16/07/08

József Hoene Wronski tra luci e ombre

Abbiamo già avuto modo di parlare, trattando l'opera del grande scrittore romantico Juliusz Slowacki (1809-1849), del singolare movimento politico-spirituale del cosiddetto Messianismo polacco, seguito alla triplice spartizione di quella infelice nazione - nel 1772, nel 1793 e nel 1795 - da parte dei suoi tre avidi vicini: Russia, Prussia e Austria (cfr. F. Lamendola, Nel poema «Anhelli» di Slovacki, la missione espiatrice del popolo polacco, anch'esso consultabile sul sito di Arianna Editrice).

Insieme al grande poeta Adam Mickiewicz (1798-1855), autore degli immortali Sonetti di Crimea, e al filosofo August Cieszkowski (1814-1894), discepolo di Hegel ed autore, in giovinezza, dei Prolegomena zur Historiosophie, un ruolo eminente nell'ambito del messianismo polacco fu svolto dal matematico József Hoene Wroński (1778-1853), del quale intendiamo, in questa sede, brevemente occuparci.

Ma che cos'è, innanzitutto, il Messianismo polacco? Si tratta di una visione filosofica della storia nazionale, caratteristica del romanticismo in Polonia, seguita dai tre massimi poeti - oltre a Mickiewicz e Slowacki, anche da Zygmunt Krasinski (1812-59) -, che, sullo sfondo della visione hegeliana della storia universale, individua una speciale missione salvifica e rigeneratrice nel popolo polacco, chiamato a vivere in sé stesso il dramma di morte, sepoltura e risurrezione del Divino Maestro. Teorico e massimo ispiratore del movimento era stato il mistico lituano Andrzej Towianski (1799-1878), che, simile a un Gioacchino da Fiore del XIX secolo, andava predicando e annunziando l'avvento di un'epoca nuova fra i Polacchi in esilio, sorta dalla rigenerazione della parola di Cristo.

Ciò ben si accorda con quella caratteristica vena di misticismo slavo, che aveva condotto Slowacki a pellegrinare attraverso i luoghi della Terra Santa, convincendosi sempre più che al popolo polacco fosse stato riservato un destino storico di espiazione fra tutti gli altri popoli, rivivendo collettivamente la passione di Gesù Cristo e purificandosi, così, attraverso l'umiliazione della disfatta nazionale, che lo avrebbe condotto a riscoprire i veri valori dello spirito. Solo allora esso sarebbe stato degno di risorgere: ma, prima di risorgere, era necessario che morisse e che scendesse nel sepolcro.

Mickiewicz, il più illustre fra gli intellettuali polacchi in esilio, aveva conosciuto il Towianski nel 1841, a Parigi, ed era rimato ben presto conquistato dalla sua forte e strana personalità; Slowacki lo conobbe un anno dopo, nel 1842, e ne rimase a sua volta soggiogato, infervorandosi della sua stessa fede nella missione mistica e religiosa assegnata, nell'economia della provvidenza divina, allo sventurato popolo polacco.

Abbiamo detto che József Hoene Wroński fu, soprattutto, un matematico; anche se quest'uomo eclettico si occupò praticamente di tutto, dalla filosofia all'occultismo, dall'economia alla giurisprudenza, dalla fisica alla politica. Ha legato il suo nome, infatti, alla creazione del cosiddetto «determinante wronskiano», usato per verificare se due soluzioni di una equazione differenziale ordinaria di secondo grado siano dipendenti o indipendenti. Tuttavia, il suo nome è oggi quasi caduto nell'oblio, tranne che presso una ristretta cerchia di specialisti.

Difficilmente lo troviamo ricordato in una storia generale del pensiero matematico. Egli non è citato né nella vasta Storia della matematica di Carl B. Boyer (traduzione italiana dell'Istituto Editoriale Internazionale, Milano, 1976), né nella altrettanto documentata monografia di Eric T. Bell I grandi matematici (Sansoni, Firenze, 1966). Una sorta di vendetta della scienza accademica nei confronti di un personaggio decisamente scomodo, che ebbe l'inaudita pretesa di fondare una specie di nuova religione «assoluta» sulla base della prova matematica?

In effetti, la rigida divisione fra matematica e religione è una caratteristica del pensiero occidentale moderno. Non si ritrova presso gli antichi - basti pensare alla scuola mistico-filosofica e scientifica di Pitagora -, né in altre culture moderne, ad esempio quella dell'India (dove le due cose vanno spesso di pari passo e si trovano affiancate nella ricerca di una singola persona). Sia come sia, Hoene Wroński era, già al suo tempo, un personaggio decisamente fuori dalle righe, e i suoi molteplici e vulcanici interessi - ma specialmente quelli di natura mistica e d esoterica - non erano tali far predisporre benevolmente il mondo scientifico nei suoi riguardi.

Di fatto, almeno un matematico italiano suo contemporaneo si interessò alle sue ricerche nel campo delle scienze matematiche. Si tratta del romano Paolo Ruffini (1765-1822), autore di una Teoria generale delle equazioni, in cui si dimostra impossibile la soluzione algebrica delle equazioni generali di grado superiore al quarto (1798), che al Wroński dedicò lo studio: Intorno al metodo generale, proposto dal signor Hoene Wroński onde risolvere le equazioni di tutti i gradi, del 1816 (e pubblicata nelle Memorie della Società Italiana, XVIII, nel 1820).

Come matematico, Hoene Wroński si era impegnato particolarmente - come si è visto - nello studio delle funzioni algebriche e dei differenziali. Ma, come filosofo, i suoi interessi abbracciavano soprattutto l'ambito della storia, convinto com'era - sulla scia di Gioacchino a Fiore e di Andrzej Towianski - che una nuova epoca dell'umanità stesse per incominciare, e che la nazione polacca fosse stata chiamata a svolgervi un ruolo essenziale.

Questo il ritratto che ne delineava una delle più grandi esperte di letteratura della Polonia, Marina Bersano Begey, nella sua Storia della letteratura polacca (Casa Editrice «Academia», Milano, 1953, p. 147):

Un altro lato originale del pensiero messianico polacco è nell'opera di Józef Hoene-Wroński (1778-1853), autore anche di studi filosofico-matematici un po' confusi (Philosophie de la technique algoritmique; Le Sphinx ou le nomotechnique séhélienne, ecc.). Gli scritti messianici: Prodrome due Messianisme; Métapolitique messianique; Secret politique de Napoléon comme base de l'avenir du monde, professano un vago messianesimo napoleonico.

L'imperatore è dal Wroński considerato nuovo salvatore e ultimo grande riformatore dell'Umanità, sull'esempio del quale la sovranità divina e quella nazionale umana si debbono conciliare.

Il culto di Napoleone, peraltro, era piuttosto diffuso fra i Polacchi, sia in patria che in esilio. Era stato lui - infatti - a restaurare, sia pure per pochi anni, fra il trattato di Tilsit e la disastrosa campagna di Russia (1807-1812), uno Stato polacco indipendente: il Granducato di Varsavia (cfr. Stanislaw Arnold-Marian Zychowski, Précis d'histoire de Pologne, Éditions «Polonia», Varsovie, 1963, p. 79), a ciò spinto anche dalla relazione avuta con la giovane contessa Maria Laczyński Walewska, da cui nacque un figlio.

Ma anche nel resto d'Europa la figura dell'imperatore aveva colpito fortemente alcuni settori delle classi colte, specialmente nella prima fase della sua carriera, quando ancora sussisteva l'equivoco di una Francia liberatrice dei popoli oppressi; senza contare il suo fascino personale, cui non sfuggirono neppure personaggi della statura di Goethe, Hegel e del nostro Alessandro Manzoni. A maggior ragione i Polacchi, che, avendo perduto la propria indipendenza ad opera di quelle stesse potenze che ora erano schierate contro Napoleone (e molti storici sostengono che le spartizioni della Polonia "salvarono" la Francia rivoluzionaria nel 1792), nei suoi confronti non avevano nulla da perdere e tutto da sperare.

Comunque, tornando a Hoene Wroński, dopo la caduta di Napoleone il suo messianismo dovette rinunziare, ovviamente, alla figura di un condottiero vittorioso e si spiritualizzò, un poco come era accaduto alla fede dei profeti dell'Antico Testamento dopo la distruzione del regno d'Israele e la deportazione; o alle stesse comunità cristiane dei primi tempi, quando videro allontanarsi il giorno della seconda venuta di Cristo, da esse - all'inizio - creduta imminente.

Anche la prospettiva escatologica si andava allargando. Non si trattava più soltanto della resurrezione dell'indipendenza polacca, bensì, attraverso di essa, di una nuova forma di convivenza internazionale, basata su principi di giustizia e solidarietà. Un po' come Giuseppe Mazzini per gli Italiani, Hoene Wroński (e, più di lui, Towiański) tenne accesa la fiammella della speranza di un riscatto nazionale, ma collocandola in un panorama più ampio, europeo e mondiale, fortemente colorito di valori religiosi e di aspettative soteriologiche.

Il nucleo essenziale della sua concezione consiste nella capacità dello spirito slavo in generale, e polacco in particolare, di operare una mediazione e una sintesi (ancora la triade dialettica di Hegel!) fra il momento etico-religioso rappresentato dallo spirito latino, e il momento speculativo rappresentato dallo spirito germanico.

L'aspetto più sconcertante - e meno conosciuto - delle teorie filosofiche di Hoene-Wroński, profeta inascoltato che aveva sperato di essere l'elemento catalizzatore di un generale risveglio politico-spirituale dell'Europa, è, accanto alla sua propensione per l'occultismo (non certo rara nella Parigi dei primi anni del XIX secolo), la suggestione che su di esse esercitò una figura estremamente controversa, come quella di Eugéne Vintras.

Non è questa la sede per soffermarci su questo stranissimo personaggio, che già in vita accese intorno a sé sospetti, derisione, ripugnanza, ma che fu anche venerato come un santo da una ristretta cerchia di seguaci, che gli rimasero fedeli sino alla morte, avvenuta nel 1875. Ex operaio dal modesto livello di istruzione, ma fortemente ispirato sul piano religioso, Vintras aveva fondato dapprima un piccolo gruppo di preghiera, del quale faceva parte anche l'abate Charvoz, chiamato "Opera della misericordia"; e, più tardi - nonostante le denunce del vescovo di Bayeux, nel 1841 e la scomunica di papa Pio IX, nel 1848 - una sedicente "Chiesa del Carmelo". Dicendosi ispirato direttamente dalla Santa Vergine, che lo avrebbe salvato dalle fiamme dell'Inferno spalancate per inghiottirlo, Vintras soleva celebrare una funzione particolare, da lui denominata Sacrificio provittimale di Maria.

Alcuni testimoni riferivano che, nel corso di quella messa, avvenivano dei veri e propri miracoli; ad esempio, che il calice vuoto si riempiva di sangue, e altre cose del genere. Altri, invece, sostenevano che quella funzione era niente di meno che una messa nera, nel corso della quale Vintras officiava - e questo è storicamente provato - indossando sui paramenti una croce capovolta: ciò che ricordava apertamente la simbologia satanica.

Mistico o satanista, Vintras era e rimase un personaggio discusso ed enigmatico, che tuttavia esercitò un influsso più profondo di quanto non si crederebbe sulla società e sulla cultura francese del suo tempo. Tra gli intellettuali che ne furono influenzati c'era l'occultista Sain-Yves d'Alveydre, che si professò apertamente suo ammiratore, almeno in un primo momento; salvo poi cercare di mascherare il suo debito intellettuale con questi, sostenendo che la sua istruzione in materia esoterica proveniva da un'alta personalità della casta bramanica.

E c'era anche József Hoene Wroński, il quale - dopo l'eclisse dell'astro napoleonico - aveva finito per elaborare una curiosa teologia messianica derivandola, almeno in parte, proprio dagli insegnamenti di Vintras e dei suoi seguaci (cfr. Francis X. King, Il libro completo delle streghe e dei demoni: titolo originale: Withcraft and Demonology, 1987; traduzione di Michela Masci, Gremese Editore, Roma, 1988, pp. 114-115).

Ma alla teologia di Vintras - se così possiamo chiamarla -, nonché dal suo gruppetto di fedelissimi seguaci, prese le mosse anche un personaggio di lui più ancora controverso, per non dire sinistro: l'abate Boullan. Se Vintras era ancora, forse, relativamente in buona fede riguardo all'ortodossia dei suoi insegnamenti e delle sue pratiche rituali, Boullan era un uomo malvagio, che praticava sicuramente il satanismo e che, quasi certamente, era dedito anche al sacrificio umano, nel corso delle sue messe nere. Anche di lui non è questa la sede per parlare; ci riserviamo di farlo in altro luogo. Rimane il fatto che le dottrine di Vintras non dovevano essere poi così innocenti, se esse poterono fornire una base di partenza per la sinistra carriera di un adoratore del Diavolo, come lo era l'abate Boullan.

Giunti a questo punto, che cosa possiamo concludere?

Il Messianismo polacco fu un movimento peculiare, che presenta alcuni caratteri comuni con altri movimenti politico-spirituali dell'epoca (ad esempio, col Risorgimento italiano), ma anche, e soprattutto, caratteri assolutamente particolari. Frutto di una situazione storica assolutamente unica, ci sembra che presenti piuttosto forti analogie con i movimenti religiosi di libertà e di salvezza che si svilupparono, in quegli stessi anni, presso molte società africane, asiatiche, polinesiane e americane, sotto l'incalzare della drammatica sfida rappresentata dai colonizzatori europei, che le minacciavano non solo di distruzione fisica, ma anche di genocidio culturale.

Nel contesto di un fenomeno particolare come il messianismo polacco, quella di József Hoene Wroński è la vicenda di un intellettuale dalle notevoli risorse di cultura, intelligenza e volontà, che finisce per trovarsi isolato rispetto alla cultura del suo tempo e a retrocedere, nonostante i suoi sforzi per raggiungere un pubblico internazionale, verso una cultura «di nicchia» e verso forme di sapere marginali, guardate con diffidenza o riprovazione sia dal mondo scientifico, cui pure egli appartiene, sia dalla Chiesa cattolica, della quale vorrebbe essere un devoto seguace.

La suggestione su di lui esercitata da un uomo come Vintras si può forse spiegare come un tentativo di reagire all'isolamento e alla marginalizzazione, mediante l'instaurazione di contatti con i gruppi occultistici che avrebbero potuto esercitare una influenza segreta, ma reale, sul mondo politico del tempo.

Quest'ultima, ovviamente, è soltanto un'ipotesi, bisognosa di ulteriori verifiche. Che parte, però, da una constatazione abbastanza ovvia: anche al giorno d'oggi, all'ombra di gruppi esoterici più o meno discussi e marginali, operano attivamente altri gruppi occulti, sovente intrecciati con i primi, i cui obiettivi sono molto più concreti e immediati: il controllo del potere finanziario, politico e sociale. E che altro potevano sperare gli esuli polacchi, guide senza seguito di una nazione che sembrava ormai defunta, se non cercare di stabilire segrete relazioni con i centri del potere europeo, onde indirizzarli nascostamente a favore della propria causa nazionale?

NOTA BIOBIBLIOGRAFICA.

József Maria Hoene Wroński nasce a Wolsztyn, nei pressi di Poznán (in tedesco: Posen, nella cosiddetta Grande Polonia), il 23 agosto 1778 e muore l'8 agosto 1853 a Neuilly. Si era trasferito in Francia nel 1801, dunque sei anni prima che Napoleone restaurasse il Granducato di Varsavia; e vi rimase fino alla morte. Scelse di scrivere i suoi libri in francese, la lingua internazionale delle persone colte, perché desideroso di diffondere presso un pubblico più vasto i suoi ambiziosi progetti di rigenerazione politico-morale. Soleva dire che il suoi ideale quello di era servire la causa della Polonia attraverso la Francia.

Tra le sue numerose opere, ricordiamo quelle principali di argomento mistico e filosofico: Philosophie critique découverte par Kant (1803); Prodrome du Messianisme (1831); Messianisme ou la reforme absolue du savoir humain (1847); Philosophie absolue de l'histoire (1852). Alcune altre sono contenute nella citazione del brano di Marina Bersano Begey.

Ricordiamo, inoltre, le ricerche compiute sulla figura e l'opera profetico-filosofica di Hoene-Wroński, da parte di uno studioso italiano, Gerardo Cunico: Il messianismo politico. Hoene-Wroński, Mickiewicz, Cieszkovski, su Humanitas, Casa editrice Morceliana, Brescia, fasc. 1-2 del 2005, pp. 200-220; e Filosofia assoluta e storia della filosofia in József Hoene-Wroński, nel secondo volume degli Atti del XXXIII Congresso della Società Filosofica Italiana, tenutosi a Genova dal 30 aprile al 3 maggio del 1998.

(Autore: Francesco Lamendola - 14/07/2008; fonte: www.ariannaeditrice.it)

Nessun commento:

Posta un commento