02/02/14

“La Spada di Perseo" di Primo Siena nella recensione di Giovanni Facchini



di Giovanni Facchini

  
Già da alcuni mesi è possibile trovare, nelle migliori librerie, l’ultimo importante saggio di Primo Siena, La Spada di Perseo. Si tratta in realtà dell’edizione italiana dell’opera, già pubblicata in castigliano a Santiago del Cile nel 2007, ed ora finalmente edita nel nostro paese dalla casa editrice Solfanelli di Chieti (pagine 260, €18).
         Qualcuno penserà al solito libro destinato a un pubblico di nicchia, un testo difficile e complicato di filosofia e storia per pochi “nostalgici”. Noi crediamo invece si tratti una grande occasione di schiarimento e orientamento ideale per tutti coloro che, a tutti i livelli, si battono per la cultura e per la politica rettamente intese in questi tempi ultimi di confusione e disordine morale e materiale.
         Innanzitutto occorre presentare l’autore, l’ormai ultraottantenne Primo Siena, un nome che a molti dovrebbe suonare quasi mitico, ma che a molti altri, giovani e non, purtroppo è inutile negarlo, dirà forse poco o nulla. Nato in provincia di Modena nel 1927, Primo Siena a nemmeno 16 anni, nell’autunno del ’43, partì volontario nella Repubblica Sociale Italiana, dove prestò servizio nel battaglione bersaglieri Mussolini, schierato a difesa del nostro confine orientale minacciato dai partigiani comunisti jugoslavi del IX Corpus Sloveno. Rientrato miracolosamente alla fine del 1945 dalla prigionia nei gulag di Tito e trasferitosi a Verona, fu subito tra i fondatori dell’MSI – Movimento Sociale Italiano, ricoprendo negli anni diversi importanti incarichi a livello locale e nazionale, per cui oggi è ricordato con affetto da tanti vecchi militanti e citato in moltissimi articoli e saggi sulla storia della Destra politica in Italia.
Fin dall’inizio però l’attività di Primo Siena si orientò soprattutto sul piano culturale, con la fondazione e direzione di importanti riviste come “Cantiere” e “Carattere” e la pubblicazione di importanti saggi, come Le alienazioni del secolo, (Premio Angelicum 1957). L’azione è incessante sul piano dottrinale, svolta all’interno del partito prima fra i Figli del Sole, la corrente giovanile facente capo al pensiero di Julius Evola, poi autonomamente, nel segno di un tradizionalismo cattolico autenticamente romano e ghibellino.
Primo Siena ha svolto una importante carriera all’interno della Scuola italiana e del Ministero dell’Istruzione, ed è questa che lo ha portato in Sudamerica, a Santiago del Cile, dove vive e opera ormai da oltre trenta anni.
Tra il 2012 e il 2013 escono due importanti saggi dell’autore, la cui attività continua incessantemente: La perestrojka dell’ultimo Mussolini, analisi sul dibattito politico e le proposte  di riforma costituzionale e dello Stato della RSI, proposte incredibilmente lungimiranti e moderne, come dimostra l’Autore, nonostante il clima tragico e la precarietà della situazione; Incontri nella terra di mezzo, una serie di quindici profili biografici con cui Primo Siena rende omaggio a quanti hanno contribuito alla sua formazione culturale e ideale. Si tratta di un vero e proprio breviario della più autentica cultura di destra: ci sono Julius Evola a Giovanni Gentile, Vintila Horia e Russell Kirk, Guido Manacorda e Carlos Alberto Disandro, Attilio Mordini e Giovanni Papini…
Ma veniamo ora alla Spada di Perseo, che l’autore stesso ha definito il lavoro più importante della mia vita[1]: si tratta di un saggio di e sulla Metapolitica, sulla scorta del pensiero e dell’opera di un grande autore tradizionalista italiano, Silvano Panunzio (Roma 1918-2010), amico fraterno di Primo Siena che fu fondatore, nel 1976, proprio di una importante rivista dal nome Metapolitica.
Per capire cosa si intende per metapolitica occorre forse partire dal suo contrario, quella che l’Autore indica come la Criptopolitica, che, sotto nomi diversi, più alla moda ma molto più imprecisi (mondialismo, globalizzazione, nuovo ordine mondiale, usurocrazia planetaria, fino ai complottismi e alle teorie cospirazioniste più o meno serie) penetra ormai tutta la società contemporanea.
La criptopolitica quindi è l’espressione di quei poteri occulti (l’intreccio di mass-media, multinazionali, poteri forti dell’alta finanza, lobbies e massonerie varie, mafie e criminalità organizzata…) che, sempre presenti nella Storia, ma mai come in questi tempi ultimi così pervasivi, vanno ad occupare progressivamente gli spazi dai quali è stata sloggiata più o meno dissimulatamente la vera politica.
Qui emerge subito l’estrema attualità di questo saggio: è sotto gli occhi di tutti ormai, anche nella realtà quotidiana più spicciola, come il potere decisionale reale non sia più nelle mani dei cosiddetti “politici” e tantomeno dei liberi cittadini o del popolo. Basti pensare a questa falsa Europa con i suoi oscuri burocrati, funzionari e banchieri che a Bruxelles e Francoforte condizionano l’economia di interi popoli riducendoli alla fame; o alle campagne mediatiche sapientemente orchestrate che periodicamente si prendono cura di rieducarci orwellianemente su ogni questione “politicamente corretta”, dai diritti dei gay alla “cultura” di genere fino alla bontà della società multietnica e multirazziale; o alle “rivoluzioni” più o meno colorate e alle guerre “umanitarie” con cui è “doveroso” esportare la democrazia, e ai colpi di stato o semplicemente ai cambi di governo sempre più chiaramente manovrati da lobbies, servizi segreti ed entità sopranazionali.
 Consumismo di massa, alienazione sociale, individualismo sfrenato, sradicamento delle Tradizioni locali a favore del melting pot globale, uniti a una capillare e onnipresente capacità del Sistema di controllo e condizionamento sociale e culturale, stanno ormai riducendo la moderna umanità ad una massa informe docilmente rassegnata a un destino di servitù, e il singolo individuo da persona a semplice unità di consumo e di produzione.
La categoria della criptopolitica che, senza ricadere in facili stereotipi e banalizzazioni complottistiche, denuncia tutte quelle forze infere che da sempre operano dietro le quinte della storia, serve quindi a evidenziare come la categoria Politica vera e propria, la scienza per gli uomini e degli uomini per antonomasia, abbia bisogno, per compensazione, di un sostegno di segno opposto, superiore e positivo. Questa è la Metapolitica, concepita come

“una scienza sintetica che riassume in sé la metafisica (scienza dei principi primi) la politica (scienza dei mezzi), e l’escatologia (scienza dei fini ultimi). In questa prospettiva la metapolitica si definisce anche come metafisica applicata, definizione che non indebolisce la politica reale, concreta – intesa come operatio aestetica vale a dire: qualcosa che non ha bisogno di parole demagogiche bensì di azioni nobili (recte agere) ovvero “pensiero in azione”, secondo il concetto del filosofo Giovanni Gentile dedotto da una nota endiadi di Giuseppe Mazzini, Pensiero e Azione. [pag. 26-27]”

Siamo quindi lontani dal concetto di metapolitica, noto ai più in riferimento alla corrente della Nuova Destra nata in Francia a partire dagli anni ’70 con Alain de Benoist. Qui la metapolitica, riprendendo le note tesi di Gramsci, si sviluppa su di un piano esclusivamente orizzontale, risolvendosi in un mero momento di contropotere culturale, che si oppone alla cultura dominante ma con una predominante finalità strumentale: preparare il terreno alla conquista del potere politico. Questa strategia “metapolitica” è stata applicata molto bene, come sappiamo, qui in Italia dalle forze marxiste, dove a partire dal ’68 si può dire che tutta la cultura, dai salotti buoni ai giornali, dalla scuola e alle università, sia in mano alle sinistre. Le analisi di De Benoist e della Nuova Destra sono perciò estremamente interessanti e necessarie, ma non è questa la metapolitica che ci interessa.
La Metapolitica di Silvano Panunzio e di Primo Siena si sviluppa infatti in senso verticale, perchè esprime la necessità per la politica, se vuole essere in grado di agire correttamente e difendersi dalle tentazioni della criptopolitica,  di rifarsi a un ordine superiore, sacro e trascendente:

Nella concezione platonica, il senso del sacro assicura l’unità politica dello stato che comprende anche l’ambito delle Muse, perché anche le arti costituiscono l’apporto degli ideali estetici dell’etica pubblica. […]
Tutte le civiltà precristiane – sia quelle antiche di Oriente e di Occidente o quelle precolombiane d’America  - posseggono profondi tratti teocratici, poiché in tutte loro il fondamento del potere politico si rifà a un’origine divina e l’autorità sovrana viene esercitata in nome di una volontà divina rappresentata dagli uomini considerati più degni di interpretarla.
In quelle civiltà l’ordine politico era il risultato dell’adeguamento all’ordine naturale  e all’ordine cosmico trascendente.
Scrive Juan Donoso Cortes “Tutte le legislazioni dei popoli antichi si fondano sul timore degli dei. Polibio dichiara che questo sacro timore è più necessario ai popoli liberi che non agli altri. Affinché Roma divenisse la città Eterna, il Re Numa la fece città sacra. Tra i popoli dell’antichità il popolo romano è stato il più grande precisamente perché è stato il più glorioso” [pag. 15-18]

 Nel primo itinerario proposto (Metapolitica: Linee di pensiero) Primo Siena, analizzando il moderno concetto di sovranità e citando le tesi di Carl Schmitt [pp. 20-22], evidenzia come il potere moderno, disancorandosi dai suoi fondamenti sacri e senza più alcuna giustificazione superiore, si configura sempre più come qualcosa di tenebroso e demoniaco (il potere per il potere) e la politica come conflittualità permanente di interessi contrapposti.
E qui si comprende molto bene il simbolismo perfetto dell’immagine di copertina del libro: la figura di Perseo che, autentico eroe metapolitico, è capace di ergersi con coraggio e decisione al di sopra degli intrighi e delle bassezze della criptopolica, e tagliare di netto la testa della terribile Medusa, metafora del potere moderno, vera e propria piovra dai mille tentacoli e dai mille inganni.
Come Perseo occorre quindi combattere contro i falsi idoli del mondo moderno, figlio dell’illuminismo e della rivoluzione francese, del materialismo teorico e pratico e del “contratto sociale” di Rosseau, per una rettifica metapolitica della democrazia attraverso una vera e propria filosofia del dissenso, secondo la appropriata espressione del filosofo argentino Alberto Buela

“La cultura del dissenso, con il suo vigore critico e la sua razionalità propositiva, restituisce alla democrazia il senso classico originario già posseduto nel contesto della civilizzazione greco-romana; per cui esa non è più il feticcio dell’utopica dichiarazione di principi proclamata dalla Rivoluzione francese, perché torna ad essere un complemento dell’effettiva libertà dell’uomo libero – il politeis eleutheros che è parte fondante di una democrazia olistica nella quale i valori di libertà, appartenenza  e partecipazione sono fondamenti di una comunità organica e non di individualismi ed egualitarismi astratti, come accade nelle democrazie moderne [p. 45]”.

Il secondo itinerario proposto da Primo Siena si intitola Metapolitica e ciclicità storica, ed è un densissimo compendio del nostro glorioso passato da Roma fino all’età moderna.
In questo percorso autentici metapolitici sono tutti quegli eroi, poeti, santi, filosofi ma anche artisti e uomini di governo, che, in ogni tempo e luogo, hanno saputo, come Perseo con Medusa, superare le insidie della criptopolica e le chimere della realtà contingente e riconnettere la loro opera ai valori originari e assoluti della Tradizione Perenne.
Abbiamo quindi un bellissimo capitolo sul Senso metapolitico del nome segreto di Roma (paragrafi: Potere evocativo della parola – Il mito di fondazione della città eterna – La tradizione religiosa de romani – Ri-velazione misterica del nome segreto di Roma) e uno sulla Romanizzazione del cristianesimo, evento metapolitico, fino al Sogno metapolitico di Dante, la restaurazione del Sacro Impero auspicata nel De Monarchia. Lasciamo al lettore il piacere di approfondire, non senza una citazione dal paragrafo “Universalismo” dantesco versus globalismo “moderno”:

“Certo non manca chi, nell’ansia di modernizzare Dante a tutti i costi, considera che il trattato De Monarchia sia una anticipazione medievale del mondialismo globalista per mezzo del quale attualmente i poteri forti cercano di imporci l’omologazione delle culture attraverso l’omogeneizzazione dei mercati. […]
Nell’universalismo di Dante le diversità non sono appianate, bensì vengono assunte dalla struttura gerarchica dell’Impero. Il modello sociologico feudale – il cui maggior difetto era costituito dalla frammentazione in stati municipali e regionali frequentemente in lotta fra loro – si modernizza nel modello dantesco che attribuisce al monarca universale la potestà di imperare (vale a dire:di comandare su un ambiente più vasto, ma con intensità meno stringente), mantenendo per i Re subordinati la potestà di régere (vale a dire: di regnare su ambienti piùlimitati, ma con maggiore intensità). Dante ci dimostra in questo modo che la diversità non è mai garantita dalla frammentazione, bensì protetta dai grandi imperi, come accadde per l’impero romano. Lezione questa che ha recuperato vigenza di fronte alle tragedie civili del mondo moderno, come quella recente dei Balcani [pp. 91-92]”.

         Seguono poi capitoli su Francesco Petrarca (La passione poetica di un culture dell’antichità classica) e sul nostro Rinascimento, con approfondimenti su Marsilio Ficino (il Platone rinascimentale), Giovanni Pico della Mirandola (De Digitate Hominis), Girolamo Savonarola e Niccolò Machiavelli (Il “Galileo” della politica e L’ostretrico della scienza politica moderna).
Un posto d’onore è riservato all’opera di Giambattista Vico, che con la sua “Scienza Nuova” è da considerarsi come un vero e proprio maestro ante litteram della metapolitica e sano antidoto alla incipiente filosofia illuminista. Proprio riallacciandosi al pensiero di Vico, Primo Siena svolge interessanti considerazioni a proposito dell’America Latina, continente in cui, ricordiamolo, risiede da oltre 30 anni e in cui è stato pubblicato questo saggio, direttamente in castigliano, considerazioni che hanno anche importanti risvolti geopolitici.
Riprendendo le idee e i concetti del filosofo argentino di orientamento peronista Carlos Alberto Disandro, Primo Siena preferisce parlare del Sud America come di una America Romanica, in cui le culture autoctone precolombiane si sono fuse, attraverso un processo certamente doloroso ma necessario, con la cultura europea dei colonizzatori spagnoli, di stampo romano-cattolico e non ancora corrotta dal puritanesimo protestante e dal progressismo illuminista. Per questo il Nord America anglofono rappresentato dagli USA, dopo aver eliminato attraverso uno dei più brutali genocidi le popolazioni indigene e distrutto, con la guerra di secessione, gli Stati Confederati, che incarnavano un tipo di colonizzazione legato ancora ai valori europei e tradizionali, si può giustamente ribattezzare come America Fenicia. La storia si ripete quindi  nei suoi corsi e ricorsi, per dirla con Vico, e abbiamo di nuovo Roma contro Cartagine, quindi il sangue contro l’oro.
Il compito storico dell’America Romanica diventa quindi quello di recuperare le proprie radici, “il senso ontico del proprio principio iperboreo che aveva investito il pensiero greco-romano”, scrollandosi di dosso il miraggio ammaliatore della cultura illuminista e, fuor di metafora, liberarsi dal soffocante abbraccio dell’imperialismo yankee. L’America Romanica, di fronte ad un’Europa vecchia e stanca che ormai Europa non è, può e deve diventare, in questi tempi ultimi, una nuova “terra di mezzo”, portatrice di una nuova sintesi di Civiltà:

“L’attuale tentativo criptopolitico di portare a esaurimento le diverse civiltà moderne del pianeta al fine di ottenere l’omologazione mondiale – camuffata da libertarismo, ma dominata in realtà dal demonismo totalitario di un interesse economico apolide che ha spento ogni senso politico-religioso nella vita personale e collettiva degli uomini – ci fa pensare che questa “età umana”, esaurite ormai le ultime risorse della sua razionalità, si stia avvicinando al limite estremo aldilà del quale incombe l’imminente barbarie futura.
In tale contesto, la cosmovisione vichiana risulta essere la più opportuna per l’idiosincrasia mitico religiosa  e storico-culturale della nostra America Romanica, in quanto tornare a Vico significa ricostruire la sintesi dinamica tra Verum e Factum, tra mito e realtà, ragione e immaginazione, religione e verità; significa soprattutto penetrare nel profondo della nostra intimità sociale e personale, coscienti che se la ciclicità della storia serba il rischio di un ritorno alla ferinità acherontica della ingens sylva, il mito perenne della mens eroica, sostenuto dalla storia ideale eterna, mantiene viva la speranza di poter raggiungere ancora una volta le vette immacolate dell’età iperboerea [pp. 162-163].

Il terzo itinerario proposto dall’autore è incentrato sulla cultura del mito, del rito, del simbolo come mezzo di conoscenza umana, cosmica e spirituale diverso e superiore rispetto al razionalismo totalitario imperante nelle società moderne, conoscenza comune a tutte le civiltà tradizionali pre-moderne. Vengono approfondite e analizzate le tesi di importanti studiosi nei paragrafi: L’interpretazione “simpatica” del mito secondo Ernst Cassirer; Mircea Eliade e l’interpretazione “trascendente” e “assiologica” del mito; La funzione “pedagogica” del mito secondo Jerome S. Bruner.
Da qui si passa a una disamina di due autentici miti “moderni”, quello tutto italiano di Pinocchio (L’itinerario catartico di un Ulisse bambino) e quello del Signore degli Anelli (Tolkien, moderno restauratore del mito). La saga del Signore degli Anelli viene qui messa in relazione con quella della Cerca del Graal, uguale e contraria al tempo stesso. Nella leggenda arturiana la coppa sacra del Graal, simbolo della sacralità divina, deve essere raggiunta e conquistata degnamente come condizione per guadagnarsi uno status di grazia. Nel Signore degli Anelli è esattamente il contrario: Frodo deve affrontare una lunga peregrinazione attraverso la terra di Mezzo per distruggere l’anello del potere. In entrambe le saghe è evidente una soteriologia del potere, concepita come un cammino catartico per la salvezza dell’anima e la redenzione spirituale del regno. Mentre nelle leggende arturiane il Graal simboleggia il carattere sacro del potere e la restaurazione del potere trascendente che il re-sacerdote deve esercitare come un servizio diretto al bene spirituale e materiale dei suoi sudditi, nel Signore degli Anelli il percorso avventuroso e tragico di Frodo si conclude non con la conquista, ma con la distruzione di un potere trasformatosi in qualcosa di tenebroso, distruttivo e incontrollabile.

L’ultimo itinerario del saggio di Primo Siena è dedicato al difficile tema della metapolitica in rapporto all’escatologia, la scienza che si occupa dei destini ultimi dell’essere umano e del cosmo. L’autore sintetizza il nesso fra le due discipline attraverso la seguente formula, mutuata dall’opera di Silvano Panunzio: la metapolitica, quale scienza dei mezzi e dei fini, si profila come una Escatologia acquisita, mentre l’escatologia si configura come una Metapolitica ispirata.
Segue un interessante paragrafo intitolato Babilonia e Jerusalem: Pseudo-cultura e cultura che introduce il tema fondamentale della figura della Vergine Maria, descritta nei Vangeli come Signora del silenzio, e il Mistero delle apparizioni mariane, in cui invece la Madonna si fa Signora della Parola, testimone del Verbo che richiama insistentemente l’umanità alla penitenza e alla preghiera in questi apocalittici tempi ultimi. L’autore approfondisce in particolare la figura della Vergine di Guadalupe, apparsa a Tepeyac, in Messico, nel 1531, al povero contadino di origine azteca Juan Diego, patrona delle Americhe, la cui immagine rimasta impressa miracolosamente sul mantello dell’indio è custodita a Città del Messico nella grande basilica-santuario a lei dedicato.
In queste pagine bellissime l’Autore esprime tutta la sua fede personale da cui scaturiscono considerazioni limpide e puntuali sul simbolismo profondo dell’immagine della Vergine di Tepeyac. L’Autore vede infatti nella nobile figura della Vergine impressa nel mantello, che possiede tanto i tratti della razza amerindia dalla carnagione bruno-olivastra quanto la luminosità e alcuni tratti propri della razza europea, l’espressione di quel processo di osmosi per il quale indigenismo e ispanismo si sono integrati nella latinità, forgiando quell’America Romanica a cui occorre guardare con speranza.
Ma non solo, per Primo Siena, fra i molteplici significati che il simbolismo della Vergine Bruna di Guadalupe riassume, vi è la rettificazione della figura della Madre Cosmica o Donna Divina. Considerata da certe scuole tradizionali (si veda ad esempio Julius Evola nella sua Rivolta contro il Mondo Moderno) come il simbolo della femminilità tellurica quasi sempre associata all’elemento “terra” o all’elemento “acqua”, essa assumeva l’espressione di “Madre Terra”, o di “Acqua rigeneratrice”, nella prospettiva di un momento dionisiaco in cui si esprimerebbe una legge di mutamento: ascesa e discesa, morte e rinascita. “Legge che tipicamente vediamo manifestarsi nel ciclo delle stagioni raggiungendo il punto più significativo nel solstizio di inverno, cioè nel momento in cui la luce solare sembra scomparire per risorgere successivamente in un processo che culmina nel solstizio d’estate”:

“A questo simbolismo solstiziale si riconnette l’elemento della polarità tra Nord e Sud nel quale il ciclo “solare” nordico della spiritualità uranica  (la diafana luce del Nord) si alterna al ciclo “lunare” (l’argentea luce del Sud) per cui si avrebbe una mescolanza del principio solare di “Artide” con quello lunare di “Atlantide”. Siffatta mescolanza tra il principio del Sole  e quello della Madreterra costituirebbe una corruzione dell’elemento maschile-solare in quello femmine-lunare.
Orbene, la Vergine Bruna di Tepeyac- presentandosi come la donna vestita di Sole – opera una rettificazione della pretesa degradazione del ciclo solare uranico in quello lunare atlantideo e ritonifica in termini di regalità –che diremmo virile – la debilitazione del principi solare in quello lunare. Infatti l’apocalittica “Donna solare” domina la luna crescente posta sotto i suoi piedi e, come Donna incinta, è matrice della vita universale: partorisce ancora una volta “il Figlio Unigenito”, il Dio vivo del Quale è figura profetica il misterioso Re del Mondo [p. 220]”

Questo e molto altro ancora offre il ricchissimo saggio di Primo Siena, vero e proprio manuale della Metapolitica che l’Autore lascia alle future generazioni, come guida e orientamento in questi tempi ultimi. Il lettore non si lasci spaventare da temi apparentemente difficili: gli argomenti sono complessi e profondi ma l’Autore sa esprimerli in modo lineare e analitico, seguendo uno stile quasi “scolastico”: non dimentichiamo che Primo Siena ha lavorato una vita nel campo della pedagogia e dell’educazione, non disdegnando, a carriera già avviata e potendo scegliere, di insegnare anche in una prima elementare. Sono temi quantomai utili e chiarificatori per chi, nonostante tutto, tenta ancora una azione costruttiva nella società civile e nella “politica” attuale: per ricostruire la Civitas occorre partire dall’alto dei Principi (come del resto l’etimologia stessa della parola indica…)  per poi certamente agire dal basso, dalle piccole cose della vita quotidiana, ma non si può pretendere di ricostruire alcunchè abbassando sempre di più il livello spirituale e morale di un popolo e abbassando se stessi ai feticci di questa democrazia totalitaria e di questa società di massa alienata e alienante, sempre più in balia dei poteri occulti (ma ormai non più tanto nascosti…) della Criptopolitica.
Perciò ringrazio Primo Siena e Silvano Panunzio, che con la Metapolitica “hanno saputo riportare nel suo giusto luogo il senso religioso della vita da dove la modernità l’aveva arbitrariamente sloggiato.



[1] Corrispondenza personale con lo scrivente, gennaio 2014

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