«“Peggio per loro”. Peggio per gli Stati Uniti, per la Germania, per la Francia se hanno abolito il latino dalle scuole: “Le conseguenze si vedono bene”. È l’opinione inequivocabile di Franco Cardini, professore di Storia medievale all’Università di Firenze ed esperto di crociate. Cardini sarebbe disposto ad aprire una sua personale crociata pur di difendere il latino nelle nostre scuole: “Se l’andazzo europeo è il taglio delle proprie radici, della tradizione, dell’identità, non vedo perché l’Italia debba adeguarsi: lo si voglia o no, noi da diciassette secoli siamo il centro della Chiesa cattolica, che è stata un elemento importantissimo nella costruzione del nostro paesaggio culturale, della nostra mentalità e del nostro patrimonio artistico. In più la lingua italiana è strutturalmente vicinissima al latino. Ci sono troppi dati culturali che ci tengono legati al mondo classico”.
D’accordo, ma è anche vero che è stata proprio la Chiesa, con il Concilio Vaticano II, a tagliare i ponti con il latino.
“Ho fatto il liceo presso la Compagnia di Gesù e sin da ragazzino non ero affatto convinto dei ragionamenti in favore dell’italiano nella liturgia. Notavo che mia nonna, che aveva un’istruzione molto limitata e faceva fatica persino a leggere il giornale, coglieva anche le sfumature della liturgia latina, perché era una lingua di grandissima forza e intensità e chiarezza di concetti interni. È stato un errore madornale tradurre la liturgia: tra l’altro si vedono i risultati nello scadimento culturale del clero”.
Torniamo alla scuola. Dunque, il latino non va toccato neanche nei licei scientifici?
“Nonostante tutto il bla-bla progressista del passato, il latino è una grande scuola di formazione. Non è solo il “rosa, rosae”, ma una disciplina mentale... È un grande esercizio di mnemotecnica: la perdita di abitudine nell’esercitare la memoria ha già provocato danni immani sul piano degli strumenti e delle potenzialità culturali dei ragazzi. La nostra scuola è stata vittima dei sociologi e degli psicologi, che con i politici e i sindacalisti hanno rovinato l’Italia. In nome di un malinteso senso di libertà, i sociologi degli anni Sessanta dicevano che non bisognava sottoporre i ragazzi a troppi sforzi in nome di uno sterile nozionismo. Mi dicevano che oggi i giovani medici non ricordano i nomi dei farmaci: sicuramente hanno studiato male il latino e il greco. La sudditanza al mondo americano ci fa pensare che il linguaggio scientifico sia oramai solo inglese. Non è vero, il nostro linguaggio scientifico è ancora legato a Linneo”.
D’accordo sul bla-bla progressista, però non è che le famose tre I del centrodestra guardassero molto all’educazione classica: Inglese, Impresa, Internet.
“In effetti delle tre I non si è visto nulla. Forse un po’ di impresa, ma per il resto... L’inglese rimane pessimo nelle scuole e i computer spesso restano imballati nei sottoscala. Le lingue vive ormai si imparano sul posto o con i mezzi audiovisivi, basta un po’ di pratica. Niente a che vedere con il rigore che si impara studiando il latino. Dire che il latino, essendo una lingua morta, è inutile, è un insopportabile conformismo che per fortuna oggi va un po’ dileguandosi. Voglio sperare che il governo di destra non faccia scherzi, anche se non mi meraviglierebbe, visto che ha la tendenza a correre dietro agli Stati Uniti”.
Ma il supino che cosa può dire a un ragazzino del Duemila? Non sarebbe bene mollare un po’ sulla lingua e insistere sulla civiltà e sulla cultura?
“Nella scuola di oggi ci sono delle porcate assolute, come il debito formativo, che rovinano moralmente le giovani generazioni e le rendono incapaci di articolare un pensiero. So benissimo che quando una disciplina viene derubricata, a poco a poco finisce per sparire: è inutile aggirare o negare le difficoltà traducendo in pillole una struttura linguistica rigorosissima, di estrema bellezza e armonia interna, magari sostituendo lo studio della lingua con notiziole su come vivevano i romani, su come mangiavano, su come facevano la guerra e l’amore”».
(Fonte: il Corriere della Sera del 15/05/2008)
D’accordo, ma è anche vero che è stata proprio la Chiesa, con il Concilio Vaticano II, a tagliare i ponti con il latino.
“Ho fatto il liceo presso la Compagnia di Gesù e sin da ragazzino non ero affatto convinto dei ragionamenti in favore dell’italiano nella liturgia. Notavo che mia nonna, che aveva un’istruzione molto limitata e faceva fatica persino a leggere il giornale, coglieva anche le sfumature della liturgia latina, perché era una lingua di grandissima forza e intensità e chiarezza di concetti interni. È stato un errore madornale tradurre la liturgia: tra l’altro si vedono i risultati nello scadimento culturale del clero”.
Torniamo alla scuola. Dunque, il latino non va toccato neanche nei licei scientifici?
“Nonostante tutto il bla-bla progressista del passato, il latino è una grande scuola di formazione. Non è solo il “rosa, rosae”, ma una disciplina mentale... È un grande esercizio di mnemotecnica: la perdita di abitudine nell’esercitare la memoria ha già provocato danni immani sul piano degli strumenti e delle potenzialità culturali dei ragazzi. La nostra scuola è stata vittima dei sociologi e degli psicologi, che con i politici e i sindacalisti hanno rovinato l’Italia. In nome di un malinteso senso di libertà, i sociologi degli anni Sessanta dicevano che non bisognava sottoporre i ragazzi a troppi sforzi in nome di uno sterile nozionismo. Mi dicevano che oggi i giovani medici non ricordano i nomi dei farmaci: sicuramente hanno studiato male il latino e il greco. La sudditanza al mondo americano ci fa pensare che il linguaggio scientifico sia oramai solo inglese. Non è vero, il nostro linguaggio scientifico è ancora legato a Linneo”.
D’accordo sul bla-bla progressista, però non è che le famose tre I del centrodestra guardassero molto all’educazione classica: Inglese, Impresa, Internet.
“In effetti delle tre I non si è visto nulla. Forse un po’ di impresa, ma per il resto... L’inglese rimane pessimo nelle scuole e i computer spesso restano imballati nei sottoscala. Le lingue vive ormai si imparano sul posto o con i mezzi audiovisivi, basta un po’ di pratica. Niente a che vedere con il rigore che si impara studiando il latino. Dire che il latino, essendo una lingua morta, è inutile, è un insopportabile conformismo che per fortuna oggi va un po’ dileguandosi. Voglio sperare che il governo di destra non faccia scherzi, anche se non mi meraviglierebbe, visto che ha la tendenza a correre dietro agli Stati Uniti”.
Ma il supino che cosa può dire a un ragazzino del Duemila? Non sarebbe bene mollare un po’ sulla lingua e insistere sulla civiltà e sulla cultura?
“Nella scuola di oggi ci sono delle porcate assolute, come il debito formativo, che rovinano moralmente le giovani generazioni e le rendono incapaci di articolare un pensiero. So benissimo che quando una disciplina viene derubricata, a poco a poco finisce per sparire: è inutile aggirare o negare le difficoltà traducendo in pillole una struttura linguistica rigorosissima, di estrema bellezza e armonia interna, magari sostituendo lo studio della lingua con notiziole su come vivevano i romani, su come mangiavano, su come facevano la guerra e l’amore”».
(Fonte: il Corriere della Sera del 15/05/2008)
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