21/02/17

La "filosofia interculturale" di Giuseppe Cognetti


di Antonello Colimberti

“Filosofia interculturale” è un termine che di primo acchito può rimandare ad una nuova branca disciplinare, sicuramente innovativa e à la page, come ne sorgono incessantemente al giorno d’oggi, incrementando ulteriormente la frammentazione del sapere in una molteplicità di specialismi. Ma non è così.
“Filosofia interculturale” è invece il termine più adeguato con il quale indicare una diversa prospettiva, attraverso la quale osservare il mondo d’oggi (ma anche quello di ieri), al di là dell’oggetto che cade sotto il campo di osservazione. Con un altro sguardo. Piccola introduzione alla filosofia interculturale (Donzelli Editore) è proprio il titolo del volume con il quale Giuseppe Cognetti, docente di Storia della filosofia e Filosofia interculturale contemporanea presso l’Università di Siena, ci presenta questo nuovo paradigma culturale, il solo adeguato ai difficili e confusi tempi che viviamo, come dichiara subito l’autore nell’introduzione: “E’ anche mia opinione che la filosofia, per molti ormai veramente finita, può vivere e avere ancora un senso per la gente solo se si trasforma interculturalmente e se, come filosofia interculturale, o meglio, pensiero interculturale, è in grado di pensare (e non solo con i classici strumenti occidentali) grandi temi come il dialogo, il pluralismo, la pace, perché oggi senza dialogo e pluralismo, senza il rispetto e l’ascolto “imparativo” di tutte le differenze – culture, religioni, natura, ambiente, animali, inconscio – rischiamo la distruzione violenta dell’homo sapiens”.
Se dialogo, pluralismo e pace sono le colonne portanti del nuovo pensiero, Cognetti non esita a scegliere e presentarci quelle figure novecentesche che ne sono state i “Pionieri” o i “Protagonisti”.
Non sorprende che il primo dei Pionieri sia il grande esoterista francese René Guénon, cui l’autore, già una ventina d’anni fa, dedicò un intenso studio, appena ripubblicato presso Mimesis, con il quale sdoganava una volta per tutte il pensiero di colui cui più si deve il ritorno, sotto forme ampie e rigorose nello stesso tempo, della philosophia perennis del Novecento, e invece per lungo tempo confinato nei ghetti, a scelta, dell’occultismo o del pensiero reazionario. Gli altri pionieri indicati, oltre ai celebri Martin Heidegger e Carl Gustav Jung, sono da un lato Aurobindo Gosh, forse il più grande pensatore indiano del secolo scorso, oggetto di frequenti attenzioni da parte di Cognetti (al quale anzi ci permettiamo il suggerimento di dedicare una monografia a questa figura anch’essa mal conosciuta nel nostro Paese) e Nishida Kitaro, originale pensatore giapponese, descritto nel volume da Marcello Ghilardi ed Enrico Fongaro.
Tre sono, invece, i Protagonisti scelti: Raul Fornet-Betancourt, Luce Irigaray e Raimon Panikkar. Se la seconda è molto conosciuta nell’ambito del pensiero femminile e femminista (e Cognetti sottolinea la capacità di “articolare la sua proposta interculturale a partire dalla possibilità di pensare e ripristinare le relazioni fra cultura aborigene femminili e matriarcali e culture indoeuropee patriarcalizzate”), il primo è un filosofo e teologo cubano, che nei suoi testi ha messo mano, a partire dall’esperienza concreta dell’America Latina, ad un’operazione di trasformazione della “filosofia della liberazione”, di cui è uno dei più rinomati esponenti. Quanto a Raimon Panikkar, descritto nel volume da Alessandro Calabrese, non si può non segnalare che Cognetti è fra coloro che più nel nostro Paese hanno operato per far conoscere in modo adeguato il pensiero di questa straordinaria figura di sacerdote cattolico dalle molteplici identità (ovviamente cristiana, ma poi indù, buddhista e anche “secolare”), anche attraverso la fondazione del CIRPIT  Centro Interculturale Raimon Panikkar.
Nella proposta “cosmoteandrica” di Panikkar, Cognetti trova il compimento e la sintesi di un proprio percorso di conoscenza e di realizzazione, che nel corso degli anni lo ha portato a studiare “simpateticamente” (con dantesco “intelletto d’amore”) filoni culturali trascurati dalle accademie di ogni tendenza. A riprova di questo invitiamo alla lettura della raccolta di scritti appena pubblicata da Mimesis con il titolo Per un nuovo umanesimo. Itinerari, che mette insieme quindici saggi pubblicati (a parte la corposa introduzione) nell’arco di circa vent’anni su volumi collettivi e riviste varie.
Fra i tanti personaggi e temi affrontati (Hübner, Guénon, Panikkar, critica del tragico, sessualità nel tantrismo, esperienza religiosa ed altro) ne piace segnalarne due.
Il primo è un personaggio, tuttora ignoto in Italia, ma che rappresenta il più importante filosofo del secondo Novecento ad aver mostrato l’attualità della philosophia perennis: Georges Vallin, cui Cognetti alcuni anni fa ha dedicato un importante volume dal titolo emblematico Oltre il nichilismo. Eccone un ritratto in poche righe: “Georges Vallin è certamente il primo filosofo del Novecento ad aver intuito la rilevanza filosofica dell’opera di René Guénon e ad aver intrapreso, guidato dalle sue linee di fondo, una riflessione radicale sulle forme della razionalità occidentale, rivisitate alla luce di alcune grandi dottrine orientali (Vedānta, Buddhismo Mahāyāna, Zen, Taoismo) e di un’originale lettura di Aristotele e della tradizione platonica e neoplatonica che accoglie molte istanze di Nietzsche e Heidegger e vi entra in dialogo”.
La seconda nostra segnalazione riguarda invece un tema, cui è dedicata una particolare attenzione: il pensiero esoterico, in particolare nel coraggioso saggio La dimensione del cuore. Luci sull’esoterismo, dove si afferma senza mezzi termini che “l’esoterismo è l’acutezza dello sguardo lucido che cerca di raggiungere il cuore del reale, le radici dell’essere, passando al di là del mondo fenomenico, delle categorie del “mentale”, delle forme e dei limiti”.

Apparso sul quotidiano “L’Unità” del 4 Febbraio 2017
https://www.donzelli.it/libro/9788868431884

15 commenti:

  1. Interessante, anche se non condivido del tutto le ricadute "arcontiche" dei filosofemi dell'intercultura, se così ci possiamo esprimere.
    Segnalo poi al caro Aldo che verso la fine della recensione dell'amico Colimberti, in ragione di una serie di omissioni e per la digitazione di strani simbolismi (ad es. un rombo inquietante: esoterismo pitagorico? Segnali in codice a chi sa?), non ci si capisce più niente. L'ultimissima frase è realmente misterica: "dove si afferma senza mezzi termini che", e poi questo rombo ricorrente. Ciò mi ricorda le scatole cinesi di D. Lynch, al cui interno non c'era mai nulla. Ma il nulla è meglio di niente.
    Segnalo anche che Aldo non ha pubblicato il mio intervento sul caso Gambescia. Ti ho già perdonato; anche al caro Gambescia sono state condonate le colpe, espistemologiche e generazionali.
    Se vuoi, te lo rimando: mi pareva significativo, soprattuto divertente, certamente fermo nel rappresentare le mie ragioni.
    Ciao

    RispondiElimina
  2. Caro Marco,
    ti ringrazio per la segnalazione dei refusi di cui sono gravemente responsabile. Purtroppo succede quando si fanno le cose troppo in fretta e non si possiede grande dimestichezza col mezzo. Sulle possibili ricadute arcontiche dell’intercultura in parte convengo. E’ il prezzo da pagare se si vuole non dico conquistare la cittadella del pensiero accademico, ma scardinarne qualche porta d’accesso. In fondo poi si tratta di adattare il proprio linguaggio alle esigenze dell’interlocutore. Su Gambescia eri già intervenuto più volte e mi pare che il diritto di replica a quel punto ce l’avesse solo lui. Continuare con la polemica o lasciare a te l’ultima parola sarebbe stato ingiusto e scorretto, non trovi?

    RispondiElimina
  3. Quali ricadute "arcontiche", di grazia?

    RispondiElimina
  4. Se ho colto il senso, penso che Marco si riferisca a forme di inquinamento "culturale" della sapienza tradizionale (almeno così io l'ho capita). Ma naturalmente posso sbagliare.

    RispondiElimina
  5. In merito ai refusi, io ero convinto che si trattasse di messaggi codificati o sorte di simbolismi alfabetici promananti da un nord imperituro, al tipo delle rune, lanciati per essere decrittati da intemerati ermeneuti. La struttura del rombo, poi, mi ha sempre intrigato, visto che presenta una configurazione ermeticamente conchiusa, spigolosa, direi quasi gelida, come Thule di ghiaccio.
    Non siate suscettibili, cari amici. Per "ricadute arcontiche", mi riferivo ai filosofemi orizzontali, che spesso ritengono in comune e teoreti e sociologi; mutuavo il termine, senza alcuna pretesa di originalità ("Ditemi dove vi è traccia di superficialità ed oscurità nei miei scritti: lì è dove sono più originale", scriveva il Bellarmino).
    Su Gambescia: credevo, ma certamente erravo, di avere diritto di replica per la stilettata nei miei confronti vibrata dal carissimo Carlo, che, senza citarmi --ma si notano più certe assenze che certe presenze, come consentivano sia il fine poeta Bertolucci che il cineasta da salotto di gonzi N. Moretti--, mi aveva ferito senza pietà alcuna: forse, per un atto estremo di compassione, che solo ora inizio ad apprezzare. Come sparare sulla Croce Rossa, da parte di una sociologia oggettiva ed al tempo stesso veicolo di caritatevoli legnate. Per di più, buona parte delle colpe che sono ricadute su di noi, figli maledetti di una generazione di debosciati, dipendono proprio dai nostri avi diretti, che si sono goduti il boom e ci hanno lasciato il baratro in cui ci specchiamo sgomenti.

    Cordialità a tutti, anche ai sociologi ed ai liberali arconti.

    RispondiElimina
  6. Caro Marco,
    la vita di un amministratore di blog è davvero dura: devi avere il tempo per vagliare, filtrare, replicare e tutto nel giro di 24 ore altrimenti ti danno subito del sabotatore liberal-democratico e per di più arcontico. Vorrei che tu ti rileggessi i tuoi interventi prima di accusare i “debosciati” della generazione precedente di “sparare sulla croce rossa” (ma tu non eri un crociato di spada armato? Quand’è che ti sei convertito alla combriccola di “medici senza frontiere” e simili?). Gambescia che come sai ha la mia amicizia e la mia stima è stato fin troppo signore nel replicare al tuo ripetuto “j’accuse!”. Quindi la sua reprimenda è più che giustificata e non dovresti sentirti offeso, né sentire la necessità di replicare per difendere la tua di onorabilità visto che di quella di Gambescia hai fatto strame. Dunque mio caro Marco chiudiamola qui e tiremm innanz!

    RispondiElimina
  7. altrimenti ti danno subito del sabotatore liberal-democratico e per di più arcontico.

    Ma era per scherzare! I termini, però, li ho mutuati dal caro Gambescia, che ti attribuiva la patente di tradizionalista portatore sano di liberalesimo.

    Quand’è che ti sei convertito alla combriccola di “medici senza frontiere” e simili?

    Mai. Era un modo di dire. Non vorrei creare equivoci: io sono contro i giovani, tutti indistintamente, che meritano in gran parte quel che i loro padri, forse ancor più inetti, hanno lasciato loro. Chiaro che generalizzo: di giovani ce ne sono di cattivi, a volte però ce ne sono anche di pessimi. Molto meglio, quindi, un gerontocrate giovanilista che un giovane gerontofilo: il primo, anche se corrotto, è stato educato nell'epoca preconciliare, dunque le sue radici non gelano; il secondo, invece, è praticamente sempre prono all'idolatria di Bergoglio (che, ho appreso ieri, da cardinale a Baires fece ballare il tango nei pressi dell'altare).

    è stato fin troppo signore nel replicare al tuo ripetuto “j’accuse!”.

    Questo è vero. Dopo che io lo sfidai a singolar tenzone, egli mi rispose obliquamente, insultandomi con stile, non nominando quindi il mio nome invano: come si fa coi reprobi impenitenti, che notano la pagliuzza nell'occhio altrui, ma non la trave nel proprio. Il fatto è che io avevo notato entrambe: ma non me ne importò nulla, purtroppo. Chiedo quindi venia: ma non mi si chieda di diventare liberale, né arconte interculturale né visconte facitore di ponti dialogici; nè nient'altro, né ora né mai.

    Dunque mio caro Marco chiudiamola qui e tiremm innanz!

    Sono d'accordo, caro Aldo. Vi perdono tutti. :)
    Ciao!

    RispondiElimina
  8. Caro Aldo,
    Trasecolo. Non so di quale stilettata parli il signor Marco. Persona che non conosco. E che, devo dire, questo sì, da quel che scrive, non giudico alla mia altezza come interlocutore, né sul piano di un educato comportamento, né su quello delle capacità argomentative. Di qui, il mio silenzio nella replica di domenica. De minimis non curat praetor.
    A meno che, ma è solo una remota ipotesi sulla persona, non si tratti di un certo dottor Marco Toti, raccomandatomi da un caro amico, ora non più in Italia; un certo dottor Marco Toti, dicevo, che mi scrisse chiedendomi aiuto per far uscire alcuni articoli “su riviste che pagano per la pubblicazione”, usando però ben altri modi.
    Aiuto che non potevo fornire, come evidenziai in una mia altrettanto gentile risposta.
    No, non può essere la stessa persona, che ricordo, dai modi così garbati. Il signor Marco non è il dottor Toti. Anche perché, altrimenti, saremmo davanti a un grave caso di sdoppiamento della personalità tra il dottor Toti di allora, e il dottor Toti di oggi. Entreremmo, insomma, nel dominio a me ignoto della psichiatria. E qui mi fermo. Perché io, a differenza di altri, parlo solo di ciò che conosco.
    De hoc satis
    Un abbraccio,
    Carlo Gambescia

    RispondiElimina
  9. 1. parte

    Caro Aldo,

    Ho le traveggole: vedo il simpatico volto di Gambescia (si vede a occhio nudo che è una brava persona: queste cose si notano nei dettagli, e solo dopo perigliosi tirocinii) e lo scambio per una persona affabile. Ma il tono delle sue ultime proposizioni non pare tanto amabile. Sdoppiamento di personalità? Non credo. Ma andiamo con ordine.

    Chissà come ha fatto il prof. Gambescia a trarre la deduzione, "remota", inerente all'identificazione tra "Marco" e "il dottor Marco Toti": persona "garbata", ci mancherebbe altro, anche se anni fa. Deve essere stata la classica intuizione da sociologo liberale, con citazione ben distillata all'uopo dall'archivio delle "mail". Della (ininfluente) raccomandata con ricevuta di ritorno da un altrove assoluto sono all'oscuro: ma potrei ricordare male.

    RispondiElimina
  10. 2.

    Caro Gambescia,
    Sono proprio io: quel che lei ha distinto prudentemente da scienziato sociale, è sempre rimasto uno nel mondo reale, pur nella scissione che coglie i figli di Adamo, su cui pende la colpa del peccato di origine.
    Non creda, La prego, di avere di fronte il solito pecorone, magari arcontico o amante delle acrobazie ideologico-disciplinari. Non ho avuto problemi a mandare a farsi benedire ben altri arconti che lei, nel tempo, con piena ragione (la ragione me la danno spesso: è il resto, che dalla ragione dovrebbe discendere "naturaliter", che non ottengo quasi mai): non lo farò con lei, che non lo merita, anche per rispetto di Aldo, persona fin troppo paziente.
    Nel frattempo, pensi un po'!, sono pure stato abilitato: il dottore è diventato professore, anche se solo "in voto", anche se non è titolare di alcuna cattedra, e forse una gliela sbatteranno presto in fronte. Tra l'altro, io mi pregio di avere amici tutti al di fuori dell'ambiente accademico: camerieri, portieri d'albergo, svuotacantine, un operatore di "call center" pagato 350 euro al mese, un guardiano di un campeggio ed una torma di infraoccupati che tra poco fuggiranno al bosco tra le tempeste d'acciaio.
    Certo, io non ambisco affatto a divenire liberale o a leggere con occhio distaccatissimo, come usa con geometrica perizia lei, la società degli arconti.
    Sulle altezze, io sono 188 cm, quindi non penso lei sia alla mia.
    Sulle capacità argomentative, se vuole, le invio un mio CV ragionato: ma, forse, bisognerà utilizzare la "jumbo mail".
    Una riflessione a margine: se si ricorda di me --le scrissi circa 7-8 anni fa, lei avendo conservato ed ora persino zelantemente ripescato (quindi vi fu un certo grado di convincimento nella asseritamente remota identificazione!) il testo della mia mediocre missiva--, o la sua memoria è prodigiosa, oppure "de minimis curat praetor" (io sono certamente una nullità, ma lei non si può dire pretore, non essendo, credo, dotato nè di "imperium" né di "iurisdictio").
    Sulla psichiatria, che lei ha così signorilmente evocato, pure in via ipotetica (ma l'ipotesi si muta in tesi, colla mia confessione), come può rimandarvi se lei stesso sostiene essa essere (non male, questa sincopata allitterazione di sibilanti!) un dominio a lei ignoto? Per i sociologi, evidentemente non vale il principio di contraddizione: lei, quindi, parla di quanto, per sua stessa ammissione, non conosce. Misteri della sociologia.
    Anche se non credo di aver perso quel garbo che Lei, munifico, mi attribuisce (seppure ad un "me" di 7-8 anni fa: morto e sepolto nei penetrali del tempo), le persone mutano, caro Gambescia: questo lo sanno pure i sociologi, liberali, archici, acrobatici o acroamantici (di questa categoria, però, confesso di non conoscerne) che siano.
    Strano, poi, che da tutto quel che elencava nel suo prezioso elzeviro domenicale -- applicandovi la aurea regola di Sherlock Holmes --, si insinui in noi il più che legittimo sospetto di altro, rispetto a quanto lei va ora declamando sdegnoso. Nella sua recensione ai commenti di una recensione di un suo pregiatissimo lavoro, infatti, si discettava di persone (mi pare fossi l'unico, giustamente, non citato; e non c'era nessun "accademico", tranne me, posto che io lo sia, in senso lato) che si atteggiano a "guerrieri dello spirito" in blog "ombreggiati", e che poi scriverebbero saggi molto più timorati, per "captatio benevolentiae" (immagino lei sappia il latino: anche se questo è praticamente italiano) nei confronti delle commissioni academiche.
    Lei quindi qui conferma: se è vera la mia deduzione, parla di ciò che non sa. Se non è vera, chiedo perdono: ma, allora, non si capisce a chi si riferiva nella sua accorata allusione. Ce lo dica, magari con un anagramma o un acronimo del subdolo ricercatore. Qui, di letterati ed esoteristi, è pieno: scioglieremo e preserveremo il mistero.

    La riverisco.

    RispondiElimina
  11. Caro Aldo,
    Sarò sincero. A caldo, ho scritto una replica “lunga”, ribattendo, punto per punto. Poi rileggendomi, non mi sono piaciuto: semplificando, mi sembrava di opporre a troll, troll e mezzo. E non essendo il mio stile, né di comportamento né di argomentazione, come già osservato, ho preferito sorvolare. Il che spiega perché continuo a rivolgermi a te.
    D’altronde, a pensarci bene, ora che il professor Toti ha riconosciuto di essere il signor Marco, la questione diventa di una semplicità carnivora, addirittura disarmante. Non servono altre ipotesi, se non quella che:
    1)A chiede un favore a B.
    2)B rifiuta.
    3)A si vendica di B.
    Insomma, caro Aldo, miserie antropologiche, se non proprio zoologiche, di cui non curarsi. O se preferisci, più romanticamente, si può dire che “tutto il resto è noia”, per citare un filosofo romano, nato però a Tripoli, della seconda metà del Novecento.
    Un grande abbraccio,
    Carlo Gambescia

    RispondiElimina
  12. Mentre ringrazio Carlo Gambescia che rientra nel ristrettissimo novero dei “veri amici”, faccio pubblica ammenda per aver consentito in primis al poco fraterno Marco di avvelenare inutilmente la discussione. Il disaccordo è sempre possibile e direi persino auspicabile (ci rende più svegli e aguzza l’ingegno e la fantasia dei contendenti), ma non deve mai degenerare in una rissa o peggio trasformarsi in un concitato scambio di insulti. Di solito non ammannisco consigli, ma vorrei suggerire a Marco di smetterla di fare il bastiancontrario di professione (se un po’ per celia o un po’ per non morir, questo non so). E’ un modo di fare che in principio può risultare persino simpatico e divertente, ma che alla lunga stanca e soprattutto non produce risultati sul piano cognitivo e fa regredire sul piano umano. Uscir fuori dai propri schemi e portare la mente oltre il proprio raggio d’azione, questo dovrebbe fare un vero anticonformista. Altrimenti si finisce col dare la sgradevole impressione di un anticonformismo di maniera, detestabile al pari del buonismo e del politicamente corretto.
    Un caro saluto a tutti e dichiaro la discussione ufficialmente chiusa. Ma chiusa sul serio.

    RispondiElimina
  13. E dire che questa pagina web si apriva su libro dedicato alla filosofia interculturale, centrata su il dialogo, il pluralismo, la pace...Beh, un motivo in più per acquistare e leggere il libro, che ha tanto da insegnare...

    RispondiElimina
  14. Concordo con Antonello. Che ringrazio per l'assennato commento.

    RispondiElimina
  15. Ci scrive Armando:
    “A. Colimberti ha scritto un ottimo articolo su Cognetti il quale a sua volta è uno dei più fini critici di Guénon in ambito universitario. Sono questi gli argomenti di cui dovremmo parlare.”

    Gentile Sig. Armando, Pico della Mirandola, Principe di Concordia, sarebbe d'accordo con Lei e mi creda anch'io lo sono. Ma credo di essermi già scusato con tutti. A volte però la polemica è necessaria per sgombrare dal campo aporie e contraddizioni e fare chiarezza su questioni controverse. Quel che bisognerebbe invece sempre evitare sono gli attacchi personali che di solito sono prova di pochezza di idee e di poco nobili sentimenti umani. Non a caso nei Vangeli il titolo di "Accusatore" è riservato al Diavolo e in un interessante romanzo teologico-giudiziario dal titolo "L'attenuante 666" a Lucifero venivano messe in bocca le seguenti parole: "Non attaccate mai Dio né i suoi accusatori, lasciate a me questo compito!". Appunto!
    Vive cordialità

    RispondiElimina