Sergio Fritz Roa, Giardino di trincee, Roma 2010, pp. 114
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di Claudio Lanzi
Come al solito ci è indifferente la notorietà di un autore. Ci interessano i contenuti e, in questo caso i contenuti sono interessanti, tanto più perché scritti da un giovane. Roa, infatti, è nato in Cile nel 1975 e, a quanto dice la prefazione di La Fata, ha partecipato a numerose manifestazioni sulla metafisica e cosmologia tradizionali, scrivendo su diverse riviste americane ed europee tra cui Metapolitica, Lhork, Casa del Tempo, e numerose altre.
Appena abbiamo ricevuto l’opuscolo abbiamo storto il naso. “Diario di Kshatriya”…uhm, ci sembrava un abuso di termini, una importazione indianeggiante che ci preparava ad una lettura infantile ed enfatica. Poi abbiamo pensato che fra i testi dei soliti tromboni paratradizionalisti nostrani, ormai pieni di parole come mongolfiere, e un giovane sicuramente un po' meno appesantito dai soliti refrain, avremmo preferito quest’ultimo. E infatti, dopo le prime pagine siamo stati avvinti dal racconto, che alterna momenti di autentica poesia ad altri di intuizione metafisica.
Non sappiamo “chi sia” Fritz Roa e non conosciamo la sua storia, i suoi studi i suoi incontri “reali”, ma non si può scrivere una cosa del genere senza un grande amore per la natura, per il mondo e per la tradizione dimenticata. In ogni pagina appare una malinconia di fondo, la constatazione di una dissoluzione in essere inarrestabile, ma traspaiono anche parole d’amore, anzi d’Amore, che fanno intuire l’entusiastica ricerca dell’autore che passa attraverso esperienze “forti”, forse corrosive ma che attende fiducioso il miracolo e la redenzione. E’ un giovane, è un poeta e scrive con un linguaggio onirico e un po’ new-age. Non è un saggio, è l’avventura di un personaggio immaginifico che ne incontra altri, altrettanto immaginifici. Dei viaggiatori “fulcanelliani” che lo inondano di profezie.
Ma in mezzo alle sue parole esistono delle piccole perle. Noi non sappiamo quanto Roa sia consapevole di ciò che cerca e quanto sia autentico il suo percorso. Non lo sappiamo ormai più di nessuno. Ma è un libro fresco. Un buon libro per i giovani e per credere ancora alla esistenza del Mattino.
http://www.simmetria.org/index.php?option=com_content&task=view&id=582&Itemid=304
Nota bio-bibliografia di Claudio Lanzi
(1943), ricercatore e progettista, autore di numerosi articoli scientifici pubblicati da varie riviste di ingegneria italiane ed estere, e di alcuni libri nel settore dellʼautomazione, per la scuola, lʼindustria e lʼuniversità (edizioni Sonzogno, Patron, Nis, Treccani). Al programma scientifico e didattico, ha da sempre affiancato una intensa attività di ricerca sulle scienze antiche, sia orientali che occidentali, con particolare riguardo per le geometrie della scienza sacra (è stato allievo e amico di Adriano Graziotti), della musica, e delle ritmiche liturgiche tradizionali.
Per Vecchiarelli Editore prima e per le Edizioni Simmetria poi, ha pubblicato: La Danza delle Hore, Sentieri Spirituali, Maleducazione spirituale, Lʼanima errante, Intelletto dʼAmore, Misteri e Simboli della Croce, Ritmi e Riti, Sedes sapientiae. L'universo simbolico delle cattedrali. Per le edizioni Mediterranee: La porta ermetica di Rivodutri, insieme ad A. M. Partini, oltre a numerosi altri testi e articoli su riviste specializzate. C. Lanzi è docente Accademico della Tiberina e direttore della collana Simmetria. Svolge periodicamente corsi e conferenze sia in tale sede che presso altre strutture orientate verso lo studio della scienza tradizionale.
di Giuseppe Gorlani
Ho letto con grande interesse il volumetto "Giardino di trincee" di Sergio Fritz Roa. Immediatamente mi è parso di cogliere in esso un quid legato alla giovinezza. E ciò non vale quale nota negativa, tutt'altro. L'aura di lucido entusiasmo e di aspirazione al Vero che irradia da questo scritto è connaturata ad uno stato spirituale che oggi si manifesta soltanto di rado tra i giovani. Mi riferisco comunque ad una giovinezza che contiene in sé anche vetustà, poiché il coesistere di tali estremi segna quanto attiene alla sapienza. Proseguendo nella lettura mi sono sentito attrarre all'interno di verità profonde, dalla cui comprensione o intuizione promanano non solo speranza e gioia, ma pure una sorta di sofferenza e di struggimento; simili sentimenti sono infatti inseparabili dalla condizione umana e dal nostro amore per la bellezza del mondo al quale apparteniamo, ormai quasi del tutto dominato dal demone della tecnica cibernetico-informatica che, appiattendolo vieppiù nell'orizzonte unico della "risorsa", inevitabilmente lo distruggerà. A tale pretesa di dominio, in cui dello stato ontologico dell'uomo e del mondo vien fatto strame, l'Autore si ribella nell'unico modo possibile ed efficace, ossia orientandosi spiritualmente. In sintesi, un libro fuori da ogni retorica moralistica ed egualitaristica; un libro sincero che ci parla di una visione cristiana in accordo con la Tradizione sapienziale universale che Guénon, Coomarswamy (o, più propriamente, Kumaraswamy), Evola, ecc. contribuirono a riportare alla luce. Eccellenti l'Introduzione e le note di Aldo La Fata.
Giuseppe Gorlani: nota bio-bibliografica
Grafico, saggista e poeta. Dai venti ai trent'anni ha viaggiato e soggiornato a lungo in Oriente (soprattutto in India), vivendo in prima persona l'esperienza più importante della sua generazione: il ritorno al Centro attraverso l'uso alchemico delle "acque corrosive" (il viaggio psichedelico). Nel 1981 ha fondato la comunità ashramica dei Cavalieri del Sole, nella quale tutt'ora vive. Suoi interventi sono apparsi in varie riviste letterarie e di studi tradizionali, tra le quali «Convivium», «Paramita», «I Quaderni di Avalon», «Conoscenza», «Poiesis», «Atrium», «Letteratura-Tradizione» e «Vidya». Presso "Il Cerchio - Iniziative Editoriali" ha pubblicato tre sillogi poetiche (Radici e Sorgenti - 1989, La Porta del Sole - 1990, Nel Giardino del Cuore - 1994), una raccolta di saggi (Il Segno del Cigno - 1999) e ha curato una versione italiana del Nan Yar? di Shri Ramana Maharshi (Chi Sono Io? - 1995). Con "La Finestra Editrice" (TN) ha pubblicato Anatema, una raccolta di prose poetiche.
di Luca Senatori
Un libro conciso. Ma di afflato notevolissimo. Appena preso tra le mani si può pensare di poterlo leggere in poche ore, ma una volta aperto si capisce che c’è bisogno di molto più tempo per meditarne ogni pagina e ogni parola. Anzi, ancor da prima, fin dal titolo: Giardino di Trincee. Può esistere forse un giardino composto di trincee? O meglio: può un insieme di trincee comporre un giardino? Non è forse un paradosso? Lo è forse nei termini. Ma per Kshatriya, e per chi come lui segue la “via metapolitica”, un tale paradosso è il vivere quotidiano. Il Guerriero, il Cavaliere, e lo stesso protagonista-scrittore del Diario, combattono le loro Battaglie presso innumerevoli trincee fisiche, ma proprio in quel medesimo Combattimento, in quelle trincee, trovano il loro Giardino Spirituale. E di trincea in trincea, giungeranno senz’altro alla mitica Città dei Cesari.
Kshatriya è un Combattente immaginario ma nello stesso tempo assolutamente reale. Non è l’archetipo del Guerriero perfetto, né del Cavaliere purissimo e senza macchia, ma un esempio di chi, pur con manchevolezze e dolori, continua il suo Cammino facendo d’ogni esperienza un insegnamento e d’ogni insegnamento un avvicinamento alla Purezza. È dunque senz’altro un uomo, e niente di ciò che è umano gli è estraneo: non è così asceta da non provare desiderio per una donna, eppure cammina verso l’ascetismo; è capace di irarsi con i suoi simili per la loro insulsaggine, epperò è un uomo schierato, un uomo sincero, e dunque non altrettanto insulso. Tutto ciò lo rende vicino al Lettore e, per chi Combatte, quasi famigliare.
Durante la narrazione il Lettore potrà altresì sperimentare diversi stati d’animo, e scorgere ciò che di solito è Celato, Ermetico ed Esoterico. Potrà intravedere che nel Cammino di Kshatriya, e dunque nel mondo, sono all’opera forze, sodalizi ed entità invisibili, ma non per questa loro peculiarità meno determinanti. Potrà incontrare forme d’arte misteriose che rimembrano l’inquietudine dei racconti di Poe o di Lovecraft, ed espressioni della penna che indicano la Via e la Militanza, così come già annoverata e additata negli scritti di Evola, Panunzio o Guenon.
Ogni parola va meditata, dicevamo: e non a caso nell’edizione italiana è stata inserita una indovinatissima raccolta di note. Ciò che non si trova in questa raccolta induce all’approfondimento personale, a una ricerca mirata a rintracciare altri frammenti di Verità che le pagine del diario talvolta indicano, ma non svelano se non in minima parte. Può nascere così un nuovo Diario, quello del Lettore. Se così piacerà al Cielo.
Luca Senatori amministra un interessante blog cavalleresco qui:
http://latorredellaspecola.blogspot.com/
di Aldo La Fata
Circa un anno fa ci occorse di leggere una breve novella del cileno
Sergio Fritz Roa. Ci piacque molto: la leggemmo d'un fiato e subito ci affrettammo a contattare l'autore per complimentarci. Il testo era scritto in uno spagnolo semplice e ci venne l'idea di farne noi stessi una traduzione in lingua italiana. L'autore, persona giovane, intellettualmente vivace e cordialissima, acconsentì. Ma cosa aveva di così speciale questa narrazione? Uno stile di scrittura semplice, un pensiero profondo e un afflato poetico. Sì, diciamo l'insieme delle tre cose. Ma c'era anche dell'altro. C'era verità. Sì, verità. La sincerità dell'autore, la sua capacità di raccontare senza ombra di falsità o di artificio retorico la verità creduta, la verità vissuta. Merito inestimabile oggigiorno quello di dire la verità e non da tutti. Ma non si può dire il vero senza contemporaneamente denunciare il falso. E questa novella è anche un libro di denuncia. Denuncia appunto la falsità di un mondo ridotto a pura finzione e di una vita tenuta in gran conto nelle apparenze ma offesa costantemente nei fatti; denuncia la grettezza di una società marcia avviata a grandi passi verso la disgregazione e il caos. Denuncia in una parola
il Male: grottesco ma vincitore, assurdo e crudele ma trionfante. Almeno nelle apparenze. Il racconto di Fritz Roa vuole essere anche un esorcismo contro questo Male. Parole ben spese le sue. Parole sagge e illuminate, rivolte soprattutto a quei giovani (ormai pochissimi e rarissimi) che hanno ancora sangue nelle vene e fegato e cuore ben saldi.
Il personaggio di questa novella è un tipo umano diciamo ideale il cui nome, desunto dalla dottrina indiana delle caste, è Kshatriya (gli Kshatriya erano re e guerrieri). La vicenda narrata, ambientata nelle lontane e misteriose terre del Cile, nella forma di sintetiche e poetiche annotazioni lasciate su un diario, è la biografia spirituale del protagonista. Si tratta del percorso iniziatico di un “soldato politico”, di un tradizionalista integrale (in senso evoliano e guénoniano), di un esoterista, ma soprattutto di un animo nobile e cortese, di un moderno cavaliere che, al pari di quello disegnato dal Dürer, ha percorso il suo impervio cammino consapevole di avere costantemente al suo fianco la Morte e il Diavolo. Si è trattato per lui di vincerne innanzitutto la paura. E così alla fine del viaggio, tra misteriosi boschi di aurucarie e inaccessibili montagne, Kshatriya meriterà di entrare nella mitica “Città dei Cesari”, un luogo-non-luogo dove si ritrovano a raccolta gli spiriti eroici dei combattenti di tutti i tempi. Sono coloro per i quali fu più importante vincere la guerra santa contro i propri nemici e mostri “interni”, che abbattere o sconfiggere il loro nemico esterno. Ed è per questi spiriti rari, con la stessa vocazione di Kshatriya, che Giardini di trincee è stato scritto.