12/02/10

Carlo Gambescia: "Metapolitica. L’altro sguardo sul potere"

di Aldo La Fata

Il termine metapolitica (tedesco: metapolitik, inglese: metapolitics, francese: metapolitique, spagnolo: metapolítica) è stato coniato in analogia al termine ‘metafisica’ dallo storico e filosofo del diritto August Ludwig von Schlözer (Germania: 1735-1809) per denotare “l’ambito disciplinare che viene ‘prima’ della politica, avente per oggetto i principi generali che condizionano le teorie politiche”(1).

Un significato in parte nuovo del termine si incontra nel pensiero contro-rivoluzionario, segnatamente nell'opera di Joseph de Maistre (1884-1886) Saggio sul principio generatore delle costituzioni politiche (Essai sur le principe générateur des constitutions politiques, pubblicato da Louis de Bonald nel 1814) che così ne scriveva: “penso che questo neologismo chiarisca molto bene il concetto di metafisica della politica e meriti tutta l'attenzione da parte degli osservatori”.

Un'accezione approssimativamente simile di metapolitica la si troverà nel poliedrico filosofo messianista e matematico polacco Josef Maria Hoene-Wroński (1776-1853) per il quale “è necessario fondare il sistema politico statale sui principi dell'assolutismo” (Metapolityka, Parigi, 1839).

Bastino questi riferimenti a far capire come fin dall'inizio il termine venisse recepito in contesti diversi e con significati anche diversi.

La tale cosa si ripeterà nel Novecento con la riapparizione del termine in Italia nelle “lezioni di dottrina dello Stato”(1930) del filosofo e giurista Sergio Panunzio (padre di Silvano) che gli attribuirà il significato di senso trascendente della storia e in alcuni discorsi di Benedetto Croce poi raccolti in un volume dal titolo In qual senso la libertà sia un concetto metapolitico (in Pagine Sparse, II, Bari 1953) e dove metapolitica diventa sinonimo di filosofia liberale.

Ma senza volerci addentrare troppo nella storia della parola e nelle sue peregrinazioni semantiche, qui ci premeva segnalare come questa venga pressoché ignorata, nonostante siano trascorsi ormai più di due secoli dalla sua nascita, non solo dai dizionari linguistici, ma anche da quelli filosofici, storici e politici tra i lemmi dei quali dovrebbe invece legittimamente trovarsi. Le uniche eccezione che noi si conosca sono quelle del Dicionario Enciclopédico Luso-Brasileiro (Lisboa-Rio de Janeiro, vol. 22, 1991) che spiega e racconta la parola associandola al nome di Silvano Panunzio e all'esperienza storica della rivista “Metapolitica” (2) e quella dell'Enciclopedia del pensiero politico (Laterza, Roma-Bari 2000) di Carlo Galli e Roberto Esposito che invece ne prescinde totalmente (3).

C'è da aggiungere poi, tanto per completare il quadro, che a partire dagli anni settanta la parola è stata “presa in ostaggio” dalla Nuova Destra italo-francese che l'ha esibita e sbandierata nella sua pubblicistica e nei suoi libri senza però mai curarsi di farne l'oggetto di una trattazione specifica o di un testo che ne valorizzasse il significato. Questo inspiegabile atteggiamento omertoso ha indotto certi analisti e storici del pensiero politico a ritenere il termine addirittura come un'invenzione di quel particolare ambiente politico-culturale (4).

Ad aggiustare il tiro e a consentire una conoscenza più adeguata della metapolitica e della sua vicenda storica, hanno invece contribuito in primo luogo l'italiano Primo Siena, e in anni più recenti il politologo argentino Alberto Buela e il politologo polacco Jacek Bartyzel .

Fin qui il passato. Ma veniamo all'oggi e parliamo del sociologo italiano Carlo Gambescia che, pur muovendo da una posizione altra rispetto alla nostra, anche lui ha fornito un serio e valido contributo alla valorizzazione della metapolitica.

Gambescia è un ricercatore e uno studioso indipendente, non schierato politicamente ma decisamente su posizioni antieconomiciste e antiutilitariste, quindi nemico acerrimo della cosiddetta società dei consumi. (Già solo per questo egli gode della nostra simpatia).

E' dell'ottobre scorso l'apparizione in libreria del suo ultimo libro Metapolitica. L’altro sguardo sul potere (Il Foglio Letterario Edizioni, Piombino 2009), che qui presentiamo con piacere ai nostri lettori.

Prima di entrare in medias res, diciamo subito a quanti non lo conoscono, che Carlo Gambescia non è quello che si potrebbe definire “il classico sociologo della domenica” (e Dio solo sà quanti ne circolino oggigiorno), ma che la sua competenza in materia è pari, se non anche superiore, a quella di un docente universitario.

Ricordiamo inoltre che Gambescia si era già segnalato alla nostra attenzione per un suo articolo apparso sul web e decisamente elogiativo nei confronti dell'economista e filosofo tradizionalista Giuseppe Palomba (1908-1986) (5). Palomba, come forse chi ci segue ricorderà, fu tra i primi redattori e collaboratori di “Metapolitica”, ed è stato anche autore di un poderoso volume apparso in prima edizione nel 1954 e poi in versione aggiornata nel 1970 nella collana “Sociologi ed Economisti” della UTET, dal titolo Morfologia Economica. Si trattava della versione letteraria di un corso di economia politica diciamo sui generis che Palomba aveva tenuto all'Università di Napoli sul finire degli anni quaranta e che aveva interessato e appassionato persino un tipo ipercritico come René Guénon che nel 1950, sulla rivista Etudes Traditionnelles ebbe a dedicargli una entusiastica recensione.

Nel libro in esame però, non troviamo citato Palomba che, se non interpretiamo male, Gambescia considera uno dei suoi massimi maestri, ma altre importanti e magistrali figure. Primo fra tutti Gianfranco Miglio (1918-2001), ricordato in Italia solo come “ideologo della Lega Nord”, ma giurista e politologo di vaglia, che Gambescia definisce, non sapremmo dire quanto iperbolicamente, “un gigante della scienza politica, capace come solo pochi uomini sanno fare di 'pensare per millenni'”. A seguire, non per ordine d'importanza ma solo per la sequenza con cui vengono citati nel libro, il filosofo cattolico Augusto Del Noce (1910-1989) sulle opere del quale Gambescia ha condotto studi più che approfonditi. E infine, il sociologo russo-americano, già definito “una specie di Oswald Spengler della sociologia”, Pitirim A. Sorokin (1889-1968), la cui opera, a dire del Nostro, costituisce “il primo e insuperato tentativo di costruire una sociologia 'totale', capace di coniugare approcci differenti se non opposti: filosofia della storia, teoria della cultura, metodi statistici, ecc. ecc.”. A Sorokin sono dedicate molte interessanti pagine del libro di Gambescia e in appendice si può trovare anche una “sinossi dello schema sorokiniano” basato sulle “regolarità della politica” nei termini della polarità progresso-decadenza, ridefinita con i termini Arché-Anarché (6).

(Vale forse la pena ricordare che proprio dalle colonne di “Metapolitica” ci si occupò di un Sorokin in buona parte ancora inedito e sconosciuto in Italia. Ne riferiva, in termini decisamente elogiativi, proprio Giuseppe Palomba (Introduzione a Sorokin, Metapolitica, Roma, 31 luglio 1977, Anno II – N. 7-8), mettendolo a confronto con altri due giganti delle scienze sociali: Vilfredo Pareto (1812-1882) e Arnold Toynbee (1852-1883).

All'articolo di Palomba seguiva una nota del Direttore Silvano Panunzio che, pur riconoscendo l'importanza e la grandezza di Sorokin, lo definiva “autore ancora a mezza strada tra le dottrine tradizionali e il pensiero moderno”).

Entriamo ora nel vivo dei contenuti del libro di Gambescia. Dopo un primo capitolo in cui ricorrendo alla ricchezza semantica del greco si risponde alla domanda “che cos'è la metapolitica'?” e dopo un “intermezzo-stroncatura” sul filosofo hegeliano, ex-maoista Alain Badiou (definito “totalitario”, e “monoteista rivoluzionario”) (7), si passa a un secondo denso capitolo intitolato “Dell'azione metapolitica”. Qui si prendono in esame le idee di un autore pressoché sconosciuto in Italia anche se, paradossalmente, vincitore proprio nel nostro Paese -correva l'anno 1983- del Premio Balzan per la Sociologia. Si tratta di Edward Shils (1910-1995). Shils è stato uno dei pochissimi sociologi ad occuparsi di tradizione e lo ha fatto in un corposo lavoro monografico appunto dal titolo Tradition (uscito in prima edizione nel 1981 per Faber & Faber di Londra e ristampato a cura della University Chicago Press di Chicago nel 2006), valutandone con penetrante capacità di analisi tutte le possibili connotazioni religiose, antropologiche, sociali e politiche. Un testo quello di Shils che farebbe venire l'orticaria a qualsiasi tradizionalista, ma in grado, forse, di suscitare qualche salutare ripensamento critico sull'idea stessa di Tradizione come “fondamento” del proprio credo religioso. E' dunque pour cause che Shils, almeno negli anni ottanta, risultava molto apprezzato nelle alte sfere vaticane e negli ambienti ecclesiastici diciamo più liberali.

(A quanti lo ignorano, vorremmo far presente che “Metapolitica” è stata sempre in prima linea nel proporre rivisitazioni critiche dei concetti sovente imbalsamati di tradizione, tradizionalità e tradizionalismo, tanto da guadagnarsi l'incomprensione, e a volte persino l'ostilità, di certi paladini dell'intransigenza religiosa).

Proseguendo nell'analisi del libro, segnaliamo senz'altro l'importanza dei seguenti paragrafi: I cattolici e l'azione metapolitica, I cattolici tra fondamentalismo e relativismo e Il “problema Reinhold Nieburh (8)”. Le pagine che li compongono sono a nostro avviso davvero illuminanti e riteniamo che costituiscano il cuore stesso del libro (soprattutto le pagine 60 e 61). Il tradizionalismo esoterico, il tradizionalismo filoamericano, l'azione politica dei movimenti cattolici di tipo carismatico, l'importanza del volontariato sociale, l'importanza di una strategia politica dei cattolici, sono solo alcuni degli argomenti trattati.

Superate le difficoltà di certe pagine, diciamo stilisticamente poco accattivanti e non facili per i non addetti ai lavori, giungiamo infine al terzo capitolo “Metapolitica e decadenza”. Qui, dopo una disanima sul “rifiuto dell'idea di decadenza” su cui vengono fatte ascoltare le autorevoli voci del sociologo e filosofo francese Julien Freund (1921-1993) e di Augusto Del Noce, Gambescia si pone il seguente fondamentale interrogativo: “esiste un punto di saturazione? Un punto limite in cui la società e le culture toccano il fondo per poi iniziare a risalire, ma sulla base di valori completamente opposti a quelli in cui si credeva in precedenza?” (p.80).

A rispondere a questa decisiva domanda viene impegnato Sorokin. L'approccio olistico di questo studioso, capace di andare anche oltre le consuete categorie sociologiche e di proiettarsi in una dimensione di rango superiore, è sicura garanzia di intelligenza della risposta. Risposta che, se lo schema sorokiniano è giusto, non può che essere affermativa, pur se meta lontana a raggiungersi e anch'essa, come tutte le cose umane, dal carattere provvisorio.

Prima di chiudere questa breve e certamente assai manchevole illustrazione del libro in questione, dobbiamo però tornare per un attimo indietro, alle prime pagine, dove Gambescia spiega il senso preciso della sua “metapolitica”. “La metapolitica studia la realtà politica nei termini di ciò che essa è, e non di ciò che dovrebbe essere. Di conseguenza non ricerca il fondamento dell'ottimo stato, magari elevato al quadrato. La metapolitica non è un'etica della politica, studia la realtà come si presenta” (p. 31). “La metapolitica si occupa delle questioni legate alla legittimità del potere (radici e forme) così come si presentano, senza risalire ad alcuna causa prima ultraterrena” (p. 31). “In terzo luogo, la meta-politica ha una valenza metodologica, nel senso che individua e relativizza i giudizi di valore”. Infine: “la metapolitica può essere definita come un approccio generalizzante che studia i mezzi sociali concreti attraverso i quali si conquista, si detiene, si perde il potere, nonché i significati effettuali dei differenti fini o valori collettivi professati dai diversi attori sociali” (p. 34).

Ora non possiamo negare l'evidenza di una distanza che separa il punto di vista di Gambescia dal nostro. La nostra metapolitica, come d'altronde lui stesso riconosce con esattezza nella lusinghiera nota 14 a pagina 18, è “all'insegna dell'oltre”, mentre la sua metapolitica, diciamo noi, è all'insegna dell'hic et nunc, cioè del “qui ed ora”. I linguaggi, i valori disciplinari, dottrinari e teorici dei due approcci sono assai diversi e tuttavia entrambi motivati da una sincera ricerca della verità e del “bene comune”. In questo senso essi convergono e servono la medesima buona causa. Aggiungiamo che, a nostro giudizio, chiunque si occupi del bene della polis a qualsiasi livello è di fatto e di diritto un metapolitico.

Quindi la questione non riguarderà la differenza di prospettiva che ha sempre una sua legittimità, ma semmai l'efficacia (qui nel senso positivo e umano di un servizio reso al prossimo) del punto di vista di Gambescia proprio nei tempi sconquassati, lacerati e disgregati che stiamo vivendo.

Se la politica oggi vive un momento di effettiva e profonda crisi, ai limiti dell'irreparabile, non sarebbe più salutare per risanarla, anziché puntellarla di analisi, di nuovi dati e di nuove indagini, fornirle un supplemento di senso? E questo supplemento di senso non richiederebbe più che una nuova disciplina o un nuovo approccio epistemologico, una vera e propria sua conversione in senso metafisico e spirituale?

Si consideri poi che la realtà oggi è in continuo e accelerato mutamento e che ci sono anche “fatti” imponderabili che sfuggono totalmente all'occhio umano e ad ogni possibile umana previsione. L'imprevedibilità di questi imponderabili non scalza dalle fondamenta lo schema delle “costanti” e delle “regolarità” del politico? (Eraclito: chi non si aspetta l'inaspettato non troverà la verità). Ciò che si è ripetuto sempre uguale per centinaia e anche per migliaia di anni, secondo quello schema infallibile della polarità Ordine-Caos o, per dirla con Gambescia, Arché-Anarché, non potrebbe a un certo punto interrompersi come lo hanno immaginato e visto tutte le grandi tradizione religiose della storia?

Mettendo tra parentesi o in subordine, o addirittura escludendo il problema di Dio e al contempo relativizzando “i giudizi di valore” nella ricerca e nell'analisi politica, non si finisce proprio col correre il rischio, tanto paventato dall'Autore anche se per altre ragioni, di agevolare la deriva “totalitaria”? E una posizione del genere, non sarebbe una forma di cripto-marxismo o di post-marxismo?

All'ottimo Gambescia l'ardua sentenza.

Note

(1)Allgemeines Staatsrecht und Staatsverfassungslehre (Göttingen 1793).

(2)La voce fu curata con vero estro letterario dall'amico e corrispondente portoghese João Bigote Chorão.

(3)In questo caso la voce è stata redatta dalla prof.ssa Laura Bazzicalupo dell'Università degli Studi di Salerno.

(4)A nostro avviso l'appropriazione indebita del termine metapolitica da parte della Nuova Destra italo-francese e l'uso strumentale e ideologico che essa ne ha fatto, non ha consentito ad altri e più alti significati di essere giustamente riconosciuti e valutati nella loro impor-tanza.

(5)Riletture: Giuseppe Palomba (1908-1986) apparso sul blog di Carlo Gambescia il 16 febbraio del 2006:

carlogambesciametapolitics.blogspot.com.

(6)C. Gambescia Invito alla lettura di Sorokin, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2002).

(7) Badiou è stato autore di un libro che reca il termine metapolitica fin dal titolo. Si tratta di Abrégé de métapolitique, uscito in Francia per i tipi delle Éditions du Seuil nel 1998, e tradotto e pubblicato in Italia dalla Cronopio di Napoli nel 2001 con il titolo Metapolitica.

(8)Karl Paul Reinhold Niebuhr (1892-1971) autore di una trentina di libri e di alcune centinaia di articoli, era un teologo protestante statunitense, conosciuto soprattutto per i suoi studi sulla possibilità di collegare la fede cristiana al realismo della politica, “ottimo antidoto” scrive Gambescia “a ogni forma di attivistico e pericoloso romanticismo politico” (p.63) alla Carl Schmitt. Per Niebuhr si trattava insomma di perseguire l'idea di società giusta ma senza mai deviare nell'utopismo.

Bibliografia essenziale dell'Autore


  • Invito alla lettura di Sorokin, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2002

  • Il migliore dei mondi possibili, Il mito della società dei consumi, Settimo Sigillo, Roma 2005

  • Viaggio al termine dell’Occidente, Settimo Sigillo, Roma 2007

  • Metapolitica. L’altro sguardo sul potere, Il Foglio Letterario Edizioni, Piombino 2009

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