24/03/16

Il nuovo libro di Carlo Gambescia: "Sociologi per caso"


di Aldo La Fata



“Sociologi per caso” è il titolo dell’ultimo libro di Carlo Gambescia, appena uscito per i tipi dell’editore di Piombino (Livorno) “Il Foglio”. Sulla copertina è stato riprodotto un bel quadro del pittore impressionista Gustave Caillebotte dal titolo “Rue de Paris, temps de pluie”. La Parigi di quel tempo è già diventata la spengleriana “città assoluta”, la città mondiale, cosmopolita, monumentale, fatta di pura pietra e per scopi esclusivamente economici. I suoi abitanti vestono elegantemente (vezzo tipicamente parigino) e sono borghesi nel corpo e nell’anima, capitalisti al loro esordio.  Forse – ma è solo una mia interpretazione -  il quadro vuole suggerirci che è proprio in quel contesto, per molti aspetti plumbeo (vedi la pioggia), ma anche ricco di speranze e di avveniristiche previsioni (la grandiosità delle strade con larghe vie di fuga, la serena e spensierata tranquillità dei passanti) che nascono le cosiddette scienze sociali, con il parigino (anche lui) Auguste Comte a fare da apripista.
Ma veniamo ai contenuti.

Il testo è una collatio di saggi (alcuni già editi, ma di non facile reperibilità, altri inediti) dedicati ad autori annessi con intelligenza da Gambescia tra le file dei sociologi che non seppero di esserlo, appunto dei “sociologi per caso”. Nell’ordine: Dante, Machiavelli, Evola, Jünger, Mann, Tolstoj e Pasolini. Alla cui analisi, Gambescia fa  precedere un capitolo introduttivo “sul metodo”, ossia dedicato al filo conduttore -  quello di una sociologia capace di farsi via letteratura, politica e metapolitica -  che unisce, per concetti e regolarità, gli autori indagati.
L’inserimento dei primi due, Dante e Machiavelli, a tutta prima può sembrare una forzatura, ma scopriamo subito che non è così. La “Commedia” ha una struttura triadico-trinitaria che ricorda molto da vicino il paradigma tripartito della sociologia strutturale e dinamica di un Sorokin; la descrizione così razionale e lucida, ai limiti del cinismo, che  Machiavelli fa delle burrascose vicende politiche del suo tempo, ricorda molto da vicino l’approccio di un moderno sociologo. E siamo così ai lineamenti di una preistoria e protostoria della sociologia, sia pure per frammenti, ma che verrebbe voglia di ricostruire sistematicamente.
Certo, come riconosce Gambescia, qui si tratta solo di assonanze, di identità parziali, di connessioni tra le parti di un discorso a più voci e quindi di variazioni sul tema, di differenti modi di interpretare un discorso che ha per “oggetto” la diversità e complessità delle relazioni politiche e umane nel loro fattuale divenire. Tra passato e presente si possono dunque trovare  concordanze logiche e persino metodologiche,  fermo restando che tra quel passato pre-industriale, pre-democratico e pre-moderno e il nostro presente post-industriale, post-democratico e post-moderno, se di analogie si può parlare, è sempre e solo nel segno della pura casualità. Quel che diceva un Platone non è proprio esattamente quel che diceva il neoplatonico Bergson, posto che tra i due esista una qualche specie di ideale e filosofica continuità.
Ma Gambescia è studioso serio, preparato e scaltro e sa mettere sempre “fenomenologicamente” tra parentesi l’identità storica,  politica, ideologica e culturale degli autori che tratta per occuparsi esclusivamente di quelle tracce, appunto “casuali”, di sociologia presenti nelle loro opere.
Tra i moderni il filosofo tradizionalista Julius Evola. “Sociologo per caso” secondo Gambescia soprattutto quando si occupa di “regressione delle caste” o di élites al potere, anche se siamo in presenza di una prospettiva normativa e metastorica, da filosofia e da teologia della storia, che poco o nulla avrebbe a che vedere con le classiche categorie spazio-temporali delle scienze sociali. Ma qui è l’oggetto di studio e di indagine ad essere propriamente “sociologico” e non la sua interpretazione in chiave tradizionale o metafisica, come d’altronde spiega sempre molto bene Gambescia. Tra l’altro scopriamo (ce l’eravamo francamente dimenticato) che Evola non disdegnava affatto la sociologia e che anzi vedeva in essa “un importante campo di lavoro” potenzialmente utile al pensiero di Destra. E qui Gambescia pesca dalla copiosissima produzione pubblicistica di Evola il pezzo a più colonne che il nostro dedicò a Vilfredo Pareto (apparso in seguito nell’antologia “Ricognizioni uomini e problemi”, Roma 1974). La scelta di Evola andava nella direzione di un sociologo “anticonformista e antidemocratico”, ma non si deve dimenticare che Evola non disdegnava, pur criticandolo, un Max Weber molto presente nelle sue opere di rivolta.
Altro “sociologo per caso”, a “metà”, “dilettante ma di genio” osserva Gambescia, è il noto scrittore  e filosofo tedesco di fama mondiale Ernst Jünger, qui definito  “l’anti-Weber”. Leggendo il denso capitolo che lo riguarda abbiamo forse compreso quanto il nostro sia stato frainteso, soprattutto da una destra giovanile e militante che ne ha fatto uno dei suoi idoli marziali, ignorandone invece la complessità, la varietà delle idee, a volte inclassificabili a volte persino ingenue e comunque non sempre coerenti e non sempre riconducibili al pensiero della Konservative Revolution. Comunque, la conclusione di Gambescia è che la perorazione di Jünger per il conflitto e per la guerra (un fattore sociologico questo di prim’ordine) risulta alla fine sbilanciata e fuori asse. La sua opera passata “al setaccio della teoria sociologica” è “L’operaio”, “una autentica miniera di pepite conflittualiste” (altro punto fermo della moderna sociologia) dice Gambescia e non solo. Scopriamo così, un nuovo filone d’indagine nella vasta produzione letteraria del “contemplatore solitario” di Wilflingen.
Restando nell’ambito della letteratura tedesca del Novecento, l’altro autore che compare nella lista dei “sociologi per caso”, ma stavolta  senza se e senza ma, è il grande  Thomas Mann. Il suo capolavoro, “I Buddenbrook. Decadenza di una famiglia”, è secondo Gambescia “una specie di anticipazione  a Capitalismo, socialismo, democrazia di Joseph A. Schumpeter”. Il capitalismo familiare al centro della vicenda romanzata, segnerebbe, spenglerianamente, il cruciale passaggio dalla Kultur alla Zivilisation.  Scrive a questo proposito Gambescia: “I vigorosi e creativi ‘animal spirits’ del capitalismo di cui parla Keynes, a poco a poco, cedono il passo a una scialba e sempre più fiacca dialettica tra passioni e illusioni” (p. 66). E’ il cosiddetto “fattore Buddenbrook”, come lo denomina Gambescia (suo il copyright)  una fondamentale e imprescindibile chiave interpretativa che deve essere acquisita dalla sociologia moderna.
Dalla letteratura tedesca alla letteratura russa. L’altro grande scrittore e romanziere reclutato da Gambescia nelle file dei “sociologi per caso” è Leone Tolstoj. Un sociologo creativo? un “profeta”? Forse entrambe le cose. Il nostro avrebbe fornito involontariamente un importante contributo alla “teoria sociologica dell’ordine spontaneo”, “ossia di un ordine sociale quale esito di imprevedibili processi interattivi tra milioni di individui” (p. 76). Insomma, il maestro russo avrebbe suggerito ai sociologi una cosa fondamentale, ovvero l’importanza per la comprensione e la previsione dei processi storici e sociali, dello studio degli  imprevedibili effetti non  intenzionali  delle azioni individuali.
Come tra gli uomini di lettere ci sono i “sociologi per caso”, così pure ci sono quelli
non tanto per caso ma per scelta ponderata e deliberata.  Pier Paolo Pasolini fu sicuramente uno di questi. Tuttavia, la sua fu una sociologia “impressionistica”, di scarsa o nulla scientificità, quindi poco convincente e un po’ d’antan. Gambescia la definisce “sociologia dell’austerità” a base di demonizzazione del capitale in chiave marxiana, arcaismo contadino e “modernismo reazionario”. Lascio al lettore la scoperta delle inedite consonanze tra Pasolini ed Enrico Berlinguer.
Qualche parola per finire.
Intanto, sia ben chiaro che in queste righe ho solo accennato e per sommi capi ai contenuti del libro, la cui densità concettuale non è riassumibile nello spazio angusto di una recensione. Si pensi solo, all’idea, certamente discutibile dal punto di vista della visione panunziana,  ma comunque  degna di riflessione, di una sociologia capace di farsi politica e metapolitica  attraverso il dialogo con la grande letteratura.  Non è infatti di un libro facile che stiamo parlando, come  in generale mai lo sono i libri di Gambescia che, ultimamente, suppongo per esigenze editoriali, si costringe dentro esigue cento pagine.  
La sociologia, in quanto tale,  poi, non è quel cliché al quale ci hanno abituato i media con i “sociologi della domenica”, ma una disciplina severa, che richiede adeguata preparazione storica e cultura generale di buon livello (diciamo sicuramente di livello universitario). Un buon sociologo deve attingere agli ambiti disciplinari più diversi, dalla psicologia alla storia, dall’economia all’antropologia,  dalla politologia al diritto alla statistica, e deve, per riprendere una suggestiva espressione di Gianfranco Miglio, esser capace di “pensare per millenni” e quindi volare molto alto. Da qui l’obbligo, culturale e professionale,  di aggiornamenti e studi continui. 
Non va dimenticato altresì che in sociologia sono moltissimi i testi e gli autori di riferimento e tra questi ultimi non sono pochi quelli che contendono terreno ai  maggiori filosofi speculativi. Con Gambescia potremmo fare i nomi, ad esempio, di Robert Michels, Pitirim Sorokin, Edward Shils, Roberto Nisbet e Giuseppe Palomba.
Ma certo nell’arco di una sola vita non è che si possa leggere tutto. E allora, piuttosto che accarezzare progetti di lettura tanto ambiziosi quanto improbabili, meglio selezionare al massimo. In questo senso i libri di Carlo Gambescia sono sempre una garanzia.

7 commenti:

  1. Figurati Carlo, è sempre un piacere leggere le tue cose e oggettivamente si tratta di un'opera di pregio che vale la pena consigliare.

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  2. Recensione esemplare, centrata e "motivante" come non se ne leggono più, complimenti vivissimi

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  3. Troppo buono, grazie! Merito del libro.
    Un saluto cordiale

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  4. Pasolini, recensendo il primo libro intero tradotto in Italia di Coomaraswamy, ossia "Induismo e buddhismo", scrisse di essersi “molto emozionato” alla lettura dello “straordinario compendio”. Non solo, ma ne diede anche una lettura politica, o meglio metapolitica. Si veda:
    http://www.pasolini.net/saggistica_induismo-buddismo-ppp.htm

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  5. Grazie davvero Antonello per la segnalazione. Non conoscevo il testo che ho letto con grande interesse. Pasolini era certamente un uomo intelligente e di buona cultura, ma non ha mai smesso i panni dell'ideologo con i piedi ben piantati per terra. In questa particolare circostanza mi sembra si possa dire di lui, parafrasando Gambescia, che fu "metapolitico per caso".

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  6. Bellissima recensione, caro Aldo. M'incuriosisce in particolare l'interpretazione di Jünger che sembra davvero molto originale.

    un saluto cordiale e buone feste a tutti i lettori!
    Paolo C.

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