Presentazione
Uno spiraglio sul mistero ci è dischiuso dall'esperienza della "morte del prossimo", quando si spezza il "noi" che avevamo costituito con una persona amata.
L'esperienza della morte (1937), di cui viene qui presentata per la prima volta la traduzione italiana dall'edizione tedesca, è il libro più conosciuto di Landsberg e ormai un vero classico della letteratura sul tema. Con stile chiaro e suggestivo, a tratti poetico, l'autore ci introduce nel mezzo della problematica rappresentata dal senso della morte e dalla speranza nel suo superamento.
Come il toro nell'arena è destinato a soccombere al matador, così l'uomo vive la sua vita in un tempo circoscritto dalla morte. E tuttavia un fondo di speranza permane, ineliminabile.
Partendo da questa speranza, connaturata alla persona umana, Landsberg accompagna il lettore verso un ulteriore compimento, che ha la sua radice in una relazione personale trascendente, a cui lo apre la fede.
Paul Ludwig Landsberg, L'ESPERIENZA DELLA MORTE, Ed. Il Margine, 2011, € 14,00
Landsberg nasce a Bonn il 3 dicembre 1901, secondogenito di una famiglia di ebrei. Il padre, Ernst, è professore ordinario di Diritto romano e Diritto penale all’Università di Bonn. La madre, Anna Silverberg, è donna raffinata, partecipe delle vivaci discussioni che si svolgono nell’ampia dimora della Humboldtstrasse in cui intervengono Thomas Mann, Wilhelm Worringer, Ernst Robert Curtius, Max Scheler, Romano Guardini. Il giovane Ludwig, dopo il liceo, si volge verso gli studi filosofici, seguendo Husserl e Heidegger a Friburgo, e, dal 1921 al 1922, Scheler a Colonia. È Scheler che lo introduce alla frequentazione dell’abbazia benedettina di Maria Laach. Landsberg, infatti, pur nato ebreo, è battezzato dai suoi genitori. L’interesse per il cristianesimo è in lui, sin dall’adolescenza, forte e intenso. «O Cristo era figlio di Dio oppure era un imbroglione! Il più grande degli imbroglioni! Non esiste un’altra verità come per esempio quella dell’uomo grande». In queste parole, dette a un amico, risuona una passione, un’idealità che si conferma anche nei gesti di un animo generoso. Nel 1922, a diciannove anni, pubblica, su incoraggiamento di Guardini, Die Welt des Mittelalters und wir (Il mondo del Medioevo e noi). L’opera, nonostante le riserve di Scheler che la ritiene troppo romantica, ottiene un discreto successo. Il fascino del Medioevo, diffuso nel clima culturale degli anni Venti, non impedisce a Landsberg di affermare che «nessun “ritorno al Medioevo” ci può giovare. […] Ci può giovare solo la riscoperta dell’eterno nel mondo, anche nel mondo della storia, anche nel Medioevo storico». A Colonia, nel 1923, Landsberg consegue il dottorato con la tesi Wesen und Bedeutung der Platonischen Akademie (Essenza e significato dell’Accademia platonica), pubblicata nel medesimo anno nella collana “Schriften zur Philosophie und Soziologie” diretta da Max Scheler. Nel 1923 appare, nella rivista Hochland, il saggio Kirche und Heidentum (Chiesa e paganesimo) in cui, di fronte alle giuste esigenze della vita mortificate dal cristianesimo protestante, invita la Chiesa a farsi «erede dell’eresia», di quelle che Chesterton chiamerà le «verità impazzite» presenti nella cultura non cristiana. A questi scritti, che documentano l’impegno di Landsberg nella cultura cattolica tedesca del tempo, seguono anni di silenzio, anni di “crisi” marcata da un forte scetticismo. Si riprende, nel 1928, con l’abilitazione all’insegnamento in filosofia dedicato a “Augustinus. Studien zur Geschichte seiner Philosophie”. Dal 1928 al 1933 è Privatdozent all’Università di Bonn. A questo periodo appartiene la stesura della sua opera fondamentale, la “Einführung” in die philosophische Anthropologie, pubblicata nel 1934. Il 1° marzo 1933, Landsberg, cogliendo lucidamente il nuovo corso tedesco con l’avvento di Hitler al potere, lascia la Germania. Dopo aver sposato in Svizzera Magdalena Hoffman, si reca a Parigi dove entra in contatto con la succursale dell’“Institut für Sozialforschung” fondato da Max Horkheimer, diretta da Raymond Aron. Ritrova qui Walter Benjamin e conosce Klossowski, Bataille, Mounier, Maritain. Dal 1934 al 1936 è, in Spagna, docente nelle Università di Barcellona e Santander. Scrive l’Experencia de la muerte, ampliato poi, nella stesura francese, con il titolo Essai sur l’expérience de la mort, il suo testo più noto e tradotto. Inizia la collaborazione alla rivista Esprit, diretta da Emmanuel Mounier, di cui diviene «una delle pietre angolari». Qui pubblica, nel 1938, l’Introduction à una critique du mythe, un testo chiave in cui l’autore prende posizione contro «il mitologismo, malattia dell’epoca» che trovava nel nazista Alfred Rosenberg, autore de Il mito del XX secolo, il suo alfiere. Landsberg, come scrive a Mounier, intende «analizzare l’idea moderna di mito e di verità, opponendole l’immagine della verità come presenza, come presenza che agisce realmente. La verità è se opera». In opposizione alla riduzione mitica del vero, imperante nella cultura europea dopo Nietzsche, il criterio della verità viene posto nell’adaequatio intellectus et rei. L’adaequatio non è mero rispecchiamento ma «scoperta di una corrispondenza» tra il soggetto e l’oggetto. La verità attua «una trasformazione di questo stesso spirito a opera e secondo l’essenza dell’oggetto della conoscenza. Ogni conoscenza è una trasformazione […]. Si tratta sempre di un avvenimento in cui, nello spirito, qualche cosa passa dalla potenza all’atto mediante la partecipazione all’oggetto».Nel 1939 Landsberg ottiene, assieme alla consorte, la cittadinanza francese. Questo non impedisce che, nel maggio del 1940, vengano internati, al pari di tutti i cittadini di origine tedesca, in campi di prigionia diversi. Landsberg fugge, sotto falso nome, riuscendo a raggiungere la moglie ricoverata in sanatorio. Secondo la testimomianza di Magdalena, è alla fine del 1941 che il marito manifesta il desiderio di essere anche formalmente cattolico e quindi di celebrare il sacramento del matrimonio. «Per me» scriverà «il cristianesimo non è un peso, ma la speranza e il sostegno più potente». Stende, nell’estate del ’42, Le problème moral du suicide. È il saggio in cui Landsberg fa i conti con sé stesso. La tentazione della morte volontaria lo aveva infatti accompagnato nel corso degli ultimi anni. Il 4 maggio 1938 la madre, vistasi negare il permesso di espatrio per raggiungere il figlio, si era tolta la vita. Nello scritto sul suicidio Landsberg ha ormai scelto. «Colpito dal fatto che, tra tutte le morali esistenti, la morale cristiana è rigorosamente l’unica che si oppone al suicidio in maniera assoluta e senza voler fare eccezioni», accetta di «non disporre egli stesso della propria vita». Accetta, tuttavia, non per le argomentazioni, di carattere teorico-morale, addotte generalmente dalla tradizione cristiana, da Agostino a Tommaso, e discusse criticamente nello scritto. Accetta solo di fronte all’esempio di Gesù Cristo. Di fronte a quell’esempio la grandezza dello stoico e dell’eroe antico, per il quale la negazione della vita è la suprema affermazione della libertà, decadono a qualcosa di inferiore. «Non ci resta che l’esempio di Cristo e di quanti tra gli uomini hanno potuto seguire quest’esempio […]. All’uomo che soffre e che subisce la tentazione del suicidio, possiamo dire unicamente: ricordati quello che hanno sofferto Gesù e i martiri. Porta la croce, come loro. Non smetterai di soffrire, ma la croce della sofferenza diverrà dolce per te grazie a una forza sconosciuta che proviene dal centro dell’amore divino». In un tempo in cui «è spesso diventato orribilmente mediocre, il cristianesimo è al tempo stesso minacciato da un nuovo paganesimo fanatico e talvolta a suo modo eroico. Il cristianesimo o sparirà o ritroverà la sua originaria virtù. Non credo» scrive Landsberg «che possa sparire, ma deve certamente rinnovarsi, prendendo coscienza della sua verità. Non è perciò superfluo mostrare oggi, insistendo su un problema determinato, che la morale cristiana non è una qualunque morale universale, naturale o razionale, forse con qualche intuizione in più, ma è la manifestazione nella vita di una rivelazione paradossale. […] Oggi dobbiamo prendere esplicitamente coscienza di alcune cose che erano ovvie in un’epoca ancora vicina allo “spettacolo” dei martiri».
Di quello “spettacolo” doveva lui stesso diventare attore. Il 23 febbraio 1943, quando ha ormai deciso di lasciare la Francia insieme alla moglie, Landsberg è catturato dalla Gestapo a Pau come alsaziano sospettato di resistenza ai nazisti (la sua vera identità non verrà mai scoperta). Dopo vari spostameti è internato, in autunno, presso il lager di Oranienburg-Sachsenhausen presso Berlino. Qui troverà la morte per la tubercolosi e per gli stenti. «Un giorno lo condussero all’infermeria in uno stato di magrezza e debolezza spaventose. Nessuno lo ha più visto. Nell’accomiatarsi dai suoi ultimi compagni, i testimoni ricordano, si rivolse verso di loro in silenzio – non aveva più la forza di parlare – fece un segno di croce sui rimanenti». Era il 2 aprile 1944.
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