto in esilio a Londra nel 1854, Vasto rende omaggio al forte legame della famiglia Rossetti con le proprie origini. In mostra documenti, libri, oggetti e fotografie storiche che accompagnano una delle opere più significative del preraffaelita Dante Gabriel Rossetti:­ Beata Beatrix­, proveniente dalla Tate Gallery di Londra. Realizzata tra il 1864 e il 1870,­ l’ultimo dipinto del ciclo che illustra la Vita Nova ­di Dante.
Beatrice­ rappresentata nel momento di passaggio dalla vita terrena a quella del paradiso, in una visione fioca ma pervasa da un’aureola di luce.

29/07/08

Riabilitare Dante? Una questione "politica"

Il consiglio comunale di Firenze si è spaccato, nei giorni scorsi, sulla non proprio di scottante attualità questione della riabilitazione di Dante Alighieri, per il bando imposto dalla città toscana contro il poeta nel 1302. La proposta ha raggiunto il quorum richiesto per un solo voto, con le astensioni o i voti contrari di verdi e comunisti in polemica contro i consiglieri di Forza Italia, che hanno presentato la mozione, e la gran parte della maggioranza di centrosinistra, che l’ha accolta. Le polemiche che ne sono seguite hanno indotto l’ultimo erede di Dante, Pieralvise Sergio Alighieri, a rifiutare il Fiorino d’oro, l’onoreficenza ­riparatrice offerta dal comune di Firenze insieme alla pubblica riabilitazione di Dante con la formale revoca della condanna.

26/07/08

Iconostasi. Saggio sull'icona di Pavel Florenskij

La presente traduzione di uno dei saggi più importanti del teologo e filosofo Pavel A. Florenskij si basa sul testo filologicamente più attendibile edito in Russia nel 1995, che ricompone il testo originario basandosi sul manoscritto degli anni 1921-'22 (dettato da Florenskij alla moglie e poi da lui corretto), e su due copie dattiloscritte, riviste dall'autore soltanto in parte. Questa traduzione vuole, a partire dal titolo (Iconostasi), restituire al lettore italiano una versione quanto più possibile fedele e attendibile di un caposaldo della riflessione teologica e filosofica sull'icona frutto del lavoro che Florenskij aveva svolto per la conservazione dei beni culturali del monastero di San Sergio. Iconostasi nasce, dunque, dalla fusione di parti diverse, riguardanti il platonismo e l'iconografia, l'origine dell'incisione e l'iconostasi vera e propria. Riguardo al ruolo di primaria importanza conferito all'icona nella spiritualità ortodossa in quanto testimonianza visibile del mondo invisibile, Florenskij sottolinea la fondamentale differenza che esiste tra le iconografie d'Oriente e Occidente: essa sta proprio nel fatto che l'icona non è un'opera d'arte creata dalla fantasia del pittore, non è un prodotto del libero arbitrio dell'artista, ma nasce dalla "visione" di un santo. Iconostasi appare oggi quanto mai un testo attuale e necessario per comprendere il retroterra culturale della cristianità orientale.

(Fonte:http://www.libreriauniversitaria.it)

E se Dio esistesse?

La scienza è riuscita a dimostrare la non-esistenza di Dio? O, al contrario, l'ordine cosmico implica necessariamente un disegno intelligente? È proprio vero che non si può essere scienziati e religiosi allo stesso tempo? Quali sono i fondamenti dell'indagine scientifica e i confini tra scienza e metafisica? In questo volume l'astrofisico Italo Mazzitelli, aderendo alla laicità della scienza, risponde a tali interrogativi, confutando i luoghi comuni che vanno per la maggiore con un approccio adatto anche al lettore non specialista. Il discorso offre l'occasione di esaminare lo sviluppo del metodo scientifico, i successi raggiunti nel corso dei secoli ma anche i limiti da tenere sempre presenti. Limiti che implicano una conseguenza inevitabile: non potendo esplorare, per sua natura intrinseca, neppure la totalità del mondo materiale, la scienza deve mantenere un'assoluta neutralità nei confronti della fede, della religione e, soprattutto, del mistero di Dio.

(Fonte:http://www.ibs.it)


16/07/08

József Hoene Wronski tra luci e ombre

Abbiamo già avuto modo di parlare, trattando l'opera del grande scrittore romantico Juliusz Slowacki (1809-1849), del singolare movimento politico-spirituale del cosiddetto Messianismo polacco, seguito alla triplice spartizione di quella infelice nazione - nel 1772, nel 1793 e nel 1795 - da parte dei suoi tre avidi vicini: Russia, Prussia e Austria (cfr. F. Lamendola, Nel poema «Anhelli» di Slovacki, la missione espiatrice del popolo polacco, anch'esso consultabile sul sito di Arianna Editrice).

Insieme al grande poeta Adam Mickiewicz (1798-1855), autore degli immortali Sonetti di Crimea, e al filosofo August Cieszkowski (1814-1894), discepolo di Hegel ed autore, in giovinezza, dei Prolegomena zur Historiosophie, un ruolo eminente nell'ambito del messianismo polacco fu svolto dal matematico József Hoene Wroński (1778-1853), del quale intendiamo, in questa sede, brevemente occuparci.

Ma che cos'è, innanzitutto, il Messianismo polacco? Si tratta di una visione filosofica della storia nazionale, caratteristica del romanticismo in Polonia, seguita dai tre massimi poeti - oltre a Mickiewicz e Slowacki, anche da Zygmunt Krasinski (1812-59) -, che, sullo sfondo della visione hegeliana della storia universale, individua una speciale missione salvifica e rigeneratrice nel popolo polacco, chiamato a vivere in sé stesso il dramma di morte, sepoltura e risurrezione del Divino Maestro. Teorico e massimo ispiratore del movimento era stato il mistico lituano Andrzej Towianski (1799-1878), che, simile a un Gioacchino da Fiore del XIX secolo, andava predicando e annunziando l'avvento di un'epoca nuova fra i Polacchi in esilio, sorta dalla rigenerazione della parola di Cristo.

Ciò ben si accorda con quella caratteristica vena di misticismo slavo, che aveva condotto Slowacki a pellegrinare attraverso i luoghi della Terra Santa, convincendosi sempre più che al popolo polacco fosse stato riservato un destino storico di espiazione fra tutti gli altri popoli, rivivendo collettivamente la passione di Gesù Cristo e purificandosi, così, attraverso l'umiliazione della disfatta nazionale, che lo avrebbe condotto a riscoprire i veri valori dello spirito. Solo allora esso sarebbe stato degno di risorgere: ma, prima di risorgere, era necessario che morisse e che scendesse nel sepolcro.

Mickiewicz, il più illustre fra gli intellettuali polacchi in esilio, aveva conosciuto il Towianski nel 1841, a Parigi, ed era rimato ben presto conquistato dalla sua forte e strana personalità; Slowacki lo conobbe un anno dopo, nel 1842, e ne rimase a sua volta soggiogato, infervorandosi della sua stessa fede nella missione mistica e religiosa assegnata, nell'economia della provvidenza divina, allo sventurato popolo polacco.

Abbiamo detto che József Hoene Wroński fu, soprattutto, un matematico; anche se quest'uomo eclettico si occupò praticamente di tutto, dalla filosofia all'occultismo, dall'economia alla giurisprudenza, dalla fisica alla politica. Ha legato il suo nome, infatti, alla creazione del cosiddetto «determinante wronskiano», usato per verificare se due soluzioni di una equazione differenziale ordinaria di secondo grado siano dipendenti o indipendenti. Tuttavia, il suo nome è oggi quasi caduto nell'oblio, tranne che presso una ristretta cerchia di specialisti.

Difficilmente lo troviamo ricordato in una storia generale del pensiero matematico. Egli non è citato né nella vasta Storia della matematica di Carl B. Boyer (traduzione italiana dell'Istituto Editoriale Internazionale, Milano, 1976), né nella altrettanto documentata monografia di Eric T. Bell I grandi matematici (Sansoni, Firenze, 1966). Una sorta di vendetta della scienza accademica nei confronti di un personaggio decisamente scomodo, che ebbe l'inaudita pretesa di fondare una specie di nuova religione «assoluta» sulla base della prova matematica?

In effetti, la rigida divisione fra matematica e religione è una caratteristica del pensiero occidentale moderno. Non si ritrova presso gli antichi - basti pensare alla scuola mistico-filosofica e scientifica di Pitagora -, né in altre culture moderne, ad esempio quella dell'India (dove le due cose vanno spesso di pari passo e si trovano affiancate nella ricerca di una singola persona). Sia come sia, Hoene Wroński era, già al suo tempo, un personaggio decisamente fuori dalle righe, e i suoi molteplici e vulcanici interessi - ma specialmente quelli di natura mistica e d esoterica - non erano tali far predisporre benevolmente il mondo scientifico nei suoi riguardi.

Di fatto, almeno un matematico italiano suo contemporaneo si interessò alle sue ricerche nel campo delle scienze matematiche. Si tratta del romano Paolo Ruffini (1765-1822), autore di una Teoria generale delle equazioni, in cui si dimostra impossibile la soluzione algebrica delle equazioni generali di grado superiore al quarto (1798), che al Wroński dedicò lo studio: Intorno al metodo generale, proposto dal signor Hoene Wroński onde risolvere le equazioni di tutti i gradi, del 1816 (e pubblicata nelle Memorie della Società Italiana, XVIII, nel 1820).

Come matematico, Hoene Wroński si era impegnato particolarmente - come si è visto - nello studio delle funzioni algebriche e dei differenziali. Ma, come filosofo, i suoi interessi abbracciavano soprattutto l'ambito della storia, convinto com'era - sulla scia di Gioacchino a Fiore e di Andrzej Towianski - che una nuova epoca dell'umanità stesse per incominciare, e che la nazione polacca fosse stata chiamata a svolgervi un ruolo essenziale.

Questo il ritratto che ne delineava una delle più grandi esperte di letteratura della Polonia, Marina Bersano Begey, nella sua Storia della letteratura polacca (Casa Editrice «Academia», Milano, 1953, p. 147):

Un altro lato originale del pensiero messianico polacco è nell'opera di Józef Hoene-Wroński (1778-1853), autore anche di studi filosofico-matematici un po' confusi (Philosophie de la technique algoritmique; Le Sphinx ou le nomotechnique séhélienne, ecc.). Gli scritti messianici: Prodrome due Messianisme; Métapolitique messianique; Secret politique de Napoléon comme base de l'avenir du monde, professano un vago messianesimo napoleonico.

L'imperatore è dal Wroński considerato nuovo salvatore e ultimo grande riformatore dell'Umanità, sull'esempio del quale la sovranità divina e quella nazionale umana si debbono conciliare.

Il culto di Napoleone, peraltro, era piuttosto diffuso fra i Polacchi, sia in patria che in esilio. Era stato lui - infatti - a restaurare, sia pure per pochi anni, fra il trattato di Tilsit e la disastrosa campagna di Russia (1807-1812), uno Stato polacco indipendente: il Granducato di Varsavia (cfr. Stanislaw Arnold-Marian Zychowski, Précis d'histoire de Pologne, Éditions «Polonia», Varsovie, 1963, p. 79), a ciò spinto anche dalla relazione avuta con la giovane contessa Maria Laczyński Walewska, da cui nacque un figlio.

Ma anche nel resto d'Europa la figura dell'imperatore aveva colpito fortemente alcuni settori delle classi colte, specialmente nella prima fase della sua carriera, quando ancora sussisteva l'equivoco di una Francia liberatrice dei popoli oppressi; senza contare il suo fascino personale, cui non sfuggirono neppure personaggi della statura di Goethe, Hegel e del nostro Alessandro Manzoni. A maggior ragione i Polacchi, che, avendo perduto la propria indipendenza ad opera di quelle stesse potenze che ora erano schierate contro Napoleone (e molti storici sostengono che le spartizioni della Polonia "salvarono" la Francia rivoluzionaria nel 1792), nei suoi confronti non avevano nulla da perdere e tutto da sperare.

Comunque, tornando a Hoene Wroński, dopo la caduta di Napoleone il suo messianismo dovette rinunziare, ovviamente, alla figura di un condottiero vittorioso e si spiritualizzò, un poco come era accaduto alla fede dei profeti dell'Antico Testamento dopo la distruzione del regno d'Israele e la deportazione; o alle stesse comunità cristiane dei primi tempi, quando videro allontanarsi il giorno della seconda venuta di Cristo, da esse - all'inizio - creduta imminente.

Anche la prospettiva escatologica si andava allargando. Non si trattava più soltanto della resurrezione dell'indipendenza polacca, bensì, attraverso di essa, di una nuova forma di convivenza internazionale, basata su principi di giustizia e solidarietà. Un po' come Giuseppe Mazzini per gli Italiani, Hoene Wroński (e, più di lui, Towiański) tenne accesa la fiammella della speranza di un riscatto nazionale, ma collocandola in un panorama più ampio, europeo e mondiale, fortemente colorito di valori religiosi e di aspettative soteriologiche.

Il nucleo essenziale della sua concezione consiste nella capacità dello spirito slavo in generale, e polacco in particolare, di operare una mediazione e una sintesi (ancora la triade dialettica di Hegel!) fra il momento etico-religioso rappresentato dallo spirito latino, e il momento speculativo rappresentato dallo spirito germanico.

L'aspetto più sconcertante - e meno conosciuto - delle teorie filosofiche di Hoene-Wroński, profeta inascoltato che aveva sperato di essere l'elemento catalizzatore di un generale risveglio politico-spirituale dell'Europa, è, accanto alla sua propensione per l'occultismo (non certo rara nella Parigi dei primi anni del XIX secolo), la suggestione che su di esse esercitò una figura estremamente controversa, come quella di Eugéne Vintras.

Non è questa la sede per soffermarci su questo stranissimo personaggio, che già in vita accese intorno a sé sospetti, derisione, ripugnanza, ma che fu anche venerato come un santo da una ristretta cerchia di seguaci, che gli rimasero fedeli sino alla morte, avvenuta nel 1875. Ex operaio dal modesto livello di istruzione, ma fortemente ispirato sul piano religioso, Vintras aveva fondato dapprima un piccolo gruppo di preghiera, del quale faceva parte anche l'abate Charvoz, chiamato "Opera della misericordia"; e, più tardi - nonostante le denunce del vescovo di Bayeux, nel 1841 e la scomunica di papa Pio IX, nel 1848 - una sedicente "Chiesa del Carmelo". Dicendosi ispirato direttamente dalla Santa Vergine, che lo avrebbe salvato dalle fiamme dell'Inferno spalancate per inghiottirlo, Vintras soleva celebrare una funzione particolare, da lui denominata Sacrificio provittimale di Maria.

Alcuni testimoni riferivano che, nel corso di quella messa, avvenivano dei veri e propri miracoli; ad esempio, che il calice vuoto si riempiva di sangue, e altre cose del genere. Altri, invece, sostenevano che quella funzione era niente di meno che una messa nera, nel corso della quale Vintras officiava - e questo è storicamente provato - indossando sui paramenti una croce capovolta: ciò che ricordava apertamente la simbologia satanica.

Mistico o satanista, Vintras era e rimase un personaggio discusso ed enigmatico, che tuttavia esercitò un influsso più profondo di quanto non si crederebbe sulla società e sulla cultura francese del suo tempo. Tra gli intellettuali che ne furono influenzati c'era l'occultista Sain-Yves d'Alveydre, che si professò apertamente suo ammiratore, almeno in un primo momento; salvo poi cercare di mascherare il suo debito intellettuale con questi, sostenendo che la sua istruzione in materia esoterica proveniva da un'alta personalità della casta bramanica.

E c'era anche József Hoene Wroński, il quale - dopo l'eclisse dell'astro napoleonico - aveva finito per elaborare una curiosa teologia messianica derivandola, almeno in parte, proprio dagli insegnamenti di Vintras e dei suoi seguaci (cfr. Francis X. King, Il libro completo delle streghe e dei demoni: titolo originale: Withcraft and Demonology, 1987; traduzione di Michela Masci, Gremese Editore, Roma, 1988, pp. 114-115).

Ma alla teologia di Vintras - se così possiamo chiamarla -, nonché dal suo gruppetto di fedelissimi seguaci, prese le mosse anche un personaggio di lui più ancora controverso, per non dire sinistro: l'abate Boullan. Se Vintras era ancora, forse, relativamente in buona fede riguardo all'ortodossia dei suoi insegnamenti e delle sue pratiche rituali, Boullan era un uomo malvagio, che praticava sicuramente il satanismo e che, quasi certamente, era dedito anche al sacrificio umano, nel corso delle sue messe nere. Anche di lui non è questa la sede per parlare; ci riserviamo di farlo in altro luogo. Rimane il fatto che le dottrine di Vintras non dovevano essere poi così innocenti, se esse poterono fornire una base di partenza per la sinistra carriera di un adoratore del Diavolo, come lo era l'abate Boullan.

Giunti a questo punto, che cosa possiamo concludere?

Il Messianismo polacco fu un movimento peculiare, che presenta alcuni caratteri comuni con altri movimenti politico-spirituali dell'epoca (ad esempio, col Risorgimento italiano), ma anche, e soprattutto, caratteri assolutamente particolari. Frutto di una situazione storica assolutamente unica, ci sembra che presenti piuttosto forti analogie con i movimenti religiosi di libertà e di salvezza che si svilupparono, in quegli stessi anni, presso molte società africane, asiatiche, polinesiane e americane, sotto l'incalzare della drammatica sfida rappresentata dai colonizzatori europei, che le minacciavano non solo di distruzione fisica, ma anche di genocidio culturale.

Nel contesto di un fenomeno particolare come il messianismo polacco, quella di József Hoene Wroński è la vicenda di un intellettuale dalle notevoli risorse di cultura, intelligenza e volontà, che finisce per trovarsi isolato rispetto alla cultura del suo tempo e a retrocedere, nonostante i suoi sforzi per raggiungere un pubblico internazionale, verso una cultura «di nicchia» e verso forme di sapere marginali, guardate con diffidenza o riprovazione sia dal mondo scientifico, cui pure egli appartiene, sia dalla Chiesa cattolica, della quale vorrebbe essere un devoto seguace.

La suggestione su di lui esercitata da un uomo come Vintras si può forse spiegare come un tentativo di reagire all'isolamento e alla marginalizzazione, mediante l'instaurazione di contatti con i gruppi occultistici che avrebbero potuto esercitare una influenza segreta, ma reale, sul mondo politico del tempo.

Quest'ultima, ovviamente, è soltanto un'ipotesi, bisognosa di ulteriori verifiche. Che parte, però, da una constatazione abbastanza ovvia: anche al giorno d'oggi, all'ombra di gruppi esoterici più o meno discussi e marginali, operano attivamente altri gruppi occulti, sovente intrecciati con i primi, i cui obiettivi sono molto più concreti e immediati: il controllo del potere finanziario, politico e sociale. E che altro potevano sperare gli esuli polacchi, guide senza seguito di una nazione che sembrava ormai defunta, se non cercare di stabilire segrete relazioni con i centri del potere europeo, onde indirizzarli nascostamente a favore della propria causa nazionale?

NOTA BIOBIBLIOGRAFICA.

József Maria Hoene Wroński nasce a Wolsztyn, nei pressi di Poznán (in tedesco: Posen, nella cosiddetta Grande Polonia), il 23 agosto 1778 e muore l'8 agosto 1853 a Neuilly. Si era trasferito in Francia nel 1801, dunque sei anni prima che Napoleone restaurasse il Granducato di Varsavia; e vi rimase fino alla morte. Scelse di scrivere i suoi libri in francese, la lingua internazionale delle persone colte, perché desideroso di diffondere presso un pubblico più vasto i suoi ambiziosi progetti di rigenerazione politico-morale. Soleva dire che il suoi ideale quello di era servire la causa della Polonia attraverso la Francia.

Tra le sue numerose opere, ricordiamo quelle principali di argomento mistico e filosofico: Philosophie critique découverte par Kant (1803); Prodrome du Messianisme (1831); Messianisme ou la reforme absolue du savoir humain (1847); Philosophie absolue de l'histoire (1852). Alcune altre sono contenute nella citazione del brano di Marina Bersano Begey.

Ricordiamo, inoltre, le ricerche compiute sulla figura e l'opera profetico-filosofica di Hoene-Wroński, da parte di uno studioso italiano, Gerardo Cunico: Il messianismo politico. Hoene-Wroński, Mickiewicz, Cieszkovski, su Humanitas, Casa editrice Morceliana, Brescia, fasc. 1-2 del 2005, pp. 200-220; e Filosofia assoluta e storia della filosofia in József Hoene-Wroński, nel secondo volume degli Atti del XXXIII Congresso della Società Filosofica Italiana, tenutosi a Genova dal 30 aprile al 3 maggio del 1998.

(Autore: Francesco Lamendola - 14/07/2008; fonte: www.ariannaeditrice.it)

14/07/08

Vacances de l'Esprit


12 - 19 luglio 2008
sull’altopiano del Renon (BZ)
Emanuele Severino
“La storia, l’aldilà, il destino”

La parola “destino”, che nel titolo compare per ultima, dovrebbe stare all’inizio. Il suo senso stabilisce infatti il senso delle altre due. Le restituisce alla sua stabilità. Stabile è ciò che non può essere negato. Che cosa c’è di innegabile in ciò che diciamo “storia” e “aldilà”? E d’altra parte, sia la “storia”, sia l’ “aldilà” non sono forse interpretazioni e quindi qualcosa di negabile? Propriamente, l’intento di questi incontri riguarda il destino della “storia” e dell’ “aldilà”.
Riguarda quindi, innanzitutto, il senso autentico del destino - il suo differire da ogni forma di sapere e di agire di cui noi abbiamo notizia, e quindi il suo stare nell’ “inconscio” più profondo dell’uomo.
Eppure è nello sguardo del destino che la storia mostra la propria destinazione alla civiltà della tecnica e l’aldilà mostra di essere il destino stesso, cioè la stessa essenza più profonda dell’uomo.
Stiamo dicendo che il destino dell’uomo, cioè dell’ al di qua, è l’aldilà? Sì; ma a questa affermazione compete un significato esssenzialmente diverso da quello che la coscienza metafisico-teologico-religiosa sarebbe propensa ad attribuirgli.
Il destino non è “Dio” e non è nemmeno l’ “immortalità dell’anima”. E tuttavia il destino è qualcosa di infinitamente “più alto” di “Dio” e della “immortalità dell’anima”. È necessario pertanto che in esso appaia anche il senso autentico dell’ “altezza” e dell’essere “infinitamente” più alti di “Dio” e dell’ “immortalità”. E quindi è necessario che in esso appaia il senso autentico della morte.
Quanto si è detto implica che nello sguardo del destino la storia mostri una struttura dove il mortale è destinato d’apprima a Dio e poi alla civiltà della tecnica, che è la forma più rigorosa del divino.
Quello sguardo oltrepassa quindi la struttura della storia, cioè la relazione tra il mortale e il divino. Si tenterà di indicare, sia pure da lontano, il senso di questo oltrepassare.
Emanuele Severino

TEMI:
Struttura della storia dell’Occidente
Sul senso del destino
Sul senso dell’oltrepassare
Per ricevere maggiori informazioni o per prenotare, clicca qui...

11/07/08

Salviamo l’IsIAO


Un recente decreto del Consiglio dei Ministri italiano prevede la possibile soppressione dello storico Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (IsIAO, ex IsMEO), fortemente voluto da intellettuali come, ad esempio, Giuseppe Tucci e Giovanni Gentile, che è stato ed è uno dei centri di dibattito interculturale più noti al mondo. A tale riguardo è possibile far sentire una voce di dissenso firmando una lettera aperta indirizzata al Presidente della Repubblica, G. Napolitano.

Se sei interessato, leggi la lettera e sottoscrivila cliccando qui

08/07/08

Stele precristiana con iscrizioni su resurrezione


Un stele di pietra chiara, alta un metro, proveniente dal mar Morto con iscrizioni in ebraico e, soprattutto, datata dagli studiosi qualche decennio prima della nascita' di Gesu' sta alimentando nuove polemiche tra gli archeologici e i biblisti: il testo sembra parlare di "un Messia che resuscitera' tre giorni dopo la sua morte". E' quanto scrive il sito web del New York Times secondo cui se le analisi confermeranno l'autenticita' del manufatto e il contenuto delle 87 righe di testo avremmo la prova che la figura di un messia assimilabile a Cristo faceva gia' parte dell'antica cultura ebraica. La maggior parte del testo, e' una visione dell'apocalisse trasmessa dall'arcangelo Gabriele, basata sul vecchio testamento, specialmente sui racconti dei profeti Daniele, Zaccaria e Haggai, scrive il Nyt.

(Fonte: New York Times; New York, 6 luglio)

Addendum di Aristide Malnati
D i fronte a un reperto d’indubbia complessità esegetica e già foriero di polemiche tra studiosi, appare non inutile proporre semplici considerazione paleografiche ed epigrafiche, visto che per prima cosa siamo in presenza di una stele scritta in una determinata scrittura. Da paleografo greco – ma i principi dell’analisi grafica possono essere applicati a testi in qualsiasi altro alfabeto – mi sento di affermare l’impossibilità di stabilire una datazione sicura al decennio unicamente sulla base di elementi di scrittura. Per i papiri redatti in corsivo, e ancor più per epigrafi scolpite in lettere maiuscole, si è soliti proporre una datazione dell’ampiezza di un secolo; se poi nel testo, come nel caso della stele in questione, vi è la presenza di un personaggio storico, in grado di fornire un elemento di datazione extra- grafico, bisogna pensare che detto testo sia potuto essere vergato in un momento fino a 50- 60 anni successivo al periodo, in cui il personaggio di riferimento è vissuto. Su queste basi nulla vieta che la nostra epigrafe, che si riferirebbe a tal Simone a capo di una rivolta antiromana appena posteriore alla morte di Erode il Grande ( 4 a. C.), sia stata redatta negli anni 50 del I sec. dell’era cristiana; dunque ben dopo che il concetto di Messia fosse stato elaborato con riferimento proprio a Gesù.
Anzi in quest’ottica potrebbe rappresentare il tentativo da parte di qualcuno della comunità giudaica di riappropriarsi di una simile idea- cardine e di ricondurla nell’alveo della religione- madre in aperta polemica con il cristianesimo oramai affermato; e così questo sarebbe addirittura un nuovo reperto capace di confermare la formazione della neonata religione e la sua capacità di incidere fin da subito.
Impossibile una datazione al decennio solo sulla base della scrittura. E se l’epigrafe risalisse al 50 d.C., sarebbe un segno dell’ascesa cristiana.
(Fonte: Avvenire, 08/07/2008)

04/07/08

Scenari allucinatori e droghe virtuali per tutti

ROMA - Anche in Italia arriva l'allarme "droghe sonore online". Particolari onde tra i 3 e i 30 Hertz, frequenze che agiscono sul cervello umano, possono innescare le più diverse reazioni e sollecitare in maniera intensa l'attività cerebrale, in modo simile alle droghe. Basta collegarsi al sito giusto e scaricare speciali file per ottenere sequenze sonore dai nomi che sono tutto un programma: «marijuana», «cocaina», «alcol», «ecstasy».

ALLARME - L'allarme sulle «cyber-droghe», noto in rete con il nome di iDoser, è serio e arriva dal Nucleo speciale frodi telematiche della Guardia di Finanza, i cui 007 informatici stanno da tempo monitorando un fenomeno che potrebbe rapidamente dilagare - come già avvenuto in Spagna - e che già vanta migliaia di appassionati che discutono attraverso la rete, si scambiano impressioni e consigliano modalità e tecniche di somministrazione. Sono già centinaia, avverte la Guardia di Finanza, le pagine web dedicate a questo fenomeno e migliaia gli appassionati che discutono attraverso la rete, si scambiano impressioni e consigliano modalità e tecniche di «somministrazione».

COME E DOVE - Le dinamiche commerciali che stanno dietro al fenomeno ricalcano quelle del mercato tradizionale degli stupefacenti: la partenza è con file offerti gratuitamente, poi si passa alla sommistrazione a pagamento. Esiste una società che offre online, sul proprio sito, un vero e proprio lettore audio (tipo il popolare WinAmp dei file mp3) per "dosi sonore". Dosi che, per altro, oltre a essere acquistate possono anche essere reperite gratuitamente in maniera piuttosto semplice con una semplice ricerca su Google. Si arriva su siti che ospitano link ad archivi di file quali Rapidshare o simili. Pochi clic per avere sul computer un file "zippato" che, una volta decompresso, svela centinaia di "dosi", accuratamente catalogate con i nomi delle sostanze di cui dovrebbero riprodurre l'effetto: assenzio, ecstasy, cocaina, morfina, tranquillanti, eroina, peyote e così via. Su Internet si trovano poi anche pratiche guide all'uso: "Come far funzionare una dose al 100%". Mentre YouTube è piena di video che illustrano i presunti effetti su giovani (e spesso giovanissimi) consumatori.
IL PRINCIPIO: INFRASUONI - «Le onde comprese tra 3 e 30 hertz, gli infrasuoni, ovvero le frequenze su cui lavora il cervello umano, sono in grado di innescare le più diverse reazioni e sollecitare in maniera intensa l'attività cerebrale. Le onde alfa, ad esempio, che vanno da 7 a 13 hertz, hanno un potenziale effetto rilassante, ma ce ne sono altre che ottengono l'effetto opposto, cioè euforizzante o eccitante. Basta inserire questi infrasuoni - che l'orecchio umano non percepisce - dentro un brano musicale, e il gioco è fatto» ha spiegato il colonnello Umberto Rapetto della Guardia di Finanza. «L'uso di questi infrasuoni non è sconosciuto alle forze di polizia, che all'estero li usano come deterrenti, ad esempio nelle discoteche per calmare i ragazzi». «Il loro uso - ha aggiungo il colonnello è anche documentato storicamente in campo militare».

RISCHI - «Sui rischi per la salute derivanti dall'uso di queste cyber-droghe non ci sono evidenze», ha precisato il colonnello. «Attendiamo risposte dagli esperti, ma è necessario riflettere» su queste nuove disponibilità offerte dalla rete. Il potenziale di diffusione dell'iDoser è enorme, perché rispetto alle sostanze stupefacenti tradizionali sono meno invasive, più pratiche da utilizzare, e costano molto meno: un file può andare dai 5 ai 10 euro, col vantaggio rispetto alla droga che non si consuma e quindi si può riutilizzare quante volte di vuole».
POTENZIAMENTO - «Il fatto che una stimolazione sonora ad hoc possa avere particolari conseguenze sul cervello non è una sorpresa» commenta Michelangelo Iannone, ricercatore dell'Istituto di Scienze Neurologiche del Cnr di Catanzaro. «Abbiamo infatti osservato e misurato di recente l'effetto "sommatorio" del suono e dell'ecstasy sul cervello di animali da esperimento». «In particolare» chiarisce lo specialista, «abbiamo sommnistrato ad alcuni topolini una dose minima di ecstasy, incapace di produrre alcun effetto neurologico e abbiamo poi "somministrato" agli stessi anche una "dose" di suono a 95 decibel, cioè il massimo consentito, teoricamente, nelle discoteche, riscontrando un potenziamento degli effetti dell'ecstasy. Non solo, aumentando la dose iniziale di ecstasy abbiamo ottenuto col suono un potenziamento dell'effetto che è durato cinque giorni». «Questo spiega anche perché alcuni tipi di stupefacenti, come per esempio proprio l'ecstasy, siano consumate in quantità particolarmente significative in occasioni come i rave-party dove, evidentemente, la musica produce un 'amplificazione dei suoi effetti».
Ma ha senso parlare di dipendenza? «Se una stimolazione nervosa esiste è verosimile che avvenga attraverso l'azione su determinati neurostrametttitori, come per le altre droghe, quindi è sicuramente possibile ipotizzare meccanismi e conseguenze non dissimili. Senza studi in merito non si può dire di più e si possono solo fare ipotesi, ma si tratta di ipotesi molto ragionevoli».

(Fonte: Corriere della Sera, 04 luglio 2009)

Sciacca, bardo solitario della metafisica

«Dopo più trent’anni di lontananza e di vita per il mondo sono rimasto nel fondo siciliano, attaccatissimo con tutta l’anima alla mia terra, fedele anche alla cadenza, che ho voluto conservare senza mescolanze di studiate ' aspirate' e ridicole erre mosce; fedele nel ricordo della piccola Giarre, dove son nato il 12 luglio ’ 908 » . Così, vantandosi della propria sicilianità, scrive in una delle sue opere più suggestive, «La clessidra » , il pensatore Michele Federico Sciacca, nato appunto cento anni fa in provincia di Catania. Personalità tra le più significative della filosofia italiana del XX secolo, Sciacca si rese protagonista di un laborioso itinerario speculativo che lo condusse dall’attualismo gentiliano al pensiero cattolico militante – « La meditazione tenace del paganesimo mi ha fatto cristiano » , ebbe ad affermare –, maturato sul terreno fecondo della riflessione appassionata sui testi di Agostino, Pascal, Vico e Rosmini. Di quest’ultimo, in particolare, Sciacca fu un convinto paladino e molto importante, anche sul piano concretamente operativo, è risultato il grande impegno da lui profuso per far conoscere e apprezzare la figura e l’opera del Beato roveretano: a questo riguardo, denso di significato è il fatto che egli abbia voluto essere sepolto, unico laico fra tanti religiosi, proprio in una cappella del S. Monte Calvario di Domodossola, uno dei luoghi sacri del rosminia­nesimo.
Ha scritto Umberto Muratore: « Ciò che, soprattutto, stimola Sciacca a diffondere il pensiero rosminiano è l’avere intravisto nelle pagine del filosofo trentino una interessante ' promessa': Rosmini può aiutarci a recuperare il genuino pensiero classico e cristiano di quello che Sciacca chiama ' l’Occidente' ( in contrapposizione alla degenerazione dell’Occidente, che egli chiama ' Occidentalismo') » . Il filosofo siciliano si rese conto dell’inadeguatezza degli umanesimi assoluti e li considerò incapaci di rispondere alle domande fondamentali presenti nel cuore umano: « Il discorso sull’uomo – egli scrive – è intelligibile perché è anche necessariamente discorso su Dio » ; e, ancora, « Nulla vi è nell’uomo e nel mondo di superiore alla mente: ma la mente intuisce delle verità immutabili e assolute, che sono ad essa superiori; adunque esiste la Verità immutabile, assoluta e trascendente che è Dio » . Per Sciacca, agostinianamente, nell’interiorità della persona abita il vero, e anche la storia acquista un senso soltanto se possiamo fare riferimento a un Dio creatore che, come ricorda Pier Paolo Ottonello, uno dei suoi allievi più fedeli, « fonda la positività del finito nell’uomo » . Sciacca fu docente in varie università italiane e la morte lo colse nel 1975 a Genova, dove insegnava dal 1947. Scrittore fecondissimo – le sue opere complete occupano una quarantina di volumi –, egli si fece promotore di notevoli iniziative editoriali in Italia e all’estero e – merito non trascurabile – figura tra i cinque fondatori del celebre « Centro di Studi filosofici cristiani » di Gallarate.

(Autore:Maurizio Schoepflin; Fonte: Avvenire del 04/07/2008)