08/10/16

Attilio Mordini e il cattolicesimo eroico e ghibellino

4 ottobre 1966. 50 anni fa moriva a Firenze a 43 anni Attilio Mordini, barone di Selva. Filosofo, linguista, antropologo culturale, studioso del simbolo, filologo, storico e teologo.
Dopo la catastrofe dell’8 settembre 1943, anche Firenze che era sede del Comando di Corpo d’Armata fece la sua parte: l’11 settembre in mattinata il Generale Mario Caracciolo di Feroleto, comandante del Corpo d’Armata, responsabile della difesa dell’Italia Centrale, da La Spezia al Gargano, si mise in borghese, salutò i suoi ufficiali dicendo loro: “Vi lascio l’onore di difendere la patria” e se ne andò.
Rimase ad un Tenente il compito di guidare da Villa Torrigiani a Piazza San Marco una colonna di militari. Fatte poche centinaia di metri, percorrendo via dei Serragli, prima di arrivare al ponte alla Carraia per attraversare l’Arno, una donna avvisò la testa della colonna che al ponte c’erano i tedeschi. Il Tenente scese dal suo mezzo per dare un’occhiata e al suo ritorno nella colonna non c’era più nessuno, tutti scomparsi i suoi uomini, forse nei portoni.
In Piazza San Marco, alla sede del Comando di Corpo d’Armata, poco dopo si presentò un’auto con bandiera bianca con a bordo dei tedeschi. Il Comando dell’Italia Centrale si arrese senza sparare un colpo. Per reazione a questo clima di sfacelo di un Esercito e di un intero Paese, Attilio Mordini e altri ragazzi e giovanissimi fiorentini (uno appena quindicenne), corsero lo stesso giorno ad arruolarsi. Non essendo ancora costituita la Repubblica Sociale (Mussolini, prigioniero sul Gran Sasso, sarà liberato dai parà tedeschi il giorno dopo e la RSI sarà costituita formalmente il 23 settembre successivo), il gruppetto di giovani fiorentini indossò l’uniforme tedesca e, arruolato nella IV. Panzer-Division, fu inviato a combattere in Ucraina. L’avventura durò poco perché nel dicembre dello stesso anno Mordini fu ricoverato in un ospedale di Monaco a causa del congelamento di un piede, poi fu rimpatriato.
Ristabilitosi, nel gennaio 1944 a Firenze si arruolò nella Guardia Nazionale Repubblicana e fu addetto all’Ufficio stampa. Nel giugno 1944 lasciò Firenze per Bergantino (Rovigo); a novembre il suo reparto fu spostato a Padova. Fatto prigioniero dagli americani nell’aprile 1945, fu chiuso nel carcere giudiziario di Belluno dal 1 maggio al 23 luglio.  Scarcerato per l’intervento di un vescovo cappuccino, subito dopo dovette darsi alla latitanza perché nuovamente ricercato. Peregrinò tra Mestre, Napoli, Pompei e infine Roma dove fu ospitato dai Gesuiti. Nel periodo romano divenne segretario di padre Alighiero Tondi e si iscrisse all’Università Gregoriana; nello stesso periodo entrò nel Terz’Ordine francescano con il nome di fratello Alighiero.
Attilio Mordini
Tornò a Firenze nella casa di famiglia in via San Gallo nell’ottobre 1946 ma in seguito ad una delazione fu arrestato. Di lì a poco, anche Giorgio Albertazzi, ex Tenente della GNR, anch’egli vittima di una spiata, fu arrestato mentre si stava iscrivendo nell’Ateneo fiorentino. Mordini fu rinchiuso nel carcere delle Murate dove, a causa dei maltrattamenti si ammalò e non fu curato. Scarcerato – senza processo – nell’ottobre 1947, riprese contatti con i suoi amici e camerati ma nel 1948 dovette essere ricoverato in sanatorio come conseguenza delle percosse subite durante la carcerazione.
Dopo la laurea con lode in Letteratura tedesca presso la Facoltà di Magistero di Firenze con una tesi su Stefan George, fu lettore nell’Università di Kiel dove tenne un corso su Dante Alighieri. In seguito frequentò l’Orientale di Venezia proseguendo anche i suoi rapporti con il mondo culturale, politico e religioso fiorentino.
Stabilì legami con padre Ernesto Balducci, con don Divo Barsotti, padre Turoldo, Mario Gozzini (in altre parole il meglio del cattolicesimo “di sinistra”), ma anche con Roberto Assagioli, teorico della Psicosintesi e l’olandese Bernard Jasink, studioso delle religioni orientali e traduttore dell'”Autunno del Medioevo” di Huizinga.
In seguito fu anche assistente universitario nella sua città.
Nei primi anni ’50 iniziò a collaborare alla rivista fiorentina “L’Ultima” di Adolfo Oxilia e Giovanni Papini; fece parte della redazione di “Pagine Libere”, la rivista di Vito Panunzio, ma proseguì anche gli studi islamici, della mitologia e del linguaggio, dedicando la sua attenzione anche agli scritti di Julius Evola e René Guénon.
Fu collaboratore delle principali riviste tradizionaliste dell’epoca: “Carattere” di Verona, “L’Alfiere” di Napoli, “Il Ghibellino”, “Adveniat Regnum” diretta da Fausto Belfiori, e le straniere “Antaios” diretta da Mircea Eliade ed Ernst Jünger, e “Kairos” diretta da Mathias Vereno e pubblicata dai Benedettini di Salisburgo.
In questo quadro di attività e di collaborazioni tenne anche una magistrale lezione al congresso dei tradizionalisti a Napoli.
Divenne l’esponente di un cattolicesimo mistico, eroico ed esoterico. Fu in forte polemica con il sindaco democristiano di Firenze, Giorgio La Pira, che giunse ad accusare a più riprese di eresia. A causa di un destino strano, oggi alcuni suoi estimatori probabilmente scarsamente documentati, in vari scritti lo associano a La Pira. Politicamente frequentò gli ambienti del MSI fiorentino e collaborò anche alla terza pagina del quotidiano del partito “Il Secolo d’Italia”, quando la dirigeva un intellettuale pratese, Aniceto Del Massa, al quale si deve anche la pubblicazione in varie puntate di uno studio di Mordini sulla profezia dantesca del Veltro (da Feltre a Montefeltro).
Tra i suoi lavori: “Il tempio del Cristianesimo”, saggio di “retorica della storia” che dedicò all’ultimo imperatore d’Austria, Carlo d’Asburgo; “Dal Mito al materialismo” affascinante lavoro nel quale affrontò la perdita dei valori spirituali attraverso l’esegesi di fiabe, dei primi film di Bergman e di alcune opere letterarie, “Giardini d’Oriente e d’Occidente”, scritto assieme all’amico fiorentino architetto dei giardini Piero Porcinai; e ancora: “Verità del linguaggio”; “Il mistero dello Yeti”; “Il mito primordiale del Cristianesimo”; “Francesco e Maria”…
Raccolse attorno a sé un piccolo cenacolo di giovani e giovanissimi che si legarono tra loro da profonda amicizia, destinati in seguito a diventare noti nel mondo culturale italiano; tra essi lo storico Franco Cardini. che di recente lo ricordava così:
Ad Attilio debbo una gratitudine difficile da tradursi in parole: gli debbo l’avermi insegnato a leggere Tommaso d’Aquino e Dante, l’avermi introdotto seriamente al grande mondo della cultura austro-tedesca (dal Principe Eugenio a Mozart alla tradizione asburgica), l’avermi ispirato un amore severo e profondo per l’Europa liberandomi dalla tentazione risorgimentalistica e nazionalista della “vulgata” missina; l’avermi introdotto a una comprensione intima dell’ebraismo e dell’Islam come religioni sorelle del cristianesimo; l’avermi insegnato i rudimenti della lettura simbologica dell’arte e della liturgia cristiane che avrei più tardi – come medievista – fruttuosamente verificato; l’avermi aiutato a leggere – e a disincantare – quegli autori, come Evola e Guénon, che costituivano la “tentazione esoterica” dei giovani della mia parte politica e della mia generazione i quali militavano appunto in un partito minoritario, ma dovevano portare un peso in più in quanto non ne accettavano, minoranza nella minoranza, la Weltanschauung mazziniana e gentiliana.(…) . Mordini ci fornì le chiavi essenziali per una critica serrata, non isterica né preconcetta, della modernità (..) ci additò gli orizzonti d’un universalismo fortemente ancorato all’Europa e al Mediterraneo (…) ci liberò dai fantasmi del nostalgismo politico, del nazionalismo e del razzismo. Fu, ancora, Mordini che nei primi anni Sessanta – quando nessuno o pochissimi ancora ne parlavano in Italia – c’informò sullo strutturalismo distinguendone i rispettivi esiti in linguistica e in antropologia. (..) “Mordini fu per noi un fratello maggiore e una guida spirituale: attorno a lui costituimmo, per molti versi, una vera comunità, una Torre d’Avorio”.
In questi giorni, due persone che gli furono amiche e vicine, la professoressa Maria Camici e Franco Cardini, grazie alla casa editrice Il Cerchio, di Adolfo Morganti che ha anche curato la prefazione, hanno pubblicato “Attilio Mordini, il Maestro dei segni”, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte.

LA MIA NOTA SU ATTILIO MORDINI

*** Con i miei 16 anni ero uno dei più giovani – e certo acerbi per comprendere appieno il suo insegnamento – del gruppetto che Attilio aveva radunato attorno a sé nella prima metà degli anni ’60, nell’ultimissima fase della sua vita.
A parte le altre occasioni, ci si ritrovava il giovedì (l’avevamo definito “il giovedì del reazionario”) in quello che allora si chiamava Circolo dei nobili fiorentini, in una cappella sconsacrata dedicata a San Tommasino in via della Pergola, accanto all’omonimo teatro fiorentino; luogo messo cortesemente a disposizione per noi da uno dei fedeli di Attilio, il conte Neri Capponi.
Adesso nello stesso luogo c’è la sede fiorentina della Comunità di Sant’Egidio.
In quelle riunioni d’élite Attilio ci parlava di De Maistre e della mitologia nordica, della Tradizione e di Ingmar Bergman, della Cavalleria e di Maria, ma anche di un’Europa che si doveva liberare dagli imperialismi e dei propri miopi nazionalismi.
Fu con lui che accogliemmo Jean Thiriart – il campione del nostro europeismo in quegli anni – nella sua prima visita fiorentina nel 1965. La fine di Attilio giunse troppo presto, improvvisa per noi, calcolata per lui che era sicuro che se ne sarebbe andato proprio in quel giorno, il 4 ottobre, lui terziario francescano, il giorno di San Francesco; un mese esatto prima della grande alluvione che il 4 novembre colpì duramente, troppo duramente, la nostra città.
Alcuni suoi scritti sono andati irrimediabilmente perduti: uno smarrito da chi avrebbe dovuto pubblicarlo, altri manoscritti frettolosamente regalati (assieme a libri e mobili) ad un rigattiere per liberare l’appartamento di famiglia in via San Gallo…
Vive ancora nella nostra mente e nei nostri cuori e ogni anno si sale a trovarlo sulla collina di Trespiano, dove attende. (da Effemeridi de Giorno)

Pubblicato il 4 ottobre 2016 da Amerino Griffini


4 commenti:

  1. Bel ricordo di Mordini che certamente impressionava per la capacità di spaziare in ambiti così eterogenei fra loro. Mi sento di consigliare la lettura delle pagine dedicategli da Primo Siena in "Incontri della Terra di Mezzo" in cui i meriti di Mordini risaltano ancora di più a fronte della sua estrema povertà come descritta da Siena.

    Paolo C.

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  2. Mordini è stato il mio primo punto di riferimento cristiano, dopo la scoperta del pensiero tradizionale . L'opera che mi ha maggiormente affascinato è stata "Verità del linguaggio ", che mi sembra anche la "summa " del suo pensiero.

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  3. Anch'io ho conosciuto Mordini prima di incontrare Panunzio. Su "Verità del linguaggio" concordo con Giuseppe.

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  4. Insieme a Panunzio un vero maestro del 900. In Lui si legano armonicamente la sapienza tradizionale e il Vangelo. I due sono davvero complementari e un dono della Provvidenza per tutti noi. Bernardus

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